TAR Lombardia (BS) Sez.II n.355 del 2 marzo 2012
Urbanistica.Contributi dovuti per il rilascio del titolo abilitativo
La controversia sull’esatta quantificazione dei contributi dovuti per il rilascio delle concessioni edilizie/permessi di costruire attiene a diritti patrimoniali che non dipendono dall’esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale e che, pertanto, sono azionabili nei normali tempi di prescrizione. Tali liti – devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall’art. 16 della L. 28/1/1977 n. 10 – involgono giudizi relativi all’esistenza o all’entità di un’obbligazione legale
N. 00355/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01023/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1023 del 2002, proposto da:
Astoria Srl, rappresentata e difesa dall’avv.to Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Via Vittorio Emanuele II n. 60;
contro
Comune di Salò, rappresentato e difeso dall’avv.to Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Viale della Stazione n. 37;
per l’annullamento
- IN PARTE QUA DELLA CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA IN DATA 25/6/2002, RILASCIATA ALLA CONTROINTERESSATA PER LA RISTRUTTURAZIONE DELL’IMMOBILE DI VIA SPIAGGIA D’ORO E IL MUTAMENTO DI DESTINAZIONE D’USO DA ALBERGO A CASA DI CURA;
- DELLE NOTE DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO DEL 14/5/2002, DEL 30/5/2002, DEL 26/6/2002;
- DI OGNI ALTRO ATTO PRESUPPOSTO E/O CONSEGUENTE;
e per la condanna
ALLA RESTITUZIONE DELLA SOMMA DI € 162.329,63 ILLEGITTIMAMENTE RICHIESTA, OLTRE AD INTERESSI, E DELLA CIFRA DI € 25.823 ILLEGALMENTE PRETESA PER “ARREDO URBANO”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Salò;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2012 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società ricorrente è proprietaria di un immobile in Barbarano di Salò, identificato ai mappali 5236-5237 Fg. 28, già adibito a struttura alberghiera.
Riferisce in punto di fatto quanto segue:
- il 18/12/1998 la Società presentava all’amministrazione una comunicazione per l’esecuzione di opere interne, consistenti nell’ammodernamento tecnologico ed organizzativo della struttura alberghiera esistente (edificio principale), ed in altri interventi manutentivi nel corpo minore;
- il sopralluogo compiuto il 14/9/2001 dai funzionari comunali permetteva di accertare il mantenimento di volume, superficie, sagoma, aspetto esteriore, numero di piani preesistente, e che non risultava posto in essere alcun cambio di destinazione d’uso;
- gli organi di vigilanza effettuavano un altro sopralluogo il 22/3/2002, e davano conto di interventi aggiuntivi e modificativi rispetto alla D.I.A. presentata il 18/12/1998;
- il 9/4/2002 il Responsabile del Settore urbanistica disponeva la sospensione dei lavori, qualificabili secondo parte ricorrente come manutenzione straordinaria;
- il Comune di Salò aveva già adottato una variante semplificata, definitivamente approvata con atto consiliare 27/9/2001 n. 52, che collocava l’edificio ex hotel Astoria in zona SP3 per attrezzature di interesse comune, mentre con D.G.R. 6/7/2001 n. VII/5432 era stato concesso il nulla osta per la trasformazione del fabbricato alberghiero in struttura di ricovero e cura con capacità ricettiva di 100 posti letto (60 per riabilitazione neuromotoria e 40 per lungodegenza riabilitativa);
- è stata predisposta la pratica per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria;
- in data 25/2/2002 il Consiglio comunale ha approvato lo schema di convenzione urbanistica.
Sostiene parte ricorrente che i lavori nell’edificio sono stati realizzati dopo il rilascio dei nulla osta per la trasformazione dell’edificio in struttura di ricovero e cura, e che nella sostanza comportano un mero adeguamento funzionale e manutentivo della struttura preesistente, rimasta inalterata per sagoma, volumetria e aspetto esteriore. Peraltro nella convenzione si dà conto dell’interesse pubblico all’intervento (art. 3) e della sua natura gratuita connessa alla destinazione sanitaria (art. 9 comma f della L. 10/77).
La domanda di concessione in sanatoria del 4/4/2002 (poi sostituita da altra istanza del 13/5/2002) descriveva le opere compiute (modifiche in parziale difformità alla D.I.A. del 18/12/1998, con spostamento all’interno di alcune tramezze, formazione di due nuovi montacarichi a servizio del piano interrato, ridimensionamento del piano interrato della piscina per riabilitazione, formazione di un nuovo locale quadri elettrici; all’esterno traslazione della scala in ferro esistente, realizzazione di nuove porte scorrevoli, trasformazione di alcune finestre in porte, eliminazione di alcuni gradini). Era precisato che non era aumentato il volume, né modificata la sagoma degli edifici, né cambiata la destinazione d’uso, con conseguente qualificazione come manutenzione straordinaria ed esclusione di oneri concessori.
Con nota del 14/5/2002 il Responsabile del procedimento qualificava l’intervento quale ristrutturazione ex art. 31 lett. d) della L. 457/78 e, dopo aver esaminato il computo rassegnato dalla Società (che dava conto di opere edili per € 646.999,73) comunicava l’ammontare degli oneri: € 162.329,63 complessivi, di cui € 31.492,43 per sanzione ex art. 13 della L. 47/85, € 130.837,20 per contributo sul costo di costruzione (pari al 12% del valore individuato in € 1.090.309,99); inoltre erano aggiunti € 25.823 per il miglioramento dell’arredo urbano (art. 7 della convenzione urbanistica).
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione la ricorrente impugna la concessione in epigrafe limitatamente alla quantificazione degli oneri, deducendo i seguenti motivi di diritto:
a) Violazione dell’art. 31 lett. b) e d) della L. 457/78, dell’art. 9 della L. 10/77, degli artt. 2 e ss. della L.r. 1/2001, dell’art. 43 delle N.T.A. del P.R.G., eccesso di potere per erronea rappresentazione del dato di fatto, contraddittorietà manifesta, sviamento della causa, dato che gli interventi richiesti riguardavano solo il riutilizzo di un edificio esistente (per il quale era stata assentita la modifica della destinazione d’uso) senza incidere su sagoma, volume e superfici e senza aggravare il carico urbanistico;
b) Violazione degli artt. 9 lett. f) e 10 della L. 10/77, dato che la concessione è rilasciata a titolo gratuito per impianti, attrezzature e opere pubbliche o di interesse generale, e una casa di cura già riconosciuta a livello regionale (convenzionata con il S.S.N.) è una struttura sanitaria di interesse generale;
c) Eccesso di potere per erronea quantificazione dell’importo dovuto, poiché la sanzione di cui all’art. 13 della L. 47/85 va rapportata alla tipicità dell’intervento effettuato e l’indicazione di € 31.492,43 non consente un controllo di legittimità, mentre (in via subordinata) il costo di costruzione va rapportato all’entità delle opere descritte nel computo (pari a € 646.999,43) e l’onere per l’arredo urbano rappresenta una richiesta illegittima poichè la zona è già urbanizzata.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale rilevando in punto di fatto che:
• il sopralluogo del 22/3/2002 ha dato conto dell’avvenuto mutamento di destinazione d’uso da albergo in casa di cura, in difetto di titolo abilitativo e mediante esecuzione di opere; ad esso faceva seguito l’ordinanza di sospensione lavori del 9/4/2002;
• l’art. 6 della convenzione urbanistica 6/6/2002 dava atto della compiuta trasformazione con opere edilizie ai sensi dell’art. 26 della L. 47/85 (funzionali alla nuova destinazione), “eseguite nel decennio precedente e pertanto … onerosa”; l’art. 7 contemplava l’assunzione dell’obbligo di corrispondere la somma di € 25.823 per l’arredo urbano;
• il computo metrico estimativo della ricorrente (doc. 14) esibisce € 646.999,73 per opere murarie e € 450.540,26 per adeguamento degli impianti tecnologici.
Alla pubblica udienza del 9/2/2012 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La Società ricorrente lamenta l’erronea determinazione degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione da parte dell’amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
1. Il Comune eccepisce l’inammissibilità del gravame per acquiescenza, ed in proposito invoca l’art. 6 della convenzione urbanistica sottoscritta in data 6/6/2002 recante il riconoscimento dell’avvenuta realizzazione delle opere in difetto di concessione e l’assunzione dell’obbligo di versare gli oneri relativi (salva la possibile contestazione del quantum, con l’eccezione tuttavia dell’importo ex art. 7). Inoltre deduce la tardività del ricorso, notificato ben oltre il sessantesimo giorno dalla stipulazione dell’atto convenzionale.
Le eccezioni sono infondate.
1.1 Come ha recentemente statuito questo Tribunale (cfr. sentenza sez. I – 3/3/2011 n. 375) la controversia sull’esatta quantificazione dei contributi dovuti per il rilascio delle concessioni edilizie/permessi di costruire attiene a diritti patrimoniali che non dipendono dall’esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale e che, pertanto, sono azionabili nei normali tempi di prescrizione. Tali liti – devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall’art. 16 della L. 28/1/1977 n. 10 – involgono giudizi relativi all’esistenza o all’entità di un’obbligazione legale. Quanto all’ulteriore profilo, è vero che le opere sono state realizzate in assenza di titolo abilitativo (circostanza pacifica), e tuttavia la convenzione non si diffonde nella qualificazione del tipo di intervento nè specifica la natura dell’autorizzazione in sanatoria richiesta e soprattutto non indugia sull’ammontare degli oneri. L’importo di € 25.823 è invero espressamente pattuito, ma le ragioni evocate da parte ricorrente (assenza dei presupposti) esigono una trattazione della questione nel merito.
2. Con articolata censura parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 31 lett. b) e d) della L. 457/78, dell’art. 9 della L. 10/77, degli artt. 2 e ss. della L.r. 1/2001, dell’art. 43 delle N.T.A. del P.R.G., l’eccesso di potere per erronea rappresentazione del dato di fatto, la contraddittorietà manifesta, lo sviamento della causa, dato che gli interventi richiesti riguardavano solo il riutilizzo di un edificio esistente (per il quale era stata assentita la modifica della destinazione d’uso) senza incidere su sagoma, volume e superfici e senza aggravare il carico urbanistico. La Società Astoria richiama il contenuto dell’allegato B alla deliberazione consiliare n. 52/2001 e ribadisce che l’elemento discriminante per l’imposizione degli oneri di urbanizzazione è l’incremento del carico urbanistico, non rintracciabile nella fattispecie.
La ricorrente si duole poi della violazione degli artt. 9 lett. f) e 10 della L. 10/77, dato che la concessione è rilasciata a titolo gratuito per impianti, attrezzature e opere pubbliche o di interesse generale (e una casa di cura già riconosciuta a livello regionale convenzionata con il S.S.N. è una struttura sanitaria di interesse generale); contesta inoltre la quantificazione dell’importo dovuto, poiché la sanzione di cui all’art. 13 della L. 47/85 va rapportata alla tipicità dell’intervento effettuato e l’indicazione di € 31.492,43 non consente un controllo di legittimità, mentre (in via subordinata) il costo di costruzione va rapportato all’entità delle opere descritte nel computo (pari a € 646.999,43) e la richiesta degli oneri per le opere di arredo urbano è illegittima poichè la zona è già interamente urbanizzata.
L’ampia prospettazione merita parziale condivisione.
2.1 Anzitutto è pacifico in punto di fatto che la trasformazione in struttura sanitaria consegue ad una variante dello strumento urbanistico, ed al disposto nuovo azzonamento dell’area coinvolta da D4 a SP3 “attrezzature di interesse comune”. Il mutamento di destinazione d’uso è stato poi avallato dall’autorità regionale e dal Comune (rispettivamente con provvedimenti in data 6/7/2001 e 27/9/2001 già illustrati nell’esposizione in fatto). Non è controverso inoltre che in occasione del primo sopralluogo (in data 14/9/2001) non siano state rilevate difformità dai soggetti incaricati delle verifiche.
2.2 Un primo elemento da chiarire è il tipo di intervento edilizio compiuto in seguito dalla Società (in assenza di concessione) ed accertato nel verbale del 22/3/2002.
2.3 L’art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. 380/2001 (entrato in vigore il 30/6/2003 ma ricognitivo della statuizione racchiusa all’art. 31 comma 1 lett. d) della L. 457/78) definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti …”.
2.4 Come ha già sottolineato questo Tribunale (cfr. sentenza sez. I – 19/4/2011 n. 582) la giurisprudenza è dell’avviso che gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (cfr. T.A.R. Molise – 27/3/2009 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V – 17/12/1996 n. 1551).In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi casi si configurano il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V – 18/10/2002 n. 5775; Consiglio di Stato, sez. V – 23/5/2000 n. 2988).
La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati. L’elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente, ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo.
2.5 Nella fattispecie le modifiche rilevate nel corso del sopralluogo inducono ad ascrivere l’intervento edilizio nel genus della ristrutturazione. Nel premettere che si è innanzi alla trasformazione da albergo a casa di cura (che ha anche richiesto un ingente sforzo economico) al piano terra si è registrata la realizzazione di una camera mortuaria in luogo della lavanderia, al piano interrato era in corso il completamento della piscina, al piano ammezzato sono stati creati tre ambulatori, al piano primo sono state attrezzate stanze con lettini e spazi soggiorno comuni (cfr. verbale – doc. 8 amministrazione). Sono quindi ravvisabili i tratti distintivi della ristrutturazione, per il duplice elemento del recupero dello spazio e della diversità e della “non alterità” dell’organismo che si viene a realizzare rispetto a quello originario, dato che l’edificio ristrutturato mantiene una sostanziale omogeneità rispetto al precedente quanto ai suoi principali caratteri identificativi (collocazione, sagoma, altezza, volumetria): in buona sostanza si compie una modifica totale o parziale dell’edificio, che in positivo è rappresentata dalla creazione di un organismo “diverso” dal precedente, ed in negativo dal fatto che per effetto delle opere non vengono sensibilmente alterati i volumi, le superfici, le dimensioni o la tipologia del fabbricato (sentenza T.A.R. Brescia – 11/6/2004 n. 646).
2.6 L’invocato art. 10, comma 1 lett. c) del citato D.P.R. 380/2001 – il quale assoggetta a permesso di costruire soltanto quegli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d’uso (limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A) – non era in vigore all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato.
In proposito l’art. 1 della L. 10/77 stabiliva che “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge”. Il rinvio alla legislazione regionale compiuto dall’art. 25 comma 4 della L. 47/85 – per stabilire “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti, connessi e non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione” – era stato recepito con la L.r. 1/2001, il cui art. 2 comma 1 statuiva che “I mutamenti di destinazione d'uso connessi alla realizzazione di opere edilizie sottoposte a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia o a denuncia di inizio attività, sono soggetti, rispettivamente, alla medesima concessione o autorizzazione o denuncia di inizio attività”. Dunque nel caso di ristrutturazione era valida la regola generale della sottoposizione al titolo concessorio.
In ogni caso, anche prendendo il Testo unico dell’edilizia come termine di raffronto, il Collegio ravvisa nel caso sottoposto evidenti variazioni nella distribuzione dei volumi e degli spazi, con la realizzazione/sostituzione di locali (ad es. camera mortuaria, piscina, ambulatori, stanze per i degenti) del tutto avulsi dal contesto preesistente. La radicale trasformazione e la ricollocazione degli ambienti integrano quelle “modifiche” che l’art. 10 valorizza accanto alla previsione del permesso di costruire.
3. Acclarata dunque la necessità del titolo abilitativo concessorio per l’intervento di cui si discute, viene in rilievo l’art. 13 comma 3 della L. 47/85 per cui “Il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di concessione in misura doppia, ovvero, nei soli casi di gratuità della concessione a norma di legge, in misura pari a quella prevista dagli articoli 3, 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10”. La disposizione è stata sostanzialmente riprodotta all’art. 36 comma 2 del D.P.R. 380/2001.
Il Comune ha correttamente fatto riferimento alla citata disposizione per dedurre l’applicazione del contributo in misura ordinaria, ed appare fuori luogo il richiamo all’art. 9 lett. f) della L. 10/77 (che contempla l’ipotesi di esenzione da contributo “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”). Nel caso di specie siamo indubbiamente di fronte ad un permesso gratuito, ed il pagamento dell’oblazione ha la funzione di riparazione pecuniaria del pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico (cfr. sentenza sez. I – 11/1/2012 n. 11): l’importo dovuto assume natura sanzionatoria per l’avvenuta realizzazione delle opere senza titolo abilitativo (violazione formale), ed il collegamento con il contributo ordinario (ed il suo ammontare) è un semplice criterio di quantificazione della misura pecuniaria irrogata.
4. A questo punto deve essere vagliata la deduzione di parte ricorrente tesa a mettere in luce l’assenza di un maggiore carico urbanistico a seguito della realizzazione della nuova struttura.
4.1 Sia nella precedente che nell’attuale normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della L. 10/77 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle nuove edificazioni e agli altri interventi – comunque soggetti a titolo abilitativo – corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall'utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/8/2009 n. 5059).
4.2 In particolare il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti T.A.R. Puglia Bari, sez. III – 10/2/2011 n. 243). Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/6/2004 n. 646; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 2/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/5/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione – da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia – non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità. L'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, sicchè è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l'obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (T.A.R. Lazio Roma, sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
4.3 Nella fattispecie, come ha correttamente rilevato parte ricorrente, non affiorano elementi utili a comprovare che il mutamento di destinazione d'uso sia stato accompagnato da un’alterazione del carico urbanistico. Al contrario la Società Astoria ha dato conto delle riflessioni racchiuse nell’allegato B alla deliberazione consiliare n. 52/2001, ove in sede di controdeduzioni all’osservazione presentata (nell’ambito della procedura di variante urbanistica semplificata che ha reso possibile l’intervento) si dichiara che “si tratta di trasformazione di destinazione d’uso di un albergo esistente il cui carico urbanistico non può essere certo aggravato, né tanto meno la viabilità” e che “l’intervento non è che la trasformazione della destinazione d’uso di un edificio esistente senza modificare l’aspetto esteriore, né tanto meno la sagoma, la superficie, … è opera di urbanizzazione”. In secondo luogo la ricorrente ha evidenziato come la categoria non sia mutata (con la trasformazione da albergo a casa di cura) permanendo una struttura ricettiva dotata di circa 100 posti letto quando in precedenza l’albergo ospitava 49 camere (cfr. relazione tecnica alla D.I.A. del 18/12/1998). Lo stesso punto 7 della convenzione urbanistica così si esprime “pur ricadendo la struttura sanitaria … in zona totalmente urbanizzata, inoltre dotata dei parcheggi previsti dalla normativa specifica in materia … si ritiene necessario migliorare l’arredo urbano”.
In presenza di un insediamento capace di rispondere a bisogni collettivi (come la struttura preesistente) l’amministrazione – per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione – avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, dei presupposti da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile al richiesto mutamento di destinazione (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 4/5/2009 n. 3604).
Non avendo evidenziato la ricorrenza, nel caso concreto (mediante raffronto tra la destinazione originaria e quella attuale) del presupposto del pagamento richiesto – ossia della variazione in aumento del carico urbanistico – deve ritenersi indebitamente preteso l’importo di € 31.492,43 per sanzione ex art. 13 della L. 47/85, da restituire alla parte ricorrente.
5. Pacifica è la diversa natura degli oneri di urbanizzazione rispetto ai costi di costruzione, i quali rappresentano una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara – 18/10/2010 n. 1142).
5.1 Mentre quindi il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale in relazione alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche ed alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata: l’obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è a-causale ed appare soffermarsi sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria (T.A.R. Campania Salerno, sez. II – 11/6/2002 n. 459). Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/77, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
5.2 Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di variazione di destinazione d’uso di un immobile accompagnata dalla realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della ristrutturazione dell’edificio. In questo contesto non è meritevole di apprezzamento il rilievo della Società ricorrente, per cui nel computo andrebbero incluse soltanto le opere murarie con esclusione degli adeguamenti impiantistici, poiché deve essere assoggettato ad imposizione il complessivo valore aggiunto del fabbricato destinato a nuova struttura ricettiva: la base di calcolo è stata correttamente individuata in € 1.097.539,99.
5.3 Non sembra potersi invocare l’art. 10 comma 1 della L. 10/77 poiché – in disparte la questione ermeneutica della riconducibilità di una casa di cura privata nell’alveo delle attività industriali – l’ultimo comma prevede la corresponsione di un contributo integrale nel caso di modifica di destinazione d’uso “nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori”: nella fattispecie gli interventi di cui si controverte hanno fatto seguito ai lavori di manutenzione (già conclusi) della struttura alberghiera. Deve essere poi valorizzato il richiamo all’onerosità racchiuso al punto 6 della convenzione urbanistica sottoscritta dalla parte: la citata clausola è così applicabile come riconoscimento in astratto della debenza del costo di costruzione.
6. Deve essere corrisposto altresì l’importo di € 25.823, liberamente pattuito a titolo di monetizzazione. Il vincolo assunto con la sottoscrizione dell’intesa non può essere rimesso in discussione, mentre l’omessa predisposizione del progetto comunale di arredo urbano non rileva, poiché la destinazione delle somme può avvenire anche per mezzo di spese minute e diluite nel tempo.
7. In conclusione il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nella parte in cui il Comune ha erroneamente preteso la quota di oneri di urbanizzazione (€ 31.492,43), che devono essere restituiti. Sulla somma vanno calcolati gli interessi i quali decorrono – trattandosi di azione di ripetizione di indebito – dalla data di proposizione della domanda giudiziale, dovendosi presumere la buona fede dell’amministrazione resistente in assenza di dimostrazione contraria, mentre non spetta la rivalutazione monetaria trattandosi di indebito oggettivo il quale genera solo l’obbligazione di restituzione degli interessi a norma dell’art. 2033 del c.c. (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 5/5/2004 n. 1620; T.A.R. Lazio Roma, sez. I – 19/1/1999 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V – 30/10/1997 n. 1207).
Le spese di giudizio possono essere compensate in virtù della soccombenza reciproca.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il ricorso in epigrafe e per l’effetto accerta il diritto della Società ricorrente alla restituzione della quota di oneri di urbanizzazione indicata in narrativa.
Accerta altresì il diritto ad ottenere gli interessi nella misura legale, con decorrenza dalla data di proposizione della domanda giudiziale e fino alla data di restituzione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)