Presidente: Papadia U. Estensore: Lombardi AM. Relatore: Lombardi AM. Imputato: Falcione. P.M. Fraticelli M. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Campobasso, 29 Settembre 2005)
DEMANIO - Demanio marittimo - Realizzazione abusiva di manufatto su area demaniale - Ultimazione dell'opera - Sequestro preventivo - Adattabilità - Fondamento.
In tema di tutela del demanio, la avvenuta ultimazione dei manufatti realizzati abusivamente su area demaniale e la conseguente accessione degli stessi al suolo demaniale non è ostativa alla adozione del provvedimento di sequestro cautelare, in relazione all'ipotesi di reato di cui all'art. 1161 cod. nav. (abusiva occupazione di spazio demaniale), trattandosi di reato che permane sino a quando si protrae la occupazione illegittima.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 01/02/2006
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 158
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 41175/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. Di Giandomenico Giovanni, difensore di fiducia di FALCIONE
Esmeralda, n. a Pescopennataro il 20/11/1934;
avverso l'ordinanza in data 29/09/2005 del Tribunale di Campobasso, in
funzione di giudice del riesame, con la quale è stato
confermato il decreto di sequestro preventivo di beni immobili emesso
dal G.I.P. del Tribunale di Larino in data 12/07/2005.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
Udito il Sost. Procuratore Generale, Dott. Mario Fraticelli, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. DI GIANDOMENICO Giovanni, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Campobasso, in funzione di
giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo
di beni immobili emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino in data
12/07/2005 nei confronti, tra gli altri, di Falcione Esmeralda. Si
osserva in punto di fatto nella ordinanza che il G.I.P. del Tribunale
di Larino ha disposto il sequestro preventivo di numerosi immobili, in
quanto realizzati nella località Rio Vivo del Comune di
Termoli sul litorale marino o comunque entro la fascia di rispetto di
trenta metri, senza la prescritta autorizzazione, sicché nel
fatto deve ravvisarsi l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 1161
c.n.. 11 giudici del riesame hanno poi ritenuto inconferenti le
deduzioni difensive dell'istante, con le quali, tra l'altro, era stata
dedotta l'incertezza della demanialità dell'area in
questione, la risalenza nel tempo del manufatto realizzato, il fatto
che l'immobile era stato acquistato da terzi e la conseguente buona
fede dell'acquirente, l'inesistenza delle esigenze cautelari. Si
è osservato, in contrario, nell'ordinanza che allo stato
degli accertamenti eseguiti dal personale della Capitaneria di Porto,
posti dal G.I.P. a fondamento del provvedimento di sequestro, deve
ravvisarsi la sussistenza del fumus commissi delicti con riferimento
alla natura demaniale dell'area; che, quanto alle deduzioni
dell'istante, risultano, invece, inconferenti: 1) la circostanza che il
terreno era stato acquistato direttamente dall'amministrazione statale,
dovendosi rilevare la nullità di tale atto, per avere avuto
ad oggetto la alienazione di un bene indisponibile; 2) la circostanza
che il dante causa dell'istante era stato prosciolto dalla medesima
imputazione con la formula perché il fatto non costituisce
reato, non incidendo tale formula assolutoria sulla
materialità del fatto illecito e sulla ulteriore commissione
dello stesso, considerata la natura permanente del reato, e non
essendovi, peraltro, neppure prova della identità delle
opere di cui alla precedente pronuncia con quelle oggetto del
sequestro; 3) la eccezione di prescrizione del reato, stante il
già ricordato carattere permanente dello stesso; 4) la
invocata buona fede della indagata, considerata la natura
contravvenzionale della violazione; 5) la circostanza che la
proprietaria dell'immobile potesse essere ritenuta estranea alla
commissione del reato, prescindendo le misure cautelari reali
dall'accertamento della colpevolezza dell'indagato; 6) la asserita
insussistenza del periculum in mora, per essere stato ultimato da tempo
l'immobile, essendosi rilevato in contrario che nella specie trovano
applicazione i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza in
tema di abusivismo edilizio con riferimento al pericolo derivante
dall'aggravamento del carico urbanistico e dalle ulteriori conseguenze
dovute all'uso ed al godimento dell'opera abusiva.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell'indagata, che
la denuncia per violazione di legge con vari motivi di gravame. La
ricorrente premette in punto di fatto di essere proprietaria
dell'immobile sequestrato per averlo ricevuto per successione dal
marito, De Vincenzo Giovanni; che quest'ultimo aveva acquistato il
medesimo immobile una prima volta da Delli Veneri Silvestro con rogito
notarile del 23/12/1968; che successivamente con atto del 1981 il De
Vincenzo Giovanni e la stessa ricorrente avevano acquistato l'area su
cui insiste la costruzione dall'Amministrazione dello Stato, previo
accertamento da parte dell'Intendenza di Finanza di Campobasso che la
predetta area rientrava nel patrimonio disponibile dello Stato; che,
infine, il De Vincenzo Giovanni era stato assolto dal Pretore di
Termoli con sentenza del 30 aprile 1976 proprio dal reato di cui
all'art. 1161 c.n..
Tanto premesso, la ricorrente denuncia la violazione ed errata
applicazione dell'art. 27 Cost. e dell'art. 649 c.p.p., deducendo
sull'elemento oggettivo del reato: a) che l'area su cui insiste il
fabbricato non è demaniale ma è stata ceduta alla
ricorrente sul presupposto della sua disponibilità, avendo
la medesima ricorrente ed il suo dante causa acquistato l'area su cui
insiste il fabbricato direttamente dallo Stato; b) che l'accertamento
della demanialità dell'area è stato erroneamente
fondato su una linea di demarcazione tracciata in un verbale del 19
marzo 1912, al quale non può esser più attribuito
valore, ne' è stato attribuito valore nel corso del tempo
dalle stesse pubbliche amministrazioni competenti; c) che la ricorrente
non ha posto in essere alcuna arbitraria occupazione dell'area
demaniale, essendo state realizzate le opere sequestrate circa trenta
anni prima da altri soggetti; nonché sull'elemento
soggettivo del reato: d) che doveva essere rilevata l'inesistenza
dell'elemento psicologico del reato, stante la buona fede dell'indagata
sulla natura disponibile dell'area e del fabbricato, evidenziata dalla
circostanza che la Falcione ha sempre pagato le imposte dovute allo
Stato ed all'Ente locale e che varie pronunce giurisdizionali hanno
suffragato tale convincimento; e) che nella specie doveva ritenersi
sussistente la preclusione derivante dal principio del ne bis in idem,
essendo stato assolto il De Vincenzo Giovanni dal reato di cui all'art.
1161 c.n. proprio per la rilevata incertezza in ordine alla natura
demaniale dell'area. Con un ulteriore motivo di gravame la ricorrente
denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 936 c.c., e
artt. 54, 49 e 1161 c.n. e deduce la prescrizione del reato. Si deduce
in sintesi che, ai sensi della citata disposizione del codice civile,
il fabbricato realizzato su un'area demaniale, per il principio
dell'accessione, diviene ipso iure anche esso demaniale,
sicché può essere configurato quale fatto
illecito solo la costruzione, senza la prescritta autorizzazione di un
fabbricato su area demaniale, ma non la successiva persistenza del
manufatto sulla stessa, non appartenendo più l'immobile
all'autore del reato.
La ricorrente denuncia, infine, la violazione ed errata applicazione
dell'art. 321 c.p.p., deducendo che la motivazione addotta a sostegno
della sussistenza delle esigenze cautelari non tiene conto della
fattispecie contravvenzionale oggetto di indagini, in relazione alla
quale doveva, invece, escludersi la sussistenza del periculum in mora,
non potendo configurarsi alcun aggravamento del reato quale conseguenza
della disponibilità della cosa da parte dell'indagata;
disponibilità che peraltro si protrae da circa trenta anni.
Con memoria difensiva depositata il 25/01/2006 la ricorrente ha
sostanzialmente ribadito le precedenti censure in punto di
insussistenza del reato oggetto di indagine e di carenza dell'elemento
psicologico dello stesso. Il ricorso non è fondato. Secondo
il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte,
peraltro richiamato nella stessa ordinanza impugnata, ai fini della
valutazione della legittimità del sequestro preventivo, deve
essere accertata esclusivamente la sussistenza degli elementi atti a
configurare la fattispecie di reato
oggetto di indagine, mentre è preclusa ogni valutazione
sulla consistenza degli indizi di colpevolezza a carico dell'indagato
e, più in generale, sulla fondatezza dell'accusa (cfr., tra
le altre, sez. un. 23/04/1993 n. 4, Gifuni).
Orbene, emerge dall'esame del provvedimento di sequestro preventivo in
data 12/07/2005, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino, che la
misura cautelare ha avuto ad oggetto un'area pertinenziale, in parte
incolta ed in parte pavimentata in betonelle, con accesso diretto alla
spiaggia, che, secondo gli accertamenti effettuati dalla Capitaneria di
Porto di Termoli, fa parte del demanio marittimo ed è stata
arbitrariamente occupata, tra gli altri, dalla Falcione,
sicché sussiste il fumus del reato di cui all'art. 1161
c.n., così come affermato nell'ordinanza impugnata.
Nè può costituire oggetto di accertamento in sede
cautelare l'esattezza della verifica eseguita dagli organi di polizia
giudiziaria in ordine alla demanialità dell'area in
questione. Esattamente inoltre la ordinanza impugnata ha affermato la
irrilevanza delle deduzioni dell'istante per il riesame, con le quali
è stata contestata la legittimità del sequestro.
Deve essere preliminarmente rilevato sul punto che il reato di cui
all'art. 1161 c.n. ha natura permanente, sicché l'illecito
si protrae finché dura l'occupazione illegittima dell'area
demaniale (sez. 3^, 18/02/1998 n. 1950 e giurisprudenza successiva
tutta conforme).
Deriva, quale conseguenza della natura permanente del reato, che non
è configurabile, nel caso in esame, la preclusione da
giudicato dedotta dalla ricorrente, per essere stato assolto dallo
stesso reato il dante causa di quest'ultima.
I giudici di merito hanno, infatti, rilevato che tale assoluzione
è stata pronunciata con la formula perché il
fatto non costituisce reato, afferente, quindi all'elemento psicologico
dell'autore del fatto, sicché l'accertamento sul punto non
esclude la illiceità della condotta in sè
considerata.
Egualmente irrilevante si palesa la circostanza che l'indagata possa
aver ricevuto in buona fede l'area oggetto del sequestro, afferendo
l'indagine sul punto all'accertamento della colpevolezza della
Falcione; accertamento che, per quanto già osservato in
precedenza, resta estraneo al giudizio sulla legittimità
della misura cautelare. Peraltro, l'utilizzazione in area del demanio
marittimo, senza specifico titolo, di un'opera abusiva realizzata da
terzi integra il reato di occupazione abusiva di spazio demaniale
quando il fruitore, pur non avendo realizzato l'opera, ne abbia
l'autonoma disponibilità e la abbia finalizzata al miglior
godimento di una sua proprietà (sez. 3^, 25/05/1992 n. 6313,
Guidobaldi).
Deve, poi, ribadirsi il consolidato indirizzo interpretativo di questa
Corte Suprema, secondo il quale l'art. 35 c.n. esclude ogni
possibilità di sdemanializzazione tacita del demanio
marittimo, potendosi attuare solamente quella espressa mediante uno
specifico provvedimento costitutivo da parte dell'autorità
amministrativa competente (sez. 3^, 20/01/1995 n. 125, Paparo; sez. 3^,
10/11/1994 n. 11257, Ammendolia; sez. 3^, 20/01/1989 n. 599, Rizzi;
sez. 3^, 07/09/1983 n. 7384, Marsilio), sicché si palesa
irrilevante il dedotto acquisto dell'area oggetto della misura
cautelare dalla pubblica amministrazione, non essendo stato preceduto
tale acquisto da un provvedimento di sdemanializzazione della stessa.
Nè l'eventuale immemorabile possesso del suolo da parte di
privati in buona fede comporta implicitamente la perdita delle
caratteristiche naturali della demanialità.
Deve essere ancora osservato, con riferimento alle ulteriori deduzioni
della ricorrente, che la eventuale ultimazione dei manufatti realizzati
arbitrariamente su area demaniale e l'accessione degli stessi al suolo
demaniale non è certamente di ostacolo alla adozione della
misura cautelare, protraendosi la commissione del reato
finché si protrae l'occupazione illegittima dell'area e dei
manufatti realizzati sulla stessa (cfr. sez. 2^, 198700269,
Boscolofallo, riv. 174814; sez. 6^, 200103947, Sindoni, riv. 217890;
sez. 3^, 200347436, P.G. in proc. Armanno, riv. 227067; sez. 3^,
200316561, Barlotti e altro, riv. 227417).
Anche l'esigenza cautelare ravvisata dai giudici di merito di impedire
l'ulteriore protrazione della commissione del reato, pertanto, deve
ritenersi sussistente nel caso in esame. Il ricorso, pertanto, deve
essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue a
carico della ricorrente l'onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1
febbraio 2006. Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2006.