Consiglio di Stato Sez. II n. 8341 del 28 settembre 2022
Elettrosmog.Principio di precauzione

Con riferimento agli impianti ripetitori per telefonia cellulare, in merito al principio di precauzione richiamato dall’art. 191, paragrafo 2, del TFUE, va ribadito che tale principio non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, ma richiede, piuttosto e in primo luogo, una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi

Pubblicato il 28/09/2022

N. 08341/2022REG.PROV.COLL.

N. 08733/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8733 del 2013, proposto dalla società
Ericsson Telecomunicazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimiliano De Luca, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Salaria n. 400;

contro

La società Borghesiana S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

nei confronti

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sergio Siracusa dell’Avvocatura Capitolina, domiciliataria ex lege in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
l’Agenzia regionale protezione ambiente ARPA per il Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, la società H3G S.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, Roma Capitale Municipio VI, già Municipio VII, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 7562/2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione per la realizzazione di una stazione radio base


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società La Borghesiana S.r.l. e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2022 il Cons. Carla Ciuffetti, uditi per le parti l’avvocato Massimiliano De Luca e l’avvocato Paolo Clarizia in sostituzione dell’avvocato Angelo Clarizia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso della società appellata, nella parte in cui era diretto all’annullamento: del silenzio-assenso formato sull’istanza di autorizzazione, presentata in data 1 dicembre 2011, ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, dalla società Ericsson Telecomunicazioni S.p.A. al Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica (PAU) di Roma Capitale, per la realizzazione di una stazione radio base su immobile di proprietà privata; del parere favorevole espresso dall’ARPA Lazio con nota prot. 97487 in data 5 dicembre 2011; della non nota delibera di Roma Capitale in materia di distanze di impianti da punti sensibili, nella parte suscettibile di spiegare effetti lesivi nei suoi confronti della ricorrente. La domanda risarcitoria è stata respinta.

2. L’appello in esame è basato sui seguenti motivi.

2.1. “Error in iudicando del Giudice di primo grado per non aver correttamente valutato l'eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso, sollevata da Ericsson (e da Roma Capitale)”: come già eccepito in primo grado, il ricorso di primo grado, notificato in data 14 settembre 2012, sarebbe stato proposto tardivamente. Sull’istanza di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto si era formato il silenzio assenso, ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, in data 9 maggio 2012. In data 7 maggio 2012 era stata presentata la comunicazione preventiva di inizio lavori, avviati il 10 maggio 2012. Gli stessi lavori, per la parte edificatoria, si erano conclusi il 29 maggio 2012, mentre i lavori di sistemazione dell’area e della strada di accesso erano stati ultimati il 27 luglio 2012. Il Tar non avrebbe adeguatamente valutato che: fin dall’inizio dei lavori, era stato esposto il relativo cartello con la descrizione dell’opera; la posa in opera dell'armatura del palo era stata avviata in data 11 maggio 2012; in data 29 maggio 2012, come documentato dalle foto in atti, il palo, alto 24 metri, era stato issato e collegato alla rete elettrica. Cosicché l’opera in questione, alla data del 29 maggio, avrebbe inequivocabilmente evidenziato le proprie caratteristiche, tanto che, nella stessa data, la società appellata avrebbe presentato istanza di accesso agli atti. Perciò, erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che, a tale data, i lavori non fossero conclusi e che alla società appellata non fosse nota l’asserita lesività dell’opera. Considerato che i motivi del ricorso di primo grado non attenevano a questioni riconducibili alla potenza e alle caratteristiche dell’impianto, ma riguardavano la mera presenza dell’impianto, il Tar non avrebbe potuto respingere l’eccezione di tardività del ricorso considerando rilevante il “momento conclusivo dell’intervento per identificarne la natura e l’effettiva portata lesiva”, per mancanza di prova che la società ricorrente fosse a conoscenza “dell’effettiva potenza dell’impianto e delle relative essenziali caratteristiche” all’atto della richiesta di accesso agli atti. Poiché detta società avrebbe dovuto ritenersi a conoscenza dell’opera almeno dal 29 maggio 2012, giorno in cui il palo porta antenne era senz’altro visibile, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere notificato almeno entro il 28 luglio 2012, restando irrilevante il fatto che la dichiarazione di ultimazione dei lavori fosse stata effettuata in data 27 luglio 2012.

2.2. “Error in iudicando del Giudice di primo grado per aver accolto il secondo motivo di ricorso e non aver correttamente valutato le eccezioni sollevate da Ericsson in merito all’insussistenza del vizio di violazione dell’art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003. Piena legittimità dell’operato del Dipartimento responsabile del procedimento nell’aver attivato la procedura di informazione e pubblicità ai cittadini e piena validità della pubblicità trasmessa attraverso la pubblicazione sul sito internet di Roma Capitale, Municipio VIII. Irrazionalità ed illogicità della sentenza, violazione del principio di proporzionalità, di efficacia e del legittimo affidamento”: la legittimità dell’autorizzazione all’installazione dell’opera conseguita per silentium dall’appellante non sarebbe inficiata dal preteso difetto di pubblicità della relativa istanza. Infatti, la medesima istanza era stata pubblicata sul sito internet di Roma Capitale, sezione Municipio VIII, a seguito di indicazione del Dipartimento PAU. Ciò, in conformità all’art. 87, co. 5, d.lgs. n. 259/2003, che stabilisce che “lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza pur senza diffondere i dati caratteristici”, e al Protocollo d’intesa fra il Comune di Roma e i gestori di telefonia mobile, sottoscritto in data 5 luglio 2004, che prevede che “il Comune di Roma si impegna ad informare i Municipi delle richieste di installazione dei nuovi impianti; i Municipi provvederanno all’informazione dei cittadini”. La disciplina della materia non prescriverebbe alcuna specifica forma di pubblicità della suddetta richiesta di autorizzazione, al cui fine lo strumento informatico sarebbe il mezzo più idoneo, in quanto in grado di raggiungere la maggioranza della popolazione. Il convincimento del Tar si rivelerebbe erroneo alla luce della giurisprudenza amministrativa che ritiene che “non è impeditiva della formazione del silenzio la mancata pubblicazione della domanda di autorizzazione” (Cons. Stato, sez. III, 2 ottobre 2015, n. 4612). L’annullamento dell’autorizzazione conseguita dall’appellante violerebbe il principio di proporzionalità, ledendo gli interessi della collettività oltre che dell’appellante, nonché il principio del legittimo affidamento “ingenerato sia in Ericsson, che negli utenti del servizio che da tempo ne usufruiscono, in regime di libera concorrenza con i servizi offerti dagli altri operatori”;

2.3. “Error in iudicando del Giudice di primo grado per non aver ritenuto invocabile l’art. 21-octies l. n. 241/90. Vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata”: contraddittoriamente il Tar avrebbe escluso che il vizio procedimentale relativo alla pubblicazione impedisse l’applicazione dell’art. 21-octies l. n. 241/1990, “non essendo dimostrata in atti l’impossibilità di una diversa localizzazione dell'impianto”. Tale statuizione sarebbe stata resa in violazione dell’art. 112 c.p.c.. Comunque, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso dall’autorizzazione conseguita. Sarebbe infondata la tesi della società appellata per cui l’autorizzazione all’installazione della stazione radio base sarebbe stata conseguita in mancanza dell'autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 146 d.Igs. n. 42/2004. Infatti, il sito di collocazione dell’opera ricadrebbe in zona “Sistemi e regole - Città consolidata - verde privato” del Piano regolatore generale (PRG) di Roma Capitale, in “area senza connotazione specifica” nella Carta per la qualità, e nella Tav. 24/A e B del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR), “Sistemi e ambiti del paesaggio; paesaggio agrario dì rilevante valore”, senza vincoli ai sensi della stessa Tav. 24 B. Quanto previsto per il “paesaggio agrario di rilevante valore” dal PTPR troverebbe applicazione solo alle zone vincolate, tra le quali la citata Tav. B non comprenderebbe l’area di intervento. L’impianto rispetterebbe la distanza minima di 50 metri, prevista dall’art. 44 delle N.T.A. del PTPR, da un “bene singolo identitario dell'agricoltura rurale e relativa fascia di rispetto”: in considerazione di tale bene sarebbe stato redatto il prescritto studio di impatto paesistico, sul quale il Dipartimento X - Autorizzazione paesaggistiche avrebbe espresso parere favorevole; detta distanza di rispetto sarebbe confermata dal PRG per i beni riportati nella Carta della qualità (art. 16 comma 5 delle N.T.A. del PRG). In ogni caso dagli strumenti urbanistici non potrebbero derivare limitazioni all’installazione delle opere necessarie per il servizio di telefonia mobile, che risponde ad un interesse generale, tanto che le relative infrastrutture sono definite “opere di pubblica utilità” e assimilate alle opere di urbanizzazione primaria dall’art. 86 d.lgs. n. 259/2003. Dall’art. 24 NTA del PTPR non potrebbe trarsi una limitazione alla localizzazione dell’opera, poiché tale localizzazione dovrebbe assicurare una copertura del territorio adeguata alla fruizione da parte degli utenti ed eventuali limitazioni alla localizzazione dovrebbero essere motivate da un interesse pubblico uguale e maggiore rispetto a quello della prestazione di un servizio di interesse generale. In ogni caso il Dipartimento Autorizzazioni paesaggistiche del Comune di Roma aveva espresso parere favorevole. Dunque, non sarebbe stato possibile un diverso esito procedimentale.

Nel ricorso di primo grado la società appellata aveva fatto riferimento alla mancanza di previsione degli impianti sportivi in una delibera comunale, non specificamente indicata, relativa ai siti sensibili. Una tale censura, sulla quale il Tar non sarebbe nemmeno pronunciato, sarebbe inammissibile, traducendosi nell’impugnazione di un atto indeterminato; la stessa censura sarebbe anche irrilevante, in quanto i campi sportivi della parte appellata non sarebbero interessati dal raggio d’azione dell’impianto, che sarebbe posto “ad una distanza dal complesso sportivo e dall’albergo ben superiore alla fascia di rispetto che il DPCM 8 luglio 2003 stabilisce in 50 mt. tra le srb e gli edifici sensibili”.

Sia nel citato Protocollo di intesa in data 5 luglio 2004, che nel Regolamento per la localizzazione, l’installazione e la modifica degli impianti di Telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale nel 2015, i centri sportivi non erano inclusi tra i siti sensibili. Comunque, l’ARPA Lazio aveva espresso parere favorevole all'installazione della struttura. La società appellata non sarebbe stata legittimata ad agire in giudizio per la tutela di diritti altrui, c.d. personalissimi e l’argomento speso in primo grado circa la distanza dai siti sensibili sarebbe stato meramente strumentale, dato che la stessa ricorrente aveva rappresentato un interesse ad agire di natura economica, costituito dalla perdita di clientela dell’albergo, per il quale aveva chiesto il risarcimento del danno. Tuttavia, un tale interesse non avrebbe potuto prevalere sull’interesse generale perseguito attraverso le infrastrutture per telefonia mobile.

3. Si è costituita in giudizio Roma Capitale con atto depositato in data 6 dicembre 2013, chiedendo il rigetto dell’appello. Con memoria in data 16 aprile 2021 la difesa dello stesso Ente “richiamata la relazione documentata depositata in atti, espressamente reitera e ripropone i temi, le argomentazioni, le deduzioni come in atti di giudizio sollecitate nella fase di merito definita con l’impugnata sentenza; tanto entro i limiti del devoluto dal ricorso in appello della parte istante nel presente grado, ed anche in chiave di adesione (entro i confini del devoluto perimetrato dall’appellante) alle convergenti richieste della parte istante nella fase”. Con istanza di passaggio in decisione in data 8 luglio 2022, la stessa difesa ha insistito “per il rigetto della domanda del ricorrente”. Con ulteriore atto depositato in data 18 luglio 2022, la medesima difesa “ad integrazione e rettifica di meri errori materiali della precedente istanza di passaggio in decisione depositata il 08.07.2022, richiamati integralmente i contenuti della relazione istruttoria dell’Ufficio depositata in vista della presente trattazione di merito in data 07.06.2022, che comunica l’avvenuta pubblicazione dell’Ufficio municipale dell’istanza autorizzativa quale informativa alla cittadinanza, chiede che la causa venga decisa riportandosi alle difese e richieste rassegnate nei depositati scritti difensivi del 16.04.2021 e del 10.12.2021 (in ciò intendendo emendarsi la precedente istanza di passaggio in decisione che per errore materiale recava l’inciso ‘insistendo per il rigetto della domanda del ricorrente’, da intendersi quivi espunto e del resto non devoluto nelle richiamate conclusioni dei precedenti scritti depositati)”.

4. La società appellata si è costituita in giudizio, rappresentando che alla sentenza in epigrafe non era stata data alcuna esecuzione, poiché la contestata struttura era tuttora funzionante e l’Amministrazione aveva emanato ulteriori atti di natura autorizzatoria su richiesta dell’appellante.

Il gravame sarebbe inammissibile per carenza d’interesse, dato il difetto di impugnazione delle statuizioni del Tar circa l’inadeguatezza della pubblicità della richiesta di autorizzazione e le “peculiarità della zona (con bassissima densità edilizia e abitativa) che avrebbero giustificato l’utilizzo, in concreto, di modalità di comunicazione alternative”.

Nel merito, la società appellata sottolinea che la domanda di accesso agli atti sarebbe stata presentata in data 22 giugno 2012, non in data 29 maggio 2012 come erroneamente dedotto dall’appellante. Solo in data 7 settembre 2012, a seguito dell’accesso consentito unicamente dall’ARPA Lazio, la società appellata avrebbe avuto piena conoscenza della natura e della struttura dell’opera. Perciò, sarebbe “fuori luogo il riferimento operato dall’appellante alla documentazione che testimonierebbe una conoscenza, in capo alla Borghesiana, della costruzione per cui si controverte già al 29 maggio 2012” e, dalla mera installazione del palo porta antenne, non sarebbe potuta derivare in modo certo e univoco la consapevolezza delle caratteristiche dell’opera.

Le statuizioni del Tar in tema di inadeguatezza della pubblicità data all’istanza di autorizzazione dell’appellante sarebbero coerenti con la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha anche escluso l’idoneità della sola pubblicazione all’albo pretorio a soddisfare il requisito della pubblicizzazione dell’istanza di cui all’art. 87, comma 4, d.lgs. n. 259/2003, non garantendone la conoscibilità all’esterno degli uffici comunali. La pubblicazione dell’avviso della richiesta di autorizzazione dell’appellante su una pagina di archivio delle notizie del Comune non sarebbe consultata “da chi neppure immagina che sia in corso un siffatto procedimento autorizzatorio, con la paradossale conseguenza che l’avviso online verrebbe cercato e visionato solo ad opera avviata. Invero, sarebbe bastato un manifesto sul ciglio dell’(unica) strada ovvero un annuncio - come correttamente indicato dal Consiglio di Stato - su un giornale locale, ovvero l’affissione di un cartello sul confine tra le due proprietà, affinché taluno degli utenti del campo sportivo, se non gli stessi titolari, ne avessero rilevato le novità”. Invece, “il sito internet del Comune, oltre ad essere connotato da complessità di fruizione e gerarchizzazione dell’informazione contenuta, nella maggioranza dei casi è destinato ad informazioni ‘istituzionali’, nonché alla ricerca di servizi; quindi, radicalmente inidoneo a far giungere ad un soggetto determinato una specifica informazione”. Del resto, la pubblicazione on line era avvenuta quando “la digitalizzazione dei servizi amministrativi era ancora una chimera”.

Inoltre, in risposta alla richiesta di accesso agli atti, il Municipio si era dichiarato non competente, “sebbene sul suo sito internet vi fossero avvisi in materia.” La società appellata sarebbe stata l’unico soggetto in grado di risentire gli effetti dannosi della richiesta autorizzazione che, quindi avrebbe dovuto essere portata alla sua conoscenza da parte dell’Amministrazione, consentendole, attraverso la partecipazione al procedimento, di evidenziare la vicinanza del centro sportivo.

Dalla qualificazione dell’area di sedime dell’opera quale “paesaggio agrario di rilevante valore”, definizione utilizzata dallo stesso progettista dell’appellante in sede di istanza di autorizzazione, discenderebbe l’applicazione dell’art. 24 delle NTA del PTPR e l’obbligo per l’istante di redigere uno studio di impatto paesistico (SIP).

Quanto alle deduzioni dell’appellante circa l’inammissibilità dell’impugnazione di un atto indeterminato, il ricorso di primo grado intendeva riferirsi ad una deliberazione citata nell’istanza di autorizzazione - che non era stato possibile visionare per il diniego di accesso agli atti da parte degli Uffici di Roma Capitale - rappresentando che un’eventuale delibera comunale che non annoverasse i campi sportivi tra i siti sensibili dal punti di vista dell’installazione di strutture di comunicazione avrebbe dovuto essere considerata viziata da eccesso di potere, per irragionevolezza, carenza di istruttoria, disparità di trattamento, anche in relazione al principio di precauzione. Infatti non sarebbe comprensibile la ragione per cui “dovrebbe essere sito sensibile una scuola, magari piccola, e non una Scuola calcio di rilevanti dimensioni, dove migliaia di bambini passano interi lassi di giornate per intensi allenamenti”.

L’appellante avrebbe formulato una mera illazione nel ritenere che lo stazionamento nei campi sportivi della società appellata non sarebbe durato oltre il limite precauzionale di 4 ore, dato che in tali campi si allenano per molte ore importanti squadre sportive.

Nel ricorso di primo grado la società non si sarebbe limitata ad esporre solo un danno economico ma avrebbe anche rappresentato il danno che sarebbe potuto derivare alla salute dei frequentatori degli impianti sportivi.

5. La causa, chiamata all’udienza del 19 luglio 2022, è stata trattenuta in decisione.

6. Si osserva che la controversia viene all’esame del Collegio dopo richieste di rinvio avanzate dalle parti con riferimento a ipotesi di transazione. Essa riguarda la realizzazione di una stazione radio base ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 - nel testo vigente al 1 dicembre 2011, data in cui era stata presentata l’istanza di autorizzazione alla costruzione dell’impianto - del quale rilevano in particolare, ai fini della valutazione dell’appello in epigrafe, le seguenti disposizioni:

- “L’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell’Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione.” (comma 1);

- “L'istanza di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di cui al comma 1 è presentata all’Ente locale dai soggetti a tale fine abilitati. Al momento della presentazione della domanda, l’ufficio abilitato a riceverla indica al richiedente il nome del responsabile del procedimento.” (comma 2);

- “L’istanza, conforme al modello dell’allegato n. 13, realizzato al fine della sua acquisizione su supporti informatici e destinato alla formazione del catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale, deve essere corredata della documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche, di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione, attraverso l’utilizzo di modelli predittivi conformi alle prescrizioni della CEI, non appena emanate. In caso di pluralità di domande, viene data precedenza a quelle presentate congiuntamente da più operatori. Nel caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità sopra indicati, è sufficiente la denuncia di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13.” (comma 3);

- “Copia dell’istanza ovvero della denuncia viene inoltrata contestualmente all’Organismo di cui al comma 1, che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione. Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell’impianto.” (comma 4);

- “Le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36. Gli Enti locali possono prevedere termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal presente comma.”;

- “Le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio-assenso.” (comma 10).

6.1. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di difetto di interesse al gravame dell’appellante, prospettata dalla società appellata sull’assunto del difetto di impugnazione “del capo della sentenza con il quale il Tar ha ritenuto inadeguate le forme di pubblicità dell’istanza privata utilizzate dall’amministrazione”, essendo mancata da parte dell’appellante “qualsivoglia contestazione in ordine alle argomentazioni del giudice di prime cure relative alle peculiarità della zona (con bassissima densità edilizia e abitativa) che avrebbero giustificato l’utilizzo, in concreto, di modalità di comunicazione alternative” .

In proposito si rileva che il Tar ha tratto dalle statuizioni della sentenza di questo Consiglio n. 1775/2003, l’indicazione a valutare “l’idoneità delle forme stabilite in concreto per rendere nota l’istanza ‘all’esterno’ degli uffici comunali, secondo modalità idonee (esemplificativamente indicate “in pubblicazioni su giornali anche di rilievo locale, in affissione di manifesti, pubbliche riunioni istruttorie”). La relativa valutazione amministrativa deve essere compiuta avendo riguardo anche ai principi di trasparenza, di economicità, di efficacia e del buon andamento. Il che significa, in concreto, che in una zona con bassissima densità edilizia e abitativa l’Amministrazione può massimizzare l’effetto comunicativo agevolmente e in maniera del tutto compatibile con i principi di economicità ed efficienza, con l’uso di mezzi del tipo di quelli indicati dal Supremo Consesso. In questo contesto la pubblicità on - line non risulta essere la forma maggiormente idonea allo scopo”.

Ebbene, il riferimento alle peculiarità della zona non costituisce un autonomo capo della sentenza, bensì una specificazione di circostanze inserita nel percorso valutativo seguito da parte del Tar che è oggetto, nel suo complesso, del secondo motivo d’appello. Con tale motivo, l’intero capo della sentenza, riferito all’idoneità della forma di pubblicità seguita, è avversato dall’appellante: a tal fine si rappresenta che all’istanza di autorizzazione sarebbe stata data idonea pubblicità ai sensi dell’art. 87 d.lgs. n. 259/2003 e che, in mancanza della prescrizione di una specifica forma di pubblicità, il mezzo informatico avrebbe dovuto essere considerato il più idoneo, in quanto atto a raggiungere la maggioranza della popolazione.

Tale contenuto del secondo motivo d’appello consente di ritenere infondata l’eccezione di difetto di interesse prospettata dell’appellante, che, pertanto, deve essere respinta.

6.2. Ragioni di economia nell’esame del gravame suggeriscono di avviarne l’esame a partire da tale motivo d’appello, in quanto preliminarmente già affrontato.

Premesso che non può attribuirsi rilievo, ai fini della presente controversia, alla pubblicazione successiva all’instaurazione del giudizio di istanza di autorizzazione, si nota che il percorso valutativo del Tar, cui si è fatto riferimento sub 6.1, prende l’avvio dalla sentenza di questo Consiglio n. 1773/2005, nella parte relativa all’interpretazione dell’art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003, ove stabilisce che “lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell'impianto”.

Dalla sentenza n. 1773/2005 emergono le seguenti linee interpretative:

a) “della proposizione della istanza va data notizia alla popolazione locale, mediante formalità diverse dalla mera sua acquisizione e visibilità ‘interna’ presso gli uffici comunali”;

b) “l’Amministrazione di volta in volta deve determinare le modalità per rendere nota la proposizione dell’istanza ‘all’esterno’ degli uffici”;

c) “le sue valutazioni (che si devono ispirare ai principi di trasparenza, di economicità, di efficacia e del buon andamento) possono anche non essere formalizzate in un provvedimento, poiché possono risultare dalla stessa esternazione delle forme di pubblicità (che, a titolo esemplificativo, possono consistere in pubblicazioni su giornali anche di rilievo locale, in affissione di manifesti, pubbliche riunioni istruttorie)”;

d) “in sede giurisdizionale, il giudice amministrativo può verificare se le valutazioni dell’Amministrazione - sulle effettuate modalità di pubblicizzazione - siano state coerenti con tali principi ovvero se, per la inidoneità delle attuate forme di pubblicità, l’Amministrazione non abbia concretamente consentito la partecipazione di eventuali interessati”.

In merito alla prima linea interpretativa - “della proposizione della istanza va data notizia alla popolazione locale, mediante formalità diverse dalla mera sua acquisizione e visibilità ‘interna’ presso gli uffici comunali” - si osserva che, nella fattispecie normativa delineata dal citato art. 87, co. 4, manca la prescrizione di una specifica forma di pubblicità da seguire da parte dello “sportello locale competente”, né sono previste forme di comunicazione individuali. Specifiche prescrizioni di pubblicità non sono state stabilite nemmeno dal Protocollo d’intesa fra il Comune di Roma e i gestori di telefonia mobile, sottoscritto in data 5 luglio 2004, che si limita a prevedere che “i Municipi provvederanno all'informazione dei cittadini” circa le richieste di installazione dei nuovi impianti.

Perciò, l’esigenza di “formalità diverse dalla mera sua acquisizione e visibilità ‘interna’ presso gli uffici comunali”, cui si riferisce la prima linea interpretativa, può evincersi dall’obiettivo della fattispecie normativa, da ricondurre alla massima diffusione possibile della notizia tra la popolazione locale.

Tale obiettivo costituisce anche la stregua di riferimento della valutazione dell’idoneità delle modalità di pubblicazione seguite, la cui scelta - come evidenzia la seconda linea interpretativa - appartiene alla discrezionalità della competente Amministrazione e può essere motivata dalla stessa esternazione delle forme di pubblicità prescelte.

Dunque, il mezzo di pubblicità effettivamente seguito motiva ex se la scelta dell’Amministrazione e su di esso deve appuntarsi la valutazione di ragionevolezza della stessa scelta in concreto compiuta.

Venendo alla sentenza impugnata, si nota che il Tar ha ritenuto di poter trarre dalla terza linea interpretativa della sentenza di questo Consiglio n. 1775/2003, l’indicazione di modalità idonee a rendere nota l’istanza ‘all’esterno’ degli uffici comunali, “esemplificativamente indicate in pubblicazioni su giornali anche di rilievo locale, in affissione di manifesti, pubbliche riunioni istruttorie”. Tuttavia, tale convincimento non rende la portata di tale linea interpretativa, con la quale si è invece inteso evidenziare che la modalità di pubblicazione prescelta, in mancanza di un provvedimento che la disponga, costituisce in sé la motivazione della scelta effettuata.

Applicando tale indicazione interpretativa alla fattispecie in esame, deve ritenersi che la pubblicazione sul sito istituzionale del competente Municipio sia idonea a raggiungere potenzialmente una platea di destinatari ben più ampia di quella che potrebbe essere raggiunta da mezzi di pubblicazione di natura fisica. La potenziale immediatezza dell’accesso alla pubblicazione via web, rispetto alle forme di pubblicità indicate dal Tar, pare più coerente con la natura de “gli interessi in gioco anche sul piano costituzionale (in primis, il diritto alla salute e all’ambiente salubre)” evocati dalla sentenza impugnata.

Inoltre, le stesse caratteristiche della zona in cui è collocata la contestata opera, definite dal Tar di “bassissima densità edilizia e abitativa”, portano a ritenere che proprio modalità “materiali” di pubblicità avrebbero impedito di massimizzare l’effetto comunicativo. Infatti, tali caratteristiche connotano una zona in cui l’affissione di un cartello (tanto più “sul ciglio della strada” come ritiene l’appellante) o di un avviso per “pubbliche riunioni istruttorie” avrebbero scarse probabilità di essere visti; ancora, non pare ragionevole ritenere che la massimizzazione dell’effetto conoscitivo potesse raggiungersi onerando i potenziali destinatari della pubblicazione dell’acquisto di “giornali anche di rilievo locale”.

Perciò, tenuto conto delle caratteristiche strutturali e funzionali dello strumento effettivamente utilizzato, la pubblicità telematica effettuata nella fattispecie deve ritenersi idonea a “pubblicizzare l’istanza” come richiesto dall’art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003.

Occorre poi notare che, nel 2011, l’utilizzo del web a fini conoscitivi non era una “chimera” come la parte appellata ritiene che al tempo fosse “la digitalizzazione dei servizi amministrativi”.

Infatti, l’art. 32 l. n. 69/2009 aveva già stabilito che “a far data dal 1 gennaio 2010 gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione sui propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati” (co. 1) e aveva fissato il termine del 1 gennaio 2011 a decorrere dal quale “le pubblicità effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale” (co. 5). Cosicché tale legge, “perseguendo l’obiettivo di modernizzare l’azione amministrativa mediante il ricorso agli strumenti informatici, riconosce l’effetto di pubblicità legale agli atti e ai provvedimenti amministrativi pubblicati dagli enti pubblici sui propri siti informatici” (Cons. Stato, 20 giugno 2022, n. 5054).

Questo Consiglio, evidenziato che tali disposizioni “danno attuazione alla regola (allora) sancita dall’art. 54, comma 4-bis, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale, c.d. Cad), secondo la quale ‘la pubblicazione telematica produce effetti di pubblicità legale nei casi e nei modi espressamente previsti dall’ordinamento’” (Cons. Stato, sez. I, parere 11 agosto 2021, n.1398), di esse ha fatto applicazione, ritenendo, nel caso in esame, (pubblicazione di avviso su disposizione del Direttore generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del MIUR) di non poter argomentare diversamente dall’interpretazione restrittiva di cui alla sentenza di questo Consiglio, sez. III, 28 settembre 2018, n. 5570, in quanto concernente diversa fattispecie. Tali rilievi possono essere estesi alla fattispecie in esame, in cui la pubblicazione non concerne un atto dell’Amministrazione, ma un’istanza del privato, della cui proposizione la richiamata sentenza n. 1775/2005 ha: escluso l’idoneità di forme di pubblicità legale - quale la pubblicazione nell’albo pretorio - rispetto allo scopo di dare notizia della stessa istanza alla popolazione; ritenuto che l’Amministrazione debba determinare “di volta in volta” le modalità per rendere nota la stessa notizia nel modo più adeguato.

Quindi, alla luce della quarta linea interpretativa che si trae dalla sentenza n. 1775/2003 - “in sede giurisdizionale, il giudice amministrativo può verificare se le valutazioni dell’Amministrazione - sulle effettuate modalità di pubblicizzazione - siano state coerenti con tali principi ovvero se, per la inidoneità delle attuate forme di pubblicità, l’Amministrazione non abbia concretamente consentito la partecipazione di eventuali interessati” -, deve ritenersi che, nella fattispecie, sia stata utilizzata un’idonea forma di pubblicità della notizia della presentazione dell’istanza di autorizzazione.

Tale idoneità non può ritenersi esclusa dalla circostanza che non sia risultata “la partecipazione di eventuali interessati”, in quanto la valutazione che deve essere effettuata in sede giurisdizionale attiene alla potenzialità del mezzo di pubblicazione prescelto alla luce delle concrete circostanze; altrimenti, la valutazione dell’idoneità dello strumento di pubblicità prescelto a raggiungere i destinatari sarebbe condizionata dalla volontà di questi ultimi di partecipare effettivamente al procedimento. Tanto più che, come si evidenzia nel gravame, poiché la società appellata opera nel territorio del Municipio che ha provveduto alla pubblicazione on line, essa dovrebbe essere interessata ad acquisirne con continuità e immediatezza le notizie attraverso il sito istituzionale. Inoltre, l’art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003 non prescrive alcuna forma di comunicazione individuale, sicché la medesima società appellata non avrebbe potuto pretendere di essere destinataria di un avviso individuale.

Non assume rilievo la circostanza lo stesso Municipio, a seguito della richiesta della società appellata di accesso agli atti, si fosse dichiarato non competente - “sebbene sul suo sito internet vi fossero avvisi in materia” - in quanto il citato art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003 attribuisce al competente Municipio solo l’obbligo di provvedere alla pubblicità dell’istanza di autorizzazione.

Dunque, la verifica dell’idoneità della forma di pubblicità di prescelta che il giudice è chiamato a compiere, non può, ad avviso del Collegio, prescindere dalla valutazione della potenzialità del mezzo prescelto, per le sue caratteristiche, a raggiungere i destinatari dell’informazione.

Pertanto il secondo motivo del gravame deve ritenersi fondato.

6.3. Venendo al terzo motivo del gravame, può essere considerata assorbita dalla fondatezza del primo motivo la censura con la quale si deduce che il Tar, in violazione dell’art. 112 c.p.c., avrebbe escluso che il vizio procedimentale relativo alla pubblicazione dell’istanza di autorizzazione impedisse l’applicazione dell’art. 21-octies l. n. 241/1990, “non essendo dimostrata in atti l’impossibilità di una diversa localizzazione dell’impianto”. Infatti, come detto sub 6.1, la pubblicazione della richiesta di autorizzazione sul sito del Municipio deve ritenersi esente da vizi e l’art. 87, co. 4, d.lgs. n. 259/2003 non prevedeva forme di comunicazione individuali.

L’appellante rappresenta che, ai sensi del PTPR, nella fattispecie non era necessaria l’autorizzazione paesaggistica, “in quanto l’area in sedime non è sottoposta ad alcun vincolo”, come invece preteso dalla società appellata con il primo motivo del ricorso di primo grado.

Tale assunto trova conferma nella nota in data 9 marzo 2021 del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica (PAU) di Roma Capitale, depositata in atti in data 22 aprile 2022. Tale nota rappresenta che “la posizione della SRB è limitrofa, ma esterna all’area con vincolo paesaggistico (ovvero esterna ai beni paesaggistici, di cui all’art. 134, comma 1, lettere a), b) e c) del Codice indicati nella Tav.24B-Beni paesaggistici, del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.)”.

Dovendosi quindi escludere il vincolo paesaggistico sull’area di sedime, non può darsi seguito alle deduzioni della società appellata che fanno leva sull’inclusione della stessa area nel sistema-ambito “Paesaggio agrario di rilevante valore”, dato che l’art. 5, co. 1, delle NTA del PTPR (pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio in data 14 febbraio 2008), stabiliva l’efficacia diretta di quanto previsto dallo stesso Piano limitatamente al territorio interessato da beni paesaggistici, immobili, aree, indicati nell’art. 134, lettere a), b), c) del d.lgs. n. 42/2004: quindi solo per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico le disposizioni del PTPR potevano incidere sul regime giuridico dei beni, prevalendo sulle disposizioni incompatibili contenute nella strumentazione territoriale e urbanistica.

Non può darsi seguito anche alle ulteriori deduzioni della parte appellata riferite ad una delibera comunale in materia di siti sensibili da ritenere viziata da eccesso di potere nella parte in cui non avrebbe previsto i centri sportivi tra tali siti.

Di tale delibera, anche nel presente grado di giudizio, restano indeterminati i riferimenti, né pare che la società appellata abbia inteso riferirsi al Protocollo d’Intesa tra il Comune di Roma e le società concessionarie dei servizi di telefonia mobile ivi indicate, “per l’installazione, il monitoraggio, il controllo e la razionalizzazione degli impianti di stazioni radio base”, sottoscritto in data 5 luglio 2004. Tale Protocollo, secondo la giurisprudenza amministrativa, costituisce “parametro per valutare la legittimità dei relativi atti autorizzativi” in quanto con esso l’Amministrazione comunale ha inteso “dettare una disciplina sul rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti radio base di telefonia mobile” (Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015, n. 306).

Comunque, in proposito, può evidenziarsi l’indirizzo di questo Consiglio riferito all’art. 4 del “Regolamento per la localizzazione, l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge n. 36 del 22 febbraio 2001 per la redazione del piano, ex articolo 105, comma 4 delle NTA del PRG vigente, nonché per l’adozione di un sistema di monitoraggio delle sorgenti di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico”, approvato, in epoca successiva alla formazione del silenzio assenso sull’istanza di autorizzazione della struttura in questione, dalla delibera del Comune di Roma n. 26 del 14 maggio 2015.

Ebbene, la previsione nel citato art. 4 del “divieto di installare impianti su siti sensibili quali ospedali, case di cura e di riposo, scuole ed asili nido, oratori, orfanotrofi, parchi gioco, ivi comprese le relative pertinenze, ad una distanza non inferiore a 100 m. calcolati dal bordo del sistema radiante al perimetro esterno” è stata considerata quale “divieto generalizzato potenzialmente in grado di impedire la concreta diffusione della rete sull’intero territorio comunale”, mentre “il Comune avrebbe potuto indicare invece i siti sensibili come luoghi in cui non procedere tendenzialmente alle installazioni salvo comprovata necessità per mancanza di soluzioni alternative” (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2021 n.374).

Tale indirizzo si inserisce nel consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa per cui “la normativa applicabile alla materia esprime un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico” tanto che l’art. 86 (ora art. 43) d.lgs. n. 259/2003, co. 3, assimila “le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica” alle opere di urbanizzazione primaria.

Dall’assetto delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli enti locali delineato dalla l. n. 36/2001, recante “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, si evince, secondo il richiamato indirizzo, che la potestà regolamentare attribuita a questi ultimi enti “non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 687). Le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale dunque compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Cons. St., sez. VI, 3891 del 2017). In linea con questo orientamento è stato ribadito (Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 44) che: ‘alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi)”. Ancora, “la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6961; id. n. 1592/18).” Inoltre “le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale dunque compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni” (Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891; cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2022 n. 5629; Corte Cost. 7 novembre 2003, n. 331).

Nella prospettiva della valutazione dell’interesse pubblico alla copertura nazionale della rete, si nota che l’appellante ha depositato una relazione tecnica diretta a dimostrare la circostanza, che non pare contraddetta dalle risultanze del giudizio, che solo l’area di sedime dell’opera (o l’area di proprietà della società appellata, con la quale comunque “l’accordo iniziale è in seguito venuto meno”), avrebbe potuto garantire un’adeguata copertura della rete di telefonia mobile, mentre una diversa localizzazione avrebbe comportato un “grave danno non solo per la porzione di territorio di Roma che attualmente usufruisce del servizio, ma anche per la frazione di rete di cui detto impianto è parte essenziale”.

Con riferimento all’attribuzione alla competenza dello Stato della fissazione di valori-soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valori di campo), stabilita dalla l. n. 36/2001, la Corte costituzionale ha evidenziato che la ratio di tale fissazione è “più complessa e articolata” della tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, poiché “si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali (…) In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese”.

Secondo la Consulta, le disposizioni di legge regionale che attribuiscono alla Giunta regionale la competenza a determinare le distanze minime - da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi” – per “la totale libertà attribuita alla Giunta ai fini della determinazione delle distanze minime, e la genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione” (Corte cost. n. 307/2003, cit.).

Sicché la giurisprudenza amministrativa considera “jus receptum il principio generale (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 3 agosto 2017 n. 3891) per il quale non sono legittimi gli atti o le misure comunali che limitino o del tutto escludano, pur anche con misure particolari ma tali da impedirne la costruzione, la localizzazione degli impianti di TLC in via generale, in assenza d’una plausibile ragione giustificativa, neppure per tutelare la salute della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici, mentre il regolamento comunale può disciplinare il corretto insediamento degli impianti nel territorio, senza, tuttavia, porre limiti generalizzati se essi sono incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale” (Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2696).

Tanto che, in considerazione della disciplina della materia delle comunicazioni elettroniche in ambito comunitario, secondo principi di semplificazione, celerità e trasparenza, codificati nel d.lgs. n. 259/2003, con riferimento alla prescrizione del legislatore regionale di valutazione di impatto ambientale, si è ritenuto che “ogni normativa, nazionale o regionale, che aggravi ingiustificatamente il procedimento di rilascio del titolo autorizzatorio, al di là dei requisiti e dei limiti previsti in via esclusiva dal Codice delle comunicazioni elettroniche, deve essere disapplicata, in forza di quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170/1984, in quanto contrastante con i fondamentali principi del diritto europeo in subiecta materia e ora recepiti, quale fonte primaria e pressoché esclusiva, appunto dal d. lgs. 259/2003” (Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 2014, n. 723).

In merito al principio di precauzione evocato dalla parte appellata e richiamato dall’art. 191, paragrafo 2, del TFUE, va condiviso l’indirizzo per cui tale principio “non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile”, ma “richiede, piuttosto e in primo luogo, una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi” (Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2020 n.5034). Una tale valutazione è stata effettuata dall’ARPA Lazio, che, anche “valutato che i valori previsionali del campo elettrico, del campo magnetico e della densità di potenza generati dall’impianto, aggiunti ai preesistenti valori del campo elettromagnetico rispettano i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità previsti dalla normativa vigente”, ha espresso parere favorevole con nota prot. n. 97487 in data 5 dicembre 2011. Nel corso del giudizio non sono emersi elementi adeguati a mettere in dubbio tale valutazione, né vi è prova o un principio di prova di un pregiudizio alla salute dei frequentatori dei campi sportivi della società appellata per effetto di campi elettromagnetici anche solo potenzialmente lesivi, sicché la valutazione tecnica effettuata dall’ARPA Lazio non può ritenersi inficiata dalla prospettazione soggettiva della parte appellata.

Dunque anche il terzo motivo d’appello deve essere considerato fondato.

6.4. Le motivazioni sopra esposte circa la fondatezza del secondo e del terzo motivo del gravame, assorbenti di ogni altra questione, esimono il Collegio, per ragioni di economia procedimentale, dall’esame del primo motivo d’appello, incentrato sulla tardività del ricorso di primo grado.

7. Per quanto sopra esposto l’appello deve essere accolto.

La natura interpretativa delle questioni esaminate costituisce giustificato motivo per la disposizione della compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2022 con l’intervento dei magistrati:

Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente

Cecilia Altavista, Consigliere

Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore

Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere