Cons. Stato Sez. IV n.816 del 16 febbraio 2012
Urbanistica. Fabbricati corsi d’acqua e distanza dagli argini
Il vincolo d’inedificabilità posto dall’art. 133 lettera a) del r.d. 8 maggio 1904, n. 368 (“Regolamento per la esecuzione del t.u. della l. 22 marzo 1900, n. 195, e della l. 7 luglio 1902, n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi”), sia pure nell’intervallo da stabilirsi a cura dell’Autorità di bonifica (da 4 a 10 metri), è assoluto, perché inderogabile da discipline locali, ed è orientato alla salvaguardia delle “…le normali operazioni di ripulitura e di manutenzione e ad impedire le esondazioni delle acque…”
N. 00816/2012REG.PROV.COLL.
N. 03652/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2009, proposto da:
Consorzio di bonifica Dese Sile, con sede in Chirignano, e per esso ora il Consorzio di bonifica Acque Risorgive, con sede in Venezia, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gabriella Mollica Luly ed Enrico Vedova, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Tarvisio n. 3, per mandato a margine dell’appello;
contro
Provincia di Venezia, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Vinti e Cristina De Benetti, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliata in Roma, alla via Emilia n. 88, per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio d’appello;
nei confronti di
- Comune di Noale, in persona del Sindaco pro-tempore, già costituito nel giudizio di primo grado e non costituito nel giudizio d’appello;
- Maria Pelosin, controinteressata intimata, già costituita nel giudizio di primo grado e non costituita nel giudizio d’appello;
- Anna Petrin, controinteressata intimata, non costituita nel giudizio di primo grado né nel giudizio d’appello
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Veneto Sez. II n. 3879 del 17 dicembre 2008, resa tra le parti, recante rigetto del ricorso (n.r. 1519 del 2006) proposto dal Consorzio di Bonifica Dese Sile per l’annullamento del decreto dell’Assessore all’urbanistica, pianificazione territoriale, sistema informativo geografico della Provincia di Venezia n. 28296 dell’11 giugno 2006 recante diniego di annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 60 del 31 maggio 2002, rilasciata in favore di Pelosin Maria e Petrin Maria, per la demolizione e ricostruzione di un edificio a uso abitativo sito nel comune di Noale alla via San Dono
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2011 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. Mario Sanino, in dichiarata sostituzione dell’avv. Enrico Vedova, per il Consorzio appellante, nonché l’avv. Elia Barbieri, su delega dell’avv. Stefano Vinti, per la Provincia appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in epigrafe il Consorzio bonifica Dese Sile, con sede in Chirignano, in persona del Presidente pro-tempore, ha impugnato la sentenza pure in epigrafe meglio indicata.
Giova premettere che:
- il Comune di Noale rilasciava a Maria Pelosin e Maria Petrin la concessione edilizia n. 60 del 31 maggio 2002 per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato a uso abitativo alla via San Dono in fregio all’argine del fiume Marzenego;
- il Consorzio di bonifica Dese Sile, verificato lo svolgimento dei lavori, richiesta e acquisita dall’Amministrazione comunale copia della concessione edilizia, contestata al Comune e alle proprietarie la distanza inferiore al limite minimo di 4 metri dagli argini, formulato a istanza della Pelosin parere preliminare favorevole con prescrizioni e, in difetto dell’adeguamento alle prescrizioni, parere negativo, dopo aver vanamente intimato lo sgombero dell’area occupata dalla costruzione a distanza inferiore al limite minimo, formulava istanza di annullamento in autotutela al Comune e, nell’inerzia di quest’ultimo, alla Provincia di Venezia;
- la Provincia di Venezia con decreto dell’Assessore all’urbanistica, pianificazione territoriale, sistema informativo geografico n. 28296 dell’11 giugno 2006 negava il chiesto annullamento in autotutela perché, pur dando atto che la concessione edilizia era stata rilasciata in assenza di preventivo parere del Consorzio di bonifica, per un verso qualificava l’omissione come “vizio di legittimità di natura meramente procedimentale”, comunque sanabile mediante rilascio di “nuovo nulla osta ora per allora”, per altro aspetto riteneva insussistente “un interesse pubblico concreto e attuale, nonché prevalente sugli interessi coinvolti e contrapposti perché tendenti alla conservazione del provvedimento comunale illegittimo…”, tale da sorreggere l’esercizio dei poteri di autotutela ex art. 30 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;
- il Consorzio di Bonifica, con il ricorso in primo grado n. 1510/2006 ha impugnato il diniego di annullamento in autotutela della concessione edilizia, deducendo vizi di: 1) Eccesso di potere. Difetto di istruttoria; 2) Violazione di legge: art. 10 bis legge n. 241/1990; 3) Violazione di legge: art. 133 r.d. n. 368/1904. Eccesso di potere: carenza di istruttoria, illogicità manifesta, mancata valutazione degli interessi pubblici sottesi;
- nel giudizio di primo grado si sono costituiti la Provincia di Venezia, il Comune di Noale e una delle controinteressate intimate (Maria Pelosin) che hanno dedotto a loro volta l’infondatezza del ricorso;
Con la sentenza appellata il T.A.R. per il Veneto, disattesa l’eccezione pregiudiziale della controinteressata costituita relativa all’omessa impugnativa diretta della concessione edilizia, ha respinto il ricorso in base ai rilievi di seguito sintetizzati:
- poiché nella specie l’opera edilizia rientra nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia (demolizione e ricostruzione con identica sagoma e volume sull’identica area di sedime) e non configura una nuova costruzione, non è applicabile il vincolo relativo alla fascia di rispetto prescritta dall’art. 133 r.d. n. 368/1904 (da 4 a 10 metri);
- l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 è inapplicabile al procedimento ex art. 30 della legge regionale n. 11/2004, che si caratterizza per l’esercizio ex officio dei poteri di autotutela, ancorché stimolato da esposto e/o segnalazione del Consorzio, e che contempla il solo intervento del concessionario, del proprietario della costruzione , del progettista e del comune interessato;
- non è ravvisabile la dedotta carenza d’istruttoria, in funzione della corretta qualificazione dell’opera come intervento di ristrutturazione, né il difetto di motivazione, in relazione alla rilevata insussistenza di un interesse pubblico attuale all’annullamento, anche in ragione della possibile acquisizione a sanatoria del parere.
A sostegno dell’appello sono stati dedotti i seguenti motivi:
I) Errore nei presupposti. Travisamento (art. 133 r.d. n. 368 del 1904)
L’art. 133, al comma 3, prevede che i manufatti ivi indicati, “giunti a maturazione o deperimento”, non possono essere “surrogati” fuorché alle distanze stabilite (ossia da metri 4 a metri 10 per i fabbricati, secondo l’importanza del corso d’acqua); la demolizione con ricostruzione va inquadrata nel concetto di “surrogazione” ovvero sostituzione, sicché nella specie sussiste la violazione della disposizione, non potendo assumere alcun rilievo la qualificazione tipologica dell’intervento (ristrutturazione edilizia anziché nuova costruzione), dovendo trovare applicazione la normativa speciale a tutela delle opere idrauliche dei consorzi di bonifica.
II) Errore nei presupposti. Travisamento. Mancata valutazione degli interessi sottesi all’art. 133 r.d. n. 368 del 1904, anche con riferimento alla ritenuta irrilevanza della mancata acquisizione del parere del Consorzio
La Provincia ha del tutto obliterato l’interesse pubblico specifico sotteso alla disposizione dell’art. 133 -che introduce un vincolo assoluto e inderogabile- alla cui salvaguardia è diretto il parere del Consorzio, che non può ritenersi minusvalente rispetto all’interesse del privato alla conservazione del titolo edilizio in funzione dell’affidamento da esso creato.
L’ art. 42 comma 3 N.T.A. del PRG di Noale prevede, peraltro, il parere del Consorzio per il rilascio di titoli edilizi relativi a costruzioni in fregio alle opere di bonifica, da ritenere obbligatorio e vincolante.
La carenza del parere non è vizio procedimentale sanabile.
III) Errore nei presupposti. Travisamento (art. 10 bis della legge n. 241 del 1990)
La parte privata o l’ente pubblico che richiedono l’esercizio dei poteri d’annullamento ex art. 30 l.r. n. 11 del 2004 assumono veste di soggetti del procedimento, onde non poteva eludersi l’obbligo di preavviso della determinazione negativa.
Nel giudizio d’appello si è costituita la sola Provincia di Venezia che, con memoria difensiva depositata l’8 ottobre 2011, ha dedotto l’infondatezza del ricorso insistendo sull’inapplicabilità dei limiti ex art. 133 del r.d. n. 368/1904 alle opere di ristrutturazione edilizia, evidenziando altresì come l’art. 42 N.T.A. del P.R.G. di Noale consenta espressamente la ristrutturazione degli edifici esistenti ricadenti in tutto o in parte nelle fasce di rispetto dei canali, se non comportino l’avanzamento dell’edificio sul fronte fluviale, e ribadendo l’assenza di interesse pubblico all’annullamento in autotutela.
Con memoria difensiva depositata il 6 ottobre 2011 e memoria di replica depositata il 18 ottobre 2011, l’appellante, precisato che in esecuzione delle previsioni della legge regionale 8 maggio 2009, n. 12 i preesistenti Consorzio di bonifica Dese Sile e Consorzio di bonifica sinistra medio Brenta sono stati accorpati nel Consorzio di bonifica Acque Risorgive, ha ribadito e ulteriormente illustrato le proprie censure, insistendo per l’accoglimento dell’appello.
All’udienza pubblica dell’8 novembre 2011 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
DIRITTO
1.) L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento, in riforma della sentenza impugnata, del decreto dell’Assessore all’urbanistica, pianificazione territoriale, sistema informativo geografico della Provincia di Venezia n. 28296 dell’11 giugno 2006, salvi i provvedimenti ulteriori in sede di riedizione del potere di autotutela.
1.1) L’art. 133 lettera a) del r.d. 8 maggio 1904, n. 368 (“Regolamento per la esecuzione del t.u. della l. 22 marzo 1900, n. 195, e della l. 7 luglio 1902, n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi”) pone chiaro ed espresso divieto “in modo assoluto” di procedere ad una serie di lavori, tra cui, per quanto qui rileva, la realizzazione di “…fabbriche… dal piede interno ed esterno degli argini e loro accessori o dal ciglio delle sponde dei canali non muniti di argini o dalle scarpate delle strade a distanza minore di… metri 4 a 10 per i fabbricati, secondo l'importanza del corso d’acqua”; e alla successiva lettera b) secondo capoverso precisa, sempre per quanto qui interessa, che “…le fabbriche…esistenti… sono tollerate qualora non rechino un riconosciuto pregiudizio; ma, giunte a maturità o deperimento, non possono essere surrogate fuorché alle distanze sopra stabilite”.
La disposizione si differenzia da quella dell’art. 96 lettera f) del r.d. 27 luglio 1904, n. 523 (“Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”) che, disponendo che sono vietate in modo assoluto, tra l’altro, “…le fabbriche… a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore…di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”, consente alle “discipline locali” di derogare alla distanza minima assoluta ivi indicata, senza porre distinzione tra “fabbriche esistenti”e “nuove fabbriche”.
E’ evidente, peraltro, che nell’ambito di distanza stabilito dalle discipline locali il divieto di edificazione della fascia di rispetto è assoluto e inderogabile (Cons. Stato, Sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4663, che precisa come esso valga anche per i corsi d’acqua confinati in sotterraneo mediante tombinatura; vedi anche Sez. V, 26 marzo 2009, n. 1814), laddove il maggior limite di 10 metri ha natura sussidiaria perché subordinato all’assenza di normative locali, ivi comprese quelle urbanistiche ed edilizie (Cass., SS.UU. civili, 18 luglio 2008 , n. 19813).
Al contrario, il vincolo d’inedificabilità posto dall’art. 133 lettera a), sia pure nell’intervallo da stabilirsi a cura dell’Autorità di bonifica (da 4 a 10 metri), è assoluto, perché inderogabile da discipline locali, ed è orientato alla salvaguardia delle “…le normali operazioni di ripulitura e di manutenzione e ad impedire le esondazioni delle acque…” (Cass. Civ., Sez. I, 22 aprile 2005 n. 8536).
1.2) La sentenza impugnata, e il provvedimento assessorile di diniego dell’annullamento in autotutela della concessione edilizia, hanno ritenuto che il limite di distanza non operi con riferimento a lavori di ristrutturazione edilizia, consistenti, come nel caso di specie, nella demolizione e ricostruzione con identica sagoma e volume sull’identica area di sedime.
Tale conclusione è erronea e priva di fondamento normativo.
L’art. 133 lettera a), nel consentire la conservazione delle “fabbriche”, ossia degli edifici esistenti, e peraltro “qualora non rechino un riconosciuto pregiudizio” (così ammettendo che, nel caso di riconosciuto pregiudizio possa al contrario imporsi l’arretramento alla distanza prescritta, o al limite anche la demolizione), prevede che, al contrario, il limite minimo variabile -da stabilirsi a cura dell’Autorità di bonifica- debba essere rispettato quando si intenda procedere alla “surrogazione”, ossia alla sostituzione dell’opera con altra opera.
Nell’ampia nozione di “surroga”, e in funzione dell’assoluta eccezionalità della conservazione dell’opera già esistente, non può non ricomprendersi la sostituzione anche nella forma della demolizione e della fedele ricostruzione.
In altri termini, l’interesse del privato proprietario al mantenimento dell’edificio entro la fascia di rispetto e a distanza inferiore a quella minima è tutelato solo se ed in quanto l’immobile non subisca alcuna trasformazione fisica, rimanga tal quale, come esistente, ed anche in tale ipotesi nemmeno in senso assoluto, potendo disporsi il suo arretramento o al limite il suo abbattimento se “rechi pregiudizio” all’interesse pubblico relativo alla più funzionale ed efficace manutenzione di argini, sponde, corsi d’acqua e canali e/o se presenti rischi in ordine all’esondazione e al naturale deflusso delle acque.
Al contrario, quando si intenda procedere alla “surrogazione”, ossia alla sostituzione dell’edificio esistente con un nuovo edificio, ancorché di superficie, sagoma, volumetria identiche -mediante demolizione e ricostruzione- l’interesse del proprietario non può che soccombere rispetto al predetto interesse pubblico, nel senso che trova piena applicazione il limite di distanza, da fissare a cura dell’Autorità di bonifica in relazione all’importanza del corso d’acqua e alle esigenze della sua cura e manutenzione, naturalmente con il minor sacrificio possibile ed entro limiti di adeguata proporzionalità e dimostrata funzionalizzazione al suddetto interesse pubblico, qualora esso sia fissato oltre il limite minimo inderogabile di 4 metri.
Né può soccorrere l’argomento difensivo dell’applicabilità dell’art. 42 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Noale (come richiamato nella memoria difensiva della Provincia di Venezia).
Tale disposizione regolamentare, intitolata alla “Tutela dei corsi d’acqua” consente bensì “Per gli edifici esistenti ricadenti in tutto o in parte nelle fasce di rispetto… la manutenzione ordinaria, straordinaria, il restauro, la ristrutturazione nonché l’ampliamento purché non comporti avanzamento dell’edificio esistente sul fronte fluviale”; sennonché essa può assumere valore di deroga, come già evidenziato, soltanto al vincolo di cui all’art. 96 lettera f) del r.d. n. 523/1904, e non anche al vincolo di cui all’art. 133 lettera a) del r.d. n. 368/1904.
In tal senso, d’altro canto, non può tralasciarsi di considerare che l’art. 34 delle stesse N.T.A., relativo alle “Fasce di rispetto”, per le “Zone umide” richiama espressamente i limiti di distanza del r.d. n. 368/1904 (“Si richiama l'osservanza del T.U. 25/07/'04 n. 523 e del Regolamento 08/05/04 n. 368 circa le distanze dagli argini e dai pubblici collettori. Si richiama inoltre l'osservanza dell’art. 35 delle presenti norme”).
E il richiamato art. 35, a sua volta, non prevede alcun intervento edilizio, mentre il successivo art. 37, relativo ai “Corsi d’acqua di preminente interesse naturalistico”, nei quali pure non si fa cenno ad interventi edilizi, ricomprende espressamente il corso del fiume Marzenego tra quelli “…avventi peculiari caratteristiche ambientali meritevoli di interventi di tutela”.
2.) Alla stregua delle osservazioni che precedono risultano dunque fondati il primo e il secondo motivo d’appello, imperniati sull’illegittimità del decreto assessorile in quanto emanato e motivato sull’erronea presupposizione che, in presenza di vincolo d’inedificabilità non derogabile dalle “discipline locali”, la concessione edilizia fosse inficiata soltanto da vizio formale, da ritenere sanabile ex art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (come introdotto dall’art. 14 comma 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15), e che non sussistesse un interesse pubblico prevalente in ordine all’annullamento del titolo edilizio.
Sotto un primo profilo, è infatti evidente che il limite minimo di distanza di metri quattro non era derogabile nemmeno dal Consorzio di bonifica, onde nessun “parere”, “nullaosta” o similare atto di assenso poteva ricondurre a legittimità l’invalida concessione edilizia.
Sotto l’altro aspetto, è insostenibile l’insussistenza dell’interesse pubblico all’annullamento di un titolo edilizio rilasciato in contrasto con un vincolo di inedificabilità entro la fascia di quattro metri dall’argine, e tale da frustrare l’interesse pubblico alla cura e manutenzione del corso d’acqua, certamente prevalente sull’interesse del privato proprietario e costruttore.
3.) In conclusione, in accoglimento dell’appello, e in riforma della sentenza gravata, deve annullarsi il decreto assessorile, salvi i provvedimenti ulteriori dell’amministrazione provinciale in sede di riedizione del potere alla luce del contenuto conformativo della presente sentenza.
4.) Il regolamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo e poste a carico dell’appellata Provincia di Venezia, segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello di cui al ricorso n. 3652 del 2009, e per l’effetto:
1) in riforma della sentenza del T.A.R. per il Veneto Sez. II n. 3879 del 17 dicembre 2008, resa tra le parti, annulla il decreto dell’Assessore all’urbanistica, pianificazione territoriale, sistema informativo geografico della Provincia di Venezia n. 28296 dell’11 giugno 2006, salvi i provvedimenti ulteriori dell’amministrazione provinciale, nei sensi di cui in motivazione;
2) condanna la Provincia di Venezia, in persona del Presidente pro-tempore, alla rifusione, in favore del Consorzio appellante, e per esso del sottentrato Consorzio di bonifica Acque Risorgive, in persona del Presidente pro-tempore, delle spese e onorari del doppio grado di giudizio, liquidati in complessivi € 3.000,00, oltre I.V.A. e C.A.P. nella misura dovuta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/02/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)