Cass. Sez. III n. 14977 del 19 aprile 2022 (CC 25 feb 2022)
Pres. Petruzzellis Est. Noviello Ric. Tilenni
Urbanistica.Permesso di costruire illegittimo e poteri del giudice penale
Nell'ipotesi in cui si edifichi con permesso di costruire illegittimo, non rileva la disapplicazione di un atto amministrativo, in quanto la questione riguarda, piuttosto, il potere di accertamento del giudice penale dinanzi ad un provvedimento che costituisce presupposto o elemento costitutivo di un reato. In questi casi, non si tratta né di applicabilità, né di inapplicabilità dell'atto amministrativo, ma semplicemente di verifica dei requisiti che il provvedimento deve presentare ai fini dell'integrazione del fatto penalmente rilevante. Consegue che in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori "sine titulo" sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione, laddove invece la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire, mentre non costituisce una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, può solo rappresentare un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4 novembre 2021 il tribunale di Catania, adito ex art. 322 cod. proc, pen nell’interesse di Tilenni Scaglione Melissa, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del medesimo tribunale in ordine ad un chiosco, con riguardo al reato ex art. 44 DPR 380/01, confermava il decreto.
2. Avverso la predetta ordinanza Tilenni Scaglione Melissa, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi di impugnazione.
3. Deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 125 comma 3 cod. proc. pen. e il vizio di carenza di motivazione, in relazione al cd. “periculum in mora”. In proposito, si sostiene che i giudici avrebbero fatto ricorso a clausole di stile, osservandosi come il pericolo di condotte analoghe rinvenuto dal tribunale sia meramente ipotetico, anche a fronte di opere tutte inizialmente autorizzate, e come il pericolo di aggravare lo stato dei luoghi sia avulso da ogni rilievo sotto i profilo del riferimento al carico urbanistico, e si aggiunge che con l’affermazione del pericolo di proseguire l’attività non si stabilisce in che misura la disponibilità attuale della cosa possa ledere il bene giuridico sotto il profilo dell’illecito edilizio.
4. Con il secondo motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 44 DPR 380/01 e 3, 25, 27 Cost. e 7 della Cedu, avendo i giudici considerato l’intervenuto annullamento della autorizzazione, ma omettendo di tenere conto del fatto che i lavori asseritamente abusivi erano stati eseguiti prima della adozione di tale provvedimento. In assenza quindi di titolo illecito o macroscopicamente illegittimo. Si osserva come sia intervenuto annullamento in autotutela di una concessione di suolo pubblico del 28 luglio 2015 e degli atti successivi, per l’installazione di un impianto mobile, e che di seguito a ciò è intervenuto il contestato sequestro. Tuttavia, l’indagata aveva sempre operato in conformità di plurimi atti amministrativi. indicati in ricorso. E si aggiunge che le concessioni rilasciate alla ricorrente erano conformi al Piano Commerciale e al Regolamento comunale per le attività commerciali. Per cui l’ordinanza impugnata andrebbe annullata, atteso che l’illegittimità degli atti non risulta in modo eclatante, con assenza anche dell’elemento soggettivo del reato. Vi sarebbe un vietato automatismo, nella ordinanza, tra illegittimità amministrativa e illecito penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per ragioni logico giuridiche deve essere preliminarmente esaminato il secondo motivo. Che risulta inammissibile. I giudici della cautela hanno evidenziato come emerga un abuso edilizio per difformità dell’opera sequestrata rispetto alla originaria concessione, del 2015, autorizzante una struttura amovibile, in luogo di quella, stabile, invece realizzata. Sottolineando a tale riguardo il contrasto esistente tra le concessioni rilasciate alla ricorrente rispetto al Regolamento Comunale e ad un bando di gara per assegnazione di aree pubbliche, con particolare riferimento alle dimensioni della struttura e ai rinvenuti profili di inamovibilità. Con conseguenti violazioni degli strumenti urbanistici mediante non solo il rilascio della autorizzazione iniziale, ma anche attraverso ulteriori provvedimenti adottati ed inerenti variazioni dell’opera, tali da escludere qualsivoglia buona fede.
Si tratta di una motivazione innanzitutto giuridicamente corretta.
Va premesso, in proposito, che nell'ipotesi in cui si edifichi con permesso di costruire illegittimo, non rileva la disapplicazione di un atto amministrativo, in quanto la questione riguarda, piuttosto, il potere di accertamento del giudice penale dinanzi ad un provvedimento che costituisce presupposto o elemento costitutivo di un reato. In questi casi, non si tratta né di applicabilità, né di inapplicabilità dell'atto amministrativo, ma semplicemente di verifica dei requisiti che il provvedimento deve presentare ai fini dell'integrazione del fatto penalmente rilevante. Consegue che in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori "sine titulo" sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione, laddove invece la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire, mentre non costituisce una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, può solo rappresentare un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito (Sez. 3 - n. 56678 del 21/09/2018 Rv. 275565 - 01).
I giudici hanno elaborato una motivazione in linea con tali principi, rilevando i contrasti con la disciplina urbanistica, senza che ai fini del reato ipotizzato sia necessario rilevare macroscopiche illegittimità, e nel contempo escludendo l’assenza dell’elemento soggettivo, a fronte di plurime variazioni e interventi sull’opera, non conformi alle norme edilizie di riferimento.
Rispetto a tale ricostruzione ogni contestazione sulla interpretazione degli atti amministrativi rilevanti, da una parte, si muove su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, dall’altra, propone un’analisi non effettuabile da parte di questa corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiché essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'art. 325, comma primo, cod. proc. pen. nella valutazione del fatto (Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 – 01).
2. Il secondo motivo è infondato. I giudici non si sono imitati ad utilizzare clausole di stile, pur avendo fatto ricorso ad una motivazione sintetica, che tuttavia si avvale, secondo una necessaria valutazione complessiva della decisione (in tal senso v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487), anche della precedente illustrazione dell’intervento come chiosco inamovibile, connotato da agganci stabili alla rete idrica, elettrica e alle fognature. Cosicchè l’affermazione per cui la libera disponibilità delle cose consentirebbe di proseguire l’attività, all’evidenza di tipo commerciale, trattandosi di un chiosco – bar, hanno inteso evidenziare come tale attività non potrebbe che aggravare, l’ “alterazione dello stato dei luoghi già realizzata”. Espressione quest’ultima che non può che far riferimento all’aggravio dei profili urbanistici, e quindi del carico urbanistico di riferimento, già interessati dalla costruzione dell’’opera.
3. Consegue il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/02/2022