Consiglio di Stato Sez. VI n. 9487 del 2 novembre 2022
Elettrosmog.Condizioni per attivazione impianto

L’accertamento da parte dell’ARPA della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione alle emissioni elettromagnetiche, nonché con i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità ‒ stabiliti uniformemente a livello nazionale a tutela della salute della popolazione ‒ deve seguire, e non già precedere, la presentazione dell’istanza di autorizzazione. L’autorizzazione viene infatti rilasciata sulla base di dati prognostici sui futuri valori di campo elettromagnetico, i quali potranno essere realmente riscontrati nella loro effettiva portata solo a seguito dell’attivazione dell’impianto. L’autorizzazione unica è dunque una condizione necessaria ma non sufficiente per l’attivazione dell’impianto, richiedendosi anche il positivo parere dell’ARPA.

Pubblicato il 02/11/2022

N. 09487/2022REG.PROV.COLL.

N. 01053/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1053 del 2017, proposto da
ELEMEDIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e Giovanni Mangialardi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE UMBRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Tarantini, con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Umberto Segarelli in Roma, via G.B. Morgagni, n. 2/A;
COMUNE DI TERNI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Gennari, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
REGIONE UMBRIA, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 764 del 2016;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Umbria e del Comune di Terni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 10 ottobre 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Mangialardi e Paolo Sportoletti, in sostituzione dell’avvocato Giovanni Tarantini, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così sintetizzati:

- la Elemedia s.p.a. (di seguito: ‘Elemedia’), titolare di concessione per il servizio di radiodiffusione sonora a carattere commerciale in ambito nazionale, in data 5 settembre 2012, presentava al Comune di Terni e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Umbria (di seguito: ‘ARPA’), ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 257 del 2003 e del modello A dell’allegato 13 al medesimo decreto, una domanda di autorizzazione allo spostamento dei diffusori delle emittenti Radio Capital (frequenza 90.400 MHz), Radio DeeJay (95.300 MHz) e M2O (107.600 MHz), dall’attuale ubicazione, in località Miranda, al traliccio in vetta, sito nella medesima località;

- con parere prot. 4520 del 25 febbraio 2013, l’ARPA dichiarava di non ravvedere elementi ostativi allo spostamento, ma subordinava il parere positivo ad una serie di elementi, tra cui in particolare l’invio al Comune e all’ARPA stessa di informative scritte, contenente la scheda tecnica degli impianti realizzati unitamente alla comunicazione, secondo quanto stabilito dalla d.G.R. n. 588 del 7 giugno 2000 del giorno e dell’ora in cui effettuare le misure di collaudo;

- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (n. 165 del 2013), Elemedia impugnava il parere dell’ARPA, prot. n. 4520 del 25 febbraio 2013, e la delibera della Giunta regionale umbra del 7 giugno 2000, n. 588 lamentando che:

i) i provvedimenti impugnati, nella parte in cui hanno imposto di eseguire collaudi, di comunicarli con precise modalità e di redigere relazioni tecniche, avrebbero violato l’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, il modello A dell’allegato 13 del d.lgs. n. 259 del 2003 e l’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che, ai fini dell’attivazione e della conduzione dell’impianto da parte di un operatore non prevedrebbero siffatte attività;

ii) sia la delibera impugnata, sia il modello A dell’allegato 13 del d.lgs. n. 259 del 2003 avrebbero previsto un medesimo adempimento tecnico, consistente nella rilevazione del campo generato dalla attivazione del segnale radioelettrico: tuttavia, mentre la fonte statale offrirebbe un riferimento sicuro e preciso, indicando la normativa tecnica di riferimento, quella regolamentare introdurrebbe ulteriori adempimenti;

- con successivi motivi aggiunti, Elemedia estendeva l’impugnativa al provvedimento di autorizzazione n. 4047 del 21 ottobre 2013 del Comune di Terni, nella parte in cui veniva richiamato il rispetto delle condizioni contenute nel parere dell’ARPA impugnato con il ricorso introduttivo, nonché il parere rilasciato il 17 settembre 2013 dalla Direzione Ambiente del Comune, deducendo doglianze in via derivata rispetto al ricorso introduttivo e l’incompetenza del Comune in favore del Ministero delle Telecomunicazioni;

- nel frattempo, in data 1 febbraio 2013, Elemedia aveva presentato al Comune di Perugia e all’ARPA un’ulteriore domanda di autorizzazione «alla installazione di impianto radio c/o impianto situato all’interno della pertinenza dell’abitazione del Sig. Innamorati con operatività sulla frequenza 107.900 MHz, in loc. Monte Lacugnano nel Comune di Perugia»;

- anche in questo caso, Elemedia impugnava (con l’autonomo ricorso n. 207 del 2013) il parere dell’ARPA prot. n. 4949 del 4 marzo 2013, nonché, successivamente, con motivi aggiunti, il provvedimento, prot. n. 9375 del 6 maggio 2013, con i quali l’ARPA aveva nuovamente subordinato il parere positivo alle condizioni dianzi descritte, ancora una volta rinviando all’applicazione della delibera della Giunta Regionale n. 588 del 2000, deducendo a motivo dell’impugnativa motivi del tutto analoghi a quelli indicati nel primo ricorso;

2.‒ Il Tribunale Amministrativo per l’Umbria, con sentenza n. 746 del 2016, previa riunione dei due citati ricorsi, li respingeva entrambi.

3.‒ Avverso la sentenza di primo grado ha sollevato appello Elemedia s.p.a., riproponendo nella sostanza le medesime questioni già sollevate nel giudizio di primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazione della sentenza gravata, e segnatamente:

a) con il primo motivo, l’appellante lamenta che, diversamente da quanto motivato dal primo giudice, autorizzazione ed accensione dell’impianto non sarebbero retti da normative distinte (una statale e l’altra regionale), ma unicamente dalla disciplina statale, la quale regolerebbe l’intero procedimento, dalla presentazione della domanda alla accensione del segnale; l’autorizzazione ed il parere dell’ufficio comunale, sarebbero, dunque, illegittimi in quanto subordinano l’attivazione e la conduzione dell’impianto di Elemedia all’espletamento di attività (in particolare, di collaudo, di comunicazione e di redazione di relazioni) estranee al modello procedimentale tipizzato dal legislatore all’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, il quale nulla prevedrebbe in proposito; una volta soddisfatta la richiesta documentale prevista dalla normativa statale, nessun altro onere incomberebbe sull’operatore e la verifica della corrispondenza tra l’impianto realizzato e quello autorizzato, così come l’accertamento nel tempo del rispetto dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione da parte dei segnali elettromagnetici, rientrerebbero nelle attività istituzionali di vigilanza e controllo ascritte all’ARPA, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 36 del 2001, non delegabili al privato;

b) con il secondo motivo, l’appellante lamenta l’esorbitanza del contenuto della delibera della Giunta Regionale n. 588 del 2000 rispetto alla disciplina statale, peraltro sopravvenuta, di cui al d.lgs. n. 259 del 2003; del pari illegittimo sarebbe il parere ARPA, nella parte in cui ha rinviato Elemedia al rispetto di una previsione regolamentare (DGR n. 588 del 2000), non più attuale e comunque superata dalle disposizioni del d.lgs. n. 259 del 2003;

c) con il terzo motivo, l’appellante lamenta l’incompetenza del Comune e dell’Arpa in materia di incompatibilità fra segnali elettromagnetici, trattandosi di profili rientranti nella competenza ministeriale.

4.‒ Resistono nel giudizio di appello l’ARPA ed il Comune di Terni, entrambi insistendo per il rigetto del gravame.

5.‒ All’odierna udienza straordinaria di smaltimento del 10 ottobre 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

6.‒ La sentenza di primo grado è corretta e va confermata.

6.1.‒ Il Codice delle comunicazioni elettroniche (di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259), con riferimento alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici (tra cui «l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti»), prevede la confluenza in un solo procedimento di tutte le tematiche rilevanti, con il finale rilascio (in forma espressa o tacita) di un titolo abilitativo, qualificato come ‘autorizzazione’.

La fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica è considerata dal legislatore di preminente interesse generale, oltre che libera (art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 259 del 2003).

L’art. 86, al comma 3, del Codice recita che: «Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia».

L’art. 90 dello stesso Codice aggiunge che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno «carattere di pubblica utilità», con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola).

Nonostante il riconoscimento del carattere di opere di pubblica utilità e malgrado l’assimilazione ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, le predette infrastrutture non possono essere evidentemente localizzate indiscriminatamente in ogni sito del territorio comunale, perché, al cospetto di rilevanti interessi di natura pubblica l’esigenza della realizzazione dell’opera di pubblica utilità può risultare cedevole.

Il Codice delle comunicazioni elettroniche fa infatti espressamente «salve le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell’ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (art. 3 comma 3).

A questi fini, l’installazione di infrastrutture «viene autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, […] della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge 22 febbraio 2001, n. 36 e relativi provvedimenti di attuazione» (art. 87, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003).

6.2.‒ Secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, il parere dell’ARPA prescritto dall’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 259 del 2003 ‒ secondo cui: «copia dell’istanza ovvero della segnalazione viene inoltrata contestualmente all’Organismo di cui al comma 1 [N.d.R.: si tratta dell’organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36], che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione» ‒ non è atto presupposto e condizionante il provvedimento autorizzativo, bensì atto di un procedimento parallelo necessario, non per la formazione del titolo edilizio e per l’inizio dei lavori con esso assentiti, bensì esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3970 del 2017; Sez. VI, n. 98 del 2011 e n. 7128 del 2010).

L’accertamento da parte dell’ARPA della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione alle emissioni elettromagnetiche, nonché con i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità ‒ stabiliti uniformemente a livello nazionale a tutela della salute della popolazione ‒ deve seguire, e non già precedere, la presentazione dell’istanza di autorizzazione.

L’autorizzazione viene infatti rilasciata sulla base di dati prognostici sui futuri valori di campo elettromagnetico, i quali potranno essere realmente riscontrati nella loro effettiva portata solo a seguito dell’attivazione dell’impianto.

L’autorizzazione unica è dunque una condizione necessaria ma non sufficiente per l’attivazione dell’impianto, richiedendosi anche il positivo parere dell’ARPA.

Per tali motivi, non sussiste un onere per il richiedente di allegare siffatto parere in sede di presentazione dell’istanza di titolo edilizio (della denuncia di inizio di attività), né un obbligo di far pervenire il parere medesimo all’ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003.

Inoltre, poiché l’acquisizione del parere dell’ARPA è necessario ai soli fini della realizzazione dell’installazione e non anche ai fini della regolarità e completezza dell’istanza, ne consegue che il termine per la formazione del silenzio-assenso decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, e non dalla ricezione, da parte del Comune, del parere dell’ARPA (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2436 del 2010).

7.‒ Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, si rivela destituita di fondamento la tesi della Società appellante, secondo cui gli adempimenti richiesti dall’ARPA (in applicazione della presupposta deliberazione della Giunta regionale n. 588 del 7 giugno 2000) non sarebbero consentiti nel modello procedimentale di autorizzazione unica dettato dal legislatore statale.

Le prescrizioni impartite dall’ARPA rientrano tra i compiti di controllo e vigilanza della stessa agenzia, in quanto prodromiche al riscontro della corrispondenza tra i dati progettuali elaborati ex ante (come riportati nella domanda) e quelli rilevati nella fase di concreta attivazione degli impianti.

Nel dettaglio, non è ravvisabile alcun ‘aggravio’ rispetto al procedimento di autorizzazione unica, dal momento che:

i) con la nota del 4 marzo 2013, l’ARPA ha richiesto (ai fini dell’emissione del parere di propria competenza) «le misure di campo elettromagnetico di fondo» non completamente ricomprese nella documentazione inizialmente presentata dalla Società, le quali costituiscono elementi da allegare alla domanda secondo quanto previsto nell’allegato 13 del d.lgs. n. 259 del 2003;

ii) gli adempimenti richiesti con i pareri resi con le note del 25 febbraio 2013 e del 6 maggio 2013, pur essendo dettati in un parere reso nell’ambito del procedimento autorizzatorio, disciplinano la diversa e successiva fase di attivazione e messa in esercizio dell’impianto medesimo (si legge, in particolare, che «immediatamente dopo l’accensione degli impianti il gestore dovrà inviare a codesto Comune e allo scrivente Dipartimento apposita informazione scritta, contenente la scheda tecnica degli impianti realizzati unitamente alla comunicazione, secondo quanto stabilito tramite DGR n. 588 del 7 giugno 2000, del giorno e dell’ora in cui prevede di effettuare le misure di collaudo, affinché possa essere eventualmente presente, oltre al personale incaricato dal Comune, anche ns. personale tecnico […] successivamente il gestore dovrà trasmettere l’esito delle misure di collaudo […] mediante apposita relazione scritta i cui contenuti […] sono indicati alla lettera A) dell’allegato alla DGR n. 588 del 7 giugno 2000»).

8.‒ Sotto altro profilo, non è ravvisabile alcuna «esorbitanza» del contenuto della delibera della Giunta Regionale n. 588 del 2000 rispetto alla disciplina statale, e neppure sussiste la lamentata incompetenza del Comune.

8.1.‒ È dirimente considerare che le disposizioni in materia di comunicazioni elettroniche attengono ad una pluralità di materie rispetto alle quali variamente si atteggia la competenza legislativa dello Stato e quella delle Regioni (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 307 del 2003).

Tra i titoli di competenza esclusiva statale vengono in rilievo le materie dell’«ordinamento civile», del «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale», della «tutela della concorrenza» e della «tutela dell'ambiente».

I titoli di legittimazione regionale attengono invece a materie di competenza ripartita, relative alla «tutela della salute» (per i profili inerenti alla protezione dall’inquinamento elettromagnetico), all’«ordinamento della comunicazione» (per quanto riguarda gli impianti di telecomunicazione o radiotelevisivi), al «governo del territorio» (per «tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività»).

Come chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 336 del 2005), anche dopo l’emanazione del codice delle comunicazioni elettroniche, le regioni conservano il potere, ad esse attribuito dalla legge 36 del 2001, di dettare i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizioni e le incentivazioni per l’impiego delle migliori tecnologie disponibili.

La Corte ha affermato che compete allo Stato, nel complessivo sistema di definizione degli standard di protezione dall’inquinamento elettromagnetico di cui alla legge n. 36 del 2001, la fissazione delle soglie di esposizione e, dunque, nel lessico legislativo, la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, limitatamente per quest'ultimi alla definizione dei valori di campo «ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (art. 3, comma 1, lettera d, numero 2). La Corte ha, nel contempo, riconosciuto, in linea con quanto prescritto dalla menzionata legge quadro, che spetta alla competenza delle Regioni la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti e quindi la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti di comunicazione (art. 3, comma 1, lettera d, numero 1).

8.2.‒ Va pure ricordato che l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36 stabilisce che «i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico», con il solo limite della impossibilità «di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato» (così la formulazione della disposizione dopo la modifica introdotta dall’articolo 38, comma 6, del decreto legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020).

La norma recepisce l’indirizzo della giurisprudenza costituzionale secondo cui, nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001 (sentenza n. 331 del 2003). Il legislatore statale ha circoscritto la potestà pianificatoria dei Comuni, imponendo loro di dovere dettare (in positivo) ‘criteri’ di localizzazione e non (in negativo) mere ‘limitazioni’ ostative. Lo stesso legislatore non ha inteso di certo conculcare l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, tenendo conto della loro specifica morfologia e degli altri interessi indifferenziati ivi insistenti, sempreché tale potere regolamentare venga esercitato in modo da non frapporre ostacoli all’obiettivo della copertura dei servizi di comunicazione sul territorio e senza violare il principio della neutralità tecnologica.

8.3.‒ Come poi rimarcato dall’Amministrazione comunale, avallata dal giudice di prime cure, la stessa autorizzazione provvisoria n. 1970/2013 ‒ con cui il Ministero ha subordinato il nulla osta alla delocalizzazione de qua all’assenza di interferenze elettromagnetiche con l’impianto RAI MF2 di Guadarmello ‒ fa espressamente salve le competenze costituzionalmente garantite degli enti locali in materia, oltre che di governo del territorio, di tutela dell’ambiente e della salute pubblica.

9.‒ In definitiva, l’appello deve essere respinto.

9.1.‒ Le spese di lite del secondo grado di giudizio, tenuto conto della natura della controversia e del suo carattere risalente nel tempo, vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 1053 del 2017, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa tra le parti le spese di lite del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Massimiliano Tarantino, Presidente FF

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Giordano Lamberti, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere