TAR Lazio (LT) Sez. I n. 467 del 1 luglio 2024
Urbanistica.Conferenza di servizi e variante allo strumento di pianificazione comunale
L’esito della conferenza di servizi prevista nell’ambito del procedimento ex art. 208 d.lgs. n. 152/2006 non costituisce variante allo strumento di pianificazione comunale, atteso che se è vero che tramite il procedimento di cui alla disposizione citata può essere disposta una variante allo strumento urbanistico, al fine di adeguare le previsioni dello stesso al progetto proposto, è altrettanto vero che tale conseguenza presuppone il favorevole parere del Comune che, diversamente, verrebbe esautorato dall’esercizio dei poteri che nella materia de qua sono ad esso normativamente attribuiti. La conferenza di servizi è, infatti, uno strumento di semplificazione procedimentale (essendo disciplinata nell’ambito del Capo IV della legge 241/1990, dedicato per l’appunto alla «semplificazione dell’attività amministrativa»), ma non implica alcuna alterazione dell’ordine delle competenze, che devono pertanto essere pur sempre esercitate, sebbene con le peculiari modalità ivi stabilite, dagli enti titolari delle stesse. Deve, peraltro, essere ribadito che nell’ambito delle valutazioni di carattere urbanistico l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, così che le stesse possono essere sindacate solo se affette da manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti.
Pubblicato il 01/07/2024
N. 00467/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00036/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 36 del 2021, proposto da
Cogedis S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Roberto Colagrande, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cassino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Scittarelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Regione Lazio, Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Lazio - ARPA Lazio, Provincia di Frosinone, Azienda Sanitaria Locale - ASL di Frosinone, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
- del provvedimento del Comune di Cassino prot. n. 47247 dell’11.11.2020, comunicato in pari data, con cui è stata rigettata, previa conclusione negativa del procedimento di Conferenza di servizi, la istanza di Cogedis S.r.l. prot. n. 52057 del 29.9.2016 avente ad oggetto richiesta di rivalutazione del progetto per l’esecuzione dei lavori di ripristino morfologico e recupero ambientale di un’area sita in agro del Comune di Cassino, loc. Carponeto, utilizzata in passato come cava di inerti dalla precedente proprietà, ai sensi dell’art. 208 d.lgs. n. 152/2006;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cassino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 maggio 2024 la dott.ssa Emanuela Traina e uditi per le parti i difensori come da separato verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso all’esame – notificato l’11 gennaio 2021 e depositato il 20 gennaio successivo - la Cogedis S.r.l. ha chiesto l’annullamento del provvedimento, i cui estremi sono dettagliatamente riportati in epigrafe, con il quale il Comune di Cassino ha concluso il procedimento – svoltosi tramite conferenza di servizi – conseguente alla richiesta, da essa presentata, di riesame del progetto di rispristino morfologico e recupero ambientale nonché di «installazione e messa in esercizio dell’impianto di frantumazione (R5) e la messa in riserva in attesa di lavorazione (R13) dei rifiuti e delle relative e connesse attività di gestione dei rifiuti», inerente una cava dismessa sita in Cassino, località Carponeto, rigettando l’istanza e stabilendo, di conseguenza, il divieto «ad effettuare l’intervento richiesto».
2. In fatto la ricorrente premette che:
- con nota acquisita dal Comune di Cassino con il n. prot. 12282 dell’11.3.2010 (pratica edilizia n. 20/URB/2010) presentava richiesta, ai sensi dell’art. 10 d.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 208 d.lgs. n. 152/2006 e 15 e ss. L.R. Lazio n. 27/1998, di autorizzazione all’esecuzione dei lavori di ripristino morfologico e recupero ambientale di un’area sita in agro del Comune di Cassino, loc. Carponeto, utilizzata in passato come cava di inerti; l’istanza veniva integrata con nota prot. n. 53724 del 7.12.2011 con cui la società, in relazione al predetto intervento, chiedeva, altresì, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di recupero ambientale, stoccaggio e frantumazione di materiali destinati alla posa per il recupero;
- all’esito della indizione di una conferenza di servizi e dei pareri ivi resi dai vari enti coinvolti, nonché di un ricorso avverso il silenzio proposto avanti a questo TAR (iscritto al n. 470/2015 R.G.), con determinazione prot. n. 51100 del 29.10.2015 il Comune di Cassino si pronunciava su detta istanza, respingendola nella parte inerente la «autorizzazione all’installazione e la messa in esercizio dell’impianto di frantumazione (R5) e la messa in riserva in attesa di lavorazione (R13) dei rifiuti e delle relative e connesse attività di gestione dei rifiuti», ed accogliendola, invece, relativamente alla «esecuzione dei lavori di ripristino morfologico e recupero ambientale dell’area», mediante l’utilizzo di Terre e Rocce da Scavo quale sottoprodotto, escluso dal regime di applicazione della normativa sui rifiuti, ai sensi di quanto disposto dal D.M. 10.08.2012 n. 161, dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69 e della L. 98/2013 e s.m.i., altresì precisando che per i rifiuti diversi dai materiali di estrazione sarebbe stata necessaria «l’autorizzazione secondo le disposizioni di cui al D.lgs. 36/2003 e s.m.i. relativo alle discariche di rifiuti»;
- il provvedimento enunciava, quali ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza in parte qua, la mancata formazione dell’assenso delle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, fatta eccezione per il parere positivo reso dall’ASL, evidenziando, in particolare, il dissenso espresso dalla Regione Lazio - la quale aveva ravvisato la necessità di applicare le disposizioni del d.lgs. 36/2003, relativo alle discariche di rifiuti, in relazione al «riempimento di vuoti e delle volumetrie prodotte dall’attività estrattiva, anche per attività dismesse, con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione» - nonché il parere sfavorevole reso dal settore urbanistica dello stesso ente (di cui alla nota 8367 del 23.2.2015) con riferimento all’incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola dell’area e con l’assoggettamento della stessa a vincolo paesaggistico di PTPR (riguardi le «aree boscate»);
- con istanza prot. n. 52057 del 29 settembre 2016 chiedeva una rivalutazione del progetto nella parte inerente l’impianto di frantumazione, ai sensi dell’art. 208 d.lgs. n. 152/2006 e dell’art.15 e ss. L.R. n. 27/1998, allegando la sopravvenienza di nuove indicazioni interpretative della normativa di riferimento, a suo dire idonee al superamento delle criticità rilevate nell’ambito della Conferenza di servizi, emergenti in particolare da una circolare, prot. 803/RIN del 2.2.2005, del Ministero dell’Ambiente, richiamata dalla Regione Lazio nella nota prot. 59071/15 del 10.12.2015, trasmessa al Comune di Cassino;
- con nota prot. n. 1839 dell’11.1.2017 quest’ultimo disponeva l’avvio del procedimento di riesame del progetto, indicendo un’ulteriore conferenza di servizi;
- in tale ambito venivano acquisiti il parere negativo di ARPA Lazio - Sezione Provinciale di Frosinone (nota prot. n. 10846 del 13.2.2017), e quello favorevole della ASL di Frosinone (nota prot. 14902 del 15.2.2017) e veniva, altresì, confermato il parere (asseritamente “favorevole”) reso nel 2015 dal Settore Urbanistica del Comune di Cassino; le altre amministrazioni coinvolte non facevano, invece, pervenire espresse prese di posizione in ordine all’istanza;
- con nota prot. n. 41495 dell’8.8.2017 il Comune di Cassino, sollecitato dalle osservazioni formulate dalla ricorrente con nota del 22.6.2017, chiedeva all’ARPA di riesaminare il parere precedentemente rilasciato nonché di valutare se il sito potesse considerarsi quale “area degradata” anziché come “cava”, con le conseguenze del caso in ordine alla normativa applicabile;
- con la nota prot. n. 70743 del 14.9.2017 l’ARPA chiedeva, pertanto, alla Regione Lazio «di chiarire i termini di applicabilità della Deliberazione di G.R. del 26 gennaio 2012, n. 34 che pone termini più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria e nazionale (….)»;
- il procedimento entrava, tuttavia, in una fase di stallo alla quale seguiva la proposizione, avanti a questo TAR, del ricorso ex art. 117 c.p.a. iscritto al n. 356/2020 R.G.;
- quest’ultimo veniva definito con la sentenza n. 339/2020 del 28.9.2020 con cui, in accoglimento della domanda, veniva «ordinato al Comune di Cassino ex art. 117 del c.p.a., di concludere il procedimento entro il termine di 90 (novanta) giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione», nominando un commissario ad acta per il caso di persistente inerzia dell’amministrazione;
- con la determinazione oggi impugnata (prot. n. 47247 dell’11.11.2020, comunicata in pari data) il Comune di Cassino, in esecuzione della citata sentenza, concludeva il procedimento respingendo l’istanza, allegando quali ragioni ostative il mancato assenso da parte degli enti coinvolti, fatta eccezione per la ASL di Frosinone, nonché l’incompatibilità urbanistica dell’intervento, siccome previsto in “zona agricola”, considerata l’assimilabilità del complesso ad un vero e proprio “opificio produttivo”, con impatto di polveri, traffico veicolare, rumore, oltre che visivo, e la sussistenza di un vincolo paesistico per via della presenza di “aree boscate”, nonché la necessità di rispettare i principi generali in materia di gestione dei rifiuti, ivi compreso quello di “prossimità”.
3. Con il ricorso all’esame la ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa concessione di misure cautelari, di tale provvedimento, per i seguenti motivi:
I) «violazione e/o falsa applicazione artt. 3 e 10-bis l. n. 241/1990, anche in relazione agli artt. 208 d.lgs. n. 152/2006 e 15 e ss. l.r. n. 27/1998, nonché dei generali principi in materia trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa e delle correlative garanzie partecipative. violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.», in ragione della mancata trasmissione del preavviso di diniego recante l’esplicitazione delle ragioni ostative, comunicazione da ritenersi necessaria alla luce delle peculiarità dello stesso, caratterizzate dall’arresto procedimentale determinatosi nel 2017, allorché gli esiti dell’istruttoria avrebbero condotto alla favorevole definizione dell’istanza, ed al relativo riavvio solo a seguito della decisione di questo TAR n. 339/2020;
II) «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e ss. e degli artt. 14, 14-bis e 14-ter l. n. 241/1990, anche in relazione agli artt. 10 d.lgs. n. 117/2008 e 208 e ss. d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere: erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà tra atti; illogicità e irragionevolezza; ingiustizia manifesta; violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.» in quanto il sito di intervento dovrebbe essere qualificato “area degradata” anziché “cava” (come emergerebbe anche dalla nota del Comune di Cassino prot. n. 41495 dell’8.8.2017) e, comunque, si sarebbe dovuta escludere l’applicabilità del d.lgs. n. 117/2008 (come emergerebbe dalla nota del Ministero dell’Ambiente n. 805 del 2.2.2015 e dalla sentenza della Corte di Giustizia UE C-147-15), con la conseguenza che il parere originariamente rimesso dalla Regione nel precedente procedimento dovrebbe intendersi come favorevole; la stessa Regione, peraltro, non si sarebbe mai pronunciata sulla richiesta formulata con prot. n. 70743 del 14.9.2017 dall’ARPA Lazio in proposito; pertanto, non essendo stato acquisito agli atti della conferenza di servizi alcun parere da parte della Provincia di Frosinone, della Regione Lazio e dell’ARPA Lazio, si sarebbe formato sull’istanza un assenso privo di condizioni;
III) «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e ss. l. n. 241/1990, dell’art. 208 e ss. d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 54 l.r. n. 38/1999. eccesso di potere: erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà tra atti; illogicità e irragionevolezza; ingiustizia manifesta. violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.»; i motivi ostativi di natura urbanistica opposti dal Comune (consistenti nella incompatibilità delle attività in progetto con la destinazione agricola dell’area) sarebbero, poi, pretestuosi ed illogici, oltre che contrastanti con il parere urbanistico favorevole reso in precedenza dallo stesso Comune con nota prot. n. 8367 del 22.2.2015 e mai ritirato e/o annullato in autotutela; in ogni caso gli stessi non potrebbero, di per sé, sorreggere il rigetto della domanda di autorizzazione ex art. 208 d.lgs. n. 152/2008, in quanto l’esito favorevole della conferenza di servizi determinerebbe variante allo strumento urbanistico; peraltro il progetto sarebbe finalizzato a riportare l’area nella sua morfologia originaria restituendola a funzioni che ne consentono la fruizione proprio ai fini agricoli e forestali, ovvero alla rinaturalizzazione dell’insediamento di una nuova vegetazione sui terreni ripristinati, destinata soprattutto ad uliveti e vigneti;
IV) «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e ss. l. n. 241/1990 e dell’art. 208 e ss. d.lgs. n. 152/2006; incompetenza; eccesso di potere: erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà tra atti; illogicità e irragionevolezza; ingiustizia manifest; violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.»; sarebbe, inoltre, inconsistente il rilievo inerente l’impatto ambientale dell’attività in termini di rumore, emissione di polveri, traffico veicolare, impatto visivo, spettando la stessa alla Regione ed all’ARPA, che, per quanto sopra, avrebbero reso, come detto, un implicito assenso senza condizioni, precludendo in tal modo al Comune di Cassino la possibilità di esprimersi in proposito;
V) «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e ss. l. n. 241/1990, nonché del d.lgs. n. 42/2004 e della L.R. n. 24/1998, anche in relazione al P.T.P.R.; eccesso di potere: erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà tra atti; illogicità e irragionevolezza; ingiustizia manifesta - violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.»; il rilievo per cui l’area di intervento sarebbe, altresì, interessata (per oltre il 50% della superficie complessiva) da un Vincolo Paesistico di P.T.P.R. (Piano Territoriale Paesistico Regionale) sarebbe parimenti infondato, avendo la ricorrente presentato nel corso del procedimento una certificazione circa la insussistenza dei requisiti per considerare l’area oggetto dell’istanza di recupero ambientale come area boscata nonché sul fatto che la stessa non è stata percorsa da fuoco e non è interessata da progetto di rimboschimento;
VI) «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e ss. l. n. 241/1990, nonché della L.R. n. 27/1998, anche in relazione al P.T.P.R., eccesso di potere: erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà tra atti; illogicità e irragionevolezza; ingiustizia manifesta, violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.»; l’ulteriore affermazione del Comune di Cassino secondo cui le ragioni ostative sopra individuate sarebbero coerenti con i principi generali in materia di gestione dei rifiuti dettati dalla L.R. n. 21/1998 (recte L.R. n. 27/1998), con particolare riferimento alla prossimità, sarebbe parimenti erronea ed illogica, in quanto l’attività della ricorrente (costruzione di edifici residenziali e non residenziali e di ingegneria civile) si svolgerebbe principalmente nel territorio di Cassino e dei Comuni limitrofi, tanto che il progetto di recupero ambientale in questione sarebbe finalizzato proprio al recupero dei rifiuti inerti prodotti dall’attività dell’impresa; non sarebbero, poi, presenti vincoli paesaggistici e naturali sull’area oggetto del recupero ambientale, così che alcuna violazione del principio di pianificazione territoriale potrebbe configurarsi nella specie, né potrebbe ipotizzarsi alcuna violazione del principio di prossimità di cui all’art. 7, co. 3, lett. c), della L.R. 27/1998 e del Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio, considerato che l’impianto dovrebbe ospitare rifiuti prodotti dall’impresa sul territorio di Cassino e Comuni limitrofi.
4. Nel giudizio così introdotto si è costituito in resistenza il Comune di Cassino, che ha, con articolata memoria, eccepito l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso.
5. Con ordinanza n. 36 del 10 febbraio 2021 è stato disposto il rigetto dell’istanza cautelare, in ragione della ravvisata carenza sia del fumus che del pregiudizio grave ed irreparabile.
6. La decisione è stata confermata in appello dall’ordinanza del Consiglio di Stato n. 2124 del 23 aprile 2021, la quale ha rilevato che «le motivazioni sottese al parere sfavorevole non risultano adeguatamente scalfite dalle deduzioni dell’appellante».
7. Per la discussione del ricorso è stata, poi, fissata la pubblica udienza del 15 maggio 2024.
7.1. In vista di quest’ultima le parti hanno depositato memorie e repliche ai sensi dell’art. 73 comma 1 c.p.a.; all’esito della stessa il ricorso è stato, infine, trattenuto in decisione.
8. I motivi di censura dedotti avverso il provvedimento impugnato non possono essere condivisi.
8.1. Rileva, in primo luogo, il Collegio che tramite il provvedimento prot. gen. 51100 del 29 ottobre del 2015, non impugnato dalla ricorrente, il Comune di Cassino aveva già rigettato l’istanza, formulata dalla ricorrente (tramite nota prot. 53724 del 7 dicembre 2011, di integrazione dell’originaria domanda) di autorizzazione all’esercizio dell’attività di stoccaggio e frantumazione di materiali destinati alla posa per il recupero, in ragione della mancata formazione dell’assenso delle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, fatta eccezione per il parere positivo reso dall’ASL, evidenziando, in particolare, la rilevanza del dissenso espresso dalla Regione Lazio con riferimento alla necessità di applicare le disposizioni del d.lgs. 36/2003, relativo alle discariche di rifiuti, in relazione al «riempimento di vuoti e delle volumetrie prodotte dall’attività estrattiva, anche per attività dismesse, con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione», nonché del parere sfavorevole reso dal Settore Urbanistica dello stesso Comune (di cui alla citata nota 8367 del 23 febbraio 2015) con riferimento all’incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola dell’area, ed, infine, con l’assoggettamento della stessa a vincolo paesaggistico di PTPR (“aree boscate”).
8.1.1. Invero, con il provvedimento oggetto del presente ricorso il Comune ha respinto l’istanza di rivalutazione del progetto – fondata, dalla ricorrente, su una nuova interpretazione della normativa, supportata da una nota del Ministero dell’Ambiente del 2 febbraio 2015 nonché dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, i quali escluderebbero l’applicazione della «direttiva discariche» di cui al d.lgs. 36/2003 al caso di specie – ravvisando, ancora una volta, la mancata manifestazione dell’assenso richiesto «dall’art. 14 della l. 241/1990», con eccezione del parere favorevole reso dall’ASL, e valorizzando, in particolare, i motivi ostativi già espressi nel 2015 con riferimento alla incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola della zona e con la presenza del vincolo di PTPR “aree boschive”, ritenuti non superabili, nonché facendo riferimento alla compatibilità di tale conclusione con il principio di prossimità nella gestione dei rifiuti.
8.2. Premesso quanto sopra, non può essere accolto il primo motivo di ricorso, con il quale si censura la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
8.2.1. Deve, in proposito, essere rilevato che la conferenza di servizi all’esito della quale – pur sollecitata dalla citata pronuncia – il Comune resistente ha concluso il procedimento di riesame dell’istanza presentata dalla ricorrente, è stata convocata (con nota 1839 dell’11 gennaio 2017) ai sensi dell’art. 14-bis della legge 241 (e dunque in forma semplificata e modalità asincrona, come peraltro riconosciuto anche nell’ambito della consulenza tecnica depositata da parte ricorrente – cfr. doc. 15), e ciò nonostante l’improprio richiamo, nel testo della nota citata (così come nell’ambito del provvedimento conclusivo), anche all’art. 14-ter della stessa legge, disciplinante la conferenza “simultanea”, che tuttavia pacificamente nel caso di specie non ha avuto luogo.
8.2.2. A ciò consegue l’applicazione al caso di specie del comma 5 dell’art. 14-bis citato, a tenore del quale «Qualora abbia acquisito uno o più atti di dissenso che non ritenga superabili, l'amministrazione procedente adotta, entro il medesimo termine, la determinazione di conclusione negativa della conferenza che produce l'effetto del rigetto della domanda. Nei procedimenti a istanza di parte la suddetta determinazione produce gli effetti della comunicazione di cui all'articolo 10-bis. L’amministrazione procedente trasmette alle altre amministrazioni coinvolte le eventuali osservazioni presentate nel termine di cui al suddetto articolo e procede ai sensi del comma 2.»
8.2.3. La norma citata, con evidenti finalità di semplificazione ed accelerazione procedimentale, esclude la necessità dell’attivazione del sub-procedimento di cui all’art. 10- bis della legge 241/1990, rimettendo in ogni caso all’iniziativa dell’istante la presentazione di eventuali osservazioni che possono dare luogo ad un supplemento di istruttoria, ciò che, tuttavia, non risulta essere avvenuto nel caso di specie.
8.2.4. In ogni caso, anche a prescindere da tale rilievo e per quanto successivamente si evidenzierà, la principale ragione ostativa posta a fondamento del diniego, cioè l’insuperabile carenza di conformità urbanistica dell’intervento, è sostanzialmente confermativa della analoga motivazione su cui è fondato l’inoppugnato provvedimento del 2015, ciò che ulteriormente esclude che l’omissione del c.d. “preavviso di rigetto” abbia privato la ricorrente della possibilità di apportare un significativo ulteriore contributo alle valutazioni finali svolte dall’amministrazione, con conseguente infondatezza del motivo all’esame, dovendosi peraltro in proposito ritenere irrilevante l’arresto procedimentale verificatosi nel 2017.
8.3. Venendo, invece, all’esame delle censure con le quali parte ricorrente contesta le ragioni ostative all’autorizzazione del progetto da essa presentato, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato si fonda principalmente – analogamente a quello emesso dal Comune di Cassino nel 2015 - sulla rilevata incompatibilità urbanistica dell’intervento ivi contemplato, motivazione che parte ricorrente contesta nell’ambito del terzo motivo, il quale viene pertanto scrutinato in via prioritaria.
8.3.1. La ricorrente lamenta – sul punto – in primo luogo, che la posizione espressa dal Comune si porrebbe in contrasto con il precedente parere dallo stesso reso in proposito -prot. n. 8367 del 22 febbraio 2015, mai ritirato e/o annullato in autotutela.
La doglianza è priva di fondamento in quanto nell’ambito della nota citata il Comune si è espressamente limitato – come emerge dal testo del provvedimento prot. 51100 del 29 ottobre 2015, che lo riporta alla pag. VI - ad esprimere parere favorevole alla parte del progetto inerente l’esecuzione dei lavori di rispristino morfologico e recupero ambientale dell’area, con lo stesso autorizzati, evidenziando, al contempo e per quanto qui rileva, l’incompatibilità dell’impianto di messa in riserva e frantumazione con la destinazione agricola di zona.
8.3.2. La ricorrente lamenta, inoltre, che il mero rilievo dell’incompatibilità urbanistica dell’area non potrebbe costituire, di per sé, ragione sufficiente a determinare il rigetto dell’istanza, atteso che l’esito della conferenza di servizi prevista nell’ambito del procedimento ex art. 208 d.lgs. n. 152/2006 costituirebbe, in ogni caso, variante allo strumento di pianificazione comunale.
8.3.2.1. Nemmeno tale profilo della doglianza all’esame è, ad avviso del Collegio, meritevole di condivisione, atteso che se è vero che tramite il procedimento di cui alla disposizione citata può essere disposta una variante allo strumento urbanistico, al fine di adeguare le previsioni dello stesso al progetto proposto, è altrettanto vero che tale conseguenza presuppone il favorevole parere del Comune che, diversamente, verrebbe esautorato dall’esercizio dei poteri che nella materia de qua sono ad esso normativamente attribuiti. La conferenza di servizi è, infatti, uno strumento di semplificazione procedimentale (essendo disciplinata nell’ambito del Capo IV della legge 241/1990, dedicato per l’appunto alla «semplificazione dell’attività amministrativa»), ma non implica alcuna alterazione dell’ordine delle competenze (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2640), che devono pertanto essere pur sempre esercitate, sebbene con le peculiari modalità ivi stabilite, dagli enti titolari delle stesse.
8.3.3. Deve, peraltro, essere in questa sede ribadito che nell’ambito delle valutazioni di carattere urbanistico l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, così che le stesse possono essere sindacate solo se affette da manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti.
Nel caso di specie tale evenienza deve essere esclusa, considerato che il Comune di Cassino ha, con ampia e dettagliata motivazione esente da evidenti vizi logici ed errori, precisato le ragioni ostative alla possibilità di installare l’impianto – che come detto è destinato allo svolgimento di un’attività di natura industriale – nell’ambito di un contesto avente vocazione esclusivamente agricola, quali:
- il fatto che l’intervento proposto presenti un notevole impatto sul territorio, siccome consistente nel riempimento di un’area di una ex cava, peraltro priva di autorizzazione, colmando l’attuale catino – con conferimento nello stesso di materiale inerte stimato in circa 700.00 mila mc compattati tramite materiali inerti di risulta dell’attività edilizia, previo trattamento degli stessi (con separazione della parte ferrosa dal “breccione”), tramite l’installazione di un cantiere di natura industriale, la cui permanenza in loco viene stimata in circa 15 anni, con lavorazione di circa 94.250 tonnellate di materiale ogni anno;
- nell’area di riferimento, classificata Zona Agricola dal vigente PRG, è vietata ogni attività di trasformazione del suolo per finalità diverse da quelle, appunto, agricole, alle quali è del tutto estranea, e con le quali contrasta, l’attività proposta, che determina anche un forte impatto in termini di rumore, emissioni di polveri, traffico veicolare e impatto visivo sull’ambiente circostante;
- l’attività proposta dovrebbe, se mai, trovare collocazione in aree a destinazione industriale e/o produttiva.
Si tratta peraltro, come già sopra evidenziato, delle stesse ragioni già opposte dal Comune nel provvedimento reiettivo del 2015, rispetto alle quali parte ricorrente non ha proposto, con l’istanza di riesame, alcuna modificazione del progetto, bensì una mera diversa lettura della normativa applicabile.
8.3.4. Il motivo, pertanto, non è suscettibile di favorevole apprezzamento, così che – considerata la prevalenza delle ragioni ostative espresse dal Comune – non ha alcuna rilevanza l’indagine circa la formazione dell’eventuale assenso, formatosi ai sensi della normativa di cui all’art. 14-bis della l. 241/1990, sulla richiesta di qualificazione dell’area di intervento quale “cava” anziché quale “discarica” e sulla conseguente normativa applicabile, dovendosi comunque ritenere non superabile l’articolato parere negativo reso dal Comune di Cassino circa l’autorizzabilità dell’intervento.
8.4. Di conseguenza, considerata la natura plurimotivata del provvedimento impugnato, il rigetto delle censure dirette a contestare una delle autonome ragioni poste a fondamento della motivazione, in quanto di per sé sufficiente a sorreggere l’atto, rende improcedibili i motivi diretti a contestare i diversi argomenti della stessa, non potendo l’eventuale fondatezza di questi ultimi condurre al relativo annullamento (ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 17 aprile 2024, n.3480, TAR Umbria, sez. I, 15 gennaio 2024, n. 8).
8.5. Devono, quindi, ritenersi improcedibili e/o comunque essere assorbiti i motivi n. II, IV, V e VI.
9. Il ricorso deve, pertanto ed in conclusione, essere respinto.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Cassino, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 3.500,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Savoia, Presidente
Valerio Torano, Primo Referendario
Emanuela Traina, Primo Referendario, Estensore