TAR Liguria Sez.I n. 422 del 23 marzo 2012
Urbanistica. Certificato di abitabilità conseguente al condono edilizio

Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale

N. 00422/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00422/2006 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 422 del 2006, proposto da:
Laura Nadalini, rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Damonte, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Corsica 10/4;

contro

Comune di Pieve Ligure, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Bertini, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Ippolito D'Aste 3/10;

per l'annullamento

del provvedimento di diniego condono edilizio e richiesta risarcimento danni.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pieve Ligure;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2012 l’avv. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 22.4.2006 la signora Nadalini Laura ha impugnato il provvedimento 22.2.2006, prot. 923, con il quale il comune di Pieve Ligure, su conforme parere della commissione edilizia integrata, le ha negato il condono edilizio ex L. n. 326/2003 per lavori di trasformazione di un vano accessorio in unità immobiliare abitativa autonoma mediante la realizzazione di locale igienico, piatto doccia, angolo cottura e tettoia sopra l’accesso in via 25 aprile n. 225, con la motivazione che l’immobile, per le sue caratteristiche oggettive, non soddisfa i requisiti minimi di abitabilità richiesti ai sensi dell’art. 24 DPR 380/2001 e dal decreto del Ministro per la sanità 5.7.1975, anche tenuto conto del fatto che la possibilità di deroga contenuta nella disciplina sul condono edilizio non può comportare il mancato rispetto dei requisiti minimi igienico sanitari.

A sostegno dell’azione di annullamento ha dedotto tre motivi di ricorso, rubricati come segue.

1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 25 della L. 24.11.2003, n. 326, in relazione all’art. 35, penultimo comma, della L. 28.2.1985, n. 47. Eccesso di potere per manifesta contraddittorietà intrinseca.

2. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 25 della L. 24.11.2003, n. 326, in relazione al decreto ministeriale 5.7.1975. Difetto di motivazione ed istruttoria.

3. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, in relazione al decreto ministeriale 5.7.1975. Difetto di motivazione.

Si è costituito in giudizio il comune di Pieve Ligure, controdeducendo nel merito ed instando per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2012 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.

 

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. Ai sensi della disposizione di cui all’art. 35 comma 20 L. n. 47/1985 (1° condono), richiamata dall’art. 32 comma 25 del D.L. 30.9.2003, n. 269 (3° condono), “a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in merito all’interpretazione di detta norma, ha già avuto modo di affermare che il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale (Cons. Stato, IV, 30.5.2011, n. 2620, di cui di seguito è riportato ampio stralcio; id., V, 15 aprile 2004 n. 2140).

Tale orientamento – è stato chiarito - risulta peraltro coerente con quello espresso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 18 luglio 1996 n. 256, ha affermato che la deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, "non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r. 425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari".

Orbene, alla luce della giurisprudenza riportata e della lettura costituzionalmente orientata della norma, resa dalla Corte Costituzionale, appare evidente che non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, L. n. 47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio perché – come chiarito sempre dalla Corte Costituzionale con la sentenza citata (e già prima con sentenza n. 427/1995) – detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro.

Una interpretazione che validi una deroga “generale” alla normativa a tutela della salute, con particolare riguardo al luogo di abitazione, si porrebbe, dunque, in contrasto non solo con l’art. 32 Cost., ma anche con quelle stesse esigenze di contemperamento tra diversi valori costituzionali, proprie della legge n. 47/1995.

Pertanto, mentre possono essere derogate norme regolamentari, non possono esserlo norme di legge, in quanto rispetto ad esse la deroga non è evocata nell’art. 35, comma 20.

Tanto precisato, appare evidente come – nel definire l’ambito della deroga – non può assumere esclusiva rilevanza il mero dato formale dell’appartenenza della disposizione (e della norma da essa espressa) ad una fonte primaria (come tale non derogabile) ovvero ad una fonte secondaria (quindi derogabile), ma occorre verificare se le specifiche condizioni igienico-sanitarie violino norme regolamentari imposte, ad esempio, dai regolamenti comunali, quale ulteriore e specifica esigenza da essi rappresentata con riferimento a specificità di quel singolo territorio, ovvero si tratti di norme regolamentari che attuano precedenti disposizioni primarie.

L’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 ha inteso evitare che singole, specifiche disposizioni regolamentari – espressione di esigenze locali e comunque non attuative di norme di legge gerarchicamente sovraordinate – possano costituire, ex post, mediante il diniego del certificato di abitabilità, ostacolo al condono, e quindi alla regolarizzazione, delle costruzioni abusive, frustrando l’esigenza di “rientro nella legalità”, che, per il tramite della detta legge, si è inteso attuare.

Ma, allo stesso tempo, la citata disposizione non ha inteso porre nel nulla la tutela igienico-sanitaria degli edifici e, quindi, il diritto alla salute dei cittadini.

In altre parole, deve ritenersi che le disposizioni di cui al D.M. 5.7.1975 integrino una normativa di rango primario in virtù del rinvio disposto dall’art. 218 del R.D. 27.7.1934, n. 1265, e pertanto, diversamente dalle disposizioni integrative e supplementari portate dai regolamenti comunali di igiene (espressione di esigenze locali e comunque non attuative di norme di legge gerarchicamente sovraordinate), anch’esse – al pari delle disposizioni in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni - siano inderogabili in sede di rilascio del certificato di abitabilità a seguito del condono.

2. La ricorrente lamenta che l’amministrazione comunale non avrebbe indicato le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione negativa: in particolare, non sarebbero indicati con precisione i requisiti – tra tutti quelli previsti dal D.M. 5.7.1975 – in concreto mancanti.

La censura non coglie nel segno.

Il parere della commissione edilizia (doc. 3 delle produzioni 11.1.2012 di parte comunale) – testualmente riprodotto nel preavviso di diniego 23.11.2005, prot. 5079, notificato alla ricorrente (doc. 6 delle produzioni 27.1.2012 di parte ricorrente, richiamato nel provvedimento impugnato) contiene un chiaro riferimento alla mancanza dei requisiti minimi di abitabilità sotto almeno tre profili, attinenti – rispettivamente – alle dimensioni planimetriche (per le quali cfr. l’art. 3 del D.M. 5.7.1975, che fissa un minimo di 28 mq. per alloggio monostanza), ai requisiti aero illuminanti (per i quali cfr. l’art. 5 comma 2 D.M. 5.7.1975 stabilisce che la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento) ed alla commistione di servizi igienici, doccia e cucina e spazi di soggiorno.

Dunque, i requisiti mancanti sono stati adeguatamente indicati, mentre né le osservazioni ex art. 10-bis L. n. 241/1990, né il motivo di ricorso contengono una puntuale confutazione – sul piano tecnico – di tali rilievi.

3. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.

Il parere 16.11.2005 della C.E.I. (doc. 3 delle produzioni 11.1.2012 di parte comunale), che – come chiarito supra - espone compiutamente i motivi di diniego, è stato infatti integralmente riprodotto nel preavviso di rigetto 23.11.2005, prot. 5079 notificato alla ricorrente (doc. 6 delle produzioni 27.1.2012 di parte ricorrente, richiamato nel provvedimento impugnato).

Con riguardo ad entrambi i motivi secondo e terzo, che censurano un preteso difetto di motivazione, si osserva – ad abundantiam - che gli stessi non potrebbero comunque, anche in caso di fondatezza, condurre all’annullamento dell’atto, ostandovi la sanatoria giurisprudenziale ex art. 21-octies comma 2 L. n. 241/1990.

Difatti, posto che il provvedimento di diniego di condono edilizio costituisce espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione (così Cons. di St., IV, 14.4.2010, n. 2105; T.A.R. Lombardia-Milano, II, 22.7.2010, n. 3253; T.A.R. Campania-Napoli, VI, 16.4.2010, n. 2000), si osserva che dalla documentazione in atti (cfr. la visura catastale allegata al doc. 5 delle produzioni 27.1.2012 di parte ricorrente) emerge che il vano in questione ha una superficie inferiore al minimo di 28 mq. stabilito dall’art. 3 del D.M. 5.7.1975, onde é palese che il contenuto dispositivo del provvedimento finale non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Del resto, qualora il comune avesse concesso la sanatoria straordinaria, avrebbe comunque dovuto successivamente negare l’abitabilità del manufatto.

Le spese seguono come di regola la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del comune di Pieve Ligure, delle spese di giudizio, che liquida in € 4.000,00 (quattromila), oltre I.V.A. e C.P.A..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

Santo Balba, Presidente

Roberto Pupilella, Consigliere

Angelo Vitali, Primo Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/03/2012