Consiglio di Stato, Sez. VI  n. 949 del 9 marzo 2016
Urbanistica. Natura della fascia di rispetto cimiteriale

Il comma 4 dell’articolo 338 TULS, secondo cui “Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti a una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purchè non oltre il limite di 50 metri…..” è norma finalizzata alla possibilità di costruzione di nuovi cimiteri ovvero di ampliamento di quelli esistenti, la quale non opera certamente al fine di consentire l’edificazione da parte di privati derogando al limite generale (ed al vincolo di in edificabilità assoluta così posto) contemplato dal primo comma dell’articolo 338.

 

N. 00949/2016REG.PROV.COLL.

N. 04251/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4251 del 2015, proposto da:
Concetta Lambiase, rappresentata e difesa dagli avv. Concetta Monaco, Raffaele Monaco, con domicilio eletto presso Raffaele Monaco in Roma, Via Cialdi, 31;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Andreottola, Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso Nicola Laurenti in Roma, Via F. Denza, 50/A;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 05942/2014, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire e demolizione di opere abusive;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Ingrosso per delega di Monaco e, Laurenti per delega di Andreottola;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con sentenza n. 5942/2014 del 14-11-2014 il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Quarta, rigettava il ricorso proposto dalla sig.ra Concetta Lambiase, inteso ad ottenere l’annullamento dei seguenti atti: disposizione dirigenziale n. 327/2011 di diniego rilascio di condono edilizio ed ordine di demolizione di opere abusive; disposizione dirigenziale n. 326/2011 di diniego rilascio condono edilizio ed ordine di demolizione di opere abusive; disposizioni dirigenziali nn. 169 e 170 del 2-5-2011, di annullamento dei provvedimenti di condono edilizio in precedenza adottati.

La sentenza esponeva in fatto quanto segue.

“Con ricorso notificato l’11-11-2011, la sig.ra Lambiase ha impugnato le disposizioni dirigenziali n. 326 e 327 del 2011 di diniego del condono edilizio e contestuale ordine di demolizione delle opere abusivamente eseguite in Napoli alla via Terracina n. 513 (appartamento al terzo piano e sopraelevazione di un vano su quello che era il terrazzo a livello), nonché di annullamento delle dichiarazioni di condono emesse a seguito di autodichiarazione della parte. Il ricorso è affidato alle seguenti censure:…..Il comune di Napoli si è costituito in giudizio ed ha eccepito che la prima disposizione di condono era stata concessa sulla base della autocertificazione della parte, che non aveva evidenziato la sussistenza del vincolo cimiteriale:La stessa è venuta in luce a seguito di richiesta del Tribunale penale di Napoli in merito alle citate istanze di condono; per l’effetto l’amministrazione ha attivato un procedimento in autotutela, ha riscontrato che l’area oggetto della costruzione è sottoposta al vincolo della fascia di rispetto del cimitero di Fuorigrotta (area assoggettata al PRG approvato con delibera di CC 35 del 1-3-2005), ha annullato i provvedimenti erroneamente emessi ed ha conclusivamente emesso il diniego delle domande di condono con contestuale ordine di demolizione….Rileva, inoltre, che si tratta di vincolo assoluto e preesistente alla esecuzione delle opere, atteso che il PRG ha semplicemente evidenziato il vincolo, ma il cimitero preesisteva a tale data…”..

Avverso la prefata sentenza n. 5942/2014 la sig.ra Lambiase ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone l’integrale riforma.

Ha dedotto: 1) e 2) Error in iudicando et in procedendo- violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione e degli artt. 35, commi 12 e 18 della legge n. 47/85- violazione e falsa applicazione della legge n. 326/2003- violazione dell’art. 338 del R.D. 1265 del 1934- eccesso di potere, difetto di istruttoria e carenza di motivazione; 3) Error in iudicando et in procedendo- violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3,42 e 97 della Costituzione – violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile – violazione e falsa applicazione degli artt. 35, commi 12 e 18 della legge n. 47/85- violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 27, legge n. 326/2003- violazione dell’art. 338 del R.D. 1265 del 1934- eccesso di potere, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 21-1-2016.

DIRITTO

Con il primo motivo la sig.ra Lambiase deduce: Error in iudicando et in procedendo; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione e dell’ art. 35, commi 12 e 18, della legge n. 47/1985; violazione e falsa applicazione della legge n. 326/2003; violazione dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934; eccesso di potere, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Lamenta in primo luogo l’erroneità della gravata sentenza in quanto, in base all’art. 35 della l. n. 47/85, in caso di inerzia del Comune la domanda di condono è accolta per silentium, aggiungendo che nella specie gli importi dovuti erano stati versati e la documentazione prodotta prima del 2008, aggiungendo pure che l’ente aveva adottato i provvedimenti di sanatoria.

Rileva ancora che non è vero che l’opera non poteva essere condonata perché trattavasi di ampliamento di edificio preesistente, consentito ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 338 T U Leggi Sanitarie;le disposizioni comunali non avrebbero tenuto in alcun conto dette circostanze e la gravata sentenza avrebbe errato nel ritenere la legittimità delle stesse.

Il motivo non è meritevole di favorevole considerazione, risultando condivisibile la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.

Quanto al primo profilo, relativo alla presunta formazione del silenzio assenso sulle domande di condono, rileva la Sezione che la deduzione non è utile all’appellante, considerandosi che sulle istanze di condono prodotte il Comune aveva provveduto con atti espressi (disposizioni dirigenziali n. 5286 e n. 5287 del 15-3-2008), i quali avrebbero comunque sostituito analoghe determinazioni eventualmente formatesi silentemente.

Tali provvedimenti espressi risultano, poi, essere stati annullati in autotutela, a cagione della loro illegittimità, rilevandosi l’esistenza del vincolo di “Rispetto della fascia cimiteriale” ostativo alla sanatoria nonché la circostanza che l’esistenza dello stesso non era stata dichiarata dal privato in sede di presentazione della domanda.

Va comunque evidenziato – come correttamente posto in rilievo dalla sentenza gravata – che, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, non trova applicazione l’istituto del silenzio assenso, giusta il disposto dell’articolo 35, comma 12, della legge n. 47/1985, il quale, nel disciplinarne i presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei “casi di cui all’articolo 33”.

Quanto al secondo profilo di doglianza, relativo alla ritenuta condonabilità delle opere per inesistenza nella specie di un vincolo assoluto di inedificabilità operando la previsione di cui all’ultimo comma dell’articolo 338 del T.U. Leggi sanitarie, osserva il Tribunale che tale censura può essere esaminata congiuntamente al secondo motivo di appello, che sostanzialmente ne ripropone i contenuti.

Con tale motivo la sig.ra Lambiase deduce: Error in iudicando et in procedendo; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione e dell’ art. 35, commi 12 e 18, della legge n. 47/1985; violazione e falsa applicazione della legge n. 326/2003; violazione dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934; eccesso di potere, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Lamenta l’erroneità della sentenza in quanto essa non avrebbe tenuto conto della circostanza che nella specie le opere erano condonabili, in quanto ampliamento di un’opera già esistente, con conseguente operatività dell’eccezione di cui all’ultimo comma del citato articolo 338.

Il Comune e la sentenza di primo grado non avrebbero tenuto conto di tale circostanza, né sarebbe stata offerta in proposito motivazione alcuna, neppure in ordine alla necessaria comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, considerandosi che trattasi di zona completamente urbanizzata e che il diniego è intervenuto a distanza di circa trenta anni dalla presentazione della relativa istanza.

Le censure proposte non sono meritevoli di accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono. L’articolo 338 del R.D. 27-7-1934 n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) prevede, al comma 1, che “I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe e le eccezioni previste dalla legge”.

L’invocato ultimo comma della norma prevede, poi, che “ All’interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso, tra cui l’ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d’uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457”.

Ciò posto, osserva in primo luogo la Sezione che la salvaguardia del rispetto dei duecento metri prevista dal primo comma dell’articolo 338 costituisce un vincolo assoluto di inedificabilità, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale.

Sul punto la giurisprudenza è costante ( cfr. Cons. Stato, V, 14-9-2010, n. 6671; 30-5-2007, n. 1935), affermandosi pure che esso è tale da precludere il rilascio della concessione, anche qualora essa sia richiesta in sanatoria, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo.

E’ ben vero che l’articolo 338 citato prevede ipotesi nelle quali la regola generale di cui al comma 1 non opera.

Ciò, peraltro, determina che il vincolo assoluto di inedificabilità non sussista quando si è in presenza dei presupposti di operatività di tali eccezioni; ma non significa affatto che laddove le ipotesi derogatorie non siano configurabili il vincolo di cui al primo comma non conservi natura di inedificabilità assoluta, preclusivo, per l’effetto, al rilascio del condono edilizio ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 47/1985.

Operate tali precisazioni, occorre verificare se nella specie operi l’invocata eccezione di cui all’ultimo comma dell’articolo 338 del TULS.

Il giudice di primo grado ne ha ritenuto l’inapplicabilità, così motivando sul punto.

“Non può accogliersi neppure l’ulteriore censura con cui parte ricorrente ritiene assentibile l’intervento, in quanto configurabile quale mero ampliamento o manutenzione dell’edificato esistente. Assume il ricorrente che il divieto di edificare…riguarda solo i nuovi edifici e non anche quelli preesistenti, rispetto ai quali la norma pone una specifica normativa di dettaglio, contenuta nell’ultimo comma della stessa norma. Tuttavia, ad avviso del Collegio, non può censurarsi la qualificazione operata dall’amministrazione quale intervento di nuova edificazione, posto che si tratta di una sopraelevazione di un terzo piano, nonché realizzazione di un ulteriore vano sul lastrico solare, e quindi di manufatti suscettibili di autonoma utilizzazione e costituenti incremento del carico urbanistico”.

La Sezione condivide sul punto la determinazione reiettiva del giudice di primo grado, sulla base delle considerazioni che di seguito si svolgono.

Dalla corretta lettura dell’ultimo comma dell’articolo 338 si evince che la disposizione consente la realizzazione delle opere ivi indicate in quanto esse costituiscano “interventi di recupero ovvero interventi funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso”. Invero, le fattispecie ivi espressamente contemplate debbono necessariamente rientrare nella predetta e più generale categoria, come dimostrato dall’inciso “ tra cui l’ampliamento…”, dovendo, pertanto, costituire espressione di un intervento di recupero ovvero funzionale all’utilizzo della preesistenza.

In buona sostanza, la previsione dell’”ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d’uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 della legge …1978 n. 457” costituisce esplicitazione concreta dei contenuti dell’intervento ammissibile, il quale deve comunque presentare i caratteri del “recupero” ovvero dell’intervento “funzionale all’utilizzo dell’edificio stesso”.

Orbene, ritiene il Collegio che nella vicenda in esame tale necessaria connotazione delle opere realizzate manca.

Invero, l’appartamentino realizzato sul lastrico solare si caratterizza per una sua autonomia funzionale ed una propria autonoma identità rispetto al preesistente edificio (sul cui terrazzo di copertura è ubicato), onde non giova né al “recupero” dello stesso né tampoco è strumentale al suo migliore utilizzo.

Analoghe considerazioni devono svolgersi per l’ulteriore vano oggetto della seconda istanza di condono edilizio, considerandosi che esso – per come si evince dalla relazione del Servizio Antiabusivismo n. 65907 del 25-1-2013 – costituisce ampliamento dell’appartamento di cui sopra (oggetto dell’altra istanza di condono), condividendone, pertanto, il carattere di autonomia e di nuova opera rispetto all’edificio originario.

Sulla base di quanto sopra esposto, deve, dunque, ritenersi che l’eccezione prevista dall’ultimo comma dell’articolo 338 non operi e, pertanto, si verta nella fattispecie di vincolo assoluto di inedificabilità contemplato dal primo comma della disposizione.

Quanto al censurato deficit motivazionale, ritiene la Sezione che il corretto assolvimento dell’obbligo di motivazione sia realizzato, in presenza di attività vincolata della p.a. e di un vincolo di inedificabilità assoluta, attraverso il richiamo all’esistenza del vincolo ed alla consistenza delle opere realizzate, elementi sufficienti a dare conto delle ragioni del mancato accoglimento delle istanze.

Né –a giudizio della Sezione - occorreva valutazione ed esternazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto a quello del privato alla conservazione delle opere.

Va, invero, osservato, quanto alla pronuncia sulle istanze di condono, che trattasi di attività vincolata della p.a. e che la determinazione dell’amministrazione interviene su opere abusivamente realizzate, con la conseguenza che la loro regolarizzazione postuma risponde esclusivamente alla sussistenza degli specifici presupposti richiesti dalla legge.

Quanto, poi, alla determinazione di autotutela, va rilevato che l’interesse pubblico urbanistico (soprattutto in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta) risulta in assoluto prevalente ed in re ipsa. Né, sotto altro profilo, può configurarsi alcun affidamento rilevante in capo al privato, considerato che i precedenti provvedimenti di condono (poi ritirati in autotutela) erano stati rilasciati sulla base delle autocertificazioni prodotte e che nella documentazione presentata il privato non aveva evidenziato l’esistenza del vincolo derivante dalla fascia di rispetto cimiteriale.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte deve, pertanto, ritenersi l’infondatezza del primo e del secondo motivo di appello.

Con il terzo motivo la signora Lambiase lamenta: Error in iudicando et in procedendo; violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 42 e 97 della Costituzione; violazione dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile e degli artt. 35, commi 12 e 18, della legge n. 47/1985; violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269/2003 e dell’art. 338 del r.d. n. 1265/1938; eccesso di potere, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Deduce in primo luogo che la gravata sentenza avrebbe erroneamente ritenuto il carattere assoluto del vincolo di cui alla fascia di rispetto cimiteriale; osserva in proposito che esso poteva ritenersi tale solo fino alla introduzione della possibilità di ampliamento degli edifici preesistenti, operata con l’introduzione dell’ultimo comma dell’articolo 338; con tale modifica, infatti, il vincolo sarebbe stato degradato da assoluto a relativo.

Aggiunge ancora che il carattere relativo del vincolo discenderebbe dal fatto che la stessa amministrazione nell’anno 2005 aveva adottato una deliberazione di C.C., con la quale aveva ridotto il vincolo da 200 mt. a 50 mt.

Lamenta, infine, l’erroneità della interpretazione operata dal Tribunale secondo cui la previsione dell’ultimo comma dell’articolo 338 deve intendersi riferita alle sole opere pubbliche o di pubblica utilità, giacchè la norma ciò non prevede espressamente e non opera alcun collegamento tra l’ultimo comma (che parla di edifici esistenti) ed il quinto comma che si riferisce, invece, alle sole opere pubbliche.

Il motivo di appello non è condiviso dalla Sezione.

Quanto al primo profilo di doglianza, rileva il Collegio – con ciò riportandosi alle argomentazioni già sopra svolte nella trattazione del primo motivo di appello- che il primo comma dell’articolo 338 del TULS contiene un vincolo di carattere assoluto, mentre tale natura è esclusa unicamente nelle fattispecie derogatorie previste dai successivi commi della norma, i cui presupposti di operatività, come si è in precedenza visto, non risultano nella specie configurabili.

La riconducibilità del vincolo di cui al citato comma 1 dell’articolo 338 alla previsione dell’articolo 33 della legge n. 47/85 (Opere non suscettibili di sanatoria) risiede nella lettera d) del primo comma di quest’ultimo, laddove opera riferimento ad “ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.

Né lo stesso può essere ricondotto alla previsione di vincolo relativo ex art. 32 della legge n. 47/85, atteso che la giurisprudenza ha chiarito che tale norma si riferisce “a quegli altri istituti, consistenti nella sottoposizione di determinate aree ad una tutela di alcuni interessi generali che, per quanto riguarda l’attività edilizia, si esercita subordinando l’esecuzione delle opere all’autorizzazione (o “nulla osta”) dell’autorità preposta alla cura dell’interesse generale considerato, la quale valuta se l’opera di cui le viene sottoposto il progetto contrasti o meno con quell’interesse” (cfr. Cons. Stato, V, 4-5-1999, n. 696).

Priva di rilievo ai fini voluti dall’appellante è, inoltre, anche il riferimento alla avvenuta adozione, da parte del Consiglio comunale, di una deliberazione che avrebbe ridotto il vincolo da 200 metri a 50 metri.

Va, invero, considerato che tale deliberazione è assunta in applicazione del comma 4 dell’articolo 338, secondo cui “Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti a una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purchè non oltre il limite di 50 metri…..”.

Trattasi, dunque, di norma finalizzata alla possibilità di costruzione di nuovi cimiteri ovvero di ampliamento di quelli esistenti, la quale non opera certamente al fine di consentire l’edificazione da parte di privati derogando al limite generale (ed al vincolo di in edificabilità assoluta così posto) contemplato dal primo comma dell’articolo 338.

Infondato è pure l’ultimo profilo di censura.

L’appellante tanto espone in proposito: “Né, d’altra parte, può concordarsi con l’interpretazione secondo cui l’ultimo comma dell’art. 338 TULS nella nuova formulazione debba intendersi in senso restrittivo come applicabile solo alle opere pubbliche o di pubblica utilità….Proprio perché si tratta di previsione introdotta ex post sia temporalmente (appunto con la l. 166/2002) che logicamente, comma 7, non può effettuarsi una interpretazione ermeneutica, come ritenuto dal TAR, con riferimento al comma 5 del medesimo articolo, poiché tale interpretazione costituisce una forzatura sia rispetto al dato letterale sia rispetto al dato temporale sia rispetto a quello logico….Se il legislatore avesse voluto limitare la portata della previsione (rectius, eccezione) di cui all’ultimo comma dell’art. 338 TULS alle sole opere pubbliche o di pubblica utilità, così come previsto nel precedente comma 5, avrebbe espressamente previsto tale limitazione o quantomeno avrebbe espressamente collegato i due commi con una consecutio logica e temporale. ciò non ha fatto, segno evidente che l’interpretazione in tal senso resa dal TAR costituisce una evidente forzatura, assolutamente contraria alla ratio della disposizione”.

Orbene, osserva la Sezione che tale doglianza si fonda su di un errore nella lettura della sentenza, ritenendosi che essa abbia ritenuto l’operatività dell’ultimo comma dell’articolo 338 per i soli interventi pubblici.

In realtà, così non è, atteso che dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che il dibattito giurisprudenziale citato e l’adesione all’opzione interpretativa restrittiva è riferita all’ambito di operatività del comma 5 dell’articolo 338 ( “La normativa citata, però, ha sollevato il dibattito giurisprudenziale concernente la portata dell’art. 338, comma 5, del R.D. n. 1265/1934….”), giungendosi alla conclusione che “il vincolo di tutela cimiteriale …può ammettere deroghe solo in presenza di concorrenti ragioni pubblicistiche, sempre compatibilmente con le esigenze sottese all’esistenza del vincolo”.

A prescindere, peraltro, da tali considerazioni (e, dunque, dalla applicabilità della norma ai soli manufatti pubblici e non anche a quelli privati), va comunque osservato – con valenza assorbente - che la invocata disposizione dell’ultimo comma dell’articolo 338 del TULS, relativa alla possibilità di ampliamento degli edifici esistenti, non è comunque applicabile alla fattispecie in esame, non trattandosi, come si è sopra visto nella confutazione del secondo motivo di appello, di opere rientranti nella nozione di “interventi di recupero ovvero interventi funzionali all’utilizzazione dell’edificio stesso”, presupposto indispensabile per l’applicabilità del comma in esame.

Anche il terzo motivo di appello deve, pertanto, essere rigettato.

Le considerazioni sopra svolte – le quali eliminano in radice l’operatività del richiamato ultimo comma dell’articolo 338 alla fattispecie oggetto del presente giudizio in ragione della natura intrinseca delle opere e non anche del loro essere intervento “privato” o “pubblico”- rendono priva di rilevanza, ai fini della definizione della controversia, la sollevata eccezione di incostituzionalità della norma, formulata espressamente per il caso in cui la stessa sia ritenuta riferibile alle sole opere pubbliche o di pubblica utilità.

In conclusione, dunque, l’appello deve essere rigettato in quanto infondato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo rigetta.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Napoli, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/03/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)