Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3283, del 30 giugno 2014
Urbanistica.Legittimità diniego condono per ampliamento opificio all’interno della fascia di mt. 10 di rispetto del torrente
L'art. 96, lett. f), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo destinato a prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale. Tuttavia, quest'ultima, che può anche essere contenuta nello strumento urbanistico, per derogare alla norma statale, deve essere espressamente destinata alla regolamentazione delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03283/2014REG.PROV.COLL.
N. 03322/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3322 del 2003, proposto dalla s.n.c. Cst di Piccini Angelo Battista, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Innocenzo Gorlani e Claudio Chiola con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via della Camilluccia, n. 785;
contro
Il Comune di Sarezzo, non costituitosi nel corso del secondo grado del giudizio;
nei confronti di
La Regione Lombardia - Ufficio Genio Civile di Brescia, non costituitasi nel corso del secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA, n. 1347/2002, resa tra le parti, concernente un diniego di condono edilizio relativo all’ampliamento di un opificio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per la parte appellante l’avvocato Chiola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 389 del 1989, proposto al TAR Lombardia, sez. staccata di Brescia, l’odierno appellante chiedeva l’annullamento del provvedimento dell’Assessore delegato del Comune di Sarezzo dell’8 febbraio 1989 avente ad oggetto il diniego con cui è stata respinta l’istanza di condono edilizio relativa all’ampliamento dell’opificio nella parte localizzata all’interno della fascia di mt. 10 di rispetto del torrente Gombiera, nonché del parere negativo dell’ufficio del Genio civile di Brescia
2. Il primo Giudice respingeva il ricorso, rilevando che l’art. 33 della L. n. 47 del 1985 contenente l’elencazione delle opere non suscettibili di sanatoria, al comma 1 lett. c), include le opere in contrasto con i “vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali”.
Dal canto suo, l’art. 96 lett. F) del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, vieta in modo assoluto le costruzioni ad una distanza inferiore di mt. 10 dall’alveo dei corsi d’acqua.
Né vale obbiettare che, da un lato, si sarebbe instaurata di fatto una prassi locale sfociata nella consuetudine di cui è parola nell’art. 96 citato, laddove fa riferimento alla “disciplina locale”, perché quest’ultima locuzione deve intendersi riferita alla disciplina regionale: la Regione Lombardia con nota dell’8 settembre 1988 ha espressamente affermato la non conformità dell’opera, invitando il Comune resistente a emettere ordinanza di demolizione, con ripristino dello stato dei luoghi; dall’altro, il diniego, che prescinde dalla situazione di fatto, non può dirsi che non sarebbe congruamente motivato, atteso che l’opera viola un vincolo assoluto, senza che pertanto residui in sede di esame della domanda di condono alcun margine di apprezzamento discrezionale.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto appello la Cst di Piccini Angelo Battista S.n.c., assegnando le proprie difese ai seguenti motivi:
I) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui valuta la locuzione “disciplina locale” come regionale, sia perché l’ordinamento in generale quando utilizza il termine “locale” fa riferimento ad un ambito infraregionale (le regioni però all’epoca non esistevano), sia perché un esame sistematico delle altre locuzione utilizzate nel R.D. 25 luglio 1904, n. 523, fa ritenere che questa come altre identifichi consuetudini ‘pubbliche o private’. Del resto per ben due volte il Genio civile aveva autorizzato ad edificare entro la zona di rispetto. Inoltre proprio l’art. 96 lett. f) del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, si pone quale norma suppletiva che ben può essere derogata dai diversi usi;
II) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il diniego fosse vincolato, stante il divieto assoluto di edificazione, e quindi non fosse necessaria adeguata motivazione, poiché non è un divieto assoluto come dimostrato dalla sentenza Cass. n. 807 del 1978, che ritiene il divieto poggi sulla presenza di una massa d’acqua utilizzabile per fini pubblici;
III) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità degli atti impugnati per non essere stata svolta adeguata istruttoria, cadendo il Genio civile in una petizione di principio: l’edificazione cade in zona di rispetto, non avendo verificato le condizioni concrete dei luoghi, che avrebbe consentito di appurare il comune soddisfacimento dell’interesse pubblico al corretto deflusso delle acque e quello privato al mantenimento della costruzione.
4. Nelle successive difese l’appellante insiste nelle suddette conclusioni.
5. L’appello è infondato e non può essere accolto.
5.1. In ordine alla prima doglianza, non rileva il rilievo circa la necessità di riferire la locuzione “discipline vigenti nelle diverse località” ad una ambito necessariamente infraregionale.
Infatti, all’epoca dell’entrata in vigore del citato art. 96, le Regioni non erano state ancora, né previste, né istituite, sicché non può farsi il paragone lessicale con altre disposizioni emanate in un tempo successivo all’istituzione delle Regioni.
Il riferimento in questione deve pertanto intendersi, comunque, come un rinvio mobile ad una disciplina non applicabile sull’intero territorio nazionale e che tenga conto delle specificità locali. Tale carattere è riferibile anche alla disciplina regionale, in costanza della quale perde rilievo la ipotizzata natura suppletiva della norma, poiché la fattispecie risulta disciplinata dalla nota della Regione Lombardia dell’8 settembre 1988.
Va richiamata al riguardo Cass., Sez. Unite, 18 luglio 2008, n. 19813, secondo la quale: “L'art. 96, lett. f), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo destinato a prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale. Tuttavia, quest'ultima, che può anche essere contenuta nello strumento urbanistico, per derogare alla norma statale, deve essere espressamente destinata alla regolamentazione delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale”.
5.2. Destituita di fondamento risulta anche la seconda censura.
Come ha chiarito Cass. n. 5644 del 1979, “I divieti di edificazione sanciti dall'art 96, lett F), del RD 25 luglio 1904, n 523 (tu delle leggi sulle opere idrauliche), sono precipuamente informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali per i diversi usi disciplinati dalla speciale legislazione sulle acque, o, comunque, di assicurare, ai fini di pubblico interesse, il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatoi pubblici: ne consegue che, qualora risulti oggettivamente non sussistente una massa d'acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai suesposti fini pubblicistici, deve escludersi la operatività, ad ogni effetto, dei divieti predetti”.
Nella fattispecie, però, non risulta contestata la presenza di una massa d’acqua, ossia il torrente Gombiera, e che la stessa sia utilizzata da molte imprese (cfr. appello pag. 2), sicché risulta evidente la necessità di assicurarne il libero decorso.
Pertanto, l’esercizio del potere risultava in concreto vincolato, sicché l’atto per come formulato non si espone alla censura di difetto di motivazione reiterata in seconde cure.
5.3. Va respinta anche l’ultima doglianza, giacché è proprio l’esistenza di una massa d’acqua della quale doveva essere assicurato il libero deflusso e la presenza di una costruzione in contrasto con il vincolo in questione a giustificare il diniego di condono che non poteva essere successivamente superato.
Non rileva infatti il richiamo operato all’art. 32, comma 1, l. 47 del 1985, in quanto quest’ultimo non deroga l’autonoma disciplina dettata dal successivo art. 33, comma 1, che indica gli specifici vincoli che non possono comunque essere superati, e che comportano l’impossibilità di rilascio del provvedimento di condono (cfr. Cass. civ., Sez. III, 3 novembre 2010, n. 22422: “In tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali, il vincolo di inedificabilità a distanza inferiore a 25 metri dal limite della zona di occupazione dell'autostrada, imposto dall'art. 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729, si traduce in un divieto assoluto di edificazione. In tale ipotesi, quindi, non è applicabile la previsione di cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 - in base al quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione - bensì quella del successivo art. 33, che non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all'esecuzione; ne consegue che la società concessionaria per la costruzione di un'autostrada non perde l'interesse ad agire per il rispetto della suddetta distanza anche in caso di presentazione, da parte del privato, della domanda di condono.”).
6. L’appello in esame va dunque respinto.
7. Nulla per le spese, non risultando la costituzione in giudizio delle parti appellate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 3322 del 2003, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)