Case mobili e permesso di costruire
(commento critico a Cass. penale, Sez. III, n. 3572/2014)
di Massimo GRISANTI
La sentenza in commento è strabiliante a causa del completo travisamento della disposizione normativa (art. 3 D.P.R. 380/2001) relativa ai casi in cui occorre il permesso di costruire.
Cassando l’ordinanza del Tribunale di Lucca – che aveva respinto la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP relativo alla installazione, senza permesso di costruire, di “case mobili allacciate alle reti idriche, elettriche e fognarie, ritenute essere strutture ricettive con caratteristiche di sostanziale stabilità destinate in modo permanente e a tempo indeterminato all’accoglienza con pernottamento di ospiti del campeggio sprovvisti di tende o altri mezzi propri” – la III^ sezione della Suprema Corte di Cassazione penale (pres. Squassoni, rel. Andronio) ha annullato l’ordinanza affinché proceda a un nuovo esame circa la sussistenza del fumus dei reati contestati perché “(…) l’ordinanza impugnata non dà conto delle modalità di ancoraggio delle case mobili al suolo, omettendo, in particolare, di specificare se tale ancoraggio abbia carattere temporaneo. Si tratta di un’omissione decisiva ai fini della sussistenza del fumus del reato, perché la temporaneità dell’ancoraggio è espressamente ritenuta determinante dall’art. 29, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 42 del 2000, che trova applicazione nel caso di specie. Tale ultima disposizione prevede, in particolare, che è consentita, in non più del 40% delle piazzole di un campeggio – definito dal comma 1 dello stesso articolo come struttura ricettiva a gestione unitaria, aperta al pubblico, attrezzata su area recintata per la sosta e il soggiorno di turisti provvisti, di norma, di mezzi di pernottamento autonomi immobili – l’installazione di strutture temporanee ancorate al suolo per l’intero periodo di permanenza del campeggio nell’area autorizzata.”.
La sentenza non è assolutamente condivisibile, avendo preso, i Giudici, “lucciole per lanterne”.
Ma veniamo alle critiche.
Innanzi tutto il Collegio giudicante si è scordato che la materia dei titoli abilitativi è di esclusivo appannaggio dello Stato e trova il suo fondamento negli articoli 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001. In particolare, l’art. 3 dispone che sono interventi di nuova costruzione, e pertanto soggetti a permesso di costruire, “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti”.
Come è oltremodo facile capire – e ciò evidenzia, altrettanto oltremodo, l’assoluta erroneità della motivazione della sentenza in commento – la temporaneità dell’ancoraggio al suolo è assolutamente irrilevante, giacché quel che conta è che l’utilizzo di siffatti alloggi avvenga solo per soddisfare esigenze meramente temporanee.
Così come è irrilevante che la modifica dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001 sia avvenuta solo con la legge 9 agosto 2013, n. 98 e, quindi, all’indomani dei fatti in contestazione.
A tal proposito, invero, la modifica legislativa costituisce una miglior specificazione di principi fondamentali dell’urbanistica già formulati ab initio dal legislatore statale e ribaditi con la sentenza n. 139 (depositata il 13/6/2013) della Corte Costituzionale, laddove viene ripetuto “(…) che la natura stagionale dell’uso non implica precarietà del manufatto, quando esso sia volto a garantire bisogni destinati a reiterarsi nel tempo, sia pure non continuativamente.”.
Peraltro, ovviamente, i bisogni temporanei che vengono in rilievo sono esclusivamente di colui che installa la casa mobile – cioè di colui che opera la trasformazione del territorio – e non di chi solamente ne usufruisce (come, nel caso contemplato dalla L.R.T. n. 42/2000, è colui che, privo di attrezzature, sceglie di passare un periodo di vacanza, senza mezzi propri di pernottamento, in campeggi ove il gestore ha installato le case mobili).
In sintesi, devono munirsi di permesso di costruire (e ricorrendo il caso anche di autorizzazione paesaggistica):
-
il gestore di un campeggio che intende fornire ai clienti l’alloggio in case mobili;
-
i proprietari di case mobili che, terminato il periodo di vacanza, non abbandonano l’area di campeggio portandosi dietro il mezzo.
Senza contare che l’art. 29 della L.R. Toscana n. 42/2000 non era – e non è – assolutamente pertinente per decidere se l’installazione di case mobili è libera oppura soggetta a permesso di costruire, giacché le disposizioni ivi contenute sono volte alla qualificazione dei campeggi, senza inferire l’assoggettabilità o meno a titolo abilitativo edilizio.
Né l’art. 26, comma 2, del Regolamento applicativo n. 18/R dispone alcunché in ordine ad esenzione del permesso di costruire, prescrivendo unicamente misure costruttive e di installazione che consentano un agevole ripristino dello stato originario dei luoghi.
In conclusione, ad avviso dello scrivente, la sentenza in commento è totalmente fuori di grazia.
***
Solo per fini notiziali si fa presente che la questione dei manufatti precari, ivi comprese le case mobili, è stata recentemente affrontata anche dal TAR Campania, sede di Salerno, che con ordinanza n. 283/2014 ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della L.R. Campania n. 13/1993 (anch’essa vertente, guarda caso, in tema di campeggi).
L’ordinanza, ben motivata, fa un’esaustiva esegesi della normativa statale, confrontandola con quella regionale (operazioni non svolte dalla Cassazione penale), che qui vengo a riportare:
“Ciò posto, risulta decisiva, ai fini della definizione del giudizio, la valutazione di legittimità di tale ultimo provvedimento, il quale consacra, con la determinazione negativa assunta, la irregolarità della struttura ricettiva sotto il profilo urbanistico ed ambientale.
Va, invero, osservato che, a fondamento dell’espresso diniego, la nota prot. n. 318 del 19.1.2012 pone la considerazione che “dall’esame dei grafici allegati all’istanza in oggetto e dalla documentazione fotografica si evince che l’intera area adibita a campeggio risulta occupata anche da roulotte e case mobili inglobate in strutture fisse, quali recinzioni, cancelli, aiuole coperte da tettoie con telai in ferro, pannelli in lamiera o teli ombreggianti; tali strutture impediscono di fatto la immediata removibilità delle roulotte o case mobili a chiusura della stagione balneare; che le roulotte e le case mobili che presentano le caratteristiche sopra descritte non rispettano il carattere di temporaneità e facile amovibilità, e, pertanto, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5 del dpr 380/2001 sono da considerarsi a tutti gli effetti interventi di nuova costruzione con aumento di superfici e volumi che non risultano autorizzati agli atti di ufficio; che, ai sensi dell’art. 167, IV comma del D.lgs. 42/04 è possibile ottenere l’accertamento di compatibilità paesaggistica solo per le opere che non abbiano determinato creazione di superficie utile e di volumi…”.
Parte ricorrente, peraltro, contesta la legittimità di tale assunto, evidenziando la non abusività delle predette installazioni e richiamando in proposito la disposizione normativa contenuta nell’articolo 2, comma 1, della legge regionale Campania n. 13 del 26-3-1993, come modificato dall’art. 1, comma 129, della legge regionale Campania n. 4 del 15 marzo del 2001, il quale così recita “ I campeggi sono esercizi ricettivi aperti al pubblico a gestione unitaria , attrezzati in aree recintate per la sosta in apposite piazzole per il soggiorno di turisti provvisti, di norma, di unità abitative quali tende ed altri mezzi autonomi di pernottamento, quali roulotte, maxi caravan e case mobili. Tali installazioni anche se collocate permanentemente entro il perimetro delle strutture ricettive regolarmente autorizzate, non costituiscono attività rilevanti ai fini urbanistici , edilizi e paesaggistici. A tal fine i predetti allestimenti devono: conservare i meccanismi di rotazione in funzione, non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento “.
Orbene, risulta evidente al Collegio la rilevanza di tale norma ai fini della definizione del presente giudizio, atteso che la sua applicazione renderebbe lecite sotto il profilo urbanistico, paesaggistico ed ambientale le “roulotte e case mobili” installate all’interno del campeggio, pur nel carattere “permanente” della loro presenza (situazione non revocabile in dubbio, in considerazione della circostanza che le stesse non vengono concretamente rimosse a fine stagione estiva e, pur non utilizzate a fini abitativi per il residuo periodo dell’anno, permangono all’interno della struttura ricettiva, sia pur, come sostenuto in ricorso, per finalità di custodia e rimessaggio).
Il Tribunale, peraltro, dubita della legittimità costituzionale della suddetta norma per le ragioni che di seguito si espongono, sotto molteplici e concorrenti profili, ritenendo di sollevare in proposito incidente di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale.
2. 1 - Il richiamato articolo 2, comma 1 , della legge regionale Campania n. 13 del 26-3-1993, come modificato dall’art. 1 , comma 129, della legge regionale n. 4 del 15-3-2001, nella parte in cui prevede, con riferimento a roulotte, maxi caravan e case mobili, che “tali installazioni anche se collocate permanentemente entro il perimetro delle strutture ricettive regolarmente autorizzate, non costituiscono attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine i predetti allestimenti devono: conservare i meccanismi di rotazione in funzione, non possedere alcun collegamento di natura permanente col terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento” è in contrasto con l’articolo 117, comma 3 della Costituzione (il quale qualifica materia di legislazione concorrente il “governo del territorio” disponendo che “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa , salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”), in quanto contrasta con la disciplina legislativa statale di principio emanata in materia, ricavabile dagli artt. 3 e 10 del DPR 6 giugno 2001, n. 380.
In particolare, l’articolo 3 , comma 1, lett. e) qualifica come “interventi di nuova costruzione” quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, disponendo, tra l’altro, al punto e.5) che è comunque da considerarsi tale “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
La norma risulta essere stata modificata dall’art. 41, comma 4, del d.l. 21-6-2013, n. 69, convertito, con modificazioni , dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, con l’ulteriore specificazione “ancorchè siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”.
L’articolo 10 del citato DPR n. 380/2001 stabilisce, poi, che gli interventi di “nuova costruzione” costituiscono trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire.
Dalle disposizioni citate si ricava che “ la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorchè esse non abbiano carattere precario” (cfr. Corte Cost. n. 171 del 6-7-2012; n. 278 del 22-7-2010).
Il giudice regolatore delle leggi (cfr. le sentenze citate) ha, inoltre, chiarito, sul piano generale, che “il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è dato dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso”.
Orbene, nella fattispecie normativa in esame difetta il requisito della precarietà.
Manca, invero, la precarietà oggettiva, giacchè altrimenti “il legislatore statale non avrebbe catalogato in modo espresso tra gli interventi di nuova costruzione l’installazione di manufatti leggeri, tra cui le case mobili” (cfr. Corte Cost.n. 171/2012, cit.).
Difetta, altresì, la precarietà funzionale, atteso che la disposizione regionale incriminata stabilisce che la installazione di “unità abitative quali tende ed altri mezzi autonomi di pernottamento, quali roulotte, maxi caravan e case mobili” non costituisce attività rilevante ai fini urbanistico, edilizio e paesaggistico anche se tali installazioni sono collocate all’interno della struttura ricettiva “permanentemente”.
D’altra parte, il riferimento, da parte della norma statale, a “manufatti leggeri e strutture di qualsiasi genere”, con la specificazione che gli stessi, al fine della qualificazione in termini di nuova costruzione (e, dunque di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, soggetta a controllo) “non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”, sembra attribuire carattere essenziale all’elemento funzionale, certamente non connotabile in termini di precarietà nel caso in cui l’installazione abbia – come la norma regionale consente – carattere permanente.
Né può dirsi, a sostegno della legittimità costituzionale della disposizione regionale in esame, che trattasi di una previsione meramente difforme da una norma statale di dettaglio, in tal modo qualificandosi la definizione che l’articolo 3 del Testo Unico dell’Edilizia offre all’intervento di “nuova costruzione”nella richiamata lettera e.5) del comma 1.
Vi è, invece, che la predetta lettera e.5), precisando gli ambiti del significato di “opera precaria” e, dunque, del concetto di “trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio” concorre alla definizione dei contenuti del principio fondamentale (riservato alla legislazione dello Stato) sopra richiamato, costituito dalla regola per cui “ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorchè esse non abbiano carattere precario” (cfr. Corte Cost. n. 171 del 6-7-2012; n. 278 del 22-7-2010).
Essa specifica, in buona sostanza, il significato degli elementi normativi di cui tale principio si compone.
E che, infine, siamo di fronte alla violazione, da parte del legislatore regionale, di una norma statale di principio, lo conferma lo stesso contenuto definitorio di tale tipologia di norma.
La Corte Costituzionale ha, invero, più volte chiarito che alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri ed obiettivi, mentre alla disciplina di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi.
Orbene, la qualificazione degli ambiti di operatività dei concetti di opera precaria e di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio appartiene alla statuizione di principio, in quanto concorre a definire i contenuti della regola generale della necessità del titolo abilitativo (e, dunque, del controllo) sulle trasformazioni del territorio rilevanti, in quanto di carattere permanente e non precario.
In tale regola, di poi, con ciò confermandosi la sua natura di norma di principio, si rivela l’esigenza che la stessa abbia applicazione uniforme da parte di ogni Regione, risultando identico l’interesse pubblico tutelato e perseguito in ogni parte del territorio nazionale.
2.2. - Di poi, il richiamato articolo 2, comma 1 , della legge regionale Campania n. 13 del 26-3-1993, come modificato dall’art. 1 , comma 129, della legge regionale n. 4 del 15-3-2001, nella parte in cui prevede, con riferimento a roulotte, maxi caravan e case mobili, che “tali installazioni anche se collocate permanentemente entro il perimetro delle strutture ricettive regolarmente autorizzate, non costituiscono attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine i predetti allestimenti devono : conservare i meccanismi di rotazione in funzione, non possedere alcun collegamento di natura permanente col terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento” è in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione (il quale attribuisce allo stato potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali), in quanto contrasta con la relativa disciplina legislativa statale emanata in materia paesaggistica, ricavabile dagli artt. 142, 146, 149 e 167 del decreto legislativo n. 42 del 24-2-2004.
Va premesso che nella giurisprudenza della Corte le nozioni di tutela dell’ambiente e di tutela del paesaggio hanno finito per subire una sostanziale assimilazione semantica, con la conseguenza che la “materia” della tutela dell’”ambiente/paesaggio” viene ad investire beni di carattere primario, la cui cura viene affidata in via esclusiva alla potestà legislativa dello Stato, senza che questa possa essere scalfita dal legislatore regionale.
Orbene, l’articolo 142 del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) individua le aree interessate per legge da vincolo paesaggistico, in quanto di interesse paesaggistico e, pertanto, sottoposte alle disposizioni del Codice, ricomprendendovi , alla lettera f) , “ i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna ai parchi)”.
Il successivo articolo 146 regolamenta il controllo e la gestione dei beni sottoposti a tutela, prevedendo che “ i proprietari , possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili o aree di interesse paesaggistico … non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” e stabilendo che la realizzazione di interventi su tali aree o immobili protetti sia soggetta a previa autorizzazione (nulla osta) da parte dell’autorità competente. Prevede, poi, come regola generale, che tale autorizzazione non possa essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione anche parziale degli interventi, mentre il successivo articolo 167 ( commi 4 e 5) individua le ipotesi eccezionali in cui l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica è, in via derogatoria a tale regola generale, consentito.
Infine, l’articolo 149 elenca gli interventi non soggetti ad autorizzazione.
Ciò posto, rileva il Tribunale che la norma regionale in esame, nello stabilire la “irrilevanza” ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici delle opere da essa contemplate anche se collocate permanentemente entro il perimetro delle strutture ricettive, si pone in evidente contrasto con le citate disposizioni di legge statale.
In tal modo, invero, si sottrae alla disciplina statale dettata in materia di controllo ed autorizzazione (preventiva ed in sanatoria, ex citato artt. 146 e 167) una categoria di interventi che non è espressamente prevista dal legislatore statale come esente dall’obbligo di autorizzazione (art.149) .
Sicchè, per tale via, si finisce, da un lato, per rendere concretamente non applicabile ( in quanto sottratta ad ogni possibilità di verifica) la regola, stabilita dall’articolo 146, comma 1, secondo cui nelle aree vincolate non sono consentite modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione; sotto altro profilo, poi, attraverso la piena liberalizzazione degli interventi, si finisce in definitiva per rendere l’area, in relazione alla possibilità di realizzare gli interventi previsti dalla disposizione regionale, sostanzialmente priva di vincolo (non essendone applicabile la relativa disciplina di protezione).
Calzante, in proposito, si appalesa il richiamo al ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 235 del 22-7-2011.
2.3. - La richiamata violazione dell’articolo 117, comma 2, lettera s), si configura , altresì, sotto lo specifico aspetto della violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato con riferimento alla disciplina normativa dettata in materia di parchi ed aree naturali protette, segnatamente gli artt. 11 e 13 della legge n. 394 del 6.12.1991 ( v. Corte Cost. sent. n. 171 del 6-7-2012).
L’articolo 1 della legge , nel definire finalità ed ambito applicativo, dispone che essa “in attuazione degli artt.9 e 32 della Costituzione ed in attuazione degli accordi internazionali, detta principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese”.
Il successivo articolo 11 prevede il regolamento del parco, cui demanda la disciplina dell’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco stesso, stabilendo pure che ad esso è affidata l’individuazione della tipologia e delle modalità di costruzione di opere e manufatti. Il comma 3 dell’articolo 11 dispone , poi, che “Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat”.
L’articolo 13, infine, prevede che “ il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al nulla osta dell’Ente Parco”, cui è demandata la verifica della “ conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento”.
Orbene, la norma regionale in esame, come sopra individuata, contrasta con tale normativa statale e, per il tramite di questa ( normativa interposta) con l’art. 117, comma 2 ,lett. s) della Costituzione, atteso che, nel definire le installazioni da essa previste, pur se collocate in via permanente, attività irrilevanti sotto il profilo urbanistico, edilizio e paesaggistico, non prevede iniziative di controllo o di verifica dell’impatto ambientale, sottraendole allo specifico meccanismo di disciplina e di controllo previsto dalla legge statale, così sostanzialmente impedendo l’accertamento della osservanza del divieto sancito dall’articolo 11, comma 3, della legge.
In tal modo viene gravemente compromessa la tutela dell’ambiente, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, violandosi altresì la regola, individuata dal giudice delle leggi (cfr. sent. n. 235/2011) secondo cui l’intervento regionale è possibile soltanto in quanto introduca una disciplina idonea a realizzare un ampliamento dei livelli di tutela e non derogatoria in senso peggiorativo.
3. - Ritiene il Tribunale che la questione di costituzionalità, come sopra prospettata con riferimento alla violazione della disciplina costituzionale in materia di potestà legislativa concorrente, deve essere sollevata e portata all’esame ed alla decisione della Corte Costituzionale, non configurandosi nella presente vicenda – a giudizio del Tribunale – la fattispecie prevista dal comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale n. 62/1953 (“Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”), a seguito della modificazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.5) del DPR n. 380/2001 intervenuta per effetto dell’art. 41, comma 4 , del d.l. 21-6-2013, n. 69, convertito , con modificazioni dalla legge 9-8-2013, n. 98.
Tale modificazione, invero, ha inserito nella originaria formulazione della citata lett. e.5) l’inciso “… ancorchè siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”.
Detta specificazione, invero, introdotta evidentemente a seguito dell’intervento in materia della Corte Costituzionale (sent. n. 171 del 6-7-2012), non ha carattere innovativo dei contenuti della originaria previsione normativa, costituendo invece specificazione interpretativa di un contenuto normativo del principio fondamentale già ricavabile dalla originaria formulazione della legge, come, peraltro, è comprovato dal citato intervento della Corte Costituzionale, già intervenuto nella vigenza della originaria disciplina statale.
Non vi è, pertanto, alcuna “modifica” del principio fondamentale e, dunque, non si configura il presupposto di operatività dell’articolo 10 della legge n. 62/1953.
Si è, dunque, di fronte – a parere del Collegio – ad una ipotesi di contrasto tra legge regionale e norma statale di principio preesistente (che richiede l’intervento della Corte) e non anche di sopravvenienza di nuova norma statale di principio rispetto alla quale la previgente legislazione regionale è incompatibile.
Da ultimo, si richiamano, a sostegno della necessità della pronunzia del giudice delle leggi, la circostanza della rilevanza della formulazione normativa esistente alla data di adozione dei provvedimenti oggetto di impugnativa, ai fini della individuazione del parametro normativo di riferimento per valutarne la legittimità, nonché la diversa decorrenza dell’effetto caducatorio della norma sospettata di non conformità a Costituzione nelle due differenti ipotesi sopra prospettate.
4. - Tutto quanto sopra esposto:
alla luce dei riassunti rilievi, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge Regionale Campania n. 13 del 26-3-1993, come sostituito dall’articolo 1, comma 129 della L.R. n. 5 del 15-3-2011, nella parte sopra precisata, si appalesa prima facie:
- rilevante , in quanto la disposizione costituisce paradigma normativo di riferimento per valutare la legittimità delle ragioni di diniego espresse negli atti oggetto di impugnativa, così come chiarito al punto 1) della motivazione;
- non manifestamente infondata , alla luce delle esposte considerazioni critiche.
Pertanto, in applicazione dell’art. 23 della legge costituzionale n. 87 del 1953 e, riservata ogni altra decisione all’esito del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, alla quale va rimessa la soluzione dell’incidente di costituzionalità; (…)”.
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Scritto il 08/02/2014
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