Consiglio di Stato Sez. II n. 7094 del 21 ottobre 2019
Urbanistica.Titolo abilitativo fondato su false rappresentazioni della realtà e potere di autotutela della PA
Quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà èconsentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa. Nel caso, poi, in cui la domanda di rilascio del permesso di costruire sia stata presentata da parte di precedente proprietario dell'area, l’affidamento legittimo dell'acquirente deve ritenersi escluso tutte le volte in cui il medesimo abbia comunque avuto contezza dell’errore o comunque quando, utilizzando la ordinaria diligenza allo stesso richiesta in quanto soggetto che intendeva ottenere il titolo edilizio, avrebbe potuto accorgersi del suddetto errore
Pubblicato il 21/10/2019
N. 07094/2019REG.PROV.COLL.
N. 00983/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 983 del 2010, proposto dalla società Ciemme Sistema Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Busiri Vici, Pasquale Di Rienzo, con domicilio eletto presso l’avv. Pasquale Di Rienzo in Roma, viale G. Mazzini n.11;
contro
Comune di Foligno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Bartolini, con domicilio eletto presso l’avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti 11;
nei confronti
Livio Filippucci, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Parenti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Luigi Parenti, in Roma viale delle Milizie 114;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 501/2009, resa tra le parti, per il capo relativo all’annullamento del provvedimento n. 63 prot. 8667 del 19 febbraio 2008 di demolizione delle opere realizzate in difformità dai titoli edilizi rilasciati alla Ciemme Sistema Immobiliare
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Alessandro Lembo su delega dell’avv. Mario Busiri Vici, l’avv. Antonio Bartolini e l’avv. Grazia Tiberia Pomponi su delega dell’avv. Luigi Parenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente atto di appello la società Ciemme Sistema Immobiliare s.r.l. ha impugnato la sentenza del Tar Umbria n. 501 del 20 agosto 2009, nella parte in cui ha respinto il ricorso proposto dalla società avverso il provvedimento con cui il Comune di Foligno ha ordinato la demolizione di opere realizzate in difformità dal titolo edilizio rilasciati per la realizzazione di un complesso residenziale in via Monte Prefoglio.
Per tale intervento edilizio era stato, infatti, rilasciato alla C.F.T. s.r.l. il permesso di costruire n. 31 del 12 agosto 2003, successivamente volturato alla Ciemme Sistema Immobiliare s.r.l..
Nel corso dei lavori emergevano alcune difformità rispetto al progetto presentato, a seguito di esposto dei confinanti.
La Ciemme Sistema Immobiliare s.r.l.. presentava il 5 giugno 2006 una richiesta in variante e il 2 ottobre 2006 nuova richiesta in variante sostituendo gli elaborati grafici della precedente richiesta. La Polizia Municipale effettuava un sopralluogo, il 23 ottobre 2006, da cui risultava che il livello del terreno a cui erano in corso di realizzazione degli edifici appariva innalzato rispetto a quanto risultante dagli elaborati progettuali approvati con il titolo edilizio 31 del 2003, in cui era indicato un piano di campagna uniforme rispetto al terreno confinante; i garage, che figuravano come totalmente interrati nel progetto, risultavano ad una quota di terreno innalzata di circa 40 centimetri.
Tale innalzamento comportava per la realizzazione dei garage la violazione delle distanze lamentate dai vicini, che sarebbe stata invece esclusa dal totale interramento dei garage stessi.
Il Responsabile del servizio edilizia del Comune adottava quindi, il 2 gennaio, 2007 una ordinanza di sospensione dei lavori (oltre ad una sanzione per la mancata esposizione del cartello di cantiere).
La società Ciemme Sistema Immobiliare con nota del 22 gennaio 2007 chiedeva la revoca del provvedimento di sospensione, contestando l’avvenuta modifica del piano di campagna in corso d’opera.
Successivamente, il 5 luglio 2007, il Comune rilasciava il permesso in variante n. 353, sulla base degli elaborati grafici presentati il 2 ottobre 2006, ed esclusa la parte relativa ai garage (corpo di fabbrica indicato come “E” nel verbale di sopralluogo e nell’ordinanza n. 634 del 2 gennaio 2007)
Avverso il permesso di costruire n. 31 del 12 agosto 2003 e avverso la variante n. 353 del 5 luglio 2007 è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria da parte dei vicini Livio Filippucci, Laura Filippucci, Onella Filippucci e Maria Giustina Trivelli
Nel corso del giudizio, il Comune, con il provvedimento del 19 febbraio 2008, ha dichiarato privo di effetti il permesso di costruire in variante del 5 luglio 2007, ha ammesso alla sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, le opere realizzate in difformità dal progetto approvato nel 2003, escluse le parti relative al corpo di fabbrica “E”, per cui non era ammissibile la sanatoria, in quanto realizzate in violazione delle distanze dalla proprietà confinante; per tali opere disponeva, quindi, il ripristino dello stato dei luoghi.
Avverso tale provvedimento sono stati proposti motivi aggiunti da parte dei comproprietari Filippucci e ricorso autonomo da parte della Ciemme Immobiliare s.r.l. , che ha impugnato altresì, quale atto presupposto, il verbale della Polizia municipale del 26 ottobre 2006.
Successivamente con provvedimento del 4 aprile 2008 il Comune ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 172 (a seguito del pagamento dell’oblazione pari a 1330 euro), impugnato con ulteriori motivi aggiunti dai signori Filippucci-Trivelli
La sentenza di primo grado ha riunito i giudizi e, con riferimento alle impugnazioni proposte dalla parte Filippucci, ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso il titolo edilizio del 2003 ormai superato dal titolo in sanatoria; cessata la materia del contendere relativamente alla impugnazione del permesso in variante del 2007, ritirato dal Comune; respinto i motivi aggiunti avverso il provvedimento di sanatoria del 4 aprile 2008, non essendo proposte censure relative alla mancanza di doppia conformità urbanistica dell’intervento sanato, ma solo riguardanti la difformità delle opere sanate dal titolo edilizio originario, legittimo presupposto del titolo in sanatoria.
Avverso tale capo di sentenza ha proposto appello il solo signor Livio Filippucci, dichiarato inammissibile con sentenza della sezione IV n. 4573 del 2 ottobre 2017.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso proposto dalla Ciemme Sistema Immobiliare avverso il provvedimento del 19 febbraio 2008, che ordinava, sulla base del sopralluogo della Polizia Municipale del 23 ottobre 2006, il ripristino dello stato dei luoghi rispetto alle opere realizzate in difformità sul corpo di fabbrica indicato come “E” nel verbale di sopralluogo (piano di calpestio dei garage interrati realizzato ad un quota rialzata rispetto al piano di campagna).
Nel frattempo, il 3 maggio 2008, la società Ciemme aveva presentato istanza ex art 34 del d.p.r. 380 del 2001 e il Comune aveva irrogato la sanzione pecuniaria con provvedimento del 20 maggio 2009, impugnato dal signor Livio Filippucci con ricorso accolto dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria con sentenza n. 400 del 2010, appellata dalla Ciemme immobiliare con ricorso poi dichiarato perento con decreto n. 973 del 28 giugno 2016.
Il Comune ha adottato un nuovo provvedimento il 12 giugno 2013 che ha nuovamente accolto l’istanza ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. 380 del 2001 e dando atto dell’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria ha archiviato il procedimento relativo alla demolizione.
Tale provvedimento è stato impugnato dal signor Livio Filippucci con ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, respinto con sentenza 447 del 2015, appellata con ricorso R.G. n. 591 del 2016, tuttora pendente.
Nell’atto di appello la società Ciemme Sistema Immobiliare s.r.l. ha formulato i seguenti motivi:
-difetto/illogicità della motivazione, in cui deduce la carenza di motivazione sia della sentenza che del provvedimento impugnato, il quale avrebbe fatto solo riferimento alle risultanze del sopralluogo senza alcuna valutazione sulla legittimità dei garage rispetto alla violazione delle distanze dal confine, mentre la motivazione sarebbe stata integrata con ulteriori circostanze dal giudice di primo grado;
con gli ulteriori motivi vengono riproposte le censure formulate in primo grado:
-difetto di pronuncia/violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.; dell’art. 8 della legge regionale n. 21 del 2004 e della normativa tecnica del Comune di Foligno; difetto di motivazione/violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990;eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; con tale motivo si sostiene che le norme tecniche del PRG del Comune di Foligno consentirebbe la violazione delle distanze per le superfici coperte interrate per cui la distanza minima è indicata in 1.5 metri (mentre nel caso di specie la distanza sarebbe di 1,51 metri);
-violazione dell’art. 8 delle legge regionale Umbra 21 del 2004; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, con cui si contesta che la quota originaria del piano di campagna dei fondi fosse la medesima, non essendo stata raggiunta in alcun modo la prova di tale circostanza;
- difetto di motivazione/violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; dell’art. 8 della legge regionale n. 21 del 2004 e della normativa tecnica del Comune di Foligno, con cui si sostiene il difetto di motivazione del provvedimento di demolizione che avrebbe ritenuto accertata la violazione delle distanze dal confine mentre il verbale di sopralluogo faceva riferimento solo alla variazione del piano di campagna.
Si sono costituiti in giudizio il controinteressato Filippucci e il Comune di Foligno, che nelle memorie depositate in vista dell’udienza pubblica hanno contestato la fondatezza dell’appello; la difesa del Comune ha anche eccepito la sopravvenuta improcedibilità dell’appello per carenza di interesse, essendo le opere realizzate in difformità ormai state sanate ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. 380 del 2001 con il provvedimento del 2013 ed essendo altresì stata pagata la relativa sanzione.
La difesa del signor Filippucci, l’8 luglio 2019, ha depositato in giudizio fotografie ed un video dello stato dei luoghi e la relazione del Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione di Foligno del 30 giugno 2008, redatta in esecuzione di una delega di indagini da parte della procura della Repubblica di Perugia con allegati verbali di sommarie informazioni di alcuni testimoni.
La difesa dell’appellante ha presentato memoria di stile e memoria di replica, nella quale ha dichiarato di avere ancora interesse alla decisione in relazione all’affermazione di legittimità delle opere realizzate; ha insistito nelle proprie tesi difensive ed ha eccepito la tardività della memoria depositata dalla difesa del signor Filippucci il 18 luglio 2019 (mentre l’ultimo giorno utile, ai sensi dell’art. 73 c.p.a. sarebbe stato il 17 luglio 2019). Alcuna contestazione è stata invece mossa avverso il deposito di documenti effettuato anch’esso tardivamente dieci giorni prima del 18 luglio 2019.
La difesa del Comune e la difesa del signor Filippucci hanno depositato, altresì, memorie di replica, in particolare quella del Filippucci riportando integralmente le argomentazioni della memoria tardiva.
All’udienza pubblica del 17 settembre 2019, l’appello è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare ritiene il Collegio di dare atto della procedibilità del presente appello, pur essendo stato già deciso altro appello avverso la stessa sentenza, in relazione alla previsione espressa dell’art. 96 comma 6 c.p.a., per cui “in caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre”.
In via, altresì, preliminare, ritiene il Collegio la irrilevanza della eccezione sollevata dalla difesa della Ciemme rispetto alla tardività della memoria presentata dalla difesa di Filippucci dopo la scadenza del termine di trenta giorni liberi previsto dall’art. 73c.p.a. compresi i trenta giorni di periodo feriale, in quanto non sono stati posti argomenti nuovi rispetto a quelli già esposti nel giudizio di primo grado, anche prescindendo dall’esame della questione della ammissibilità della memoria di replica, in caso di tardività della memoria.
Ritiene il Collegio, poi, la sussistenza dell’interesse a ricorrere della società appellante, in quanto, pur essendo sopravvenuti ulteriori atti comunali, quali la sanatoria ai sensi dell’art. 34 con il pagamento della relativa oblazione, è ancora pendente il giudizio d’appello avverso l’ordinanza n. 267 del 2013.
Nel merito l’appello è infondato.
Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado tutte le censure, comprese quelle relative al difetto di motivazione della sentenza, poggiano sulla circostanza di fatto che non sarebbe stato accertato che il piano di campagna dei due fondi fosse il medesimo prima della realizzazione dell’intervento edilizio.
Sulla base di un eventuale dislivello preesistente vengono infatti formulati gli ulteriori motivi relativi alla violazione delle NTA del PRG del Comune di Foligno, che consentirebbero la distanza di 1,52 metri, superiore al minimo previsto di 1,5 metri, in caso di superfici interrate.
L’oggetto del giudizio è quindi esattamente quello relativo alla natura interrata o meno dei garage, derivando tale interramento, secondo quanto rilevato dal Comune e secondo quanto sostenuto dal signor Filippucci, da una modifica del piano di campagna effettuata nel corso dei lavori, che ne avrebbe provocato un innalzamento.
Sostiene, invece, la difesa della Ciemme Sistema Immobiliare che tale circostanza non sarebbe mai stata provata e di essere subentrata nel titolo edilizio rilasciato ad altra società che aveva presentato il progetto con la errata rappresentazione del piano di campagna uniforme.
Dalla documentazione agli atti del giudizio, anche prescindendo dalla documentazione prodotta dalla difesa del signor Filippucci nel presente giudizio, emerge che la circostanza della uniformità del livello del piano di campagna prima dell’intervento edilizio deriva da quanto indicato nel progetto presentato per il rilascio del permesso di costruire poi rilasciato il 12 agosto 2003; si tratta dunque dello stato dei luoghi posto a base di tale permesso di costruire, che - si deve ritenere- ha consentito la realizzazione dei garage alla distanza di metri 1,52 (distanza affermata dalla difesa appellante nell’atto di appello) dal confine di proprietà Filippucci, in quanto interamente interrati.
Solo nella successiva variante (n. 353 del 5 luglio 2007) compare il dislivello tra i due fondi.
La difesa appellante sostiene che le tavole progettuali approvate con il primo permesso di costruire contenessero un errore nella indicazione del piano di campagna.
Tale circostanza relativa all’errore progettuale ovvero alla difformità tra la situazione di fatto e quella oggetto del permesso di costruire del 2003, in primo luogo, non risulta mai provata dalla Ciemme, né, come essa sostiene, si può ritenere che fosse il Comune a dovere provare la corrispondenza del progetto alla effettiva situazione di fatti, in presenza di un progetto presentato dalla parte e per cui era stato già rilasciato un titolo edilizio, sul presupposto della conformità del progetto alla effettiva situazione di fatto. Ai sensi dell’art. 64 comma 1, c.p.a. spetta, infatti, al ricorrente l’onere di fornire elementi di prova che rientrino nella sua disponibilità.
Peraltro, ritiene il Collegio che, ammesso anche che ci fosse stato l’errore nella redazione del progetto, una volta rilasciato il titolo edilizio sulla base dello stato dei luoghi erroneamente rappresentato, sarebbe stato necessario comunque procedere all’annullamento del titolo, ai fini della presentazione di una nuova pratica edilizia con la progettazione corretta e la valutazione della conformità urbanistica di tale intervento come correttamente rappresentato.
La giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, costante nel ritenere che, quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà sia consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa (cfr.Cons. Stato, IV, 19 marzo 2019, n. 1795). Nel caso, poi, in cui la domanda di rilascio del permesso di costruire sia stata presentata da parte di precedente proprietario dell'area, l’affidamento legittimo dell'acquirente debba ritenersi escluso tutte le volte in cui il medesimo abbia comunque avuto contezza dell’errore o comunque quando, utilizzando la ordinaria diligenza allo stesso richiesta in quanto soggetto che intendeva ottenere il titolo edilizio, avrebbe potuto accorgersi del suddetto errore (Cons. Stato Sez. VI, 23 agosto 2019, n. 5840).
Ne deriva che, in presenza del titolo edilizio del 2003 valido ed efficace e delle difformità rispetto ad esso rilevate, l’Amministrazione comunale non poteva che procedere ad ordinare il ripristino dello stato dei luoghi per riportare le opere a quanto approvato con il permesso di costruire, salva la presentazione della domanda di sanatoria in presenza della conformità urbanistica anche delle opere difformi.
La difformità rilevata nel sopralluogo rispetto al progetto originario e l’impossibilità di procedere alla sanatoria per il corpo di fabbrica cd. “E”, in presenza della violazione delle distanze, costituiscono, dunque, il presupposto sufficiente del provvedimento di demolizione.
Peraltro, la circostanza della modifica del piano di campagna in corso di lavori risulta anche confermata dalla variante del 2007, successivamente ritirata, con cui il Comune aveva approvato la modifica del livello di realizzazione degli edifici, in base al progetto presentato dalla Ciemme Sistema Immobiliare.
Inoltre, la modifica del piano di campagna in difformità dal progetto originario costituisce, allo stato, il presupposto del titolo in sanatoria rilasciato il 12 aprile 2008, come rilevato, altresì, dal giudice di primo grado nel capo della sentenza relativo alla reiezione della impugnazione del signor Filippucci, passata in giudicato, a seguito della dichiarazione di inammissibilità dell’appello dallo stesso proposto.
Dal provvedimento di sanatoria, legittimante la realizzazione dell’intero complesso residenziale ad un piano diverso da quello indicato in progetto, sono state escluse le opere del corpo di fabbrica indicato come “E” nel verbale della Polizia Municipale, in quanto in violazione delle distanze minime rispetto con la proprietà del signor Filippucci.
Tale essendo il presupposto del provvedimento di ripristino impugnato, devono ritenersi infondati tutti i motivi di appello proposti.
Con il primo motivo di appello si sostiene il difetto di motivazione e l’erronea integrazione motivazionale del provvedimento impugnato, in quanto la sentenza avrebbe introdotto nuovi elementi non considerati dal Comune.
La censura non può essere condivisa.
La sentenza ha fatto riferimento, in primo luogo, alle tavole progettuali del permesso di costruire del 2003, che costituiscono la circostanza in fatto determinante nella presente vicenda, come sopra evidenziato, mentre gli ulteriori elementi quali la precedente unitarietà del fondo sono stati addotti per escludere la tesi dell’errore progettuale dedotta dalla parte ricorrente.
Con gli ulteriori motivi, riproduttivi delle censure di primo grado, si sostiene il difetto di motivazione del provvedimento di ripristino.
Sul punto ritiene il Collegio di richiamare la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio in materia di provvedimenti repressivi di abusi edilizi, per cui, trattandosi di atti natura dovuta e rigorosamente vincolata, la motivazione è adeguata e sufficiente quando contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 novembre 2018 n. 6246). La legittimità dell'ingiunzione demolitoria, infatti, richiede (unicamente)“l’affermazione della accertata abusività dell'opera, attraverso la descrizione delle opere, la constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l’individuazione della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento” (Cons. Stato Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903; id 30 aprile 2019, n. 2822).
Applicando tali consolidati orientamenti al caso di specie, la motivazione del provvedimento deve ritenersi pienamente adeguata in relazione all’ampio richiamo, nelle premesse del provvedimento stesso, alle varie vicende in fatto e ai titoli edilizi precedentemente rilasciati; alla indicazione delle opere e dello stato dei luoghi rilevato nel verbale di sopralluogo della Polizia municipale del 23 ottobre 2006 - richiamato nel provvedimento - che fa espresso riferimento al confronto dello stato dei luoghi con gli elaborati di progetto del permesso di costruire del 12 agosto 2003 con un innalzamento di circa 40 centimetri; alla difformità, quindi, rispetto al permesso di costruire 31 del 2003, nonché alla violazione della disciplina delle distanze, comunque già rilevata anche nel provvedimento di sospensione del 2 gennaio 2007, anch’esso integralmente richiamato nel provvedimento del 2008, oggetto del presente giudizio.
Sostiene poi la parte appellante con gli ulteriori motivi di appello la violazione delle norme tecniche del PRG del Comune, che consentirebbero la distanza minima di 1,5 metri, che sarebbe rispettata, nel caso di specie, in cui la distanza tra i garage e la proprietà Filippucci sarebbe di metri 1,52.
A sostegno della fondatezza di tali motivi ripropone peraltro la questione della originaria uniformità del livello dei due terreni contigui.
Tali motivi sono infondati, in quanto la norma tecnica espressamente riprodotta dalla difesa appellante fa riferimento alle “superfici coperte interrate”, circostanza esclusa nel caso di specie dall’innalzamento del piano di campagna.
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, al fine di individuare se un manufatto sia o meno interrato, va fatto riferimento al livello naturale del terreno, con la conseguenza che la sporgenza di un manufatto dal suolo va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè al livello naturale del terreno (Cons. Stato Sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2847; Consiglio Stato , sez. V, 6 dicembre 2010 , n. 8547).
L’appello è, quindi, infondato e deve essere respinto.
In considerazione della particolarità e complessità delle circostanze di fatto sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Italo Volpe, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore