Consiglio di Stato e megatermovalorizzatore di Roma

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su questionegiustizia.it. Si ringraziano Autore ed Editore

1. La sentenza del CDS

Summum ius summa iniuria. Solo così si può commentare, a nostro sommesso avviso, la sentenza Consiglio di Stato Sez. IV n. 1349 del 9 febbraio 2024 [1] sul termovalorizzatore da 600.000 tonnellate che il sindaco Gualtieri esalta come la soluzione finale ai problemi dei rifiuti di Roma.

La sentenza, infatti, è (quasi) ineccepibile dal punto di vista formale: cita con precisione la normativa e la giurisprudenza della UE e nazionale, ricordando, in particolare, giustamente che la costruzione di termovalorizzatori è pienamente legittima in quanto evita lo smaltimento dei rifiuti in discarica, concorrendo, nel contempo, anche alla realizzazione del principio comunitario dell’autosufficienza e della prossimità territoriale nello smaltimento dei rifiuti[2].

Quanto alla contestazione principale del ricorso sottoposto al CDS, e cioè la presunta violazione della gerarchia comunitaria dei rifiuti, - la quale pone al primo posto la prevenzione (“il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”), al secondo il riutilizzo e il riciclaggio e al terzo, prima solo dello smaltimento in discarica o tramite incenerimento bruto, il ricorso al recupero tramite termovalorizzatori-, la sentenza ribatte che tale gerarchia è pienamente rispettata in quanto il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, approvato dal Commissario straordinario «prevede anche, tra le altre, misure per incrementare le percentuali di raccolta differenziata, nel quadro pertanto di un intervento organico finalizzato ad una ottimizzazione complessiva del ciclo di gestione dei rifiuti nell’area metropolitana della Capitale». Anzi, -si aggiunge-, il suddetto piano «si fa carico della necessità di garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti».

Tanto più che -aggiunge il CDS[3]- secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia UE con sentenza 8 maggio 2019 in causa C – 305/18 «…la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione (punto 29). Ciò anche in ragione del fatto che l’art. 4, comma 1, della direttiva rifiuti, come correttamente rilevato dal T.a.r. (cfr. 2.1), non introduce una disposizione immediatamente precettiva bensì “stabilisce la gerarchia dei rifiuti quale dev’essere attuata nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione di rifiuti” (punto 28). Ciò che rileva, in definitiva, è che ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva “rifiuti”, nell’attuare il principio della “gerarchia dei rifiuti”, gli Stati membri adottino “misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo” come accade, nel caso di specie, attraverso la predisposizione di misure atte a dotare Roma Capitale anche di un sistema impiantistico adeguato ed autosufficiente». E quindi, secondo il CDS, la normativa comunitaria, così come interpretata dalla giurisprudenza, «non condiziona affatto le operazioni di recupero di rifiuti per la produzione di energia alla contestuale adozione di misure finalizzate al miglioramento delle percentuali di raccolta differenziata, lasciando, al contrario, ampia discrezionalità agli Stati membri».

2. La gerarchia comunitaria dei rifiuti e la sua cogenza

In realtà, la seconda osservazione del CDS appare primaria ed assorbente e merita, quindi, di essere esaminata per prima. Se, infatti, la gerarchia comunitaria dei rifiuti non ha alcuna cogenza, lasciando agli Stati ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi più idonei per risolvere il problema dei rifiuti, appare evidente che, come si legge in sentenza, scegliere la termovalorizzazione a prescindere da un potenziamento del riciclo tramite raccolta differenziata è del tutto legittimo perché rientra, appunto, nella ampia discrezionalità concessa agli Stati membri e si limita, comunque, la quantità di rifiuti che altrimenti finirebbero in discarica. Ma, a questo punto, appare altrettanto evidente che in tal modo si mettono sostanzialmente nel nulla tutti i “criteri di priorità” della gerarchia comunitaria per i rifiuti, riducendola, al massimo, ad una scelta tra termovalorizzazione o discarica.

Per fortuna, non è così. Sia la normativa sia la giurisprudenza comunitaria dicono invece esattamente il contrario. Come abbiamo visto, infatti, di discrezionalità vi è cenno solo nella sentenza CGCE del 2019 che, in primo luogo, non parla mai di “ampia” discrezionalità ma solo di un “margine di discrezionalità”[4], aggiungendo che «ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva “rifiuti”, nell’attuare il principio della “gerarchia dei rifiuti”, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo»; precisando subito dopo -ma di questo (punto 30 CGCE) non v’è traccia nella sentenza del CDS - che «a tal fine può essere necessario che flussi di rifiuti specifici si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti»; dove appare, nel complesso, di tutta evidenza che il principio base è l’attuazione della gerarchia comunitaria, rispetto al quale gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità molto limitato che può, al massimo prevedere eccezioni (motivate) per determinati flussi di rifiuti specifici là dove necessario per conseguire il miglior risultato ambientale complessivo.

Conclusione tanto più evidente se si legge l’art. 179, comma 3 del TUA (D. Lgs. 152/06) il quale consente di discostarsi dall’«ordine di priorità» della gerarchia «in via eccezionale» e solo «con riferimento a flussi di rifiuti specifici» … nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse».

Del resto, la importanza di rispettare la gerarchia dei rifiuti risulta da tutti i documenti comunitari che si sono occupati della termovalorizzazione.

In proposito, rinviando ad altri lavori per approfondimenti e richiami, appare sufficiente, in questa sede, ricordare le conclusioni cui la Commissione UE perveniva sin dal 2017 nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni (COM2017 34 final) intitolata specificamente al «ruolo della termovalorizzazione nell'economia circolare», la quale si propone lo scopo principale di «garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE»:

«I processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio. Ciò è essenziale al fine di salvaguardare appieno il potenziale di un’economia circolare, in termini sia ambientali sia economici, e per rafforzare la leadership europea nel settore delle tecnologie verdi. Inoltre, la termovalorizzazione può massimizzare il contributo dell’economia circolare alla decarbonizzazione solo se rispetta la gerarchia dei rifiuti, conformemente alla strategia dell’Unione dell’energia e all’accordo di Parigi. Come già osservato, il contributo maggiore al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni di gas serra proviene dalla prevenzione e dal riciclaggio dei rifiuti. In futuro si dovranno prendere maggiormente in considerazione processi quali la digestione anaerobica dei rifiuti biodegradabili, in cui il riciclaggio dei materiali è associato al recupero di energia. Per contro, va ridefinito il ruolo dell’incenerimento dei rifiuti – attualmente l’opzione prevalente della termovalorizzazione – per evitare che si creino sia ostacoli alla crescita del riciclaggio e del riutilizzo sia sovraccapacità per il trattamento dei rifiuti residui. La Commissione invita gli Stati membri a tenere conto degli orientamenti forniti nella presente comunicazione ai fini della valutazione e del riesame dei rispettivi piani di gestione dei rifiuti ai sensi della normativa dell’UE. Nel pianificare gli investimenti futuri in capacità di termovalorizzazione è essenziale che gli Stati membri tengano conto del rischio di attivi non recuperabili. In sede di valutazione dei piani nazionali di gestione dei rifiuti e di monitoraggio dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi di riciclaggio dell’UE, la Commissione continuerà a fornire orientamenti volti a garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti. La Commissione ribadisce il proprio impegno per garantire che i finanziamenti dell’UE e altri aiuti finanziari pubblici siano destinati alle opzioni per il trattamento dei rifiuti che sono conformi alla gerarchia dei rifiuti, e che sia data la priorità alla prevenzione, al riutilizzo, alla raccolta differenziata e al riciclaggio dei rifiuti».

Risulta, quindi, evidente da queste conclusioni che per la UE la stella polare in tema di termovalorizzatori è costituita dalla gerarchia dei rifiuti con le sue scelte prioritarie e la sua scala di valori, tanto da condizionare al suo rispetto i finanziamenti comunitari nel settore.

Ma altrettanto importante appare l’affermazione secondo cui «alcuni singoli Stati membri dipendono in misura eccessiva dall’incenerimento dei rifiuti urbani…. Tassi così elevati di incenerimento non sono coerenti con obiettivi di riciclaggio più ambiziosi»; e pertanto «va ridefinito il ruolo dell’incenerimento dei rifiuti – attualmente l’opzione prevalente della termovalorizzazione – per evitare che si creino sia ostacoli alla crescita del riciclaggio e del riutilizzo sia sovraccapacità per il trattamento dei rifiuti residui»; dove appare di tutta evidenza il rapporto tra riciclaggio (la cui base è costituita dalla raccolta differenziata) e termovalorizzazione, nel senso che la scelta del riciclaggio (opzione n. 2) è ovviamente prioritaria rispetto alla termovalorizzazione (opzione n. 3) la quale potrebbe addirittura costituire un ostacolo alla sua crescita. E proprio per questo si può decidere, a livello nazionale «una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti». Non a caso, del resto, ai fini della transizione ecologica, la tassonomia Ue non include la termovalorizzazione tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici, ed anzi, secondo le linee guida della Commissione, l'incenerimento dei rifiuti è, comunque, considerato «un'attività che arreca un danno significativo all'ambiente» anche se, certamente, è un male minore rispetto alla discarica o all’incenerimento bruto. Con la ovvia conseguenza che gli Stati membri devono adoperarsi per ridurre al minimo questo male minore, incentivando al massimo le prime due opzioni della prevenzione e del riciclaggio[5].

Esattamente il contrario, quindi, di quanto sostiene il CDS quando sminuisce l’importanza e la cogenza della gerarchia comunitaria, esaltando il ruolo del termovalorizzatore di Roma senza rapportarlo alle priorità che lo precedono, e, in particolare, ad un potenziamento del riciclo tramite raccolta differenziata; con il rischio, paventato espressamente dalla Commissione UE, di destinare, in evidente violazione della gerarchia comunitaria, a termovalorizzazione anche rifiuti che potrebbero essere riciclati.

Ed è appena il caso di notare, a questo punto, che il rispetto della gerarchia dei rifiuti consiste nel rispetto delle «priorità» in esso previste. Non si tratta, cioè, di scelte equivalenti lasciate alla discrezionalità degli Stati membri, ma di una precisa scala dove la termovalorizzazione precede la discarica e viene dopo le priorità della prevenzione e del riciclo. E pertanto è vero che -come scrive il CDS- la normativa comunitaria non richiede la «contestuale adozione di misure finalizzate al miglioramento delle percentuali di raccolta differenziata»; richiede, infatti, che queste misure vengano adottate con priorità rispetto alla termovalorizzazione.

3. La scomparsa della prevenzione dalla gerarchia comunitaria

Nello stesso quadro, non si può non notare che stranamente, quando si occupa della gerarchia comunitaria, il CDS dimentica la prima opzione prevista, e cioè quella della prevenzione secondo cui la prima cosa da fare è ridurre la quantità di rifiuti: nelle corposa sentenza si discetta sempre, cioè, di riciclo riutilizzo, recupero energetico e discarica, mentre la riduzione di rifiuti alla fonte viene, al massimo, solo citata.

Basta leggere, in proposito, il brano che segue:

«Da quanto precede emerge che la scelta operata dal Commissario è, al contempo:
a) rispettosa della gerarchia dei rifiuti perché riduce in modo significativo il conferimento in discarica, ottimizzando il ciclo nel suo complesso (cfr. art. 4 direttiva 2008/98 CE e artt. 179 e 182 del T.U.A.);
b) incrementa l’attività di recupero (energetico) che è attività sovraordinata nella gerarchia dei rifiuti rispetto al conferimento in discarica (artt. 179, comma 1, lett. d) e 181 del T.U.A.);
c) attua l’autosufficienza e la prossimità territoriale nello smaltimento e nel recupero dei rifiuti (art. 182-bis del T.U.A.);
d) attua il principio della gestione dei rifiuti “senza pregiudizio per l’ambiente” in relazione al minor impatto ambientale connesso alle attività di trasporto dei rifiuti e a quello collegato di precauzione (artt. 177 e 178 del T.U.A.).
Ciò in conformità non solo alle previsioni del piano regionale e di quello nazionale ma degli stessi principi indicati dalla direttiva 2008/98 CE»[6].

Eppure si tratta della scelta più importante che, secondo il “considerando 29” della direttiva rifiuti, «è il modo più efficace per incrementare l’efficienza delle risorse e ridurre l’impatto dei rifiuti sull’ambiente. È importante pertanto che gli Stati membri adottino misure adeguate per prevenire la produzione di rifiuti, controllino i progressi compiuti nell’attuazione di tali misure e li valutino».

Del resto, lo stesso piano rifiuti varato dal Comune di Roma, tanto esaltato dal CDS, premette che «la prevenzione, introdotta in modo strutturale dalla Direttiva 2008/98/CE, costituisce la migliore opzione percorribile secondo la gerarchia dei rifiuti e persegue la finalità di dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali a essa connessi ed è parte sostanziale della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare».

E’ possibile che tale omissione sia dovuta ad un problema di competenze visto che la prevenzione deve essere anzitutto attuata con provvedimenti nazionali. Ma, in realtà, come vedremo, nel piano rifiuti del Comune vengono previste anche misure per la prevenzione; e, del resto, gli ampi poteri emergenziali concessi al sindaco di Roma sembrano ricomprendere, comunque, oltre alla costruzione del termovalorizzatore, interventi che vanno ben oltre la sua normale competenza istituzionale (ad esempio, per limitare i vuoti a perdere).

4. Il piano rifiuti di Roma Capitale e la gerarchia comunitaria dei rifiuti

Come abbiamo anticipato, l’argomentazione principale in base alla quale il CDS respinge i ricorsi contro il termovalorizzatore consiste nell’affermazione che il piano rifiuti varato da Roma Capitale nell’agosto 2022 «si fa carico della necessità di garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti». Ed aggiunge che, a tal fine, il predetto piano procede «alla stima della quantità di rifiuti da destinare a recupero energetico mediante l’incenerimento solo dopo aver quantificato in modo realistico l’impatto delle misure di riduzione della produzione di rifiuti (da 1.690.000 tonnellate/anno a 1.520.000 tonnellate a partire dal 2030), quelle di potenziamento della raccolta differenziata (sino al 70% a partire dal 2035) e quelle di recupero dei materiali (sino al 54,9% a partire dal 2035)».

Se, a questo punto, diamo una rapida scorsa alle misure previste dal piano per raggiungere questi obiettivi, apprendiamo che la riduzione dei rifiuti (opzione n. 1 della gerarchia) verrà raggiunta attraverso «l’informazione ai cittadini per promuovere la cultura ambientale, l’attivazione di sistemi premianti per chi riduce la produzione rifiuti, l'attivazione di metodi per la quantificazione accurata della produzione dei rifiuti e la stima degli effetti delle azioni di prevenzione, la riduzione degli imballaggi e della plastica monouso, la corretta gestione dei rifiuti derivanti da eventi pubblici e dai servizi di ristorazione scolastica, il contrasto allo spreco alimentare e la promozione dei Centri del Riuso e l'EcoRubrica».

Passando alle opzioni successive, il piano stesso le riassume come segue:

«- Ottimizzazione della Logistica e Razionalizzazione del Servizio di Raccolta a scala di Municipio per eliminare i fenomeni di abbandono ed elevare la raccolta differenziata di tutte le frazioni: obiettivo di Piano Rd al 65% al 2030;
- Raccolta differenziata al 65% al 2030;
- Minimizzazione dello smaltimento a discarica degli scarti da Rd;
- Completamento della realizzazione dei Centri di raccolta;
- Realizzazione in Comune di Roma di due Impianti di selezione delle frazioni secche da Rd: carta, plastica, lattine, da 100.000 t/a ciascuno. Questi impianti sono realizzati adottando le Bat. Integrazione con il mercato e gestori terzi per le frazioni da Rd che richiedono un bacino più ampio di gestione, quali vetro, tessili e Raee;
- Realizzazione di due Impianti di gestione anaerobica per il recupero di energia e materia dalle frazioni organiche da Rr, della capacità di 100.000 t/a ciascuno. Questi impianti sono realizzati adottando le Bat;
-Realizzazione di un Impianto di Trattamento termico per il recupero diretto di energia dai rifiuti residui indifferenziati che adotta tecnologia di combustione consolidata, utilizza le BAT per il recupero energetico, per la riduzione e per il controllo delle emissioni in atmosfera e, in questa fase, prevede la progettazione di una tecnologia per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica ('carbon capture and storage');
- Recupero dei rifiuti ferrosi e delle scorie pesanti in uscita dal trattamento termico, queste ultime per la produzione di aggregati stradali o la vetrificazione di prodotti per l'edilizia»; dove, con ogni evidenza, la opzione più immediatamente rilevante riguarda il potenziamento della raccolta differenziata onde aumentare il riciclo (opzione n. 2) che, secondo il “considerando 42” della direttiva rifiuti dovrebbe essere ottenuto, in primo luogo, tramite la raccolta porta a porta mentre, nel piano rifiuti romano viene allocata in una generica «riorganizzazione del modello di raccolta in accordo con le peculiarità territoriali», affogata in altre numerose enunciazioni altrettanto generiche, quali «maggiore frequenza di svuotamento dei cassonetti con particolare riferimento alle frazioni da RD, monitoraggio e controllo dei conferimenti dell’utenza attraverso nuove tecnologie, miglioramento del servizio alle utenze non domestiche e controllo del corretto conferimento, campagne di sensibilizzazione.., implementazione di nuove modalità di raccolta sostitutive e/o integrabili con le esistenti..».

Così come, per la prevenzione, si enuncia giustamente l’obiettivo della riduzione degli imballaggi e della plastica monouso ma nessun provvedimento risulta adottato a favore, ad esempio, dei vuoti a rendere, nonostante ciò sia possibile in tempi brevi.

Potremmo continuare ma, a nostro sommesso avviso, a questo punto tutto si può dire salvo che, come invece sembra dare per certo il CDS, il piano rifiuti di Roma, così come strutturato, sia lo strumento ideale per conseguire gli obiettivi che, nel rispetto della gerarchia comunitaria, la Ue ci impone con scadenze temporali ben precisate che si stanno rapidamente avvicinando.

Appare, invece, evidente che si tratta di una elencazione di (più o meno) buoni propositi, del tutto generici, senza alcuna precisazione delle azioni concrete e delle tappe temporali [7] necessarie per conseguirli. Così come altrettanto generica appare la previsione di nuovi impianti e tecnologie. In questo quadro di totale incertezza, come può il CDS affermare che questo Piano ha «quantificato in modo realistico l’impatto delle misure di riduzione della produzione di rifiuti (da 1.690.000 tonnellate/anno a 1.520.000 tonnellate a partire dal 2030), quelle di potenziamento della raccolta differenziata (sino al 70% a partire dal 2035) e quelle di recupero dei materiali (sino al 54,9% a partire dal 2035)»?

5. Il piano rifiuti di Roma e la realtà romana

A questo proposito, si deve, peraltro, considerare che, se pure le scadenze del piano sono a medio e lungo termine, è tuttavia ovvio che occorrerà raggiungerne gli ambiziosi obiettivi in modo graduale, indirizzando da subito [8] l’azione del Comune; e pertanto, dopo 18 mesi almeno qualche piccolo risultato positivo si dovrebbe vedere (possibilmente rispettando le priorità della gerarchia comunitaria). Ma chiunque vive a Roma (compresi i magistrati del CDS) sa bene che, in via generale, la situazione rifiuti negli ultimi anni -e soprattutto negli ultimi mesi- è solo peggiorata raggiungendo in alcune zone livelli da terzo mondo. E, a parte i comunicati stampa del Campidoglio, non si vede alcun segno per una inversione di tendenza.

Secondo i dati disponibili, infatti, ad oggi la produzione di rifiuti, invece di diminuire è aumentata; la raccolta differenziata, invece di balzare in avanti, è rimasta agli stessi livelli; e i tempi per la costruzione del famoso termovalorizzatore sono slittati dal 2025 al 2028.

Come se non bastasse, con l’incendio del dicembre 2023 che ha messo fuori uso l’impianto TMB della soc. Giovi, è drasticamente diminuita l’impiantistica, già del tutto insufficiente, di supporto alla gestione dei rifiuti urbani[9]. E - dulcis in fundo- è ulteriormente peggiorata la efficienza dell’AMA (l’azienda comunale per la gestione dei rifiuti)[10]:

Peraltro, basta dare un’occhiata ai dati relativi alla opzione della raccolta differenziata e del riciclo, per capire che la situazione romana è di una tale gravità (il Lazio si colloca al terz’ultimo posto nella classifica nazionale) che appare veramente difficile garantire il rispetto degli obiettivi e tempi comunitari. Secondo i dati ISPRA del 2020, infatti, a Roma il totale per tutte le frazioni incluse nelle diverse forme di raccolta differenziata è 45,2%, che compara con un valore per il Centro Italia del 59,2 e una media nazionale del 63,0% mentre i rifiuti residui indifferenziati sono ancora 905.627 tonnellate, e cioè il 54,8% del totale. C’è di più: perché, in realtà, ai fini della gerarchia comunitaria e dell’opzione del riciclo, quello che conta non è la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato ma quella realmente destinata al riciclo in quanto, specie a Roma, buona parte di questi rifiuti, per inadeguatezza della raccolta, non possono essere riciclati ma vanno smaltiti come rifiuto indifferenziato (discarica o termovalorizzatore). In tal modo, i dati ufficiali che normalmente unificano raccolta differenziata e riciclo, vengono drasticamente ridimensionati: secondo la Corte dei Conti della UE[11], si potrebbe arrivare, per i rifiuti di plastica, ad una riduzione fino a 10 punti percentuali) dei dati di riciclaggio comunicati attualmente[12].

Lo stesso piano rifiuti romano, in proposito, richiamando i dettami comunitari, riconosce che, mentre la raccolta differenziata, a fronte di una media nazionale del 61,3% e di un obiettivo del 65% al 2035, a Roma figura al 45%, l’effettivo avvio a recupero dei rifiuti romani, a fronte di una media nazionale del 46,9% e di un obiettivo del 70% nel 2035, arriva a malapena al 39%; evidenziando, nel contempo, che «in considerazione degli scarti generati nei processi di preparazione al riutilizzo e al riciclaggio, soddisfare questo valore richiede di raggiungere circa l'80% di raccolta differenziata». Con questa situazione, come si può pretendere di portare a Roma la raccolta differenziata al 65% con un riciclo del 51,4%, nel 2030, per poi salire rispettivamente al 70% e al 54,9% nel 2035, senza drastiche ed immediate misure, ad iniziare dal porta a porta? E come si pensa di ridurre, nella realtà e non sulla carta, la quantità di rifiuti in discarica dall’attuale 30% al 10% del 2035?

6. Conclusioni

In conclusione, la sentenza in esame del Consiglio di Stato appare quasi del tutto condivisibile per la parte “in diritto” su normativa e giurisprudenza relative ai rifiuti ed alla gerarchia comunitaria mentre appare del tutto carente quando cala sulla realtà romana e vuole giustificare la scelta del termovalorizzatore da 600.000 tonnellate alla luce del piano rifiuti elaborato per Roma Capitale che, in realtà, è un piano astratto e generico senza la concretezza necessaria per una sua corretta valutazione anche ai fini del rispetto delle priorità comunitarie.

Con il rischio, che era proprio quello alla base dei ricorsi, che il famoso termovalorizzatore si farà, anzi probabilmente verrà potenziato; e che la sua funzione sarà quella di sostituire la “buca” di Malagrotta che, per anni, ha “ingoiato” e fatto scomparire tutti i rifiuti romani provocando danni all’ambiente tuttora non quantificabili. Ma all’epoca le leggi erano carenti e pochi si preoccupavano del valore ambiente. Quello stesso valore che oggi, invece, viene tutelato direttamente dalla Costituzione anche nell’interesse delle future generazioni.



[1] in www.lexambiente.it , 19 Febbraio 2024.

[2] Per approfondimenti e richiami di normativa e giurisprudenza, anche con riferimento alla problematica della gerarchia comunitaria, si rinvia, da ultimo, al nostro Inceneritori e termovalorizzatori. Ue ed Italia: bugie e verità , in Questione Giustizia, 25 maggio 2022.

[3] Ricalcando TAR Lazio n. 12165/23. Cfr., per approfondimenti e richiami, il nostro Una sentenza discutibile e lacunosa: il Tar del Lazio respinge i ricorsi contro il megatermovalorizzatore di Roma, in Rivista DGA, n. 4, luglio-agosto 2023.

[4] «La gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione».

[5] Per approfondimenti e richiami si rinvia al nostro La problematica dei termovalorizzatori tra normativa comunitaria, decreto “sblocca Italia”, Corte europea di giustizia e Corte costituzionale , in www.unaltroambiente.it e su www.lexambiente.it, 29 settembre 2022.

[6] Cfr. altresì: «Nel caso di specie la decisione di realizzare l’inceneritore è, infatti, coerente con altri e più specifici obblighi imposti dalla direttiva, sopra richiamati, che non mettono in discussione in alcun modo il principio di gerarchia e, in particolare, la priorità delle misure sovraordinate rispetto al recupero, quali la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo ed il riciclaggio, tant’è che il piano impugnato si fa espressamente carico di prevedere apposite misure per potenziare in primis proprio la raccolta differenziata che, secondo l’obiettivo di piano, viene portata al 65% con un tasso di riciclaggio al 51,4%...», dove la prevenzione viene citata ma poi si parla solo del riciclo “in primis”.

[7] Ad esempio, restando alla opzione della raccolta differenziata, come e con quali tappe intermedie si intende concretamente raggiungere l’obiettivo di «maggiore frequenza di svuotamento dei cassonetti con particolare riferimento alle frazioni da RD, monitoraggio e controllo dei conferimenti dell’utenza attraverso nuove tecnologie, miglioramento del servizio alle utenze non domestiche e controllo del corretto conferimento, campagne di sensibilizzazione.., implementazione di nuove modalità di raccolta sostitutive e/o integrabili con le esistenti»?

[8] Ovviamente non ci riferiamo ai nuovi impianti previsti, per i quali ci vorrà il tempo necessario.

[9] In realtà, gli impianti romani TMB (trattamento meccanico biologico) sono oggi utilizzati soprattutto per eludere il principio di prossimità previsto per rifiuti urbani non differenziati ed avere così un codice di speciale (191212) che ne consente la libera circolazione in Italia e all’estero: espediente recentemente stigmatizzato duramente da CGCE (sez. 8, 11 novembre 2021). Cfr in proposito le relazioni di ARPA Lazio, il cui direttore, Marco Lupo, sentito dalla Commissione parlamentare Ecomafia, ha concluso che «spesso il rifiuto viene mandato negli impianti di trattamento per cambiare codice e per poter «perdere» la natura urbana, poter diventare speciale e quindi girare liberamente per il nostro Paese». Cfr. anche il Parere del ministero della Transizione ecologica 15 marzo 2022, n. 32592 secondo cui «trova piena applicazione la sentenza della Corte di Giustizia UE, dell’11 novembre 2021 relativa alla causa C-315/20, che conferma il regime giuridico di "rifiuti urbani" per i rifiuti provenienti da TMB e conseguentemente, l’applicazione del principio di prossimità anche nell’eventualità di trattamento meccanico con cambio di codice EER». In dottrina, si rinvia, anche per citazioni, al nostro Rifiuti urbani, Corte europea e Cer 19.12.12: una sentenza “esplosiva”? in DGA, 2021, n. 6, nonché, per i profili tecnici, a SANNA, La Corte di giustizia europea ed i TMB italiani,in www.unaltroambiente.it , aprile 2022.

[10] Nel 2023 sono stati aperti a carico dei suoi dipendenti, ben 886 procedimenti disciplinari con 628 sanzioni (50 licenziamenti, 133 sospensioni, 219 multe, 223 rimproveri scritti e 3 rimproveri verbali); e, non a caso, le fattispecie più frequenti sono rappresentate dai ritardi (298), dalle assenze ingiustificate (175) e dalle assenze registrate nel momento della visita fiscale (147) effettuata dopo che il lavoratore si è messo in malattia per verificare che sia realmente allettato.

[11] CORTE DEI CONTI EUROPEA: L’azione della UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica , analisi n. 04 del 2020.

[12] Secondo le previsioni di Plastics Europe, con l’attuazione dei nuovi criteri, il tasso di riciclaggio degli imballaggi di plastica dell’UE potrebbe diminuire, passando dal 42 % (tasso comunicato attualmente) al 29 % circa.