Cass. Sez. III n. 32837 del 29 luglio 2013 (Ud. 27 giu. 2013)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Prota ed altra
Caccia e animali. Concetto di lesione

Sebbene il concetto di lesione, nell'ipotesi contemplata dall'art.544-ter cod. pen., non debba ritenersi perfettamente sovrapponibile a quello previsto dall'art. 582 cod. pen., esso implica comunque la sussistenza di un apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell'animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 27/06/2013
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 1543
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere - N. 14472/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROTA MICHELE N. IL 14/09/1967;
DE MARIA ELENA MARIA N. IL 04/04/1961;
avverso l'ordinanza n. 500006/2013 TRIB. LIBERTÀ di TORINO, del 28/01/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del PG Dott. A. Policastro annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Torino, quale giudice del riesame, con ordinanza del 28.1.2013, ha respinto l'appello proposto avverso l'ordinanza, in data 10.1.2013, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale medesimo aveva rigettato la richiesta di dissequestro di quattordici cani adulti e di sei cuccioli sottoposti a vincolo reale nell'ambito di un procedimento che vede indagati PROTA Michele e Elena Maria DE MARIA del reato di cui all'art. 544 ter c.p..
Avverso tale pronuncia i predetti propongono ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, lamentando che il provvedimento in esame avrebbe preso in considerazione la mera sussistenza del fumus del reato ipotizzato senza alcun riferimento alle concrete risultanze processuali concernenti le effettive modalità di detenzione degli animali, non corrispondendo al vero che tutti i cani fossero detenuti in spazi inferiori agli otto metri quadrati per animale adulto, esposti alle intemperie ed affetti da patologie o da magrezza evidente, avendo le produzioni difensive dimostrato una diversa situazione generale e giustificato le condizioni di alcuni animali.
3. Con un secondo motivo di ricordo lamentano la insussistenza degli elementi costitutivi del reato, desumibile, per ciò che concerne l'elemento oggettivo, dalle effettive condizioni di detenzione degli animali non considerate dai giudici del riesame e, riguardo all'elemento soggettivo, per la non dimostrata presenza del dolo. Osservano, a tale proposito, che la condotta descritta nel provvedimento impugnato non contiene riferimenti a condotte concernenti sevizie, comportamenti, fatiche o lavori, limitandosi a richiamare, in generale, condizioni di vita incompatibili con le caratteristiche etologiche degli animali riconducibili, piuttosto, alla fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 727 c.p.. 4. Con un terzo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge rilevando che, non potendosi ravvisare, nei fatti oggetto di provvisoria incolpazione, il delitto di cui all'art. 544 ter c.p., bensì la contravvenzione contemplata dall'art. 727 c.p., la misura reale non sarebbe giustificata dalla finalità di confisca, essendo tale misura di sicurezza prevista dall'art. 544 sexies, solo per i delitti ivi richiamati.
Aggiungono, inoltre, che risulterebbe insussistente anche il periculum in mora, essendo stata dimostrata l'intenzione di provvedere ad una migliore sistemazione delle aree destinate agli animali ed ottenuto il rilascio, per alcuni locali destinati ad accogliere equini, ovicaprini e bovini, delle necessarie autorizzazioni.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato e non può essere accolto.
Nel primo motivo di ricorso viene sollevata la questione concernente i limiti della cognizione dei giudici del riesame, lamentando i ricorrenti una non completa valutazione delle emergenze processuali offerte al Tribunale delle deduzioni difensive, mentre nel secondo motivo di ricorso analoghe considerazioni vengono svolte anche con riferimento all'elemento soggettivo del reato.
L'ambito di operatività della competenza del giudice del riesame è stato compiutamente delimitato dalla giurisprudenza di questa Corte, ricordando che esso concerne la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare e non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito sulla responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, dovendosi invece limitare al controllo di compatibilita tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SS. UU. n. 7, 4 maggio 2000 ed altre succ. conf.), pur permanendo l'obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3^ n. 27715, 16 luglio 2010;
Sez. 3^ n. 18532, 17 maggio 2010).
Si è anche affermato che compito del Tribunale del riesame è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pi. Sez. 4^ n. 15448, 20 aprile 2012; Sez. 3^ n. 27715/2010 cit; Sez. 3^ n. 26197, 9 luglio/2010; Sez. 3^ n. 18532/2010 cit., con ampi richiami ai precedenti).
6. Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall'estendersi ad ogni questione prospettata dall'indagato, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla fondatezza del fumus del reato.
Il principio di diritto è stato successivamente riaffermato, con l'ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell'apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al "fumus commissi delicti" (Sez. 3^ n. 19331, 17 maggio 2011; Sez. 3^ n. 7242, 25 febbraio 2011 non massimate).
7. Quanto alla valutazione sull'elemento psicologico, si è ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (Sez. 3^ n. 16497, 11 aprile 2013, Sez. 2^ n. 2808, 21 gennaio 2009; Sez. 4^ n. 23944, 12 giugno 2008; Sez. 1^ n. 21736, 4 giugno 2007. Si veda anche Corte Cost. ord. 157, 18 aprile 2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni). 8. Ciò posto, deve rilevarsi come i giudici del riesame, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, abbiano fatto buon uso dei principi appena richiamati.
Invero, nel provvedimento impugnato viene dato compiutamente atto delle risultanze investigative, illustrando nel dettaglio gli esiti di ripetuti sopralluoghi effettuati (due nel mese di luglio 2012, uno a fine novembre e l'ultimo nei primi giorni di dicembre dello stesso anno) presso la cascina dei ricorrenti, evidenziando le condizioni in cui gli animali erano detenuti: spazi ristretti, esposti alle intemperie e senza lavaggio delle feci.
Viene altresì specificato che, dopo il secondo sopralluogo, il sindaco del comune di Vinovo aveva emesso un'ordinanza con la quale disponeva il ricovero di gran parte degli animali presso strutture apposite e che, anche negli ultimi due controlli, il personale intervenuto aveva constatato il perdurare delle medesime condizioni nonché la presenza di cani affetti da diverse patologie o in stato di eccessiva magrezza.
Il puntuale richiamo agli esiti dei reiterati sopralluoghi è accompagnato dall'esame critico delle doglianze difensive da parte del Tribunale il quale, dopo averne riassunto i contenuti, ne evidenza l'infondatezza, osservando come non vi fossero elementi atti a far ritenere l'inattendibilità di quanto verbalizzato dagli operanti e come le circostanze accertate non fossero state espressamente negate dagli indagati, i quali si erano limitati a rivendicare la loro buona fede.
Quanto all'elemento soggettivo, i giudici non mancano di osservare che i ricorrenti risultavano essere ben consapevoli delle effettive condizioni di vita cui erano costretti gli animali.
Si tratta, dunque, di uno sviluppo argomentativo che dimostra ampiamente come il Tribunale non sia affatto venuto meno all'obbligo di esaustiva verifica del fumus del reato ipotizzato anche alla luce delle allegazioni difensive entro il limitato ambito cognitivo attribuitogli quale giudice del riesame.
9. Perimenti corretta risulta, ad avviso del Collegio, la qualificazione giuridica della condotta che il secondo motivo di ricorso pone anche in discussione.
L'art. 544 ter c.p., è stato introdotto nel codice, unitamente ad altre disposizioni relative al sentimento per gli animali, dalla Legge 20 luglio 2004 n.189, recante "Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché l'impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate". Esso, come è noto, sottopone a sanzione diversi comportamenti, quali il cagionare con crudeltà o senza necessità una lesione ad un animale; il sottoporlo a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche; il somministrare ad animali sostanze stupefacenti ed il sottoporre un animale a trattamenti che procurano un danno alla salute. Il legislatore è contestualmente intervenuto sull'art. 727 c.p., restringendone l'ambito di applicazione all'abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudine alla cattività e la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura o comunque produttive di gravi sofferenze.
Parte delle condotte originariamente contemplate da tale ultima disposizione sono infatti confluite, seppure con diversa formulazione, nell'art. 544 ter c.p., e sono caratterizzate dalla volontarietà della condotta.
Oltre che per il diverso elemento soggettivo richiesto, i due reati si distinguono per le finalità perseguite, in quanto il riferimento all'abbandono ed alla detenzione impropria di cui tratta l'art. 727 c.p., pare esclusivamente destinato ad assicurare che il possesso dell'animale da parte del detentore sia esercitato con modalità compatibili con la natura dell'animale medesimo, mentre il delitto mira a tutelare l'integrità fisica dell'animale rispetto a comportamenti volontari finalizzati a procurare sofferenza, lesioni o morte.
Il tenore letterale dell'art. 544 ter, consente, inoltre, di ritenere che il requisito della crudeltà o dell'assenza di necessità non sia richiesto per la configurazione del reato quando la condotta determini una conseguenza diversa dalle lesioni, quali la sottoposizione dell'animale a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, dovendosi in tal caso operare una distinzione analoga a quella a suo tempo effettuata con riferimento all'art. 727 c.p., nella sua precedente formulazione (Sez. 3^ n. 601, 29 gennaio 1997).
Quanto all'evento, deve rilevarsi che, rispetto alla lesione, questa Corte ha già avuto modo di affermare che non è necessaria una vera e propria alterazione psicofisica dell'animale, qualificabile come "malattia", perché a differenza di quanto specificato dall'art. 582 c.p., rispetto agli animali non è significativamente richiesta l'insorgenza di una "malattia nel corpo o nella mente" e che una tale insorgenza, specie con riguardo alle condizioni psichiche, sarebbe anche di non facile verificabilità in un animale, pur facendosi ricorso alle nozioni di scienza veterinaria (Sez. 3^ n. 5979 del 7 febbraio 2013).
10. Tale principio va senz'altro condiviso, con l'ulteriore precisazione che sebbene il concetto di lesione, nell'ipotesi contemplata dall'art. 544 ter c.p., non debba ritenersi perfettamente sovrapponibile a quello previsto dall'art. 582 c.p., esso implica comunque la sussistenza di un apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell'animale che, pur non risolvendosi In un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva.
11. Per ciò che riguarda la sottoposizione dell'animale a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, deve osservarsi che la descrizione si prospetta di ampiezza tale da contemplare le situazioni più disparate (si vedano, ad esempio, Sez. 3^ n. 5979 del 7 febbraio 2013, cit. con riferimento alla costrizione di un animale all'accoppiamento con una donna finalizzata alla realizzazione di un film pornografico; Sez. 3^ n. 26368, 6 luglio 2011, non massimata, in tema di custodia in condizioni igieniche precarie; Sez. 3^ n. 15061, 13 aprile 2007 riguardante l'abuso nell'utilizzazione di un collare elettrico "anti-abbaio").
Quanto all'elemento soggettivo, si è chiarito che la fattispecie in esame configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale sia tenuta "per crudeltà", mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta sia tenuta "senza necessità" (Sez. 3^ n. 7661, 10 gennaio 2012; Sez. 3^ n. 26368, 6 luglio 2011, cit; Sez. 3^ n. 44822, 30 novembre 2007; Sez. 3^ n. 46784, 21 dicembre 2005 non massimata sul punto).
Ciò è stato successivamente ricordato (Sez. 3^ n. 5979 del 7 febbraio 2013, cit.) richiamando anche la natura di reato a forma libera della violazione in esame ed osservando come, in caso di condotta omissiva, sia necessario accertare, in ragione di quanto stabilito dall'art. 40 cpv. c.p., che sull'agente incomba l'obbligo giuridico di impedire l'evento e che il dolo, generico laddove la condotta sia caratterizzata da assenza di necessità, può anche assumere la forma di dolo eventuale quando il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione, accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l'esito, che attraverso la propria prolungata omissione si verifichi l'evento. 12. Nella fattispecie, a quanto è dato rilevare dal tenore del provvedimento impugnato, le condizioni di custodia degli animali accertate all'esito dei sopralluoghi risultavano aver provocato ad alcuni animali lesioni, nel senso in precedenza delineato, opportunamente documentate e la detenzione era, in ogni caso, effettuata con modalità (collocazione in ambienti non adeguati, esposti alle intemperie e senza la rimozione delle feci) tali da imporre agli animali un comportamento incompatibile con le loro caratteristiche etologiche, dovendosi gli stessi necessariamente adattare alle inadeguate condizioni di vita determinate dalla condotta dei proprietari i quali, pur consapevoli del loro stato accertato nel primo sopralluogo, hanno continuato a tenerli nelle medesime condizioni, così accettando il rischio del verificarsi di più gravi eventi.
I giudici del riesame hanno pertanto correttamente ritenuto astrattamente configurabile il reato di cui all'art. 544 ter c.p.. 13. Parimenti corretto risulta il riconoscimento del periculum in mora, posto in dubbio nel terzo motivo di ricorso.
La corretta collocazione dei fatti nell'alveo dell'art. 544 ter c.p., rende superflua ogni questione inerente la confiscabilità degli animali, espressamente prevista, per tale reato, come ricordano gli stessi ricorrenti, dall'art. 544 sexies c.p..
Il Tribunale ha inoltre chiaramente specificato, avuto riguardo agli esiti dei sopralluoghi svoltisi nell'arco di alcuni mesi, che se gli animali non fossero stati sottratti ai ricorrenti, questi avrebbero continuato a mantenerli nel medesimo modo e che le mutate condizioni della cascina ove gli animali erano alloggiati, mediante l'esecuzione di opere di miglioria, non risultavano documentate da una formale certificazione dell'ASL, la quale aveva attestato esclusivamente l'idoneità di una stalla per l'allevamento di animali diversi dai cani, bensì da una dichiarazione di un geometra, privato cittadino, non idonea a far ritenere venute meno la necessità del vincolo reale.
Risulta dunque evidente anche l'infondatezza di tale ultimo motivo di ricorso.
14. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2013