TAR Lazio (RM) Sez. II-bis n. 7971 del 21 settembre 2012
Urbanistica. Interventi minori esterni all’edificio coerenti con l'uso normale dell’immobile esclusi dall’acquisizione del permesso di costruire.
La giurisprudenza amministrativa ha distinto, da un lato, il “decoro architettonico” dell’edificio che, in mancanza di specifiche norme di tutela (così come accade per i beni tutelati, le aree protette, la disciplina dei centri storici, anche ai sensi dell’art. 4 del T.U. edilizia - D.P.R. n. 380/2006), trova disciplina solo nell’ art. 1120, 2° comma, del cod. civile ed è rimesso ai rapporti condominiali e fra i privati interessati. Dall’altro, la disciplina edilizia ed urbanistica, rispetto alla quale il riferimento dell'art. 10, lettera c), del D.P.R. 380/2001 non può estendersi a sagoma e prospetti, alla stregua di un criterio di ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà dell’intervento pubblico autoritativo, agli interventi minori esterni all’edificio, coerenti con l'uso normale cui l’immobile è destinato e non incidenti sul complessivo assetto edilizio ed urbanistico urbano d’interesse pubblico generale, quali il cambio e la modifica di serramenti, tapparelle e persiane, la collocazione di antenne radioamatoriali e televisive e di compressori delle pompe di calore, l’apertura di nuove finestre e la loro modifica, purchè non incidenti sugli elementi strutturali dell’edificio e sulla divisione fra unità immobiliari, e purchè nel rispetto della disciplina pubblica sull’areazione ed illuminazione degli ambienti e sulle distanze, affacci e vedute. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 07971/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01696/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1696 del 2012, proposto da:
Soc Autoequipe Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Valeri, Luisa Fonti, con domicilio eletto presso Giovanni Valeri in Roma, viale G.Mazzini N. 11;
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall'avv.Umberto Garofoli, domiciliata per legge in Roma, via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale n. 1387 del 12.1.2012 del Dirigente U.O.T. del Municipio XIX;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2012 il dott. Raffaello Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:
1 – Che la società Coresan è proprietaria dell'immobile sito in Roma via della Pineta Sacchetti n. 203, realizzato in conformità al permesso di costruire n. 601 dell'11.7.2007, destinato ad uso commerciale e concesso in locazione alla Soc. Autoequipe;
2 – Che tale ultima società, con DIA prot. n. 43359 dell'11.8.2010, ha comunicato l'esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria, per interventi di divisione interna, e nel corso dei lavori ha presentato una nuova DIA, prot. n. 37816 del 5.7. 2011 (variante in corso d'opera) relativa all'esecuzione di "diversa distribuzione di spazi interni al piano terra; apertura finestra di ventilazione grigliata nel magazzino ricambi al piano terra; creazione di deposito attrezzi per pulizie parcheggio pubblico", anche se, riferisce l’interessata, per errore materiale la denuncia è stata inoltrata sul modulo della C.I.L. - comunicazione inizio lavori - ex art. 6 DPR 380/2001, invece che su quello della DIA ex art. 22 T.U. cit., ed ha provveduto al versamento del contributo di costruzione, per un totale di €. 6.161,52;
3 – Che con D.D. n. 2335/2011 l'U.O.T. del Municipio XIX ha contestato alla Società proprietaria la mancata esecuzione di opere di riqualificazione ambientale, quali lampioni e fontane, e con D.D. n. 1387/2012, notificata il 13.1.2012, II Dirigente U.O.T. del XIX Municipio ha comunicato alla Società proprietaria ed alla conduttrice l'annullamento della "C.I.L. prot n. 37816/2011 per intervento non conforme all'art. 6 DPR 360/2011", disponendo il ripristino dello stato dei luoghi;
4 – Che la ricorrente ha quindi impugnato la suindicata D.D. n. 1387/2012, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto tre distinti motivi, ed ha inoltre proposto istanza cautelare sotto il profilo del danno grave ed irreparabile, precludendo l’impugnata ordinanza il completamento in via definitiva dei lavori e l’utilizzazione dell'immobile. Alla camera di consiglio del 19.4.2012, in disparte l’accertamento dei necessari requisiti di necessità ed urgenza in presenza di un danno risarcibile patrimonialmente, sotto il profilo del fumus boni juris è emersa la palese fondatezza del primo e del terzo motivo di ricorso, con la conseguente possibilità di decidere il ricorso nel merito con sentenza succintamente motivata sentiti i difensori di parte;
5 – Che, in particolare, il Collegio non ritiene meritevole di tutela il motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 DPR n. 380/2001 nonché l’eccesso di potere per carenza di presupposti e difetto d'istruttoria, dedotto sul presupposto che, ai sensi dell'art. 23 DPR n. 380/2001, il comune può inibire l'intervento solo ove nel termine di 30 giorni dal deposito della DIA riscontri la mancanza delle condizioni stabilite. Al riguardo, la ricorrente cita la giurisprudenza amministrativa secondo cui "decorso senza esito il termine per l'esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone (solo) del potere dl autotutela ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241” (Cons. St. A.P. 29.7.2011 n. 15). Ne consegue, conclude la ricorrente, che l'intervento In autotutela dell'Amministrazione deve essere esercitato nell'ambito di un procedimento di secondo grado di revoca o annullamento d'ufficio, con le formalità, assenti nella fattispecie in esame, previste a garanzia del contraddittorio: comunicazione di avvio del procedimento; esame delle eventuali osservazioni; adozione, eventuale, dell'atto finale con adeguata motivazione sul pubblico interesse attuale alla rimozione del titolo edilizio che abbia ormai prodotto i suoi effetti.
6 – Che il Collegio, pur nella consapevolezza delle oscillazioni giurisprudenziali sul punto, ritiene non fondata la censura, né in fatto (in presenza della D.D. n. 71726/2011 di ingiunzione a demolire i lavori abusivi eseguiti nell'immobile) né in diritto.
Il Collegio rileva, infatti, che l’abuso edilizio comporta una situazione antigiuridica che configura un illecito permanente, ben conosciuto o conoscibile mediante il rogito notarile e la consultazione degli archivi comunali, e destinato ad aggravare nel tempo la sua potenziale lesività nei confronti del superiore interesse pubblico ad un ordinato sviluppo del territorio (anche sotto i profili della presenza di standard urbanistici non dimensionati e dell’effetto emulativo a commettere nuovi abusi), rispetto al quale l’intervento sanzionatorio o demolitorio secondo le previsioni di legge si configura in via generale come atto obbligato a contenuto vincolato, residuando di regola un mero accertamento tecnico circa il tipo di abuso e le sue conseguenze.
Ne consegue che, in caso di decorso del termine di legge previsto per la C.I.L. e per la S.C.I.A., a giudizio del Collegio gli obblighi di comunicazione e contraddittorio, propri di un procedimento di secondo grado di revoca o annullamento d'ufficio, rivestono un valore assoluto al fine di far valere violazioni formali o procedurali della stessa disciplina di formazione del titolo (o di abilitazione all’intervento), ma, secondo una interpretazione normativa costituzionalmente orientata, non possono far venire meno il più generale potere di controllo e repressione degli abusi edilizi, a tutela dei diritti fondamentali dei componenti della Comunità rappresentata e tutelata dall’Ente locale. Pertanto, in presenza di un abuso edilizio sostanziale, a giudizio del Collegio gli stressi obblighi possono ritenersi assolti dalla verbalizzazione dell’attività di controllo ed accertamento dell’abuso, e comunque assumono rilievo solo nell’ambito di vizi logici di irragionevolezza o mancanza di proporzionalità riferiti ad eventuali profili discrezionali. Ne discende, inoltre, che la valutazione del pubblico interesse attuale alla rimozione può essere ritenuta implicitamente contenuta nell’accertamento della persistenza ed attualità dell’abuso edilizio (che nel caso in esame non è dubbio), salvo specifiche circostanze particolari, peraltro non allegate dalla ricorrente;
7 – Che a giudizio del Collegio è, viceversa, palesemente fondato il motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 22 DPR n. 380/2001 e 22 L. reg. Lazio n. 15/2008, la violazione dell'art. 6 L. n. 241/1990, l’erroneità di presupposti e la violazione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto, sostiene la ricorrente, erroneamente la determinazione impugnata afferma che "l'intervento proposto nella C.I.L. meglio specificato nella perizia giurata integrativa del tecnico incaricato non è compatibile con il regime autorizzativo scelto". Infatti, la ricorrente riferisce e documenta in atti di aver invece denunciato all'Amministrazione l'esecuzione di interventi in variante in corso d'opera alla DIA prot. n. 43359/2010, e di aver utilizzato solo per un evidente errore materiale il "modulo prestampato" relativo alla C.I.L. ex art. 6 DPR 380/2001, anziché il modulo della DIA ex art. 22 TU Edilizia, provvedendo comunque al versamento del contributo di costruzione, che non sarebbe stato dovuto in caso di C.I.L.
L'Amministrazione avrebbe quindi dovuto ottemperare al suo "obbligo di accertare d'ufficio, per quanto possibile, la «realtà» del fatti e degli atti, anche acquisendo, ove necessario, precisazioni relative all'interpretazione di istanze poco chiare, o troppo generiche, ovvero verificando direttamente la fondatezza e la veridicità delle dichiarazioni rese in istruttoria" (Tar Lazio, I, 19.3.2012 n. 4321).
8 – Che alla luce di quanto suesposto, l'Amministrazione ha illegittimamente annullato il titolo edilizio della Società ricorrente sul solo presupposto formale dell’inesattezza di utilizzo di uno dei moduli predisposti dall’Amministrazione in relazione all’avvicendarsi, negli ultimi anni, di molte norme, spesso non coordinate con conseguenti incertezze giuridiche, senza in alcun modo indagare il relativo contenuto. In tal modo l’Amministrazione ha quindi concretato un vizio logico di irragionevolezza rispetto alla reale fattispecie sottostante alle proprie scelte, e prima ancora una violazione dei principi di certezza del diritto e tutela dell’affidamento cui è tenuta, nei rapporti con i cittadini, alla stregua dei superiori principi di legalità, imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 della Costituzione;
9 – Che risulta altresì fondato il motivo di ricorso con il quale vengono dedotti la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 34 DPR n. 380/2011 nonché dell'art. 17 I. reg. Lazio n. 15/2008 e l’eccesso di potere per erroneità di presupposti, in quanto, espone la ricorrente, l'art. 34 DPR n. 380/2001, riguardante gli "interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso dl costruire", al comma 2-ter (introdotto dall'art. 5 c. 2 D.L. n. 70/11, conv. con L. n. 106/2011) dispone che "al fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”. Inoltre, ai sensi dell'art. 17 I. reg. Lazio n. 15/2008 "costituiscono variazioni essenziali al progetto approvato le opere eseguite abusivamente quando si verifichi una o più delle seguenti condizioni: aumento superiore al 2 per cento del volume o della superficie lorda complessiva del fabbricato".
10 – Che nel caso di specie, secondo quanto allegato in atti da parte ricorrente, gli interventi eseguiti hanno comportato modeste modifiche al progetto assentito con P. di C. n. 601/2007, che non configurano alcuna "variazione essenziale" ex artt. 34 T.U. Edilizia e 17 I. reg. n. 15/08;
11 – Che la Difesa del Comune circa la totale mancanza anziché la mera difformità del titolo edilizio non risulta decisiva alla stregua delle considerazioni svolte ai fini dell’accoglimento del precedente motivo di ricorso, risultando un idoneo titolo edilizio mediante D.I.A. (S.C.I.A.), ancorchè non correttamente valutato dall’Amministrazione;
12 - Che deve essere allora esaminata l’ulteriore difesa dell’Amministrazione, secondo cui l'attività edilizia svolta sul corpo dell'edificio situato in via di Pineta Sacchetti n. 203 non poteva trovare alcuna legittimazione né in una comunicazione di inizio lavori (C.I.L.), né in una dichiarazione di inizio attività (d.i.a.), ed avrebbe dovuto essere invece subordinata al previo rilascio di un permesso di costruire, avendo comportato: - una diversa distribuzione degli spazi interni al piano terra; - l’apertura di una finestra di ventilazione grigliata al piano terra; la creazione di un deposito attrezzi per pulizie parcheggio pubblico con un aumento del volume dell'edificio per effetto della chiusura di una porzione di terrazzo;
13 – Che, al riguardo, il Collegio osserva che l’art. 6 del D.P.R. 380/2001, così come risultante dalle modifiche intervenute con D.L. 25 marzo 2010, convertito in 1egge 22 maggio 2010, n. 73, ammette pacificamente fra gli interventi edilizi liberalizzati (sottoposti a C.I.L. con asseverazione) quelli di "manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne o lo spostamento di pareti interne. A propria volta, il limite del 2% rappresenta il margine di tolleranza dell'errore nell'esecuzione di interventi edilizi, che esclude la presenza di una difformità rilevante e che preclude l'applicazione delle sanzioni previste in caso di parziale difformità dal titolo abilitativo, e nel caso in esame la chiusura di una porzione del terrazzo posto al piano terra comporta un ampliamento (mc. 90,51 a fronte una cubatura complessiva di mc. 7.441) inferiore al 2% della volumetria assentita dall'Amministrazione (pari a 148,82 mc.), per la quale la Società riferisce di aver già provveduto al versamento degli oneri concessori ex art. 22 co. 5 T.U. Edilizia;
14 – Che, ai fini della decisione sul motivo di ricorso in esame, deve, quindi, essere infine esaminata la rilevanza della prevista apertura di una finestra (restando del tutto irrilevante la sua definizione di “finestra di ventilazione grigliata”) al piano terra dell’edificio;
15 – Che l’Amministrazione riconduce l’intervento a quelli non di manutenzione straordinaria, bensì a quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 10, lettera c) del D.P.R. 380/2001, secondo il quale "costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire (…) c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari. modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici…”;
- Che il Collegio ritiene, viceversa, condivisibile l’orientamento della giurisprudenza amministrativa (per tutte, T.A.R. Veneto Sez. II, 14 gennaio 2005, n. 64, Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 2004, n. 7142, T.A.R. Lazio - Roma Sez. II bis, 10 aprile 2001, n. 3092, T.A.R. Lazio, sez. II, 13 gennaio 1984, n. 34) volto a distinguere, da un lato, il “decoro architettonico” dell’edificio che, in mancanza di specifiche norme di tutela (così come accade per i beni tutelati, le aree protette, la disciplina dei centri storici, anche ai sensi dell’art. 4 del T.U. edilizia - D.P.R. n. 380/2006), trova disciplina solo nell’ art. 1120, 2° comma, del cod. civile ed è rimesso ai rapporti condominiali e fra i privati interessati, e, dall’altro, la disciplina edilizia ed urbanistica, rispetto alla quale il riferimento dell'art. 10, lettera c), del D.P.R. 380/2001 a sagoma e prospetti non può estendersi, alla stregua di un criterio di ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà dell’itervento pubblico autoritativo, agli interventi minori esterni all’edificio, coerenti con l'uso normale cui l’immobile è destinato e non incidenti sul complessivo assetto edilizio ed urbanistico urbano d’interesse pubblico generale, quali il cambio e la modifica di serramenti, tapparelle e persiane, la collocazione di antenne radioamatoriali e televisive e di compressori delle pompe di calore e –aggiunge il Collegio- l’apertura di nuove finestre e la loro modifica, purchè non incidenti sugli elementi strutturali dell’edificio e sulla divisione fra unità immobiliari, e purchè nel rispetto della disciplina pubblica sull’areazione ed illuminazione degli ambienti e sulle distanze, affacci e vedute;
- Che entro i predetti limiti gli interventi di minore entità sulla facciata dell’edificio, come quello in esame di apertura di una nuova finestra, non incidono sulla sua complessiva sagoma, e pertanto, ove non siano altrimenti disciplinati e ferma la diversa disciplina civilistica, ai sensi del D.P.R. n. 380/2001 la loro realizzazione e modifica non può essere legittimamente condizionata all’ottenimento di uno specifico permesso di costruire;
- Che anche il motivo di ricorso in esame risulta pertanto fondato;
- Che il ricorso può essere conclusivamente accolto con decisione in forma semplificata, con l’annullamento del provvedimento impugnato ed il conseguente accertamento della idoneità della procedura attivata in relazione alle opere in esame, con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere al riguardo. Tuttavia, sussistono motivate ragioni, in relazione alla novità delle questioni dedotte, per compensare fra le parti le spese di giudizio;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed annulla gli atti impugnati, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Antonio Vinciguerra, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)