CGUE e glifosato: la carriola del formalismo e il campo della tutela
di Stefano PALMISANO
ABSTRACT: La Corte di Giustizia dell’Unione Europea viene investita da un giudice francese di una questione nevralgica in materia di tutela dell’ambiente, della sicurezza alimentare e della salute pubblica: la legittimità del Regolamento dell’Unione Europea n. 1107/2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, alla luce del principio di precauzione.
La Corte respinge tutte le questioni poste dal remittente e, incidentalmente, enuclea un assunto di fondo di grande rilevanza, anche nel complessivo approccio della Corte stessa al thema decidendum: “la validità di una disposizione del diritto dell'Unione deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie di tale disposizione e non può dipendere dalle peculiari circostanze di un dato caso.”
Nel lavoro si prova a sviluppare un ragionamento critico su questa impostazione che pare connotata da un’impronta eminentemente formalistica.
nota: la sentenza commentata è consultabile qui
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Cenni sui fatti e sul procedimento nazionale
Un gruppo di aderenti all’associazione “Mietitori volontari anti ogm dell’Ariège”, in Francia, fa irruzione in alcuni negozi e danneggia alcuni bidoni di diserbanti contenenti glifosato.
Si apre un procedimento penale a loro carico, innanzi al Tribunale penale di Foix, per concorso in danneggiamento.
In giudizio, nell’esercizio del loro diritto di difesa, gli imputati invocano lo stato di necessità e il principio di precauzione, affermando che “ lo scopo delle loro azioni era di informare i negozi interessati e i loro clienti in merito ai rischi derivanti dalla commercializzazione senza sufficienti avvertenze di diserbanti contenenti glifosato, di impedire tale commercializzazione e di tutelare la salute pubblica nonché la propria salute. ”
Il giudice francese prende assai sul serio le argomentazioni difensive degli imputati, tanto che si interroga sulla capacità della normativa dell'Unione di salvaguardare pienamente la salute della popolazione. Di più, mette in dubbio direttamente la validità del Regolamento dell’Unione Europea n. 1107/2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, alla luce del principio di precauzione e si convince che la soluzione di questa questione abbia valenza preliminare rispetto alla stessa decisione sulla responsabilità penale dei militanti ambientalisti.
Il Tribunale transalpino, quindi, sospende il procedimento e rinvia in sede “pregiudiziale” la questione della legittimità, e quindi validità, del Regolamento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sottoponendo alla stessa una serie di articolati e penetranti quesiti che è opportuno riportare per esteso:
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“ Se il regolamento [n. 1107/2009] sia conforme al principio di precauzione dal momento che esso non definisce con precisione la nozione di sostanza attiva, lasciando al richiedente il compito di scegliere ciò che lo stesso denomina sostanza attiva nel suo prodotto, e lasciandogli la possibilità di concentrare il suo intero fascicolo di domanda su un'unica sostanza, mentre il suo prodotto finito commercializzato ne contiene molteplici.
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Se il principio di precauzione e l'imparzialità dell'autorizzazione alla commercializzazione siano garantiti qualora i test, le analisi e le valutazioni necessari all'istruzione del fascicolo siano effettuati dai soli richiedenti che possono essere parziali nella loro presentazione, senza alcuna controanalisi indipendente e senza che siano pubblicati i rapporti di richieste di autorizzazione a motivo dell'addotta protezione del segreto industriale.
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Se il regolamento [….] sia conforme al principio di precauzione dal momento che non tiene in alcun modo conto delle molteplicità di sostanze attive e del loro impiego cumulativo, in particolare giacché non prevede alcuna analisi specifica completa a livello europeo delle combinazioni di sostanze attive in uno stesso prodotto.
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Se il regolamento [….] sia conforme al principio di precauzione dal momento che esso, nei capi 3 e 4, prevede un'esenzione dalle analisi di tossicità [genotossicità, esame di cancerogenicità, esame degli interferenti endocrini (...)] per i prodotti pesticidi nelle loro formulazioni commerciali quali immesse sul mercato e alle quali sono esposti i consumatori e l'ambiente, e impone solo test sommari che sono sempre effettuati dal richiedente" .
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La pronuncia della CGUE
La Corte di Giustizia analizza e rigetta tutti i quesiti prospettati dal giudice francese sulla scorta di specifiche previsioni dello stesso Regolamento 1107\2009 ( Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., Sent., 01-10-2019, n. 616/17 .)
Per quanto riguarda il primo motivo di rinvio, per esempio, la Corte dà atto che, effettivamente, il regolamento “ non include la definizione dei termini ‘sostanza attiva’”. Subito dopo, però, contesta l’assunto del Tribunale francese sulla base di un’interpretazione sistematica del testo normativo (artt. 2, 33 e 78) approdando alla conclusione per cui “ il richiedente è tenuto a dichiarare, quando presenta la domanda di autorizzazione riguardante un prodotto fitosanitario, ciascuna sostanza inclusa nella composizione di tale prodotto che rispetti i requisiti di cui all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 1107/2009, sicché egli, contrariamente a quanto ritiene il giudice del rinvio, non ha la possibilità di scegliere discrezionalmente quale componente di detto prodotto debba essere considerato come una sostanza attiva ai fini dell'esame di tale domanda .”
Ancora, i giudici unionali si esprimono “ sulla presa in considerazione degli effetti cumulativi dei componenti di un prodotto fitosanitario .” (terzo motivo di rinvio)
Per disattendere anche questa osservazione dell’Autorità francese, la Corte richiama gli articoli del regolamento n. 1107\2009 in materia di procedura innanzi allo Stato membro al quale sia stata presentata una domanda di approvazione di una sostanza attiva o di autorizzazione di un prodotto fitosanitario, rimarcando che, in forza della normativa in questione, le autorità nazionali devono “ eseguire una valutazione indipendente, obiettiva e trasparente di tale domanda alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche attuali. (p. 66) Nel corso della procedura ”, prosegue la sentenza, quella “ valutazione mira, ai sensi dell'articolo 4, paragrafi da 1 a 3 e 5, del regolamento in esame, a verificare in particolare che uno o più impieghi rappresentativi di almeno un prodotto fitosanitario contenente tale sostanza attiva e i residui di un simile prodotto non abbiano effetti nocivi immediati o ritardati sulla salute umana. (p. 67) ”
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Note a margine
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Principio di precauzione e rinnovo dell’autorizzazione UE all’uso del glifosato: la forma del diritto o la sostanza della tutela?
E via seguitando anche per le altre doglianze del Tribunale di Foix.
Le decisioni della Corte sulle questioni alla stessa sottoposti da quest’ultimo paiono difficilmente confutabili sotto il profilo dell’aderenza formale al testo del Regolamento 1107\2009.
Qui, però, si vogliono mettere in evidenza alcuni elementi che emergono “incidentalmente” dalla lettura della sentenza, ma che - secondo la sommessa valutazione di chi scrive - sono tutt’altro che secondari.
Nella parte iniziale, relativa alla “ portata del principio di precauzione e dell'obbligo di conformità del regolamento n. 1107/2009 a tale principio ”, la Corte, per circoscrivere il perimetro del suo scrutinio, afferma che “ la validità di una disposizione del diritto dell'Unione deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie di tale disposizione e non può dipendere dalle peculiari circostanze di un dato caso . (p. 48). Di conseguenza, le critiche espresse dal giudice del rinvio in merito allo svolgimento della procedura che si è conclusa con l'approvazione del glifosato, considerate isolatamente, non sono tali da dimostrare l'illegittimità delle norme generali che disciplinano siffatta procedura . (p. 49)” 1
Non abbiamo a disposizione il provvedimento di rinvio del giudice francese, ma si può supporre, senza particolari sforzi di fantasia, a cosa si riferiscano le critiche ivi contenute di cui dà atto la Corte; ciò poiché sono note le “peculiari circostanze” che hanno connotato questa vicenda.
Forse, hanno qualcosa a che vedere con quanto emerso da una relazione commissionata poco tempo fa da alcuni europarlamentari a un gruppo di esperti indipendenti in ordine alla procedura per il rinnovo dell’autorizzazione del glifosato conclusasi nel dicembre 2017 2 .
Procedura assai singolare, a quanto pare, se è vero che vi sarebbe stato un vero e proprio copia –incolla da parte dell’agenzia federale tedesca per la valutazione dei rischi (BfR) - nella stesura del suo parere finale in ordine alla domanda di rinnovo presentata dai produttori (tra cui la fu Monsanto, oggi Bayer) - da alcuni studi prodotti da questi ultimi a fondamento della loro stessa richiesta.
Vicenda che, peraltro, era già stata ampiamente anticipata dal Guardian nel settembre 2017 3 . Quindi, addirittura prima che venisse definita la stessa procedura autorizzatoria. Conclusasi, poi, in maniera non proprio imprevedibile, con la concessione del rinnovo della licenza, da parte della Commissione Europea, per altri cinque anni.
Un fatto del genere non può non gettare un fascio di luce nuova su alcune delle stesse statuizioni della Corte del Lussemburgo sopra riportate.
Per esempio, quella (di cui ai punti 66 e 67, cit.) relativa all’effettività imparzialità, obiettività e trasparenza della valutazione da parte degli Stati membri delle domande di autorizzazione formulate dall’industria.
In tal senso, l’impostazione della Corte – di cui si è data contezza – per cui il giudizio di legittimità di una normativa unionale andrebbe effettuato “ in funzione delle caratteristiche proprie di tale disposizione e non può dipendere dalle peculiari circostanze di un dato caso ” (p. 48 e 49, cit.), pare francamente affetto da fuorviante formalismo giuridico, giacché prospetta uno scrutinio di legittimità esclusivamente “su carta”; praticamente, “in vitro”.
Con effetti facilmente enucleabili a carico dell’effettività dei fondamentali principi di tutela dell’ambiente e della salute pubblica cui è ispirato, notoriamente, l’ordinamento unionale, a partire da quello di cui all’art. 191 TFUE per cui la politica dell’Unione in queste materie “ mira a un elevato livello di tutela”.
Quest’ultimo, forse, sarebbe stato meglio perseguito se la Corte avesse avuto un approccio un po’ meno liquidatorio e, per l’appunto, formalistico alle oggettive falle che la realtà sta evidenziando nella normativa. Perché pare francamente poco plausibile un giudizio sulla validità di una procedura completamente indifferente alle evidenze che emergono dalla concreta attuazione di quella stessa procedura.
b) La procedura di approvazione dei pesticidi: dall’inversione dell’onere probatorio agli studi “domestici” - Un caso di scuola di eterogenesi dei fini?
Forse, potrebbe essere il caso di ripensare, in qualche modo, la stessa procedura di approvazione di una sostanza attiva o di immissione sul mercato di un prodotto fitosanitario, come congegnata dal Regolamento 1107\2009.
Quest’ultimo, infatti, prevede il sacrosanto principio dell’onere della prova a carico delle aziende produttrici.
Come rammenta la CGUE nella sentenza in oggetto, il Considerando n. 8 del Regolamento sancisce che “ il principio di precauzione dovrebbe essere applicato e il presente regolamento dovrebbe assicurare che l'industria dimostri che le sostanze o i prodotti fabbricati o immessi sul mercato non hanno alcun effetto nocivo sulla salute umana o degli animali o alcun impatto inaccettabile sull'ambiente .”
Questo assunto, nella concreta scansione della procedura in questione, si traduce nell’obbligo a carico del richiedente (ossia dell’industria) dei due “fascicoli” (uno sintetico, l’altro completo) di accompagnamento della domanda di autorizzazione (art. 7, par. 1).
I fascicoli in questione contengono “ le sintesi e i risultati dei test e degli studi” (quello sintetico) e il testo integrale degli stessi (quello completo) tesi a dimostrare la sicurezza della sostanza o del prodotto fitosanitario ( art. 8, par. 1, lett. c), e par. 2).
Orbene, forse è proprio questa previsione, pur nata da un condivisibilissimo intento garantistico nei confronti dell’ambiente e della salute pubblica e responsabilizzante verso i produttori di sostanze e prodotti fitosanitari, a innescare potenzialmente cortocircuiti come quello denunciato dagli europarlamentari su citati e dal Guardian. Insomma, parrebbe una classica forma di eterogenesi dei fini.
Quei test e quegli studi che il richiedente deve effettuare e sottoporre alle autorità nazionali e unionali in sede di domanda di autorizzazione, per quanto redatti in centri di ricerca certificati e secondo linee guida internazionali, non appaiono, infatti, proprio al di sopra di ogni sospetto per indipendenza e, quindi, affidabilità.
E a poco valgono, probabilmente, anche presunte valvole di sicurezza del sistema come la previsione per cui “ conformemente alle disposizioni dell'Autorità, il richiedente aggiunge al fascicolo la letteratura scientifica revisionata disponibile riguardante la sostanza attiva, i relativi metaboliti e i suoi effetti collaterali sulla salute, sull'ambiente e sulle specie non bersaglio, che è stata pubblicata nei dieci anni antecedenti la data di presentazione del fascicolo ” (art. 8, par. 5): la storia recente e poco gloriosa della procedura di autorizzazione del glifosato su citata, tra gli altri, è lì a rammentare a tutti, quando mai ve ne fosse stato bisogno, il potere di condizionamento enorme di cui possono godere taluni soggetti industriali in questo campo, anche e soprattutto verso i regolatori pubblici, nazionali e unionali.
4)Il contrasto scientifico tra EFSA e IARC sul glifosato: ipotesi esplicative
Non sarà un caso, forse, se l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) siano giunte a conclusioni diametralmente opposte sulla spinosissima questione della cancerogenicità del glifosato: la prima gestisce (con le autorità nazionali di turno, ut supra) la parte di valutazione del rischio in una procedura connotata anche da studi scientifici sostanzialmente “domestici”, come visto; Iarc, invece, nelle sue valutazioni per classificare le sostanze cancerogene non fa alcun riferimento a quel tipo di lavori scientifici, ma solo a quelli pubblicati su riviste scientifiche accreditate.
A tacere del fatto che mentre le analisi dell’Efsa riguardano la singola molecola del glifosato in quanto tale, gli studi presi in considerazione dallo Iarc riguardano i prodotti immessi sul mercato, che contengono in aggiunta altre sostanze.
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Conclusioni
In conclusione, quella oggetto di questo scritto pare, sotto vari profili, una sentenza nella quale si consuma la classica, e assai poco commendevole, scissione tra forma del diritto – pienamente rispettata - e sostanza della tutela, assai meno garantita.
In dottrina, si è scritto che il formalismo giuridico “riduce il diritto a una carriola vuota”, che può essere quindi riempita di qualunque contenuto.
L’ambiente e la salute pubblica sono beni giuridici assolutamente sostanziali, prim’ancora che essere prioritari.
La tutela di cui devono godere, pertanto, non può essere “formale”.
Se no, c’è il rischio che quella carriola finisca per trasportare nel campo della legittimità giuridica sostanze e condotte che per quegli stessi beni giuridici sono letali.
Stefano Palmisano
1 Non è fuori luogo rammentare che, in materia di principio di precauzione, la giurisprudenza della CGUE, nel suo complesso, risulta tutt’altro che granitica fino a pochi anni fa, con particolare riferimento alla delimitazione della portata del principio stesso. Solo per citare alcuni tra i più rilevanti e contrastanti arresti, appena più datati: “ dal principio di precauzione discende che, quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. L'applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l'individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall'uso della sostanza attiva in questione, nonché la valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale ” (CGUE, sez. II, n.77/2010; sez. VI, n.24/2004).” Interpretazione che pare decisamente “ariosa” e consona alla stessa ratio istitutiva del principio di precauzione. Nel 2011, invece, l’approccio pareva cambiare nettamente, pur se nella peculiarissima materia degli OGM, e in particolare delle misure di emergenza previste dal regolamento fondamentale che li disciplina: “ A tale riguardo occorre considerare che le espressioni ‘[in modo] manifesto’ e ‘grave rischio’ devono essere intese come atte a riferirsi a un serio rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l'ambiente. Questo rischio deve essere constatato sulla base di nuovi elementi fondati su dati scientifici attendibili. Infatti, misure di tutela adottate in forza dell'art. 34 del regolamento n. 1829/2003 non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Al contrario, siffatte misure di tutela, nonostante il loro carattere provvisorio e ancorché esse rivestano un carattere preventivo, possono essere adottate solamente se fondate su una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, che dimostrino che tali misure sono necessarie (v., in tal senso, sentenza Monsanto Agricoltura Italia e a., cit., punti 106 e 107)” (CGUE - Sez. IV, Sent., 08-09-2011, n. 58/10) Decisamente più recenti, invece, sono le due pronunce con le quali la Corte unionale ha ulteriormente calibrato il principio di precauzione sempre in materia di Ogm, nonché di Nbt, e anche in questi casi lo ha fatto in modi parecchio diversi tra loro. Con la prima, la Corte, come terza e ultima conclusione, ha statuito che “L'articolo 34 del regolamento n. 1829/2003, in combinato disposto con il principio di precauzione, come formulato all'articolo 7 del regolamento n. 178/2002, dev'essere interpretato nel senso che non conferisce agli Stati membri la facoltà di adottare, ai sensi dell'articolo 54 del regolamento n. 178/2002, misure di emergenza provvisorie sul solo fondamento di tale principio, senza che siano soddisfatte le condizioni sostanziali previste all'articolo 34 del regolamento n. 1829/2003. ” (CGUE - Sez. III, Sent., 13-09-2017, n. 111/16) La sentenza opera una radicale distinzione tra l'ambito di operatività, da una parte, della normativa europea che disciplina in generale la sicurezza alimentare (Regolamento CE n. 178\2002) - e l'applicabilità al suo interno dello stesso principio di precauzione - e, dall'altra, di quella specificamente dedicata all'autorizzazione e commercializzazione degli alimenti geneticamente modificati (Regolamento CE n. 1829\2003). Per un’analisi appena meno sommaria, sia consentito il rinvio a https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/sentenze/2017-11-13/ogm-principio-precauzione-e-zone-franche-133017.php?uuid=AEXXINAD . Infine, in ambito di NBT (New Breeding Techniques), la Corte ha emesso un’altra nodale pronuncia nel luglio del 2018. In particolare, la questione sottoposta all’attenzione dei giudici del Lussemburgo consisteva nella qualificabilità delle stesse NBT come OGM, con conseguente sottoposizione delle medesime alla disciplina unionale di questi ultimi, in particolare alla direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. Orbene, la Corte, partendo dal presupposto per cui “ nell'elaborazione della presente direttiva è stato tenuto conto del principio precauzionale e di esso va tenuto conto nell'attuazione della stessa ”, è approdata a un’interpretazione ampia e penetrante dello stesso principio di precauzione, sugellata nella statuizione per cui “ gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi costituiscono organismi geneticamente modificati ”.
2 https://www.greens-efa.eu/files/doc/docs/298ff6ed5d6a686ec799e641082cdb63.pdf
3 https://www.theguardian.com/environment/2017/sep/15/eu-report-on-weedkiller-safety-copied-text-from-monsanto-study