Cass. Sez. III sent. 20444 del 25 maggio 2007 (Ud. 23 feb. 2007)
Pres. Lupo Est. Gazzarra Ric. Ciullo
Rifiuti. Disciplina delle sanse umide

La legge 11 novembre 1996 n. 574 prevede una particolare disciplina alternativa a quella sui rifiuti, ma soltanto per le sanse umide che ricevano una utilizzazione agronomica, onde solo in questa particolare ipotesi la gestione delle sanse non deve osservare la normativa sui rifiuti dettata dal dagli artt. 177 e seguenti del D.Lv.152- 2006). Tale rapporto tra la disciplina dei rifiuti e la legge 574-96 (la quale ultima va integrata, peraltro, con le disposizioni dettate dall'art. 112 del D.Lv. n.152-2006) trova chiara esplicitazione nell'art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 6 luglio 2005 (di attuazione dell' art.38, comma 2, del D.Lv. 152-1999), secondo cui "l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide disciplinata dalla legge n.574 del 1966 e dal presente decreto è esclusa, ai sensi dell'art.8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.22, dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo". La disposizione normativa (di fonte avente natura secondaria) esprime un principio chiaramente desumibile dalla disciplina di fonte primaria a cui essa dà attuazione: le sanse umide non sono soggette alla disciplina sui rifiuti soltanto se ad esse viene data una utilizzazione agronomica.

Svolgimento del processo

Francesco Ciullo era citato a giudizio davanti al Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase per rispondere: a) del reato previsto dagli artt. 27, 28 e 51, comma 3, d.lgs. n. 22/1997 perché, quale legale rappresentante della società cooperativa “Agritur Servizi a r.l.”, società che gestiva il frantoio oleario ubicato in località Pagliata Rosso, realizzava, in un fondo agricolo adiacente all’opificio predetto, una discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi costituiti da scarti vegetali provenienti dalla lavorazione delle olive, ed in particolare da sansa umida, provenienti dai locali del vicino frantoio, in tal modo determinando una vasta area di lagunaggio; b) del reato previsto dall’art. 674 c.p. per avere, nella qualità anzidetta e mediante la condotta descritta sub a), cagionato emissioni di gas ed odori nauseabondi nel centro abitato di Patù, distante pochi metri (reati commessi fino al 3 dicembre 2002).

Il menzionato Tribunale, in composizione monocratica, con la sentenza depositata il 14 aprile 2005, affermava la responsabilità del Ciullo per i reati ascrittigli, previa riqualificazione del reato di cui al capo a) in quello di cui all’art. 59, comma 11-ter, del d. lgs. n. 152/1999, e, concesse le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, lo condannava alla pena dì Euro 2.500,00 di ammenda, ordinando il ripristino dello stato originario dei luoghi, con sospensione della pena subordinata allo stesso ripristino. In ordine al reato di cui al sopra trascritto capo a), il giudicante riteneva che non poteva trovare applicazione il d.lgs. n. 22/l997, contestato all’imputato, in quanto tale testo normativo “non interviene nella disciplina dello smaltimento degli scarti dell’industria olearia”.

Avverso la detta sentenza il Ciullo ha proposto ricorso per cassazione deducendo “violazione di legge: art. 606 lett. b) c.p.p. - in relazione all’art. 59, comma 11-ter del d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152 - art. 674 c.p., - art. 14 legge 178/2002 e art. 6, comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 22/1997 - inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale - violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e sentenza”, nonché “violazione di legge: art. 606, lett. c) mancanza e/o subordinata manifesta illogicità della motivazione anche per travisamento del fatto ed apodittica ritenuta sussistenza del medesimo”.

Il ricorrente ritiene che la presente fattispecie ricada nell’ambito di applicazione della legge 11 novembre 1996 n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi di frantoi oleari), che commina soltanto sanzioni amministrative (v. l’art. 8 della legge n. 574/1996), perché si è in presenza di una “riutilizzazione agronomica delle sanse”, in quanto la cooperativa agricola “utilizzava le sanse come concime per i terreni”. La sentenza impugnata - rileva il ricorrente - è contraddittoria, perché, da un lato, ha ritenuto che vi sia stata l’utilizzazione agronomica delle sanse (e perciò ha escluso l’applicabilità del d.lgs. n. 22/l997) e, dall’altro, ha affermato che le sanse erano state “gettate” sul terreno antistante il frantoio oleario. In ogni caso - continua il ricorrente - non può trovare applicazione l’art. 59-ter del d.lgs. n. 152/l999, che si riferisce soltanto alle “acque di vegetazione” dei frantoi oleari, non prodotte dall’impianto oleario in discorso e comunque estranee alla contestazione.

Il ricorrente, inoltre, contesta la sussistenza della contravvenzione prevista dall’art. 474 c.p., osservando che “le sanse umide non provocano odori nauseabondi e, comunque, gli stessi, se sussistenti per il periodo necessario al compimento di operazioni lecite, non possono costituire reato”.

Infine, il ricorrente chiede la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, di cui non intendeva usufruire.

 

Motivi della decisione

1. - Il ricorso dell’imputato è fondato nei limiti di seguito precisati.

Per quanto attiene al reato contestato sub capo a), la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la contravvenzione prevista dall’art. 59, comma 11-ter, del d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152 (sulla tutela delle acque dall’inquinamento), il quale punisce con ammenda o arresto “chiunque effettua l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari nonché delle acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’art. 38 al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste”. Tale fattispecie normativa, riferendosi alle “acque di vegetazione dei frantoi oleari”, appare essere diversa - come ha rilevato il ricorrente - da quella contestata all’imputato, la quale concerne i rifiuti costituiti “da scarti vegetali provenienti dalla lavorazione delle olive, ed in particolare da sansa umida”. La sansa è un residuo della spremitura dell’olio dalle olive costituito da detriti di buccia, polpa e nocciolo, il quale è diverso dalle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccaniche delle olive. Ed infatti l’art. 1 della legge 11 novembre 1996 n. 574 (citata in narrativa) distingue, nei due commi di cui esso è composto, le acque di vegetazione dei frantoi oleari dalle sanse umide, mentre il comma 1l-ter del citato art. 59 si riferisce soltanto alle acque di vegetazione. Non sembra, pertanto, che la sanzione penale dettata da quest’ultima norma con riferimento alle acque di vegetazione dei frantoi oleari sia estensibile anche alle sanse umide.

Ma soprattutto - e ciò è assorbente di ogni altra questione - la disposizione normativa applicata dal Tribunale (e cioè l’art. 59, comma 11-ter, del d.lgs. n. 152/1999) contrasta radicalmente con l’accertamento di fatto che risulta dalla sentenza impugnata, perché ivi si legge che “dall’istruttoria dibattimentale è emerso in modo chiaro che la sansa vergine non veniva utilizzata per finalità agronomiche”, mentre l’applicazione del citato comma 1l-ter dell’art. 59 presuppone, al contrario, la sussistenza di una “utilizzazione agronomica” delle sostanze indicate nella norma (qualunque esse siano), anche se “al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente”.

Deve, pertanto, giudicarsi errata la sentenza impugnata che ha affermato la responsabilità dell’imputato per un reato diverso da quello contestato e soprattutto sulla base di un fatto non rientrante nella ritenuta fattispecie legale.

2.- Il rilevato errore della sentenza impugnata dipende dal fatto che il Tribunale è partito da una affermazione giuridica non corretta. Il giudicante, invero, ha escluso l’applicabilità al caso in esame del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, sui rifiuti, la cui violazione era stata contestata con il decreto di citazione a giudizio (nel capo a), perché ha ritenuto che tale testo normativo “non interviene nella disciplina dello smaltimento degli scarti dell’industria olearia”, traendo argomento dal disposto dell’art. B del d.lgs. n. 22/1997.

Questa affermazione giuridica non è esatta.

L’art. 8 in ultimo citato non esclude le sanse umide provenienti dalla lavorazione delle olive dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 22/l997. E’ vero che, come osserva il ricorrente, la già citata legge 11 novembre 1996 n. 574 prevede una particolare disciplina alternativa a quella sui rifiuti, ma soltanto per le sanse umide che ricevono una utilizzazione agronomica, onde solo in questa particolare ipotesi la gestione delle sanse non deve osservare la normativa sui rifiuti dettata dal d.lgs. n. 22/1997 (ed oggi dagli artt. 177 e seguenti del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152). Tale rapporto tra la disciplina dei rifiuti e la legge n. 574/96 (la quale ultima va integrata, peraltro, con le disposizioni dettate dall’art. 38 del d.lgs. 152/1999, e oggi dall’art. 112 del d.lgs. n. 152/2006) trova chiara esplicitazione nell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 6 luglio 2005 (di attuazione dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 152/1999), secondo cui “l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide disciplinata dalla legge n. 574 del 1966 e dal presente decreto è esclusa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo”. La disposizione normativa ora trascritta (di fonte avente natura secondaria) è successiva al fatto oggetto del presente giudizio, ma essa esprime un principio chiaramente desumibile dalla disciplina di fonte primaria a cui essa dà attuazione: le sanse umide non sono soggette alla disciplina sui rifiuti soltanto se ad esse viene data una utilizzazione agronomica (in tal senso v. ora Cass. 4 aprile 2007 n. l3754).

La sentenza impugnata ha accertato in fatto che la sansa proveniente dalla lavorazione delle olive effettuata nel frantoio dell’imputato non era utilizzata per finalità agronomiche. Il giudicante avrebbe dovuto, pertanto, fare applicazione della disciplina sui rifiuti, la cui violazione era stata contestata all’imputato nel capo a) dell’imputazione.

Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per consentire un nuovo giudizio sulla sussistenza del reato contestato all’imputato. Tale annullamento con rinvio comporta l’assorbimento di ogni altra questione posta dal ricorrente relativamente all’interpretazione del d.lgs. n. 22/l 997.

3. - E’ assorbita anche la censura relativa alla condanna per l’art. 674 c.p., il quale punisce chiunque provoca emissioni di gas (ed odori nauseabondi) soltanto “nei casi non consentiti dalla legge”. L’accertamento sulla sussistenza del reato contestato all’imputato nel capo a), e quindi sulla conformità a legge (o meno) della condotta da lui posta in essere, condiziona, pertanto, anche il giudizio sulla esistenza della contravvenzione in esame (contestata nel capo b).

4. - L’annullamento della sentenza di condanna comporta la caducazione della sospensione condizionale della pena, onde anche su questo punto dovrà pronunziarsi nuovamente il giudice di rinvio, che, a norma dell’art. 623, lettera d), c.p.p. va identificato nel Tribunale di Lecce (nella persona di diverso giudicante).