Il "malloppo" degli oneri di urbanizzazione deve essere restituito ai cittadini

di Massimo GRISANTI

 

IL “MALLOPPO” DEGLI ONERI DI URBANIZZAZIONE DEVE ESSERE RESTITUITO AI CITTADINI

 

[La Corte dei Conti e la Ragioneria generale dello Stato non guariscono dalla “miopia”, consentendo, di fatto, la distrazione di proventi vincolati ai Comuni (per usi vari …). Come lo Stato ha svenduto il paesaggio, l’uso del territorio, il livello essenziale di vita urbana dei Cittadini per entrare nell’EURO o per continuare a finanziare il sistema dei partiti ?]

 

 

di MASSIMO GRISANTI

 

 

Mi ripeto.

 

Il Testo Unico dell’Edilizia incide solamente sulle disposizioni normative, innovandole, ma non abrogando la norma che le contiene (cfr. M. LUCIANI, Il testo unico sull’Edilizia, RG ED, 2002, II, 3 ss.).

L’Autore si sofferma specificamente sulla <sorte delle norme rifuse nel testo unico>, sostenendo che <tali norme non sono state abrogate. L’abrogazione, infatti, incide sulle norme e non sulle disposizioni, sicché qui si è verificata una mera novazione della fonte, un po’ come accade nel caso della successione della legge di conversione al decreto-legge>.

 

Ciò posto non si rinvengono, in alcuna legge, disposizioni tali da poter far considerare interamente abrogate (implicitamente) quelle contenute nell’art. 12 della Legge n. 10/1977, c.d. “Bucalossi”, che introducono il vincolo di destinazione dei proventi degli oneri di urbanizzazione.

 

Recita l’art. 12 della Legge n. 10/1977:

(destinazione dei proventi delle concessioni)

I proventi delle concessioni e delle sanzioni di cui agli artt. 15 e 18 sono versati in conto corrente vincolato presso la tesoreria del comune e sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di cui all'art. 13, nonché, nel limite massimo del 30 per cento, a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale.

 

Con il comma 7 dell’art. 49 della legge finanziaria 1998, legge 27 dicembre 1997 n. 449, lo Stato ha stabilito quanto segue:

I proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni di cui all'articolo 18 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni, e all'articolo 15 della medesima legge, come sostituito ai sensi dell'articolo 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, possono essere destinati anche al finanziamento di spese di manutenzione del patrimonio comunale. A tal fine al comma 11 dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 come modificato dall'articolo 2, comma 37, lettera h), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, le parole: «Entro il 31 dicembre 1997» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno 1998».

 

Disposizione confermata con l’art. 1, comma 43, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per l’anno 2005):

I proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono essere destinati al finanziamento di spese correnti entro il limite del 75 per cento per il 2005 e del 50 per cento per il 2006.

 

Come è OLTREMODO FACILE capire, al Comune non è stata concessa un’insindacabile facoltà di destinazione dei proventi, ma una facoltà condizionata (“possono” sta ad indicare la sussistenza nell’ordinamento di un limite legale all’esercizio del potere) per quelli eccedenti il fabbisogno relativo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria strettamente correlate agli abitanti e alle attività insediati o da insediare, in quanto essi sono caratterizzati da un connaturato vincolo di scopo.

 

In parole povere, solamente ai Comuni che hanno adempiuto in tutto e per tutto al reperimento delle aree per standards e alla successiva realizzazione delle opere di urbanizzazione è concessa la possibilità di impiegare diversamente i proventi. In caso contrario, essi DEVONO CONTINUARE ad essere versati in conti vincolati ed utilizzati per lo scopo per cui sono stati previsti dal legislatore.

 

Il Governo PRODI prima (epoca della legge n. 449/1997),

poi il Ministro BASSANINI del Governo AMATO che ha approvato il T.U.E.;

poi il Governo Berlusconi II (epoca della legge n. 311/2004 nonché della nota prot. 0108321 del 7/10/2003 del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato);

hanno gettato le basi dell’assalto al territorio, della deturpazione del paesaggio, del peggioramento della qualità urbana per entrare nell’Euro o per continuare a finanziare il sistema dei partiti?

 

La cementificazione del territorio è stata strumentale ad un sistema di finanziamento che tutto aveva per scopo tranne quello di alleviare il carico urbanistico pregresso e quello che vi veniva ulteriormente riversato.

 

La Magistratura penale non può dirsi estranea agli effetti conseguenti, giacché preoccupandosi solamente delle violazioni edilizie – anziché porre l’attenzione a monte, andando ad indagare i processi di formazione degli strumenti urbanistici e sequestrare gli pseudo piani regolatori – ha finito per non assicurare la tutela penale all’uso del territorio.

 

E’ inutile ribadire il concetto di carico urbanistico (cfr. Cass. Penale, n. 11544/2013; n. 39733/2011; n. 28479/2009) se l’azione conoscitiva in sede di indagini non parte dalla legittimità e dall’efficacia degli strumenti urbanistici di cui ne viene fatta asseritamente attuazione oppure i GG.II.PP. non obbligano i PP.MM. alla contestazione coatta oppure, ancora, in sede processuale i PP.MM. non contestano l’abusività integrale degli interventi per difetto di strumenti efficaci:

Cass. SS.UU. penali, n. 12878/2003: “Il concetto di carico urbanistico appare meritevole di attento approfondimento. Questa nozione deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cosiddetto primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari standards urbanistici di cui al decreto ministeriale 1444/68 che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell’esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (articolo 22 legge 47/1985 e articolo 4 comma 7 legge 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell’immobile; e) nell’esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (articolo 10 legge 47/1985 e articolo 4 legge 493/1993).

Le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, attengono sostanzialmente al volontario aggravamento o protrarsi della offesa del bene protetto anche dopo la commissione della fattispecie penalmente illecita, ponendosi in stretta connessione con la stessa. D’altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l’accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche.”.

 

Non esiste, nelle regioni a statuto ordinario, un piano regolatore efficace dal 1972 (Napoli).

Lo Stato non ha mai trasferito alle Regioni a statuto ordinario i poteri di approvazione dei piani regolatori (cfr. Corte Costituzionale, n. 141/1972), nemmeno con il D.Lgs. n. 112/1998 (emanato in forza di legge delega che non contempla il trasferimento dei poteri).

Solamente il Ministro delle infrastrutture (prima Ministro dei Lavori Pubblici) può DECRETARE l’approvazione del PRG. Alle Regioni è rimesso unicamente il compito istruttorio di approvare quanto rappresentato dai Comuni nel PRG adottato.

 

Pertanto, ai fini dell’efficacia del provvedimento di approvazione regionale del PRG comunale è indefettibile il prescritto DECRETO ministeriale ex art. 10 della Legge n. 1150/1942 e ss.mm.ii. posto dal legislatore statale nel 1967 a presidio dell’obbligo statale di assicurare agli abitanti il livello essenziale di prestazioni fissato dagli standards del D.M. n. 1444/68 (parcheggi pubblici, verde pubblico attrezzato, scuole di ogni ordine a grado, mercati, centri sociali, attrezzature di interesse pubblico ecc.).

Quegli standards che tutti insieme appassionatamente – con la regia del Ministro Lupi – sia il Governo che le Regioni vogliono progressivamente eliminare (vedi disposizioni del c.d. Decreto del Fare) per non solo impoverire la Società, ma anche per erodere i diritti dei Cittadini e quindi negare loro l’accesso alla Giustizia (già di per sé diventato difficoltoso a causa dei maggiori costi d’ingresso).

Stiamo assistendo ad uno spossessamento della sovranità popolare a favore di predoni delle risorse essenziali del territorio.

 

*

 

La parte sana dello Stato si adoperi per rientrare in possesso del “malloppo” delle edificazioni illecite, se necessario attraverso strumenti coercitivi contro gli amministratori locali che hanno allegramente utilizzato i proventi degli oneri concessori per finanziare associazioni culturali (spesso e volentieri di politici, che non hanno obbligo di rendicontazione), per contratti a progetto, per consulenze ecc.

 

Se l’interpretazione offerta non è questa, allora il Consiglio di Stato smetta di statuire nelle proprie sentenze (cfr. n. 4320/2012) che gli oneri di urbanizzazione sono un corrispettivo per le spese sostenute “dall'ente locale per le opere indispensabili affinché l'area acquisti attitudine al recepimento dell'insediamento del tipo assentito (…) senza che neanche rilevi, ad esclusione dell'obbligo, la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione”.

 

Il fatto che l’attuale formulazione delle disposizioni dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 non contengano riferimenti per l’utilizzazione delle somme con i bilanci comunali non fa perdere agli oneri di urbanizzazione il carattere di corrispettivo vincolato per scopi di legge da rinvenire nei principi di grande riforma economico sociale della Legge Bucalossi.

 

Corte Costituzionale, n. 1033/1988:

“Per quel che in questa sede rileva, l'art. 7 - non modificato in sede di conversione – prevede (primo e secondo comma) alcune ipotesi di deroga al principio di onerosità della concessione edilizia, stabilito dall'art. 3 della legge n. 10 del 1977. Del pari, l'art. 9 prevede, tanto nel testo originario, quanto in quello risultante dalla legge di conversione, norme in deroga allo stesso principio, determinando alcuni casi in cui il contributo per il rilascio della concessione edilizia è dovuto in misura ridotta rispetto al suo ammontare ordinario, che, ai sensi del suddetto art. 3 della legge n. 10 del 1977, va commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. In altre parole, l'uno e l'altro articolo prevedono eccezioni o deroghe a un medesimo principio, il quale rientra indubbiamente fra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, non tanto perché stabilito in una legge che questa Corte ha già assegnato nella sua totalità a tale categoria di norme (sent. n. 13 del 1980), ma piuttosto perché il principio di onerosità della concessione incide profondamente su un punto nevralgico della disciplina della rendita fondiaria, modificando radicalmente il precedente regime. Pertanto, anche in tal caso vale il discorso svolto nel punto precedente della motivazione, in base al quale anche le deroghe o le limitazioni di un principio, legate da un rapporto di coessenzialità o di integrazione necessaria con lo stesso, partecipano della sua stessa natura di norma fondamentale delle riforme economico-sociali, in quanto concorrono a determinare l'effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio medesimo.”.

 

Una domanda: può una nuova disposizione contenuta in un Testo Unico abrogare una norma contenente un principio di grande riforma economico sociale ?

 

Qualcuno vuol forse sostenere che la leggina Prodi ha abrogato la Legge n. 10/1977, quella che per ben due volte la Corte Costituzionale ha qualificato, nella sua totalità, come norme di riforma economico sociale tanto da potersi imporre alle Regioni a Statuto speciale ?

 

 

 

Scritto il 13 settembre 2013