Minime e inattuali riflessioni sulla tariffa rifiuti

di Alberto PIEROBON

pubblicato in osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Nel corso di un interessante incontro di tributaristi svoltisi il 21 febbraio 2024 nell’ambito delle iniziative dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Giurisprudenza1, alcuni studiosi hanno portato il loro contributo sul provento (o meglio: sui proventi) 2 della tariffa rifiuti, ciò soprattutto da una angolatura tributarista3.

Colgo l’occasione per qui svolgere alcune minime e semplici annotazioni, da una prospettiva come dire «artigianale»4, immodestamente praticando la materia (non da semplice empirista) 5 ormai da quasi trent’anni.

Anzitutto, oggigiorno le dinamiche ambientali e l’economia circolare – ancora affrontate astrattamente – possono paradossalmente diventare, in abili mani, un pretesto per rinfocolare l’attenzione sull’argomento, in una sorta di «ecodirigismo» (il termine è di Alex Laing6) impastato di economia e di controllo tanto da consentire di meglio mobilitare le risorse e le idee, un ecodirigismo fors’anche utilizzato a mo’ di difesa politica dello status quo.

Peraltro, sono pochissime le risorse che effettivamente vengono messe a disposizione del pubblico come del privato, per avviare una davvero seria transizione ecologica, talché assieme agli attanaglianti problemi sociali ed economici, in uno sfondo di guerre, insicurezze, conflitti etnico-religiosi, ecc. l’economia circolare e il cambiamento climatico (anche nella loro… immaginazione!) talvolta sono strumentalizzati, al punto di diventare delle occasioni per creare urgenze e/o consenso e/o mobilitazioni di investimenti (il Green Deal ha un senso ove diversamente pensato7) oltre ad alimentare molta letteratura se non… infatuazioni. Sia chiaro nell’economia sviluppista e urticante i problemi ambientali esistono, e si sono esulcerati negli ultimi decenni, la mia impressione è che siano tematiche che sono ancora malamente affrontate e che vanno meglio comprese.

Passando agli aspetti che più da vicino riguardano la tematica in esame, quello che immediatamente rileva è l’«oggetto» dei proventi, ossia la gestione dei flussi di rifiuti urbani (RU) distinta da quelli dei rifiuti speciali (RS), ma che si ibrida o contamina nei relativi sub-flussi che talvolta si opacizzano passando dall’una all’altra categoria di rifiuti (vedasi sintomaticamente i rifiuti anfibologici EER codice 191212 8 e i rifiuti della «zona grigia» codificati nei capitoli 20 e/o 15, ed altri ancora9).

Ai RU si riconducono i soggetti intesi come «produttori»: nella visione giuridica, invero manichea, delle utenze domestiche (UD) e delle utenze non domestiche (UND). Anche qui non senza suscitare opinamenti da un punto di vista sostanziale più che formale (ad es. un convitto/convento, fuori dalle categorizzazioni giuridiche, potrebbe essere considerato – per i rifiuti ivi prodotti – una grande UD piuttosto che una UND?) come pure riguardo agli aspetti di similarità/analogia che esistono (anche nei criteri inseriti nei nuovi allegati L quater e L quinquies della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006) tra le categorie di UND interessate, ad es. per quanto riguarda le UND nella zona di frontiera tra RU/RS, ma non solo.

Il presupposto cui sostanzialmente ci si rifà per il calcolo (vedi oltre) della tariffa, sta nel possesso/detenzione di unità immobiliare da parte delle utenze tutte, ovvero di superfici potenzialmente (rectius, presuntivamente) produttive di RU, non solo però per l’abituale presenza umana10, distinguendosi poi: per le UD, nel criterio di superficie (metratura) e del numero componenti del nucleo familiare; per le UND, di superficie e della potenzialità di produzione dei rifiuti (nei famosi coefficienti «k»).

Sul criterio della superficie molto si è discusso e si sta ancora dibattendo anche in rapporto alla sua idoneità ed equità correlata alla sua logica di responsabilizzazione (o meno) dell’utenza, inducendo molti ad auspicare l’applicazione di una tariffa puntuale, ritenuta essere incentivante di comportamenti più rispettosi dell’ambiente oltre che convenienti per l’utenza. Non rientrando nell’economia del presente scritto l’esame della complessa tematica, sia permesso rinviare ai miei scritti sull’argomento11.

I costi della gestione del complessivo (integrato) servizio dei RU sono finanziati con i proventi tariffari (TIA in varie salse, TARI parimenti in varie salse) che contemplano anche dei ricavi.

Pervero i proventi sono «scelti» (sic!) dai Comuni nell’ambito della tipologia che viene distinta in:

a) TARI presuntiva tributo;

b) TARI puntuale tributo di cui al decreto del Ministero dell’ambiente 20 aprile 2017;

c) la tariffa puntuale corretta di cui all’art. 9 del decreto cit.;

d) TARI corrispettiva (di natura patrimoniale, non tributo) di cui all’art. 1, commi 667 e 668 della legge n. 147 del 2013.

Quindi, in una prima (riduttiva) lettura, sembrerebbe che la scelta comunale si muova tra proventi aventi natura tributaria e non. Ma al di là del nomen juris utilizzato bisogna entrare nel vivo del rapporto costruito ed instaurato dall’ente titolare con il gestore.

Comunque, trattasi di proventi che certamente non seguono la logica del prezzo o del corrispettivo, perché il produttore/utente non paga esattamente per la quantità e qualità dei rifiuti di cui chiede (sic!) di ottenere delle prestazioni dal gestore del «servizio pubblico locale» (o «SPL») affidatario dal Comune od altro titolare della funzione, ad es. l’Autorità di ambito territoriale ottimale (o, nell’acronimo areriano «EGATO»12). Com’è noto, la gestione dei rifiuti urbani è un servizio obbligatorio per legge, ovvero l’utente non può esimersi o sottrarsi dal suo utilizzo, come pure dal pagare delle prestazioni del SPL non usufruite, comunque imposte dal titolare del servizio, secondo un quantum non pattuibile tra le parti, bensì appunto determinato autoritativamente13.

Sempre per capirci (e senza voler qui complicare) il finanziamento del SPL deriva dal complessivo dei costi al netto dei ricavi del provento, in un orizzonte temporale, determinati in base ad un p.c.d. «filtro» contabile imposto dal metodo tariffario (MTR) stabilito dall’Autorità nazionale di regolazione (l’ARERA)14. L’insieme dei costi e ricavi elaborati secondo la metodologia ARERA porta a un piano economico e finanziario (PEF) proposto (p.c.d. «grezzamente» per l’IFEL) dal gestore del servizio al Comune o altro soggetto delegato (es. EGATO) che lo controllerà e integrerà per poi eventualmente validarlo ed approvarlo, articolando la sua spalmatura sull’UD-UND secondo criteri non tanto di fiscalità locale, quanto orecchianti – almeno in parte – il metodo normalizzato di cui al d.p.r. n. 158 del 1999 che però viene intersezionato con il MTR e nelle scelte regolamentari deliberate dai medesimi soggetti titolari.

Ma la formulazione del PEF che poi determina la tariffa, risente di più variabili, anche «esogene» quali: la composizione delle utenze (verticalmente divise in UD/UND) anche nel rapporto orizzontale, oltre che verticale, tra UD e UND dove si vorrebbe instaurare una sorta di solidarietà tra le due categorie; il pendolarismo dei rifiuti; la presenza nel Comune di turisti 15 e di pendolari; i rifiuti abbandonati; eccetera. Invece, sia gli standard quali-quantativi del SPL (di cui al TQRIF ossia alla delibera ARERA 18 gennaio 2022, n. 15 ss.ii.mm.), sia gli scenari di scelta (indotta) dei Comuni-EGATO che altri elementi (es. gradualità) possono considerarsi quali variabili (più o meno) «endogene»16.

Anche i «costi efficienti» che sono per il metodo ARERA quelli ammissibili, derivano da criteri imposti dall’ARERA quindi non sono stati, come dire… scelti «internamente» dal Comune e nemmeno si rifanno a modelli di economia aziendale, limitando così non solo l’eventuale loro manovra e le scelte aziendali-istituzionali, altresì obbligando a una contabilità specifica, certamente «altra» rispetto a quella comunale (che ora si sta riformando guardando anche agli esempi oltre confine).

È stato notato che i costi operativi, giustamente inseriti nella parte variabile della tariffa, rilevano laddove ricorrano le condizioni per riconoscere le «riduzioni» o le c.d. «scontistiche» 17 alle utenze interessate (ad es. del numero dei componenti del nucleo familiare per le UD per le altre UND ove si realizzi la scelta dell’art. 238, comma 10 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ss.ii.mm. o «TUA»18) non sarebbero efficaci poiché esse riduzioni, diminuendo la tariffa pro-quota (sic!) della parte variabile dell’utenza beneficiaria porterebbe (per la somma che «mancherebbe» alla complessiva parte variabile della tariffa) a far redistribuire questa loro riduzione alle altre utenze della stessa categoria, ciò con effetti quantomeno iniqui.

Epperò laddove si costruisca (come si dovrebbe) l’affidamento del SPL, da parte del titolare al gestore, tramite un rapporto concessorio vero e proprio (cioè caratterizzato dall’aleatorietà, dalla non commutatività del sinallagma, ecc.) si potrà modulare la parte variabile (i relativi costi e ricavi) evitandosi l’effetto paradossale per il quale questi costi sostanzialmente vengono utilizzati come dei costi «fissi» poiché non sottratti dal titolare nei confronti del gestore, e quindi che sono ribaltati a danno dell’utenza.

Un brevissimo, grossolano esempio, solamente per meglio illustrare il meccanismo: un supermercato presente nel territorio del Comune o dell’ATO affida ex art. 238, comma 10 del TUA, ad un soggetto terzo per il recupero19, i propri rifiuti di imballaggio non terziari (anche qui ci sarebbe da… entrare «dentro» il mondo dei rifiuti20) chiedendo, secondo le procedure previste dal regolamento adottato, al soggetto preposto una riduzione tariffaria. Se l’entrata della complessiva parte variabile tariffaria è di € 600.000 per n. 300 UND e la riduzione per il supermercato richiedente ammonta a € 1.500 questa non diventa un costo incomprimibile, spalmandolo (anche qui con che criterio? del costo medio, marginale o che altro?) alle altre n. 299 UND per assicurare al gestore la complessiva parte variabile del PEF di € 600.000. Infatti, in un rapporto davvero concessorio (peraltro intonato, seppur non senza criticità, al sistema ARERA21) il gestore modulerà le proprie risorse (automezzi, personale, attrezzature, ecc.) anche in diminuzione dei propri costi, per cui la «riduzione» troverà riflesso analitico tra costi operativi (fors’anche generali), non pesando così in carico alla tariffa degli altri utenti.

Si veda anche la sentenza Cass. Sez. Trib. 24 febbraio 2023, n. 5786 22 che si riferisce ad un caso risalente al 2016 (è bene tenere sempre presente quanto accade in più discipline: rifiuti, tariffaria e dei servizi pubblici) che riguarda i limiti previsti da tantissimi regolamenti comunali nelle ipotesi, appunto, di «riduzione» della parte variabile della tariffa. Va premesso che la sentenza non ha affrontato la questione della esclusione dalla privativa e quindi dalla tariffa riguardante gli imballaggi terziari (artt. 221 e 226 del TUA). La riduzione in parola riguardava infatti gli aspetti p.c.d. «soggettivi», connessi cioè all’affidamento, da parte dell’UND, dei propri rifiuti recuperabili/riciclabili a una ditta terza rispetto al SPL. La pronuncia non riguarda quindi le «riduzioni» connesse agli aspetti organizzativi del SPL, ad esempio, circa l’istituzione e l’usufruizione del servizio di gestione di queste tipologie di rifiuti23. I regolamenti comunali (art. 198 TUA) non possono limitare le riduzioni dovendo assumere il criterio di proporzionalità stabilito nella normativa nazionale (cfr. l’art. 1, commi 642 e 649 della legge n. 147 del 2013) e che va applicato dagli enti locali, per cui va censurata la scelta regolamentare diversa, ad es. delle percentuali limitative di riduzione della parte variabile tariffaria che potranno venire disapplicate24. Nella ricostruzione ermeneutica svolta dai giudici, il criterio di proporzionalità rientra infatti nei princìpi di coordinamento del sistema tributario (artt. 117 e 119 Cost.) in quanto proiezione comunitaria, ma anche dell’art. 9, comma 3 Cost. Un altro elemento che è stato chiarito riguarda l’applicazione della riduzione in parola non solo per l’avvio al «riciclo» dei rifiuti, ma anche per le operazioni di «recupero», osservandosi, giustamente, che il rapporto tra il riciclo e il recupero è di species/genus. Così si riportano a coerenza le diverse disposizioni normative: ivi si citano le disposizioni legislative rientranti nella materia della finanza locale (art. 1, comma 649, della legge n. 147/201325, come novellato dall’art. 2 della legge n. 68/2014 di conversione del d.l. n. 16/201426) e quelle specifiche sui rifiuti, che si applicano anche alla tariffa (artt. 198 27 e 238, comma 10 del TUA) tenuto altresì conto dell’art. 7, comma 2 del d.p.r. n.158 del 1999; degli indirizzi ministeriali emanati in seguito al d.lgs. n. 116 del 2020 (e alla circolare del Ministero della transizione ecologica 12 aprile 2021) e soprattutto dell’art. 10 della direttiva 2008/98/CE, anche considerando quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza di cui alla causa C-254/2008 del 16 luglio 200928.

Invece il meccanismo «commutativo» spesso viene utilizzato a vantaggio del gestore e forse anche del Comune-EGATO29. È importante avere in mente tutto questo, evitando che le gestioni dei rifiuti urbani si ingessino in rapporti di appalto o di concessione artatamente «blindati», ovvero privando le concessioni delle loro caratteristiche (rischio e autonomia imprenditoriale, come minimo) come pure dei benefici che possono trasferirsi all’utenza prevedendo un sinallagma non meramente corrispettivo, oltre a responsabilizzare i gestori (che sovente vivono di rendite di posizioni, parassitarie o clientelari che siano), in particolare di coloro che godono di sicumere nei rapporti di concessione in house o nel partenariato pubblico-privato.

Per cui guardare la tariffa solamente in modo p.c.d. «meccanico» nella lettura dicotomica dei costi/ricavi in parte fissa e in parte variabile, non consente al pur attento osservatore-interprete di capire veramente quali siano gli effetti e perché e come essi si verifichino, nell’applicazione di varie scelte tariffarie. In tal guisa non si giunge alla «essenza» attribuibile a questa entrata che (non dimentichiamolo) rimane pubblica.

La parte fissa composta dai costi in conto capitale, di investimento e di remunerazione del capitale, ecc. 30 ha natura redistributiva e non incentivante, ovvero è di natura più tributaria, poiché uti cives. La parte variabile teoricamente composta dai costi operativi (tra i quali erroneamente si inseriscono anche quelli del c.d. «contatore» tariffario31) è incentivante e segue (teoricamente) criteri uti singuli, poiché di natura più corrispettiva32. Ecco perché bisogna convenire, con i più avveduti tributaristi (Gallo, Marchetti, Amatucci, ecc.)33, sulla natura mista della tariffa.

È chiaro che a seconda della natura del provento (tributo, patrimoniale, corrispettivo, ecc.) le potestà cambiano (ad esempio i Comuni potrebbero vantare per una prestazione patrimoniale imposta una potestà normativa riconosciuta costituzionalmente, nel principio di riserva di legge dell’art. 53 Cost.34).

Eppoi che dire dei «costi efficienti» del MTR-ARERA in rapporto ai «costi standard» quali vincolo della spesa storica pubblica commisurata ai «fabbisogni standard» («FS») di cui all’art. 6, comma 1 del d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 che uniformano nell’intero territorio nazionale i diritti civili e sociali, di cui ai diversi (che ora si vuole far convergere) metodi quali ad esempio: della SOSE-IFEL; dei «costi medi» nazionali 35 e non, come rilevati (con le bonifiche delle banche dati MUD di cui si è accennato) dall’ISPRA-SNPA nel contesto ISTAT e del MEF; dei «prezzi di riferimento» dell’ANAC36, eccetera.

Una tematica che può rifarsi ai livelli essenziali delle prestazioni («LEP») che diventa un parametro-guida per la Pubblica Amministrazione ex art. 1, commi 791-798 della l. 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), per dire che i «costi standard» del mondo degli enti locali (SOSE-IFEL) si rifanno ai «costi effettivi» che si vogliono portare col MTR-ARERA ai «costi efficienti» riconoscibili per la determinazione tariffaria tramite un PEF.

L’ARERA non ha qui a cuore o in mente gli enti locali, bensì il mondo delle utilities e dei gestori privati di taglia medio-grande operanti nel settore dei rifiuti37.

Il «costo efficiente» areriano non è (si badi) il «costo efficiente» determinato (caso per caso, secondo esperienza, entro una discrezionalità che non può mancare per meglio adattare il SPL) secondo i canoni dell’economia aziendale, perché il calcolo rimane quello del MTR formulato secondo il metodo dei «migliori della classe» cosiccome estrapolato dall’ARERA nelle proprie attività elaborative, partendo dal paneldegli operatori di settore «the best» e poi imposto agli enti locali, a colpi di deliberazioni regolatorie.

Si guardi infatti al «costo efficiente» del MTR che tramite il benchmark usa i «fabbisogni standard» per il «costo unitario effettivo» in una convergenza (attualmente mancante, ma in progress) tra «livelli essenziali prestazioni», «costi standard» e «fabbisogni standard».

Del resto cosa sono i «costi standard» se non un costo stabilito ex ante, poiché convenzionale-parametrico onde efficientare i costi che dovrebbero così diventare, una volta «efficienti» anche dei costi… «giusti» (Anthony). Ciò perché il costo efficiente sarebbe il costo standard più le inefficienze. Per cui se occorre finanziare da parte della P.A. i fabbisogni standard prima vanno efficientati i costi (la spesa storica) effettiva. Come farlo se non riferendosi a criteri privatistici, orientando ilmanagementpubblico alla stregua di quanto avviene nel privato?

Il MTR-ARERA sostituirà quindi i «costi efficienti» dei «fabbisogni standard » dei «LEP», rapportandosi col benchmark dei «FS» (art. 1, comma 653, legge n. 147 del 2013) e dei «costi medi di settore» di cui ai Rapporti ISPRA-SNPA, un benchmark ove i costi efficienti sosiani (i.e.: della SOSE) dei FS saranno quelli del MTR-ARERA che però, come osservato, non sono i costi efficienti derivanti da proprie ( rectius, endogene) analisi svolte, – mantenendo una qualche discrezionalità e potestà – all’interno dei canoni aziendalistici.

Ecco perché l’ARERA nella sua attività regolatoria è una sorta di caterpillar che travolge il ruolo e le competenze degli enti locali, appiattendoli nella propria uniformità di metodi e visioni. E la politica purtroppo trova comoda questa semplificazione tecnica che è allo stesso tempo culturale, dove alla sapienza del diritto pubblico e tributario si sostituiscono perlopiù espedienti tecnico-privatistici orecchiati da altri38.

Cito altre questioni che sono ancora in gestazione dottrinaria. La tariffa rifiuti è un tributo ambientale? Se lo fosse, essa dovrebbe consentire di incidere sull’oggetto dello inquinamento e sul suo autore? Ma come? forse commisurando la tariffa sulla quantità e qualità del rifiuto prodotto (rectius, conferito)? Il presupposto è collegato ad un elemento patrimoniale (gli immobili) presuntivo della produzione di rifiuti e quindi che si fa? Per dirla in modo più spicciolo: come va considerata la superficie? Eppoi come misurare la quantità/qualità dei rifiuti prodotti/conferiti al SPL? Occorre pesare effettivamente i rifiuti? Oppure è sufficiente una presunzione volumetrica del contenente (sacco, contenitore, attrezzatura, ecc.)? Attribuendo quindi ad ogni tipologia di rifiuto (es. frazione umida, secco, vegetale, ecc.) un peso specifico (o densità)? Si può pensare anche in altro modo questo SPL?

Come ho avuto modo in più occasioni di segnalare, i Comuni hanno perso molte competenze e discrezionalità, nell’invasività (culturale prima che tecnica) di altre competenze tecnico-economiche, abdicando al ruolo di ente titolare dei proventi e del SPL39, soprattutto da parte della politica che ha trovato comodo spostare le decisioni alla tecnica e alla regolazione di organi che esercitano anche «poteri impliciti».

Una lettura più economica (fors’anche ideologica) ipotizza che nell’attuale fase di capitalismo contraddittorio, di fatto poco (o addirittura non) concorrenziale, cioè oligopolistico o monopolistico, che risente del nuovo ruolo keynesiano dello Stato (anche con i monopoli e gli interventi statali nell’economia), segnala che la progressiva estensione dell’ambito di regolazione potrebbe interpretarsi come un «meccanismo di recupero» del sistema per evitare le crisi, se non il crollo del capitalismo, compensando così l’organizzazione (o l’anarchia o le disfunzioni, ecc.) del mercato40.

L’inadeguatezza del mercato ispira l’assunzione di compiti nuovi, quasi un compromesso istituzionalizzato tra il settore privato e quello pubblico, ciò si riflette anche nelle teorie manageriali che portano a guardare diversamente al mercato e alla organizzazione imprenditoriale.

Anche l’ARERA, nella sua colonizzazione degli enti locali e del SPL, sembra abboccare a questa retorica aziendalista e delle virtù imprenditoriali dove pubblico e privato si compenetrano.

Del resto la progressiva sottrazione ai Comuni della loro potestà e discrezionalità in materia di rifiuti si riscontra non solo nella determinazione tariffaria e nella costruzione di un SPL, ma anche nelle scelte che riguardano, sintomaticamente, la dichiarazione quali-quantitativa di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani41, che consentiva ai Comuni di meglio «dimensionare» anche il SPL con riguardo all’UND, ma non solo.

Molteplici sono quindi i profili e gli aspetti che sono implicati nel SPL della gestione dei rifiuti e quindi del provento tariffario che ne deriva.

Ad esempio, basta scorrere la recente delibera ANAC n. 1 adunanza del 10 gennaio 2024 che riguarda la c.d. «clausola territoriale» per motivi tra economici e ambientali, nella lettura tra gli artt. 18142, 182, 182 bis43e 220 44 del TUA (quest’ultimo modificato dall’art. 14 della legge sulla concorrenza e il mercato 12 giugno 2022, n. 118) e la delibera ARERA n. 387 del 3 agosto 2023 (di cui al monitoraggio, trasparenza, efficienza tra la raccolta differenziata e l’impianto di trattamento anche intermedio) talché dopo una disamina della situazione, l’ANAC propende per lo svolgimento di una gara con la formula dell’offerta economicamente vantaggiosa, dove anche il riconoscimento dei ricavi deve trovare una propria costruzione e rilevanza. Ma i Comuni spesso non sono in grado di redigere un efficace «Capitolato speciale di appalto» («CSA») coerente e correlato al corrispettivo-tariffa del rapporto di appalto o di concessione, nonché al PEF e al provento di cui trattasi. E qui la consulenza mercenaria può diventare pericolosa45.

Sintomaticamente, anche su questi aspetti, si veda la delibera ARERA 23 gennaio 2024, n. 7 adottata per ottemperare alle sentenze del Consiglio di Stato, Sez. II 6 dicembre 2023, nn. 10548, 1055046, 12 dicembre 2023, n. 10734 e 14 dicembre 2023, n. 10775 47 portando a modificare più deliberazioni ARERA: principalmente la deliberazione 3 agosto 2021, n. 363/2021 e l’Allegato «A» («MTR-2») sottolineando che ciò avviene per la piena applicabilità del Piano nazionale di ripresa e resilienza («PNRR»), aggiornando anche i parametri di calcolo dei costi d’uso del capitale di cui al Titolo IV del MTR-2 nonché delle proprie delibere nn. 363/2021; 389/2023 e 487/2023.

Ricordo che la cit. deliberazione ARERA n. 363/2021 e il suo allegato «A» introduce una tassonomia impiantistica (impianti «integrati», «minimi», «aggiuntivi») che si rifà all’attività di programmazione e settoriale di cui agli artt. 19548, 198 bis 49 e 199 50 del TUA, ma anche all’art. 7 del d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 di riordino dei servizi pubblici a rilevanza economica (a rete e non). Obliquamente l’ARERA adegua alle suddette pronunce amministrative anche la propria delibera sul «Testo Unico della Qualità del servizio dei rifiuti urbani» («TQRIF») del 18 gennaio 2022, n. 1551.

Ma anche il Rapporto rifiuti urbani ISPRA-SNPA mostra di essere una sorta di muraglia cinese, con tante ombre, che però non diventa una trappola per topi. Il tutto sempre (la metodica è ormai questa) in un ambito precipuamente tecnico dove il mezzo diventa lo scopo, anche nei passaggi concettuali che confermano le criticità relative agli impianti intermedi e finali, alla gestione extraregionale dei sub-flussi, ai nuovi flussi di RU, alle operazioni di recupero e di smaltimento di cui agli allegati «C» e «B» della Parte IV del TUA, alle definizioni e qualificazioni dei RU/RS, nelle loro porosità, percolamenti, eccetera.

Eppoi tanti operatori e funzionari, come pure gli addetti ai lavori, sembrano trascurare che i dati (ad esempio della raccolta differenziata e indifferenziata) sono costruiti con metodi diversi: cfr. il decreto Ministero della transizione ecologica 26 maggio 2016 (nelle sue serie storiche fino al 2015) diverso da quanto riformava il d.lgs. n. 116 del 2020 di recepimento della direttiva 2018/851 (che modificava la direttiva 2008/98); dall’art. 205, comma 3 quater del TUA e dai dati del MUD. Aggiungasi i rifiuti di cui ai codici famiglie 15 e 20 (sintomatici, come accennato, i rifiuti di imballaggi misti codice 15.01.06 considerati scarti), i rifiuti da piccole manutenzioni (non considerati C&D) codici 17.01.07 e 17.09.04, lo spazzamento che viene considerato un rifiuto differenziato solo se recuperato, la frazione umida di cui al compostaggio che viene calcolato in 80 kg/ab./annuo, i rifiuti cc.dd. «neutrali» ossia gli spiaggiati, i cimiteriali, ecc.

Ricompare qui la questione dianzi accennata dell’UND nel rapporto con gli artt. 198, comma 2 bise art. 238, comma 10 del TUA e con l’art. 1, comma 649 della legge n. 147 del 2013.

Altre previsioni stanno nel Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’art. 180, comma 1 del TUA approvato con decreto del Ministero dell’ambiente 7 ottobre 2013 dove si considerava il PIL come un valido indicatore della produzione dei rifiuti.

Interessante, anche ai nostri fini, è il Capitolo V ivi inserito, titolato «Valutazione dei costi di gestione del servizio di igiene urbana» che si richiama alle schede CG MUD (vedasi il d.p.c.m. 3 febbraio 2023 dove sono cambiate le aggregazioni dele classi dimensionali dei Comuni secondo analisi dinamiche da rivedersi52) ossia ai costi e ricavi teoricamente attinti dai PEF (del MTR) grezzi e validati. Per cui i dati derivanti dal d.p.r. n. 158/1999 non sono quelli del MTR e le bonifiche della banca dati operata dall’ISPRA sul MUD sembrano essere ancora insufficienti. Pervero (come altresì dianzi accennato) anche i dati della popolazione andrebbero normalizzati, non tanto sulla base della popolazione residente ISTAT, quanto agli abitanti equivalenti (turismo e pendolari).

Nello sfondo di questi cambiamenti strutturali stanno più fenomeni in corso; mi limito qui sommessamente a segnalare: l’abdicazione sul piano politico (a vari livelli) con la crescente attribuzione alle Autorità tecniche di molte scelte che sono squisitamente politiche (implicanti opzioni valoriali e non solo) che vengono cioè portate ad un piano tecnico e procedurale; sul piano amministrativo, la crisi dei SPL e la fine della potestà dei Comuni sui rifiuti, con la colonizzazione della materia tramite la c.d. attività di regolazione dell’ARERA; il nuovo modo di agire con la tecnologia e la cultura tecnica nella logica dell’efficientismo «privatizzato» che gli apparati burocratici non sarebbero in grado di perseguire53; lo spostamento della natura dei proventi dei servizi pubblici, segnatamente della gestione dei rifiuti, dal sapiente mondo tributario, alle tariffe p.c.d. «privatizzate»54.

1 Corso di perfezionamento in «Amministrazione, contratti, finanza e tributi degli enti locali» Cattedre di diritto finanziario e tributario I, II, II, dal titolo I prelievi sui rifiuti tra autonomia dei Comuni e limiti normativi, possibili prospettive circolari e sostenibili , organizzato dalla prof.ssa Roberta Alfano e dal prof. Fabrizio Amatucci.

2 Posto che nel tempo si sono succedute più «entrate» finanzianti il servizio di gestione dei rifiuti (come pure le funzioni correlate, anche provinciali). Per una ricostruzione storica (diacronia e sincronica tra rifiuti, proventi e servizi pubblici negli ultimi centocinquanta anni) sia concesso rinviare a A. Pierobon, L’insorgenza dei rifiuti similari nei servizi pubblici locali , in Azienditalia, 2021, 7; Id, L’estuario unificante dei rifiuti urbani: servizi pubblici, privativa, tariffa , ivi, 2021, 6 e agli articoli successivi sulla medesima Rivista.

3 Sono intervenuto in quella sede con alcune brevi Riflessioni a margine di alcune esperienze concrete prima delle Conclusioni della prof.ssa Alfano.

4 Per una sintesi: A. Pierobon, Un itinerario, nel modo artigianale, di padroneggiare metodo e teoria nella disciplina rifiuti , in COMEN Conferenza mediterranea - Colloqui interculturali mediterranei 2020-2021.

5 Nel senso che «non essendo un empirista, la mia passione non è intralciata da competenze specialistiche. Mi ispira la massima di Sartre: “Colui che parte dai fatti non arriverà mai alle essenze”» così J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Milano, 2005, 28.

6A.Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995 ,Palermo, 2019. Si dovrà cercare «la chiave per una politica ecologica, inevitabilmente ci si dovrà sottoporre alla fatica dell’intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici e ambientali. Non esiste il colpo grosso, l’atto liberatorio tutto d’un pezzo che possa aprire la via alla conversione ecologica: i passi dovranno essere molti , il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente».

Considerando poi lo sviluppo sostenibile e l’ecologia politica che progressivamente “verdizza” tutti i partiti, la lotta alla pretenziosità ideologica e all’astrattezza, la pioneristica consapevolezza della scissione tra i costi-benefici, «fittiziamente trasformando i costi in denaro, per cui il costo vero non risulta più da nessuna parte» p.196 nel «sistema fiscale e tariffario orientato in senso ambientale» p.212, nell’equilibrio ecologico da assumersi quale valore di fondo, la bio-crazia per cui occorre una «correzione di rotta, ma solo una decisa rifondazione culturale e sociale di ciò che una società o in una comunità si consideri desiderabile (..) e forse incentivi la volontà di cambiamento» p.210.

7 Non si è ben compreso che per realizzare e garantire servizi pubblici ottimali servono investimenti statali infrastrutturali che prima venivano realizzati ricorrendo al finanziamento con la fiscalità generale. Ora spostare nella tariffa del servizio pubblico locale (SPL) la c.d. finanziarizzazione degli investimenti porterà ad un drastico aumento (nonostante la politica degli ammortamenti ed altri espedienti) della tariffa rifiuti in capo ad una utenza già prostrata ed impoverita nel complesso. La politica lascia scorrere in mani altrui queste delicate scelte strategiche e di fiscalità.

 

8 Cfr. A. Pierobon, Il Programma Nazionale di gestione dei rifiuti: dall’albero altissimo quale frutto? ,in Azienditalia, 2022, 11; Id.,Rifiuti EER 191212: dall’origine ai destini: il caso delle spedizioni transfrontaliere, ivi, 2021, 5; Id., Approcci e soluzioni non tanto giuridiche e non solo tecniche: flussi di rifiuti con lo stesso codice, tra servizi pubblici locali e non , ivi, 2020, 5.

 

9 Ma non solo, si pensi anche alla qualificazione di imballaggi primari, secondari e terziari anche nel loro rapporto alla privativa del servizio pubblico e quindi dell’assoggettamento (o non) di essi alla TARI: ad es. da ultimo cfr. T.A.R. Emilia-Romagna - Bologna, Sez. II 22 gennaio 2024, n. 50, in https://www.giustizia-amministrativa.it/. Ancora, si veda la c.d. «scontistica» del conferimento da parte dell’UND dei propri rifiuti di imballaggi a soggetti terzi (non al gestore del servizio pubblico) per il loro recupero/riciclaggio con correlativa (sulle modalità e sul quantum ci sarebbe però da soffermarsi) diminuzione della quota variabile della tariffa.

 

10 Anche qui il tema è interessantissimo, sul quale la giurisprudenza tributaria si è molto «dedicata». Servono però ulteriori matrici teoriche.

 

11Ai volumi che ho pubblicato nel tempo, soprattutto quelli più recenti (dal 2017 in poi), ad es. citasi Governo e gestione dei rifiuti urbani: approcci, metodi, percorsi e soluzioni , Milano, 2022, nonché ai numerosi articoli apparsi nelle Riviste di settore. Recentemente, non esaustivamente: A. Pierobon, Il servizio pubblico e la tariffa della gestione dei rifiuti: fuori da una lettura descrittiva , in Azienditalia, 2023, 6 e quelli in pubblicazione.

12 Ente di governo dell’autorità di ambito.

13 Sul punto esiste letteratura sterminata.

14 Vedasi ad. es. l’art. 1, comma 527 della legge n. 205/2017 ove si attribuiscono alla ARERA le funzioni «anche di natura sanzionatoria» con i medesimi poteri e nel quadro dei princìpi, finalità e attribuzioni stabilite dall’art.1, comma 1 della legge n. 481/1995. Sulla tematica F. Merusi, Un’autorità di regolazione fra un “glorioso passato ed un incerto futuro” , in F. Merusi - S. Antoniazzi (a cura di), Vent’anni di regolazione accentrata di servizi pubblici locali , Torino, 2017, 293 e ss. ove segnala che «il principio di piena legalità (nel linguaggio della dottrina italiana, la riserva di legge) vale non solo per le sanzioni penali, bensì per le sanzioni di qualsiasi tipo, comprese le sanzioni amministrative come quelle irrogabili da una autorità amministrativa indipendente (...). Legalità che comprende la decisione, ma anche il procedimento con cui si arriva all’irrogazione della possibile sanzione». Osserva sempre F. Merusi, La legalità amministrativa. Altri sentieri interrotti , Bologna, 2012, 140-141 che «la riserva di legge non attiene alla problematica delle fonti del diritto, bensì a quella della tutela dei diritti fondamentali (...) cioè la vera riserva di legge può servire solo a tutelare diritti fondamentali». Sull’ARERA mi sono intrattenuto in più occasioni e sedi, anche recentemente commentando «a caldo» più sentenze che riguardavano il ruolo e le competenze regolatorie e tariffarie dell’Autorità.

15 Tanto che in taluni Comuni turistici si ricorre nei calcoli alla integrazione, al di là della popolazione anagrafata o censita, di «abitanti equivalenti».

16 In realtà gran parte derivano dalla disciplina ARERA per cui sono imposizioni con discrezionalità certamente ristrette e non ampie da parte dei Comuni o loro delegati.

17 Che può essere obbligatoria e/o facoltativa per più ipotesi che non si limitano solamente a quelle indicate nei vari commi dell’art. 1 della l. 27 dicembre 2014, n. 147, ma anche in norme speciali. Come sappiamo, il dinamismo tariffario può urtare con eventi imprevisti e/o con variabili esogene. Ad esempio, sintomatico è stato il periodo COVID-19 che ha sospeso molte attività svolte dalle UND (le quali richiedevano, giustamente, a fronte di un mancato utilizzo del SPL una congrua riduzione tariffaria) cambiando anche le abitudini degli utenti domestici, soprattutto per quelli che avevano contratto il COVID-19 nel periodo emergenziale, ove le ordinanze assieme alle decretazioni di urgenza imponevano certuni comportamenti prudenziali (ad es. nel conferimento distinto dei rifiuti e loro diversa gestione) ed extra servizi per fronteggiare, appunto, i rifiuti p.c.d. «infetti» o ritenuti tali. Questioni che, a mio modesto avviso, vanno affrontate e risolte non tanto contabilmente, bensì con chiare e responsabili scelte da parte degli «organi di governo» degli Enti territoriali competenti e/o EGATO, ossia in sede propriamente «politica», se del caso utilizzando risorse «extra-tariffa» in una logica che non è più di mera corrispettività del servizio (anzi!), il che pone in diversa luce il concetto di SPL e pure quello della tariffa. Ma, tra gli eventi che impongono di procedere alla revisione o al riequilibrio tariffario non sempre c’è un punto netto di cambiamento, come pure esattamente misurabile, se non, appunto, in modo convenzionale.

18 Sul quale vedasi, tra altro, il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) AS1012 datato 7 settembre 2023 (pubblicato nel Bollettino n. 36 del 25 settembre 2023) recante «Bacino Venezia Ambiente - Servizio di gestione dei rifiuti urbani per utenze non domestiche».

19 Nel periodo vincolante di due anni e non più di cinque come originariamente previsto dall’art. 3, comma 12 del d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116. Si attenziona sul fatto che la riduzione della parte variabile della tariffa riguarda il materiale avviato al riciclo (art. 1, comma 649, legge n.147/2013) che al recupero (art. 198, comma 2 bise art. 238, comma 10 del TUA): il recupero è genus del riciclo che è species: A. Pierobon, Perplessità nei chiarimenti Mite: rifiuto, servizio pubblico e tari , in Rifiuti-Bolletti, 2020, 6.

20 Chi pratica questo settore, fuori dalle carte, sa che i contenitori come dire… rivelano verità nascoste dai documenti e che negli «incroci» fattuali e documentali portano ad altro. Ad esempio, stringatamente: si veda il contenitore degli imballaggi misti di cui al EER codice 150106 (plastica-carta: ma è proprio così?), che giocano anche sul codice famiglia 15 o 20 (un’altra… way out ), nel rapporto con le complessive prestazioni/attività rese da un servizio, come contemplate (od omesse) nel CSA dell’appalto o della concessione che sia. Una documentazione che va relazionata con le risorse effettivamente utilizzate, loro logistica di cui al corrispettivo-tariffa come pattuita dal richiedente al gestore, sia esso riferito al SPL, oppure ad un servizio reso da un operatore privato ad un soggetto privato. Siamo in altre ontologie insomma!

21 Vedasi la discrasia (quasi… keynesiana!) del periodo della riduzione tariffaria in connessione con il MTR e il PEF, sulla quale mi sono doviziosamente soffermato in altra sede.

22 In www.osservatorioagromafie.it .

23 Cfr. in proposito la sentenza della Cass. Sez. Trib. 21 febbraio 2023, n. 5433, in Riv. giur. edil.,2023, 5, I, 1124.

24 Cfr. Cons. Stato, Sez. V 29 gennaio 2028, n. 585, in https://www.giustizia-amministrativa.it/.

25 «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il Comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione. Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il Comune o con l’ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 256, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

26 Mentre il comma 661 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 è stato abrogato sempre dall’art. 2 della legge n. 68/2014.

27 All’epoca della vicenda non esisteva il comma 2 bis dell’art. 198 del TUA.

28 In Giur. cost ., 2009, 4, 3479. È utile trascrivere il passo quivi riportato dalla sentenza citata: «spetta tuttavia al giudice a quo accertare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto sottopostigli, se la tassa sui rifiuti su cui verte la causa principale non comporti l’accollo a taluni detentori di costi manifestatamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili».

29 In proposito mi permetto rinviare alle casistiche, ancora attuali, del volume A. Pierobon, Ho visto cose. Tutti i trucchi per rubare… , Milano, 2017 oltre a quelle disseminate (rectius, esaminate) in altri scritti più recenti.

30 Che nella relazione con il provento riguardano i servizi e quindi l’utenza, prescindendo (salvo per contributi extra) da una capacità fiscale dell’utenza e dalla solidarietà di diversi territori per rendere economicamente sostenibile il servizio.

31 Altro errore o furbizia è quello di aver inserito il «contatore» (il kit delle attrezzature, con svuotamento minimo p.c.d. «incorporato» in esso, ossia imposto dal gestore con il servizio proposto-imposto alle utenze) tra la parte variabile della tariffa, di fatto diventando un costo fisso della stessa, vulnerando così la logica e natura della parte variabile. Ci si chiederà perché talune realtà (es. l’Alto Adige, il Trentino, altri Comuni o ATO... «copioni») abbiano inizialmente inserito tra la parte variabile della tariffa questi costi. Semplicemente perché si trattava di servizi pioneristici al tempo, avviati senza conoscere da subito (ex ante) come si sarebbe dovuto «calibrare» la quota variabile per le varie utenze interessate, per cui ci si sarebbe aspettati che questa componente del «contatore» (ossia il costo fisso del costo variabile, sic!) asintoticamente dovesse scomparire col tempo, nel corso del monitoraggio e dell’aggiustamento della gestione.

32 Nel «metodo normalizzato» tariffario di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 158 del 1999 si hanno: i costi fissi composti dai CC, CSL e CK ed i costi variabili composti dai CRD, CTS, CRT e CTR.

33 In proposito rinvio ai miei primi scritti (del 1999) sulla tariffa rifiuti e allo specifico capitolo contenuto nel (a cura di A. Pierobon) Nuovo manuale ambientale tecnico-giuridico-organizzativo , Santarcangelo di Romagna, 2012.

34 Ad es. i tributaristi opinano che l’art. 1 del d.p.r. n. 158/1999 ed il suo allegato, prevede che il finanziamento del SPL di gestione dei rifiuti derivi dai costi complessivi al netto dei ricavi (in disparte le «esternalità») e che non sarebbe abrogabile dalla disciplina ARERA che obbliga certamente a finanziare tutto il costo del SPL, utilizzando però solo una parte dei ricavi col meccanismo dello sharing. Su questo meccanismo ci sarebbe molto da dire, entrando nei contratti di servizio e nei rapporti tra enti titolari e loro gestori, ma non solo. Però ARERA riduce questi aspetti a pochi calcoli, una sorta di «contentino» non considerando tutte le potenzialità e le aperture dei diversi ricavi di un SPL che comunque rientrano nel sistema pubblico. Un esempio potrebbe essere di un termovalorizzatore che cede l’energia prodotta ad un’altra società sempre del «Gruppo» pubblico, nella regia del concedente-socio istituzionale che impone prezzi e canoni amministrati. Quindi quanto prevede lo sharingareriano scombussola questi equilibri e impedisce altri sviluppi di maggior interesse pubblico.

35 Ad esempio il «costo medio nazionale» espresso per tonnellata di rifiuti urbani che tiene conto, nel metodo sosiano (i.e.: della SOSE), delle variabili caratteristiche riferite per livelli di performance dei Comuni/gestioni, così volendo razionalizzare i FS.

36 Vedi la Banca dati nazionale dei contratti pubblici.

37 Da ultimo sia concesso rinviare al mio Le “Linee guida interpretative” sulle funzioni in materia di rifiuti urbani , in Azienditalia, 2024, 3.

38 Basti soffermarsi sulla proliferazione di relazioni e documentazione perlopiù di impronta ingegneristica condita con rudimenti contabili, che seguono una modellistica lineare e causale, che vengono portati all’approvazione di assemblee o di consigli comunali nei quali chi vota non riesce a comprendere formule, dettagli, calcoli, insomma cosa sta deliberando. Il tema, pur ghiotto, è troppo complesso per essere qui sviluppato.

39 A. Pierobon, Abdicazione di taluni comuni in materia di riprogettazione delle gare di appalto della raccolta e trasporto di rifiuti urbani , in Azienditalia, 2023, 5; Id., Intersezioni, coerenze, intrecci tra i diversi regolamenti comunali relativi ai rifiuti urbani , in www.osservatorioagromafie.it.

40 Cfr. M. Turchetto, Fordismo e postfordismo qualche dubbio su un’analisi (troppo) consolidata , in E. De Marchi - G. La Grassa - M. Turchetto, Oltre il fordismo. Continuità e trasformazioni del capitalismo contemporaneo , Milano, 1999, 15-38.

41 Ora si ha una assimilazione ope legis, con l’art. 183, comma 1, lett. b ter) del TUA e allegati L quater e L quinquies della Parte IV del medesimo TUA.

42 Di cui al principio di prossimità che non può essere solo misurato chilometricamente... anzi. E neppure ridursi alla mera e letterale interpretazione giuridica.

43 Di cui al principio di autosufficienza anche per gli impianti di recupero energetico (operazione «R1»). E per gli affidamenti in house ad un unico gestore non si dovrebbe forse svolgere un ragionamento che tenga conto dell’autosufficienza impiantistica?

44 Ovvero dell’Ambito territoriale ottimale con riferimento alla frazione umida dei rifiuti urbani di cui allo EER CER 20.01.08, ma il ragionamento può valere anche per i CER 15.01.06 e 19.12.12 con riferimento quindi anche agli impianti intermedi piuttosto che ai soli finali.

45 A. Pierobon, Abdicazione di taluni Comuni in materia di riprogettazione delle gare di appalto della raccolta e trasporto di rifiuti urbani , cit.

46 La sentenza del Cons. Stato, Sez. II 6 dicembre 2023, n. 10550, in https://www.giustizia-amministrativa.it/ , è una sentenza scritta molto bene, limpida e articolata, financo piacevole, addirittura è, come ho avuto modo di dire, per... palati euforici!

47 Tutte le sentenze sono pubblicate in https://www.giustizia-amministrativa.it/.

48 Competenze regionali, anche in parte qua.

49 Il Programma nazionale di gestione dei rifiuti approvato con decreto MASE 24 giugno 2022, n. 257.

50 Il Piano regionale di gestione dei rifiuti.

51 Ove si interviene sui costi ammessi al riconoscimento, cioè sui costi operativi di gestione CTR e CTS, sui conguagli dei costi variabili, sulle matrici delle operazioni regolatorie, sulle tariffe di accesso per gli impianti minimi, aggiuntivi (di chiusura) e intermedi.

52 Per cui le comparazioni diacroniche devono quantomeno tenere conto di questo aspetto.

53 Addirittura, per dirla spudoratamente, che i funzionari degli enti locali nemmeno sarebbero in grado di capire, confinandoli in una «riserva indiana» anche culturale, nonostante si pretenda da essi di monitorare i SPL e i rapporti instaurati col gestore con la metodica privatistica (contabilità, comprensione manageriale dei dati e clausole, ecc.). E che dire degli amministratori pubblici (i cc.dd. politici) che dovrebbero comprendere, prima di approvare, la documentazione tecnica predisposta per la determinazione tariffaria? Servono mediatori culturali? O un altro rapporto tra i tecnici e i politici?

54 Anche la tariffa puntuale e/o corrispettiva è una favola: cfr. A. Pierobon, Natura privatistica della tariffa rifiuti? Accendere i ceri non è come celebrare la messa , in Azienditalia, 2020, 8-9, Id. , La natura privatistica della tariffa rifiuti... Suvvia!, in www.osservatorioagromafie.it e loro rimandi. Per una esplicativa casistica concreta sia concesso rinviare A. Pierobon, Ho visto cose, cit. oltre ai miei più recenti volumi (ebook) sulla tariffa e sui SPL.