Cass. Sez. III n. 32058 del 24 luglio 2013 (Ud. 20 feb. 2013)
Pres. Fiale Est. Rosi Ric. Ruffatti
Caccia e animali. Articolo 30 lett. h) della legge 157 del 1992
La fattispecie di reato prevista nell'art. 30 lett. h) della legge 157 del 1992 si riferisce alla diversa ipotesi di "caccia non consentita" non in relazione al tempo, ma alle specie, sicché non vieta l‘esercizio della caccia, ma l'abbattimento, la cattura e la detenzione. Giova poi ricordare che l’art. 18, secondo comma, legge 157 del 1992 prevede espressamente che, per l'esercizio della caccia, "la stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione degli ungulati sulla base di piani di abbattimento selettivi approvati dalle Regioni".
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. FIALE Aldo - Presidente - del 20/02/2013
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 520
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - rel. Consigliere - N. 27489/2012
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
RUFFATTI ALESSANDRO N. IL 28/03/1933;
avverso la sentenza n. 3472/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del 07/12/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Izzo G., che ha concluso per il rigetto;
Udito il difensore Avv. Bonsanto Franco che ha chiesto l'annullamento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 ottobre 2010, il Tribunale di Verbania ha dichiarato Ruffatti Alessandro colpevole del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. a) per aver abbattuto un esemplare di capriolo in periodo di divieto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi tre di arresto; fatto commesso in Baceno, l'1 novembre 2008. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 7 dicembre 2011, in parziale riforma, ha ridotto la pena inflitta a mesi due di arresto.
3. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi; 1) Mancata assunzione di prova decisiva, con riferimento alla testimonianza del sig. Stefano Corda, presente sul piazzale della cava, indicato quale teste di accusa e per il quale la difesa aveva avanzato richiesta di controesame, che avrebbe potuto riferire sulla provenienza del colpo d'arma da fuoco; 2) Mancanza e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: la Corte avrebbe ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in base alle dichiarazioni rese dai testi Genini e Pallotta circa la provenienza dello sparo dalla baita dell'imputato; in realtà, le dichiarazioni rese risulterebbero discordanti e contraddittorie, per cui sarebbe stato necessario escutere anche il teste Corda; la decisione sarebbe altresì illogica poiché il Collegio avrebbe fondato la responsabilità dell'imputato su elementi meramente indiziari; 3) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, perché il reato di cui alla L. 157 del 1992, art. 30 lett. a) non sarebbe configurabile nel caso di specie, dovendosi distinguere l'esercizio di caccia nel periodo di divieto generale di cui alla norma citata, dal concetto di "archi temporali" di cui all'art. 18 della stessa legge, che fissa le date di apertura e di chiusura della caccia delle singole specie: a parere della difesa, l'interpretazione seguita dai giudici di merito appare in contrasto con la rado legis, svuotando di significato la fattispecie di cui all'art. 30, comma 1, lett. h), della stessa legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato perché infondato. Infatti, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, PG in proc. Ligresti, Rv. 229666; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari e altro, Rv. 228353), nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, e tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivata. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine al diniego della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, evidenziando con motivazione priva di smagliature logiche, come le acquisizioni processuali fossero complete e deponessero per la responsabilità dell'imputato, concludendo per la superfluità della testimonianza richiesta, dal momento che, in base alle altre testimonianze escusse, era stato acclarato che lo sparo vi era stato ed infatti i testi lo avevano immediatamente segnalato al Comando della Polizia Provinciale, ed inoltre i testi avevano avuto conferma della provenienza dello stesso nei pressi della baita dell'imputato, avendo visto la fuga di alcuni caprioli da quella area verso il bosco retrostante.
2. Risulta parimenti destituito di fondamento il secondo motivo di ricorso, poiché le censure prospettate dal ricorrente, sempre attinenti alla provenienza dello sparo, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto ed all'apprezzamento del materiale probatorio, i quali sono di esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità - in sede di controllo sulla motivazione - non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili.
3. Va poi ricordato che è principio pacifico nella giurisprudenza che quando le sentenze di primo e secondo grado "concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente" (Sez. 4, n. 15227 del 14/0J2/2008, Baretti, Rv. 239735). Pertanto questo Collegio ritiene che i giudici di merito abbiano correttamente illustrato le ragioni per le quali hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell'Imputato in ordine al reato contestatogli, laddove i motivi di ricorso proposti dal ricorrente ribadiscono censure già puntualmente disattese con motivazioni che non presentano errori giuridici o manifeste illogicità. Infatti è stata ritenuta priva di pregio l'impostazione difensiva: i giudici di merito hanno sottolineato con un ragionamento privo di smagliature logiche, tutti gli accertamenti che conducevano al giudizio di responsabilità: i pantaloni stesi ad asciugare e lo zaino bagnato, contenente tracce di sangue e pelo di animale, che non potevano che essere stati utilizzati il giorno precedente, posto che era stato lo stesso imputato a dichiarare di non essere uscito di casa la mattina del 2 novembre; il punto di foraggiamento artificiale creato per attirare gli animali nei pressi della baita e soprattutto il possesso di un'arma da fuoco nonché di mezzo capriolo già sezionato e scuoiato già alle 14:00 del giorno di apertura della stagione di caccia. Tali elementi rendevano del tutto insostenibile la tesi dell'imputato di avere ricevuto l'animale in dono da uno sconosciuto cacciatore.
3. Infine, risulta destituito di fondamento anche l'ultimo motivo di ricorso, che lamenta erronea applicazione di legge. Questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 39287 del 11/10/2005, Rossi, Rv. 232365) ha affermato, infatti, che il reato di esercizio venatorio in periodo di divieto generale, previsto dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. a), è configurabile anche nel caso in cui venga abbattuto un esemplare nel periodo della stagione venatoria, ma al di fuori del più limitato arco temporale nel quale, ai sensi dell'art. 18 della citata Legge, è consentita la caccia alla specie cui l'animale abbattuto apparteneva. Invero, l'art. 30 nel sanzionare le condotte vietate richiama integralmente la L. 157 del 1992, art. 18 sicché il divieto di caccia va inteso sia in via generale, sia in via specifica, potendo la Regione svolgere un ruolo integrativo rispetto allo Stato. Ne consegue che il concetto di divieto "generale" fissato dalla L. n. 157 del 1992, art. 18 va inteso con riferimento non solo all'arco temporale nel quale la caccia è sospesa per tutte le specie cacciabili, ma anche in relazione ai divieti specifici per singole specie nelle diverse situazioni territoriali, posti dalle Regioni con legge, oppure con autorizzazioni dei piani di abbattimento delle Riserve faunistico- venatorie. Al contrario, la fattispecie di reato prevista nella L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. h) si riferisce alla diversa ipotesi di "caccia non consentita" non in relazione al tempo, ma alle specie, sicché non vieta l'esercizio della caccia, ma l'abbattimento, la cattura e la detenzione. Giova poi ricordare che l'art. 18, comma 2, cit. L. prevede espressamente che, per l'esercizio della caccia, "la stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione degli ungulati sulla base di piani di abbattimento selettivi approvati dalle Regioni".
4. Orbene, nel caso di specie, la parte motiva della sentenza impugnata ha correttamente evidenziato come, per la stagione 2008- 2009, la Giunta Regionale del Piemonte aveva approvato un calendario venatorio che per la caccia agli ungulati, e quindi per il capriolo, nella zona Antigorio - Formazza, aveva fissato due distinti periodi (dal 3 settembre al 5 ottobre e dal 2 al 16 novembre), sicché essendo stato accertato che l'imputato aveva abbattuto il capriolo in data 1 novembre 2008, i giudici di merito hanno ritenuto configurabile nel caso di specie la fattispecie di cui all'art. 30, lett. a), cit. L..
Di conseguenza il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013