Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3010, del 31 maggio 2013
Urbanistica.Tettoia e porticato agganciate al muro del fabbricato esistente

Tettoia e porticato soltanto agganciate al muro del fabbricato esistente, per la loro stabilità ed ampiezza e per il fatto che comportano un aumento di volumetria e una nuova superficie, necessitano del permesso di costruire. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03010/2013REG.PROV.COLL.

N. 07667/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7667 del 2012, proposto dai signori Pasqualino Perillo e Anna di Virgilio, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Grillo e Umberto Gentile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paolo Carbone in Roma, via del Pozzetto, 122.

contro

Comune di Gioia Sannitica, in persona del Sindaco pro tempore;

per la riforma

della sentenza 22 febbraio 2012, n. 862, del Tribunale amministrativo regionale della Campania, Napoli, Sezione VIII.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e udito per gli appellanti l’avvocato Soprano, per delega degli avvocati Gentile e Grillo.



FATTO e DIRITTO

1.– I signori Perillo Pasqualino e Di Virgilio Anna sono proprietari di un immobile ubicato nel Comune di Gioia Sannitica.

Il fabbricato, insistente sulle particelle 261 e 262, è stato oggetto di interventi di adeguamento strutturale e variazione di destinazione d’uso assentiti mediante rilascio della concessone edilizia n. 42 del 2003. Sulla particella 261 esiste un ulteriore corpo di fabbrica, adiacente a quello sopra indicato.

Con ordinanza 1° settembre 2011, n. 55, il Comune ha contestato ai signori Perillo Pasqualino e Di Virgilio Anna: a) la realizzazione, «in ampliamento al fabbricato esistente», di un «locale adibito ad abitazione e una tettoia in ferro adibita a deposito»; b) nella parte di fabbricato esistente, la modifica della destinazione d’uso «da autorimessa in abitazione», oltre alla modifica di «porte e finestre»; c) nella zona antistante l’autorimessa trasformata, la realizzazione di «un porticato con struttura in legno e ferro». Con lo stesso provvedimento è stata ordinata la demolizione delle predette opere, con l’avvertimento che, nel caso di mancato spontaneo ripristino dello stato dei luoghi nel termine assegnato, «il bene o l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive saranno acquisiti gratuitamente al patrimonio comunale».

Tale provvedimento è stato impugnato dai proprietari degli immobili, oggetto degli abusi contestati, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, per i motivi riproposti in sede di appello e indicati nei successivi punti.

1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 22 febbraio 2012, n. 862, ha rigettato il ricorso.

2.– I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello.

2.1.– L’amministrazione intimata non si è ritualmente costituita in giudizio.

3.– L’appello non è fondato.

3.1.– Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, che non avrebbe indicato le ragioni di interesse pubblico alla demolizione in presenza, in particolare, di un «ampliamento al fabbricato esistente» effettuato da «tantissimo tempo».

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questo Consiglio, cui la Sezione aderisce, è costante nel ritenere che «l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, né l’interessato può dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi» (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781).

In particolare, si è affermato che nel caso di abusi edilizi vi è «un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza». In questi caso il «fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse» (Cons. Stato, IV, 4 maggio 2012, n. 2592).

3.2.– Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, da cui non vi è ragione di discostarsi, ritiene che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto (tra gli altri, Cons. Stato, IV, 18 settembre 2012; 10 agosto 2011, n. 4764; IV, 20 luglio 2011, n. 4403; VI, 24 settembre 2010, n. 7129).

3.3.– Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’ordinanza di demolizione per non avere indicato l’area di sedime. Inoltre, l’iter finalizzato all’acquisizione gratuita non sarebbe applicabile alle opere quali il porticato e la tettoia, nonché al fabbricato «regolarmente assentito dall’ente e legittimamente realizzato».

L’art. 32 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede, al comma 2, che l’ordine di demolizione deve indicare l’area che viene acquisita. Il terzo comma dello stesso art. 32 dispone che «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune».

La chiara distinzione tra atto di demolizione e atto di acquisizione implica che l’omessa indicazione nell’ordinanza di demolizione dell’area non costituisce motivo di invalidità dell’atto, in quanto la posizione del destinatario del provvedimento – sotto tale profilo - è tutelata dall’esistenza di un successivo e autonomo provvedimento acquisitivo (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2013, n. 894; Cons. Stato, IV, 26 settembre 2008, n. 4659).

Ne consegue che, una volta definita la natura e la consistenza delle opere abusivamente realizzate mediante l’accertamento che si stata svolgendo in questa sede, l’amministrazione potrà adottare i provvedimenti consequenziali che terranno conto delle modalità, previste dalla legge, di acquisizione delle aree.

3.4.– Con un quarto motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la tettoia e il porticato, per la loro stabilità ed ampiezza e per il fatto che comportano un aumento di volumetria e una nuova superficie, necessitano del permesso di costruire.

Sul punto gli appellanti deducono che tali opere, essendo «soltanto agganciate al muro del fabbricato esistente», appoggiate al suolo mediante profilati in ferro ed aperte su tre lati, possono essere realizzate con una mera denuncia di inizio attività, con conseguente illegittimità dell’ordine di demolizione.

Il motivo non è fondato.

L’art. 10 del d.p.r. n. 380 del 2001 prevede che sono subordinati al rilascio del permesso di costruire, tra l’altro, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della sagoma e dei prospetti.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che le opere, sopra indicate, essendo, come nella specie, agganciate al muro perimetrale danno luogo alla predetta modificazione, con la conseguente necessità del permesso di costruire (Cons. Stato, IV, 29 aprile 2011, n. 2549).

3.5.– Con un quinto motivo si rileva l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il contestato cambio di destinazione necessiti del permesso di costruire.

Il motivo non è fondato.

L’art. 10 del d.p.r. n. 380 del 2001 prevede che sono considerati interventi di ristrutturazione edilizia che necessitano del permesso di costruire quelli che comportano, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee, mutamenti della destinazione d’uso.

Nel caso di specie, come sottolineato, essendo stata «effettuata una modifica della destinazione d’uso da autorimessa in abitazione, oltre a modifiche di porte e finestre», si applica la norma sopra riportata. Si tenga conto, inoltre, che la natura della diversa destinazione implica anche che la stessa avvenga, normalmente, mediante opere.

Né si potrebbe pervenire ad un risultato diverso alla luce di quanto previsto dalle norme richiamate dall’appellante: a) art. 2 della legge della Regione Campania 28 novembre 2001, n. 19, che ritiene sufficiente la denuncia di inizio attività in presenza di mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, di volumi e di superfici; b) art. 5, comma 9, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, che ammette modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari.

Nella fattispecie in esame, il mutamento di destinazione comporta, infatti, da un lato, la trasformazione dell’aspetto esteriore dell’immobile, dall’altro, è incompatibile rispetto alla precedente destinazione.

3.6.– Con un ultimo motivo si denuncia l’erroneità della sentenza per avere ritenuto non invalidante la mera enunciazione nel provvedimento impugnato della violazione di leggi in materia di tutela paesaggistica senza ulteriore specificazione.

Il motivo non è fondato.

L’ordinanza impugnata, come correttamente posto in rilievo dal primo giudice, è adeguatamente motivata mediante l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate. La circostanza che nel preambolo del provvedimento venga citato il suddetto decreto legislativo n. 42 del 2004 costituisce un elemento che non può avere valenza invalidante.

4.– Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

In mancanza di costituzione dell’amministrazione intimata, non occorre pronunciarsi sulle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe n. 7667 del 2012.

Nulla sulle spese processuali del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)