D.lgs. n. 116/2020. Si restringe l’ambito del deposito temporaneo di rifiuti. Il pastrocchio italiano del «deposito preliminare alla raccolta» e di una nota che c’è e non c’è
di Gianfranco AMENDOLA
pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore
1. - Premessa .
Come è noto, recentemente, dando attuazione alla legge di delegazione europea n. 117 del 2019, il Governo ha emanato alcuni decreti legislativi per adeguare la nostra normativa alle nuove direttive comunitarie in tema di rifiuti. Sono stati, quindi, apportati, con il d.lgs. n. 116/2020, diversi cambiamenti alla parte IV del d.lgs. n. 152/06; alcuni consistenti ed altri di minima entità.
In questo contesto, se esaminiamo l’istituto del deposito temporaneo di rifiuti, è facile verificare che, in sostanza, esso non risulta affatto interessato dalle nuove disposizioni comunitarie; né risulta oggetto di delega diretta da parte della legge n. 117, la quale si limita genericamente a disporre di «riformare il sistema delle definizioni (...) di cui agli artt. 183 (...) in attuazione delle disposizioni di cui all’art. 1, numero 3 della direttiva (UE) 2018/851» [art. 15, lett. c)].
Eppure, il d.lgs. n. 116/2020 apporta alla definizione di «deposito temporaneo» del d.lgs. n. 152/06 notevoli modifiche che vale la pena di esaminare, in quanto, in realtà, esse inducono ad un approfondimento dell’istituto anche e soprattutto sotto il profilo della formulazione precedente.
2. - Deposito temporaneo e deposito preliminare di rifiuti nella normativa comunitaria.
La nozione di deposito temporaneo di rifiuti non è direttamente prevista nella normativa comunitaria ma si ricava, a contrario, dalla elencazione delle operazioni di smaltimento e recupero contenute negli allegati delle varie direttive sui rifiuti susseguitesi nel tempo, fra le quali sono inseriti il «deposito preliminare» prima di una operazione di smaltimento, e la «messa in riserva» in attesa di una operazione di recupero 1 ; con espressa esclusione, tuttavia, in entrambi i casi, del «deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti»; cui si aggiunge, dal 2008 2, un richiamo (in nota in entrambi i casi) per chiarire che «il deposito temporaneo è il deposito preliminare a norma dell’art. 3, punto 10», e cioè il deposito preliminare ricompreso nella «raccolta», la quale consiste nelle operazioni di «prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento» 3.
Sembra, quindi, che vengano individuati due tipi di depositi temporanei, quello prima della raccolta nel luogo di produzione (che viene escluso dall’ambito dello smaltimento e del recupero) e quello preliminare che fa parte della raccolta, e, pertanto, rientra nella «gestione» 4 , dei rifiuti.
In sostanza, basandosi su questi scarni dati formali, sembra che, per la normativa comunitaria, il deposito temporaneo coincida, di regola, con il deposito preliminare di rifiuti che viene effettuato nell’ambito della raccolta ai fini del loro prelievo e trasporto in un impianto di trattamento; con la conseguenza che, essendo la raccolta ricompresa nella «gestione» esso rientra negli obblighi (soprattutto, di autorizzazione) previsti dalla normativa comunitaria per le operazioni di gestione di rifiuti. Tuttavia, se il deposito preliminare avviene prima della raccolta, nel luogo di produzione del rifiuto, la direttiva configura un particolare tipo di deposito preliminare-temporaneo escludendolo espressamente dall’ambito dello stoccaggio – che costituisce già, di per sé, una operazione di recupero o smaltimento – e della gestione, con gli obblighi connessi.
Si noti che, sotto il profilo formale, la direttiva non usa mai l’espressione «deposito preliminare prima della raccolta» ma solo «deposito preliminare», «deposito temporaneo» e «deposito temporaneo prima della raccolta»; ed anzi, specifica, nella nota dell’allegato, che la nozione di «deposito temporaneo» coincide con quella di «deposito preliminare» incluso nella raccolta.
Per comprendere meglio, occorre rifarsi ai ‘considerando’ della direttiva rifiuti n. 98 del 2008 5, i quali, pur non usando il termine «deposito temporaneo», evidenziano che «è necessario operare una distinzione tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento», aggiungendo che «gli enti o le imprese che producono rifiuti durante le loro attività non dovrebbero essere considerati impegnati nella gestione dei rifiuti e soggetti ad autorizzazione per il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta» (n. 15); e precisando, a proposito della raccolta che «nell’ambito della definizione di raccolta, il deposito preliminare di rifiuti è inteso come attività di deposito in attesa della raccolta in impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero o smaltimento» e che gli Stati membri dovrebbero «operare una distinzione tra il deposito preliminare di rifiuti in attesa della raccolta e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento, tenuto conto dell’obiettivo della presente direttiva, in funzione del tipo di rifiuti, delle dimensioni e del periodo di deposito e dell’obiettivo della raccolta» (n. 16) 6.
Si noti che mentre nel n. 15 si afferma che il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta non rientra nella gestione, subito dopo, nel n. 16, si inserisce il deposito in attesa della raccolta nell’ambito della definizione di raccolta (che costituisce attività di gestione). Tuttavia, se si leggono con attenzione e integralmente entrambi i ‘considerando’, appare, a nostro sommesso avviso, evidente che, in realtà, il legislatore comunitario ha voluto operare una distinzione tra un deposito di rifiuti nel luogo di produzione senza alcun intervento da parte del produttore (e, pertanto, «libero») e un deposito di rifiuti che, invece, fa già parte di una operazione di gestione, ad iniziare dalla raccolta, finalizzata al trattamento; cui conseguono gli obblighi relativi.
Un chiarimento decisivo, in proposito, viene autorevolmente fornito dalla Corte di giustizia europea 7, la quale, occupandosi proprio del deposito temporaneo delineato dall’Italia, ha precisato che «stabilendo che le operazioni di ricupero o di smaltimento dei rifiuti comprendono il deposito preliminare, escluso il deposito temporaneo, gli allegati II A, punto D 15, e II B, punto R 13, implicano necessariamente che il deposito temporaneo si distingua dal deposito preliminare». Infatti, come riconosciuto da tutti gli Stati membri, «un’operazione temporanea di raggruppamento di rifiuti effettuata, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti costituisce un’operazione di “deposito temporaneo” e non di “deposito preliminare”»; e «il deposito preliminare fa parte delle operazioni di smaltimento o di ricupero dei rifiuti, mentre il deposito temporaneo prima della raccolta ne è, invece, espressamente escluso». Esso, in altri termini, «precede un’operazione di gestione e, in particolare, l’operazione di raccolta di rifiuti (che è la prima delle operazioni di gestione dei rifiuti) e costituisce un’operazione preparatoria ad una delle operazioni di ricupero o di smaltimento elencate negli allegati II A e II B, punti da D 1 a D 15 e, rispettivamente, da R 1 a R 13. Pertanto dev’essere definito come un’operazione preliminare ad un’operazione di gestione dei rifiuti (...)»; concludendo, quindi, che «la nozione di “deposito temporaneo” si distingue da quella di “deposito preliminare” di rifiuti e non rientra nella nozione di “operazione di gestione” ai sensi dell’art. 1, lett. d), della direttiva 75/442»; pertanto non è «soggetto alle rigorose norme» della direttiva rifiuti. Aggiungendo, tuttavia, che «in quanto deroga a norme che mirano a conseguire obiettivi di una fondamentale rilevanza, quali la protezione dell’ambiente e della salute, la nozione di “deposito temporaneo” deve interpretarsi in modo restrittivo»; e deve, comunque, «rispettare i princìpi generali della precauzione e dell’azione preventiva» 8 .
In sostanza, quindi, secondo il diritto comunitario, occorre distinguere il «deposito temporaneo» che consiste nel semplice raggruppamento di rifiuti nel luogo di produzione prima di qualsiasi operazione di gestione (ad iniziare dalla raccolta); e il «deposito preliminare» di rifiuti, anche esso solo temporaneo, ma già integrato in una operazione di gestione (che inizia con la raccolta ed il prelievo dei rifiuti stessi).
Tuttavia, la nozione di deposito temporaneo prima della raccolta nel luogo di produzione, essendo una eccezione rispetto alle regole ordinarie relative alla gestione dei rifiuti (applicabili al deposito preliminare), deve essere interpretata in senso restrittivo e deve, comunque, rispettare i princìpi generali della precauzione e dell’azione preventiva.
Resta solo da aggiungere che le basi normative comunitarie su cui si fondano queste conclusioni non sono mutate dal 2008: la direttiva rifiuti n. 851 del 2018, per quanto interessa in questa sede, non ha, infatti, apportato variazioni rispetto alla formulazione precedente del 2008, salvo l’aggiunta della «cernita» nella definizione (comunitaria) di «gestione».
3. - Deposito temporaneo e deposito preliminare di rifiuti nella normativa italiana.
Se, a questo punto, passiamo all’esame della normativa italiana di recepimento, appare subito evidente che sin dal 1997 (con il d.lgs. n. 22) il nostro legislatore non si è limitato a riportare le scarne indicazioni sul deposito temporaneo contenute nelle direttive ma ha ritenuto opportuno enfatizzare questo istituto speciale in deroga, inserendolo in un contesto complicato, confuso, macchinoso e mutevole, che, come spesso avviene, creando incertezza, rischia di dar luogo a spazi di impunità 9 . Fortunatamente, tuttavia, la Cassazione faceva ben presto opera di chiarificazione precisando, in sostanza, (ovviamente, con riferimento alla normativa italiana vigente all’epoca) che «il d.lgs. n. 22/1997 contempla tre nozioni di deposito di rifiuti: il deposito temporaneo (controllato ed effettuato nel luogo di produzione), che è ammesso nel rispetto delle condizioni prescritte dalla lett. m) dell’art. 6; il deposito preliminare o stoccaggio, che è una fase iniziale dell’attività di smaltimento, come tale assoggettato alle procedure di abilitazione di cui ai Capi IV e V del titolo 1; il deposito incontrollato o abbandono. che è vietato e sanzionato (...), quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti, e fuori della sfera di controllo del produttore»; aggiungendo che, in mancanza anche di una sola condizione, «il deposito da “temporaneo” diventa “preliminare”, cioè entra nella sfera pericolosa dello smaltimento, qualificandosi come stoccaggio preparatorio in vista e in attesa di una delle altre operazioni finali di smaltimento elencate dalla legge, quali la discarica, il lagunaggio, l’incenerimento etc.» 10 ; distinguendo, quindi, nettamente, il deposito temporaneo dal deposito preliminare.
Arriviamo, così, alla fase più recente, e, quindi, al quarto correttivo (d.lgs. n. 205/2010) del d.lgs. n. 152/06, finalizzato a dare attuazione alla citata direttiva n. 98 del 2008, e, per quanto interessa, alla versione aggiornata dell’art. 183, d.lgs. n. 152/06, comma 1, il quale, alla lett. bb) definiva «deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni (...)»; e, con la lett. o) «raccolta: il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “ mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento», riproducendo fedelmente, in questa seconda definizione, quella della direttiva, salvo ridurre a «deposito» il «deposito preliminare» 11.
Manca, tuttavia, nel testo del d.lgs. n. 205 del 2010 pubblicato nella G.U. del 10 dicembre 2010, la trasposizione nel d.lgs. n. 152/06 della nota, sopra riportata (su deposito temporaneo e deposito preliminare che fa parte della raccolta), introdotta, come abbiamo visto, negli allegati su smaltimento e recupero dalla direttiva n. 98 del 2008; anche se, in realtà, nei corrispettivi allegati italiani vi sono due richiami (n. 3 e n. 8) che rinviano ad una nota. Ma la nota non c’è e sembra che, a tutt’oggi, nessuno se ne sia accorto.
Comunque, cinque anni dopo, il decreto legge n. 78/2015 convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125 ( Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali ) modificava l’art. 183, d.lgs. n. 152/06 aggiungendo, nella definizione di «raccolta», dopo la parola «deposito» le seguenti: «preliminare alla raccolta»; e riscrivendo la definizione di «deposito temporaneo» come «il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti (...)».
In sostanza, quindi, nell’estate del 2015 il legislatore italiano inseriva inopinatamente sia nella definizione di «deposito temporaneo» sia in quella di «raccolta» la espressione «deposito preliminare alla raccolta» che non compare affatto nelle direttive comunitarie 12 ; con il risultato che, nel testo del d.lgs. n. 152/06 precedente il d.lgs. n. 116/2020, essa figurava contemporaneamente in una operazione («deposito temporaneo») effettuata prima della raccolta e in una operazione ricompresa nella raccolta.
4. - Le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 116/2020.
È, pertanto su questa situazione normativa che intervengono le modifiche del d.lgs. n. 116/2020, evidenziate nello specchietto seguente:
PRIMA DEL D.LGS. n. 116/2020 Articolo 183 Definizioni il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’ articolo 2135 del codice civile , presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, (lettera modificata dall’art. 28, comma 2, legge n. 35 del 2012, poi dall’art. 52, comma 2 ter , legge n. 134 del 2012, poi dall’art. 11, comma 16 bis, legge n. 125 del 2015) alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; 3) il «deposito temporaneo» deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; 4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose; 5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo ; |
DOPO IL D.LGS. n. 116/2020 Articolo 183 Definizioni bb ) «deposito temporaneo prima della raccolta»: il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185 bis; Articolo 185 bis (Deposito temporaneo prima della raccolta) 1. Il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento è effettuato come deposito temporaneo, prima della raccolta, nel rispetto delle seguenti condizioni: a ) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci; b ) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita; c ) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti. 2. Il deposito temporaneo prima della raccolta è effettuato alle seguenti condizioni: a ) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; b ) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; c ) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché’, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; d ) nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose. 3. Il deposito temporaneo prima della raccolta è effettuato alle condizioni di cui ai commi 1 e 2 e non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente . |
È opportuno, a questo punto, ricordare che, in realtà, come già abbiamo accennato, la nuova direttiva rifiuti del 2018 non contiene novità di rilievo relative, direttamente o indirettamente, al deposito temporaneo di rifiuti, salvo l’inserimento della «cernita» nella definizione di gestione. E pertanto il d.lgs. n. 116/2020, dovendo modificare il d.lgs. n. 152/06 per adeguarlo alla nuova direttiva, avrebbe dovuto limitarsi a questa sola aggiunta, lasciando invariata la formulazione precedente relativa al deposito temporaneo 13.
Invece, come risulta dallo specchietto, il legislatore italiano è andato ben oltre ritoccando in più punti la costruzione precedente anche sotto il profilo strutturale.
In primo luogo, infatti, il titolo «deposito temporaneo» è stato sostituito con «deposito temporaneo prima della raccolta».
Passando al contenuto, appare evidente che, nella definizione generale di deposito temporaneo prima della raccolta («il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta»), è stato eliminato proprio il «deposito preliminare alla raccolta» introdotto nel 2015, ritornando alla formulazione precedente (quindi resta solo il «raggruppamento»); e che il «trasporto in un impianto di trattamento» è stato modificato in «trasporto in un impianto di recupero o smaltimento».
Trattasi – è bene ripeterlo – di modifiche che non sono collegate al recepimento della nuova direttiva del 2018, la quale nulla innova in proposito. Ma, in ogni caso, trattasi di modifiche che, comunque, vanno nella direzione voluta dal diritto comunitario, eliminando dalla definizione di deposito temporaneo l’aggiunta, tutta italiana e fuorviante, di «deposito preliminare alla raccolta» 14.
Quanto alla seconda modifica, occorre ricordare che un impianto di trattamento è un impianto dove 15 si svolgono «operazioni di recupero 16 o smaltimento 17 , inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento»: e pertanto sembra 18 si sia voluto limitare la destinazione di rifiuti da deposito temporaneo agli impianti ove si svolgono operazioni di recupero o smaltimento, eliminando quelli ove si effettuano operazioni intermedie 19 di preparazione 20 .
Tanto più che il deposito temporaneo, come abbiamo visto, nasce proprio come una deroga al deposito preliminare che rientra nel recupero o nello smaltimento.
Sarebbe, del resto, una limitazione aderente all’indicazione della Corte di giustizia europea di restringere al massimo l’ambito di questo anomalo deposito temporaneo prima della raccolta, che, non dimentichiamolo, è sostanzialmente «libero».
E pertanto, a nostro sommesso avviso, la esclusione della dizione relativa ad un impianto di trattamento sembra significare che oggi la disciplina di favore prevista per il deposito temporaneo di rifiuti prima della raccolta opera in Italia solo se, evitando tappe intermedie, questi rifiuti vengono poi indirizzati, garantendone la tracciabilità, direttamente dal luogo di produzione verso gli impianti di recupero o smaltimento 21.
Mancando queste condizioni generali (e le condizioni particolari di cui parleremo appresso), non potrà configurarsi, quindi, un deposito temporaneo prima della raccolta ma dovrà parlarsi di deposito preliminare che rientra nell’ambito della «raccolta» 22 o di «stoccaggio» 23 . Con la rilevante differenza che solo nel primo caso è escluso dagli obblighi previsti per la gestione dei rifiuti e dalle relative sanzioni in caso di inadempienza.
Proseguendo nell’esame del testo attuale, arriviamo alle modifiche attinenti le condizioni, tutte italiane, previste affinché possa configurarsi un deposito temporaneo prima della raccolta.
La prima riguarda il luogo in cui i rifiuti sono prodotti ma è solo formale in quanto, senza sostanziali modifiche rispetto al testo prima vigente, esso viene identificato, in via generale, nella «intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti» 24; così come resta anche la dubbia specificazione sul luogo di produzione che riguarda gli imprenditori agricoli, oggetto, come accade spesso in Italia, di una normativa di favore difficilmente giustificabile 25 .
Vengono, tuttavia, aggiunte due nuove precisazioni che identificano nel punto vendita di produttori e distributori il luogo in cui può essere effettuato «il deposito preliminare alla raccolta» per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore e per quelli da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge.
In proposito, appare del tutto evidente che, in realtà, il punto vendita non è il luogo dove i rifiuti sono prodotti ma il luogo in cui alcuni rifiuti – già diventati tali perché il detentore vuole disfarsene –, vengono raccolti per le fasi successive. Quindi, non si tratta di un deposito temporaneo prima della raccolta ma di un «deposito preliminare alla raccolta» che rientra pienamente nella definizione (italiana) di raccolta. Appare, allora, probabile che il nostro disinvolto legislatore abbia aggiunto queste due disposizioni nell’ambito del deposito temporaneo prima della raccolta per sancire, senza riconoscerlo espressamente, che questi depositi di rifiuti presso i punti vendita (e non nel luogo di produzione) devono essere considerati, ex lege e in deroga alla disciplina generale, fra quelli compresi nella nozione di deposito temporaneo prima della raccolta; e, quindi, «liberi» dagli obblighi della gestione. Dimenticando, tuttavia, che, contestualmente, stava espungendo proprio il «deposito preliminare prima della raccolta» dalla definizione di «deposito temporaneo prima della raccolta».
In sostanza, comunque, si tratta di due deroghe alla regola generale sul deposito temporaneo circa il luogo in cui i rifiuti sono prodotti 26 . Pertanto, sembra si voglia stabilire, ex lege, che in questi due casi, la raccolta di questi rifiuti, inizia, solo dopo la loro consegna ed il loro deposito nelle aree ivi previste 27 ; con tutte le conseguenze specie con riferimento all’obbligo di autorizzazione ed alle responsabilità per gli adempimenti di legge 28.
Per quanto concerne le altre condizioni stabilite per la configurazione di un deposito temporaneo di rifiuti prima della raccolta, non sembra vi siano novità di rilievo rispetto al testo precedente, salvo l’aggiunta, alla lettera c) del secondo comma, che «i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee» 29 e, nel terzo comma, la precisazione relativa alla non necessità di autorizzazione. Precisazione del tutto superflua, visto che, in tema di autorizzazione, l’art. 208, comma 17, d.lgs. n. 152/06 già sanciva (e sancisce) che al deposito temporaneo non si applicano le disposizioni sull’obbligo di autorizzazione 30. E, comunque, il deposito temporaneo prima della raccolta non rientra tra le attività di gestione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione) di rifiuti per le quali vige l’obbligo di autorizzazione penalmente sanzionato dall’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/06.
In conclusione e in sostanza, secondo il d.lgs. n. 152/06 aggiornato con il d.lgs. n. 116/2020, il deposito temporaneo prima della raccolta è il raggruppamento dei rifiuti effettuato a determinate condizioni nel luogo di produzione, che si esaurisce con il trasporto diretto dei rifiuti in un impianto di recupero o smaltimento.
5. - Alcune precisazioni finali .
Per completezza, appare, a questo punto, opportuno aggiungere alcune importanti precisazioni, anche se non attengono a novità introdotte dal d.lgs. n. 116/2020:
a ) La prima riguarda la durata del deposito temporaneo. Infatti, in base alla normativa comunitaria ed italiana sulle discariche, «qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno» rientra, ex lege, nella definizione di «discarica» [art. 2, comma 1, lett. .g), d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, sulle discariche, rimasto, per questa parte, invariato dopo le modifiche del 2020] 31; purché, a nostro avviso, siano presenti anche le caratteristiche tipiche della discarica, individuate costantemente dalla giurisprudenza nella rilevanza «in termini spaziali e quantitativi» e nel «degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione»32 .
b ) La seconda riguarda la esistenza di tutte le condizioni previste dalla legge. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, «il reato di deposito incontrollato, è integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo (...)»33. E pertanto, « in difetto anche di uno dei requisiti indicati da tale norma, il deposito non può ritenersi temporaneo (...)» 34.
c ) La terza riguarda l’onere della prova in ordine al verificarsi delle condizioni fissate per la liceità del deposito temporaneo, che, per costante giurisprudenza, «grava sul produttore dei rifiuti in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti» 35.
d ) La quarta riguarda gli obblighi del produttore in quanto, se pure è vero che al deposito temporaneo non si applicano le stringenti disposizioni per la gestione, è anche vero che, ai sensi dell’art. 208, comma 17, d.lgs. n. 152/06, già citato, vengono «fatti salvi l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico 36 da parte dei soggetti di cui all’articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all’articolo 187 (...)».
e ) Infine, la Cassazione ha più volte confermato l’assunto della Corte europea di giustizia circa la inderogabilità ai princìpi generali anche in caso di deposito temporaneo. E pertanto, «il deposito controllato o temporaneo è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai princìpi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti» 37; precisando successivamente che «il deposito temporaneo, inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dall’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006 (tra cui l’osservanza delle relative norme tecniche), è comunque soggetto al rispetto dei princìpi di precauzione e di azione preventiva che le direttive comunitarie impongono agli stati nazionali in forza dell’art. 130 (ora art. 174) del Trattato CE (v. Corte di giustizia europea, Sez. IV del 5 ottobre 1999, Lirussi e Bizzaro, cause riunite C-175/98 e 177/98); di qui, dunque, la necessità, addirittura intrinseca ad un deposito che, come quello temporaneo, è preliminare o preparatorio alla gestione, che i rifiuti siano conservati con modalità adeguate allo scopo»38 .
1 Voci D15 e R13 degli Allegati 1(operazioni di smaltimento) e 2 (operazioni di recupero) della direttiva 2008/98/CE, non modificate dalla direttiva n. 851 del 2018. Si tratta, cioè, per l’Italia, dello « stoccaggio» definito dall’art. 183, comma 1, lett. aa ), d.lgs. n. 152/06, come «le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B alla parte IV del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell’allegato C alla medesima parte IV».
2 Con la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008.
3 Definizione contenuta nelle direttive rifiuti.
4 Secondo la definizione della direttiva UE 2018/851 [riprodotta senza modifiche dall’art. 183, lett. n), d.lgs. n. 152/06], rientrano nella «gestione»: «la raccolta, il trasporto, il recupero (compresa la cernita), e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento nonché le operazioni effettuate in qualità di commercianti o intermediari». Si noti che, rispetto alla definizione della direttiva precedente, risulta aggiunta la parentesi «compresa la cernita».
5 Quella che ha introdotto la nota nell’allegato.
6 Si aggiunge anche che «il deposito di rifiuti prima del recupero per un periodo pari o superiore a tre anni e il deposito di rifiuti prima dello smaltimento per un periodo pari o superiore ad un anno sono disciplinati dalla direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti». Ma su questo torneremo.
7 Corte di giustizia CE, Sez. IV 5 ottobre 1999, in cause riunite C-175/98 e C-177/98, Lirussi e Bizzaro, in Ambiente e sicurezza, 1999, n. 21, 106 e ss. con nota di Paone, la quale, ovviamente, fa riferimento al testo della direttiva rifiuti e al testo italiano (v. appresso) in vigore all’epoca; quindi, nella direttiva non era presente la nota (introdotta più tardi nel 2008).
8 «Pertanto, se è vero che le imprese che detengono rifiuti e che procedono al loro deposito temporaneo non sono soggette all’obbligo di registrazione o d’autorizzazione previsto dalla direttiva 75/442, non è men vero che tutte le operazioni di deposito, indipendentemente dal fatto che siano effettuate a titolo temporaneo o preliminare, nonché le operazioni di gestione di rifiuti ai sensi dell’art. 1, lett. d), di tale direttiva, sono soggette al rispetto dei princìpi della precauzione e dell’azione preventiva che l’art. 4 della direttiva 75/442 mira ad attuare e, in particolare, agli obblighi che risultano da questa stessa norma nonché dall’art. 8 della detta direttiva».
9 Per un approfondimento storico ci permettiamo rinviare al nostro La gestione dei rifiuti, Santarcangelo di Romagna, 2005, 59 e ss.
10 Giurisprudenza costante; cfr. per tutte Cass. Sez. III Pen. 29 gennaio 2004, n. 142, Lenzi; Cass. Sez. III Pen. 25 febbraio 2004, n. 369, Eoli, in Ambiente e sicurezza sul lavoro, 2004, n. 9, 190, (e in Ambiente 2004, n. 11, 1079 e ss., con nota critica di Paone)
11 Abbiamo già ricordato che per le ultime direttive la «raccolta», consiste nel «prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento».
12 Peraltro, come vedremo, il legislatore italiano utilizza nuovamente, sempre nell’ambito del deposito temporaneo, questa locuzione a proposito di alcune eccezioni sul luogo di produzione. Inoltre, la utilizza anche nell’art. 181, comma 6, a proposito della possibile individuazione nei centri di raccolta di «apposite aree adibite al deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti destinati alla preparazione per il riutilizzo e alla raccolta di beni riutilizzabili»; e nella definizione di «gestione» [art. 183, comma 1, lett. n )] ove si sancisce che «non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, selezione e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati».
13 Resta invariata anche la scomparsa della nota agli allegati di cui abbiamo riferito. Nel testo del d.lgs. n. 152/06 aggiornato dopo il d.lgs. n. 116/2010 in «Normattiva» compaiono, infatti i richiami nn. 3 ed 8 ad una nota: ma manca la nota.
14 Rimediando, così, alla incongruenza, tutta italiana, sopra segnalata di aver delineato un deposito temporaneo di rifiuti prima della raccolta che ricomprendeva anche la stessa operazione («deposito preliminare alla raccolta») inclusa, invece, espressamente tra quelle elencate nella definizione italiana di «raccolta». In realtà, a questo punto, sarebbe opportuno adeguare anche la definizione italiana di «raccolta» a quella della direttiva, eliminando l’aggiunta «alla raccolta» dopo «deposito preliminare».
15 Secondo la definizione di «trattamento»: art. 183, comma 1, lett. s), d.lgs. n. 152/06.
16 Art. 183, comma 1, lett. t): «recupero: qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale. L’allegato C della parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero» .
17 Art. 183, comma 1, lett. z): «smaltimento: qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia. L’Allegato B alla parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento».
18 Il condizionale è d’obbligo ma, in base al dato formale, non sembra possa esservi altra spiegazione per questa modifica.
19 Operazioni che, ovviamente, possono essere sempre effettuate sul rifiuto purché ciò avvenga nell’ambito dell’impianto di destinazione diretta (recupero o smaltimento) senza tappe intermedie.
20 L’art. 2, comma 1, lett. h) del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 ( Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti ) definisce il «trattamento» come «i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza».
21 Questa impostazione comporterebbe che anche gli «impianti di trattamento» indicati, nella definizione dell’art. 183, come destinazione della raccolta, vengano limitati, in caso di deposito temporaneo ai soli impianti di recupero o smaltimento.
22 In proposito, cfr. Cass. Sez. III Pen. 23 gennaio 2015, n. 3204, Lucchini, rv. 262.008, secondo cui, rifacendosi al testo precedente, «la raccolta, che costituisce una delle attività concernenti il ciclo di gestione dei rifiuti, consiste nell’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto , dovendosi ribadire quanto già affermato da questa Corte circa il fatto che la nozione normativa di raccolta dei rifiuti, secondo la definizione ora data dall’art. 183 lett. o), d.lgs. n. 152 del 2006 ampliata con l’espresso riferimento anche alla gestione dei centri di raccolta dei rifiuti, presenta natura complessa, comprensiva di ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell’accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando così estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento».
23 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 9 aprile 2018, n. 15771, Talluto, in www.lexambiente.it, 18 aprile 2018: «Per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, cosicché, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo (cfr. Sez. III, n. 38676 del 20 maggio 2014, Rodolfi, rv. 260.384), ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi)». Da ultimo, conf. Cass. Sez. III Pen. 2 settembre 2020, n. 24989 (c.c.), Marconi, in www.ambientediritto.it.
24 In proposito, cfr., da ultimo, Cass. Sez. III Pen. 31 marzo 2017, n. 16441, B.C., in wwww.ambientediritto.it, secondo cui «per luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi della disposizione citata deve intendersi quello in cui i rifiuti sono prodotti, ovvero che si trovi nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione e dotato dei necessari presidi di sicurezza» (giurisprudenza costante).
25 Cfr. anche, in tema di «trasporto», l’ art. 193, comma 12, d.lgs. n. 152/06, secondo cui «la movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola, ancorché effettuati percorrendo la pubblica via, non è considerata trasporto ai fini del presente decreto qualora risulti comprovato da elementi oggettivi ed univoci che sia finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo e la distanza fra i fondi non sia superiore a quindici chilometri; non è altresì considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall’imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile dai propri fondi al sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa di cui è socio, ivi compresi i consorzi agrari, qualora sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo». Si noti, in proposito, che, come se non bastasse, la distanza tra i fondi è stata aumentata dal d.lgs. n. 116/2020, passando addirittura da 10 a 15 km.
26 Come avviene, del resto, per i rifiuti provenienti da assistenza sanitaria domiciliare, «che si considerano prodotti presso l’unità locale, sede o domicilio dell’operatore che svolge tali attività» (art. 193, comma 18); e per i rifiuti da attività di manutenzione e piccoli interventi edili, che «si considerano prodotti presso l’unità locale, sede o domicilio del soggetto che svolge tali attività» (art. 193, comma 19, introdotto dal d.lgs. n. 116/2020). Cfr. anche le disposizioni particolari dell’art. 230 per i rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture. In proposito, per approfondimenti anche con riferimento alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 116/2020, si rinvia a Vattani, Gestione dei rifiuti e deposito temporaneo: cosa cambia dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 116/2020 , in www.dirittoambiente.net , 23 settembre 2020.
27 Si noti che la definizione italiana di «raccolta» include, invece, nella raccolta anche «la gestione dei centri di raccolta» per rifiuti urbani.
28 In questo senso, cfr. il ‘considerando’ n. 17 della direttiva rifiuti n. 98 del 2008: «I sistemi di raccolta dei rifiuti non gestiti su base professionale non dovrebbero essere soggetti a registrazione in quanto presentano rischi inferiori e contribuiscono alla raccolta differenziata dei rifiuti. Rappresentano esempi di tali sistemi la raccolta di rifiuti medicinali nelle farmacie, i sistemi di ritiro dei beni di consumo nei negozi e i sistemi di raccolta di rifiuti nelle collettività scolastiche».
29 Ma il raggruppamento fa già parte della definizione generale.
30 Purtroppo, si è persa l’occasione di correggere, nell’art. 208, comma 17, d.lgs. n. 152/06 l’errore di collegare il deposito temporaneo alla lett. m) dell’art. 183, comma 1, mentre si tratta della lett. bb).
31 Lo stesso articolo, sempre in attuazione della normativa comunitaria, precisa che non rientrano nella definizione di discarica «gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno».
32 Per approfondimenti e richiami di giurisprudenza, ci permettiamo rinviare al nostro Il diritto penale dell’ambiente, II edizione, Roma, 2016-2017, 230 e ss.
33 Cfr. per tutti, da ultimo, Cass. Sez. III Pen. 17 luglio 2019, n. 31311, in www.lexambiente.it, 12 settembre 2019.
34 Giurisprudenza costante; da ultimo, Cass. Sez. III Pen. 2 settembre 2020, n. 24989 (c.c.), Marconi, cit. supra (nota n. 23).
35 Cass. Sez. III Pen. 8 febbraio 2013, n. 6295, Zangirolami, inwww.lexambiente .it, 21 febbraio 2013.
36 La cui disciplina ha subìto alcune modifiche con il d.lgs. n. 116/2020.
37 Cass. Sez. III Pen. 10 novembre - 30 dicembre 2009, n. 49911 (c.c.), Manni, rv. 245.865.
38 Cass. Sez. III Pen. 7 ottobre 2014, n. 41692, Ciampa, inwww.lexambiente.it, 4 novembre 2014 (in fatto la sentenza ha precisato che i rifiuti in oggetto non erano prodotti dalla azienda rappresentata dall’imputato che, anzi, svolgeva attività di recupero di rifiuti altrui e che dall’ingente quantitativo di rifiuti fuoriusciva percolato che confluiva nelle griglie di raccolta del capannone nonché odore intenso e nauseabondo).