Il nuovo piano casa della Regione Lazio sconfina nelle Aree Naturali Protette.
di Fulvio Albanese
Alla Regione Lazio è in discussione la Proposta di Legge dell’8 ottobre 2011, numero 79 (reperibile sul sito www.consiglio.regione.lazio.it), concernente: “Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l’edilizia residenziale sociale), 26 giugno 1997, n. 22 (Norme in materia di programmi di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della regione), 16 aprile 2009, n. 13 (Disposizioni per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti) e 2 luglio 1987, n. 36 (Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure)”. Tale proposta di legge rivoluziona completamente la disciplina urbanistico-edilizia del vecchio piano casa introducendo ampliamenti edilizi (in orizzontale e verticale, o in sopraelevazione) fino a 200 metri cubi per il residenziale e fino a 200 metri quadri per il non residenziale, cambi di destinazione d’uso da non residenziale a residenziale, demolizione e ricostruzione con ampliamento fino al 35%, cambi di destinazione d’uso di volumi accessori e pertinenziali a destinazione residenziale. Oltretutto, favorisce l’applicazione dello stesso al territorio con vincolo paesistico, alle aree agricole e dulcis in fundo alle Aree Protette. Su questo ultimo punto a parere dello scrivente, dannoso e incompatibile con la disciplina istitutiva e di gestione delle aree naturali protette, si concentrerà il presente lavoro.
Vediamo nello specifico come la proposta di legge tenta di scardinare il regime di protezione dettato dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette.
L’articolo 2 (Ambito di applicazione) della L.R. 11 agosto 2009 n. 21, con la proposta in commento viene riscritto completamente, il comma 2 prevede prima una generica esclusione delle aree protette dal campo di applicazione, subito corretta con l’esclusione dell’esclusione (cioè la possibile applicazione) delle zone di promozione economica e sociale[1], e delle zone B di salvaguardia individuate dalle leggi istitutive[2],
2. Le disposizioni del presente Capo non si applicano agli interventi di cui al comma 1 da effettuarsi su edifici realizzati abusivamente, nonché su quelli situati:
(...)
c) nelle aree naturali protette, con esclusione delle zone di promozione economica e sociale, individuate nei piani di assetto delle aree naturali protette vigenti ovvero, in assenza dei piani di assetto, delle zone B individuate dalle leggi istitutive delle aree ai fini dell’applicazione delle misure di salvaguardia.
Ma andiamo per ordine, a monte delle varie leggi regionali che disciplinano il cosiddetto “piano casa”, c’è lo schema di intesa (Provvedimento 1 aprile 2009 Conferenza unificata. Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra Stato, regioni e gli enti locali, sull'atto concernente misure per il rilancio dell'economia attraverso l'attività edilizia. (Repertorio atti n. 21/CU del 1 aprile 2009), G.U. n. 98 del 29-4-2009) stipulato tra il Governo, le regioni e le autonomie locali, per il rilancio dell'economia e per rispondere al fabbisogno abitativo delle famiglie, attraverso l'attività edilizia (su questa evanescente strategia per combattere la crisi economica e degli alloggi, è meglio stendere un velo pietoso...). Comunque, l'accordo doveva contrastare la crisi economica attraverso il rilancio dell'attività edilizia, l’agevolazione degli interventi di modifica del patrimonio edilizio esistente, la semplificazione dei provvedimenti autorizzativi e l’individuazione di modalità utili ad esplicare in tempi brevi effetti economici benefici, in ogni caso sempre nell'ambito della garanzia del buon governo del territorio. Gli interventi edilizi non potevano in ogni modo essere realizzati su edifici abusivi, nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.
Non può sfuggire che una disposizione normativa di questa portata investe competenze statali esclusive quali la tutela del paesaggio, la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, nonché competenze regionali concorrenti ovvero il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, le quali incidono sul territorio, considerato nella sua accezione più ampia[3].
Dunque, per quello che qui ci interessa occorre chiarire come l’intervento normativo regionale in commento, fondato sulla competenza concorrente regionale di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, possa essere esercitato senza interferire con la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di tutela dell’ambiente e degli ecosistemi. Su questo ultimo punto la Consulta in una recente sentenza è stata molto determinata nel chiarire che: <<la disciplina ambientale che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza>>[4].
Quindi la Regione, in sede di rielaborazione del piano casa e in particolare nel momento in cui ipotizza l’applicabilità dello stesso anche alle aree protette, non può ignorare, anzi deve necessariamente riconoscere, le disposizioni dettate dallo Stato in materia ambientale come limite invalicabile, in altre parole il nuovo piano non può derogare le prescrizioni della Legge 6 dicembre 1991, n. 394 “Legge quadro sulle aree protette”, anche perché è ormai assodato che l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette in funzione della disciplina dettata dalla legge n. 394 del 1991, è ricompresa nella tutela e conservazione dell’ambiente e degli ecosistemi[5].
Ma vi è di più, infatti il legislatore del 1991 ha incardinato negli articoli 9 (Tutela del paesaggio) e 32 (Tutela della salute) della Carta Costituzionale la disciplina sulle aree protette e sul punto la Corte Costituzionale ha perentoriamente stabilito che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario[6] ed assoluto[7], deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela[8], e come tale inderogabile da altre discipline di settore[9].
Ebbene, assodato che le disposizioni del nuovo piano casa NON possono derogare la legge quadro nazionale sulle aree protette, vediamo come la legge regionale 6 Ottobre 1997, n. 29 “Norme in materia di aree naturali protette regionali”, disciplina le zone di promozione economica e sociale (definite zone D) e le zone B di salvaguardia individuate dalle singole leggi istitutive, sulle quali si intende far “sconfinare” la proposta in commento.
Cominciamo dalle zone di promozione economica e sociale, cosiddette “zone D”, la l.r. 29/1997 all’articolo 26 (Piano dell’area naturale protetta) definisce tali aree quelle più estesamente modificate da processi di antropizzazione (riprendendo per intero quanto stabilito dalla legge 394/1991), nella quale le iniziative previste dal programma pluriennale di cui all'articolo 30 della stessa legge, possono svilupparsi in armonia con le finalità di tutela dell'area, per migliorare la vita sociale e culturale delle collettività locali ed il godimento dell'area stessa da parte dei visitatori. L’articolo 30 (Programma pluriennale di promozione economica e sociale) prevede che, nel rispetto delle finalità dell'area naturale protetta e della disciplina stabilita dai relativi piano e regolamento, l'organismo di gestione promuove le iniziative atte a favorire lo sviluppo economico e sociale delle collettività residenti all'interno dell'area stessa e dei territori adiacenti, anche mediante la realizzazione di specifici progetti di sviluppo sostenibile. Non sembra, dunque a parere dello scrivente, che sia possibile l’applicazione del piano casa a queste aree, in quanto le iniziative per migliorare la vita sociale ed economica delle collettività residenti all’interno dell’area devono essere comunque compatibili con le finalità istitutive dell’area protetta (di norma: conservazione e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali e culturali, tutela e recupero degli habitat naturali e conservazione delle specie animali e vegetali, sviluppo economico e sociale delle popolazioni locali attraverso la promozione ed incentivazione delle attività economiche compatibili con particolare attenzione alle attività agricole), affermazione confermata dal comma 5 dello stesso articolo 30:
“Il programma prevede da parte dell'organismo di gestione:
a) la concessione di sovvenzioni a privati o enti locali per il mantenimento ed il ripristino delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche dei luoghi tutelati e delle tipologie edilizie;
b) la predisposizione di attrezzature, di impianti di depurazione e per il risparmio energetico, di servizi e strutture di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di specifiche convenzioni;
c) l'agevolazione o la promozione di forme di associazionismo cooperativo tra i residenti nell'ambito dell'area naturale protetta per l'esercizio di attività tradizionali, artigianali, agroforestali, culturali, di restauro, di servizi sociali e di biblioteche e di ogni altra iniziativa atta a favorire lo sviluppo di un turismo ecocompatibile.
c bis) l’incentivazione di attività dirette alla fornitura di servizi sociali, comprese le attività terapeutiche, riabilitative e di inserimento sociale, esercitate dagli imprenditori agricoli, singoli o associati, di cui all’ articolo 2135 del codice civile ed all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della l. 5 marzo 2001, n. 57) mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature e risorse aziendali normalmente impiegate nell’attività agricola”.
Vediamo ora l’altra ipotesi, l’applicazione alle “zone B” di salvaguardia individuate dalle singole leggi istitutive. Occorre subito precisare che le zone B di salvaguardia sono state introdotte dalla l.r. 29/1997, quindi le aree protette istituite prima dell’entrata in vigore della legge regionale quadro in materia parchi e riserve naturali, fortunatamente sono fuori applicazione del nuovo piano casa.
Ma tornando alle prescrizioni delle misure di salvaguardia contenute nell’articolo 8 della l.r. 29/1997 relative alle zone B, fra i tanti divieti spicca il seguente è vietata la costruzione nelle zone agricole di qualsiasi tipo di recinzione, ad eccezione di quelle necessarie alla sicurezza degli impianti tecnologici e di quelle accessorie alle attività presenti e compatibili, purché realizzate secondo tipologie e materiali tradizionali. Ora mi domando, se è vietato realizzare qualsiasi tipo di recinzione, con quale logica si può proporre l’applicazione generalizzata del piano casa? Infatti la risposta arriva subito dopo in quanto i commi successivi dispongono che è vietata la realizzazione di nuovi edifici all'interno delle zone territoriali omogenee E) previste dall'articolo 2 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1968, n. 97, in cui sono comunque consentiti:
1) interventi già autorizzati e regolarmente iniziati alla data di entrata in vigore della presente legge;
2) interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro conservativo e di risanamento igienico-edilizio che non comportino modifiche di carattere strutturale;
3) ampliamenti ed adeguamenti a fini agrituristici;
4) interventi di adeguamento tecnologico e funzionale.
La lettera r) del comma 3 dell’articolo 8 stronca definitivamente qualsiasi velleità edilizia in area protette: è vietata qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D) ed F) di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968.
In conclusione, a parere dello scrivente le norme contenute nel nuovo piano casa relative all’applicazione dello stesso alle Aree Naturali Protette, presentano evidenti profili di illegittimità costituzionale per incompatibilità con le prescrizioni dell’articolo 6 comma 3, e dell’articolo 12 comma 2 lettera d) della legge 6 dicembre 1991, n. 394 “Legge quadro sulle aree protette”, nonché manifesta violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e degli ecosistemi prevista dall’articolo 117 comma secondo, lettera s) della Costituzione.
[1] Legge 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette. (G.U. n. 292 del 13/12/1991, S.O.)
Art. 12 (Piano per il parco)
(...)
d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
[2] Legge 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette. (G.U. n. 292 del 13/12/1991, S.O.)
(Misure di salvaguardia)
(...)
4. Dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11.
(...)
Art. 11 (Regolamento del parco)
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
[3] Sul punto la Corte Costituzionale con la sentenza 7 novembre 2007, n. 367, ha statuito: “Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni”.
[4] Cfr. ex multis: Corte Costituzionale, sentenze n. 378 del 2007 n. 272 del 2009 e 101 del 2010.
[5] Cfr. ex multis: Corte costituzionale, sentenze: n. 422 del 2002, n. 378 del 2007, n. 387 del 2008, n. 12 e n. 272 del 2009.
[6] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 151 del 1986, n. 367 del 2007.
[7] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 641 del 1987, n. 367 del 2007.
[8] Cfr. ex multis: Corte costituzionale, sentenze n. 182 del 2006, nn. 367 e 378 del 2007, nn. 104, 105, 232 e 437 del 2008, nn. 12, 226 e 272 del 2009.
[9] Cfr. ex multis: Corte costituzionale, sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986 e n. 399 del 1996, n. 387 del 2007.