Consiglio di Stato Sez. VI n. 7291 del 19 agosto 2022
Urbanistica.Limiti della sanatoria ex art. 36 TU edilizia
Sul piano letterale, l’art. 36 DPR n. 380/01 richiede chiaramente la conformità dell’intervento edilizio abusivo “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, con la conseguenza che l’unico illecito sanabile è quello formale, dato dalla realizzazione di opere originariamente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile, abusive soltanto per la loro mancata sottoposizione al previo controllo amministrativo, da svolgere in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (eventualmente anche in variante di un titolo precedentemente rilasciato). Opere, invece, difformi ab origine dal quadro regolatorio di riferimento non potrebbero essere ammesse a sanatoria, dando luogo ad un abuso sostanziale, da sanzionare attraverso l’ordine di demolizione e di riduzione in pristino ex artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, DPR n. 380/01, richiamati dallo stesso art. 36 DPR n. 380/01. Sul piano teleologico, si osserva che, come precisato dalla Corte Costituzionale, il requisito della doppia conformità riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia, imponendo che “La conformità alla disciplina edilizia e urbanistica deve essere salvaguardata "durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità).
Pubblicato il 19/08/2022
N. 07291/2022REG.PROV.COLL.
N. 07512/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7512 del 2021, proposto da
Nino Martelli, Anna Maria Polisini e Baskerville Worldwide Ventures Ltd, rappresentati e difesi dall'avvocato Eugenio Galassi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Montorio al Vomano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Franco Patella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 00285/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Montorio al Vomano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Francesco De Luca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società Baskerville Worldwide Ventures LTD, nonché i Sig.ri Martelli e Polsini appellano la sentenza n. 285 del 2021, con cui il Tar per l’Abruzzo ha rigettato il ricorso di primo grado (proposto dagli odierni appellanti) diretto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Montorio al Vomano, n. 57 del 18/4/2019, recante l’ordine di demolizione di una serie di opere abusive (alcune realizzate in difformità essenziale rispetto ad una precedente concessione edilizia assentita, altre eseguite in assenza di titolo abilitativo) in frazione Villa Cassetti di Montorio al Vomano.
In particolare, secondo quanto dedotto in appello:
- i ricorrenti, rispettivamente società proprietaria, locatario degli immobili siti in Montorio al Vomano e Presidente del Circolo privato l’Oasi ivi allocato, hanno ricevuto in data 24.4.2019 la notificazione dell’ordinanza n. 57/19 - di demolizione di opere abusive - motivata sulla base di una presunta illegittima realizzazione di manufatti edilizi di proprietà della società odierna appellante;
- ricorrendo dinnanzi al Tar Abruzzo, L’Aquila, le parti private hanno dedotto l’illegittimità dell’operato amministrativo, rilevando, da un lato, la necessità di applicare l’istituto della sanatoria giurisprudenziale, stante la conformità urbanistica ed edilizia delle opere rispetto alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda, dall’altro, la violazione dell’art. 70 L.R. n. 18/1983, per l’essere le opere in contestazione conformi, altresì, alla disciplina urbanistica vigente al momento della loro realizzazione;
- il Tar ha rigettato il ricorso, ritenendo necessario il requisito della doppia conformità ai fini della sanatoria di opere abusive ex art. 36 DPR n. 380/01, nonché escludendo l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 70 L.R. n. 18/1983 e, comunque, escludendo la presenza di fondi contigui valorizzabili unitariamente ai fini del calcolo del requisito dimensionale ai fini edificatori.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza gravata, il Tar ha rilevato che:
- la tesi attorea, incentrata sulla sufficienza, ai fini della sanatoria, della conformità edilizia e urbanistica delle opere alla sola normativa esistente al momento della presentazione dell’istanza, appariva destituita di fondamento, considerato che la disciplina giuridica non prevedeva l’istituto della sanatoria giurisprudenziale;
- dalla documentazione prodotta in giudizio, si evinceva che il provvedimento impugnato presentava un contenuto chiaro ed esaustivo, non delineandosi profili di illogicità e avendo l’amministrazione comunale indicato compiutamente le opere oggetto di demolizione;
- per poter ricorrere all’istituto dell’art. 70 L.R. 18/1983, era necessario la compresenza di due requisiti: il primo, oggettivo, rappresentato dalla realizzazione di un’opera residenziale; il secondo, soggettivo, dato dal possesso, in capo al richiedente, dei requisiti di coltivatore diretto, affittuario, mezzadro, colono in forma singola o associata;
- in assenza di entrambi i requisiti, residuava il solo art. 72, lett. f, L.R 18/1983, secondo cui la costruzione di manufatti e impianti risultava consentita ai soli soggetti che disponessero di un’unità minima aziendale di mq. 10.000 in un unico appezzamento;
- presi singolarmente i fondi delineati dalla ricorrente, non risultava raggiungo il requisito dimensionale; inoltre, la presenza di una strada a comunale nel mezzo escludeva a priori il requisito della contiguità, evidenziando al contrario l’indipendenza dei fondi che sulla stessa insistevano.
3. I ricorrenti hanno appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità per avere negato l’applicabilità della sanatoria giurisprudenziale, nonché hanno proposto una domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della pronuncia gravata.
4. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo all’appello, di cui ha pure eccepito l’inammissibilità per mancata impugnazione del capo decisorio con cui il Tar aveva escluso la violazione dell’art. 70 L.R. n. 18/1983, con conseguente incontrovertibilità dell’assenza dei requisiti, in ogni caso, per fare luogo alla sanatoria giurisprudenziale, stante la difformità delle opere in contestazione anche rispetto alla normativa esistente al momento della loro realizzazione.
5. Con istanza del 21 settembre 2021 la parte appellante ha chiesto un rinvio per la discussione dell’istanza di sospensiva stante la pendenza, tra le parti, di trattative di bonario componimento; l’Amministrazione comunale, insistendo nelle proprie conclusioni, non si è opposta ad un rinvio contenuto nei limiti temporali idonei alla giusta tutela dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento impugnato (memoria del 22 settembre 2021).
6. La Sezione, con ordinanza n. 5216 del 24 settembre 2021, ha ritenuto che, pur non potendosi concedere il rinvio, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi in contesa, si imponesse l’accoglimento della domanda cautelare al fine di mantenere la situazione adhuc integra, così da poter assecondare anche l’eventuale componimento bonario della lite.
7. In vista dell’udienza pubblica di discussione le parti, con istanza del 10 maggio 2022, “attese le pendenti trattative di bonario componimento”, hanno congiuntamente chiesto il rinvio della controversia “ad un tempo sufficiente perché il Comune di Montorio al Vomano possa dotarsi del nuovo P.R.G., in corso di redazione a cura dell’Ufficio Urbanistico dell’Ente, che potrebbe rendere eventualmente compatibile l’operato del ricorrente”.
8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 19 maggio 2022.
9. Pregiudizialmente, deve essere disattesa l’istanza di rinvio presentata dalle parti.
Ai sensi dell'art. 73, comma 1 bis, c.p.a. (ratione temporis applicabile alla specie, in quanto vigente alla data di celebrazione dell'udienza di discussione), "il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio".
Come precisato da questo Consiglio, "la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l'effettiva opportunità di rinviare l'udienza, giacché solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell'udienza è per lui doveroso, e in tale ambito si collocano, fra l'altro, i casi di impedimenti personali del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall'Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti (Consiglio di Stato sez. V, 22/02/2010, n.1032; Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823; Consiglio di Stato sez. II, 27/11/2019, n.8100)" (Consiglio di Stato, sez. III, 3 marzo 2021, n. 1802).
Similmente a quanto già rilevato in sede cautelare (con l’ordinanza n. 5216 del 2021), avuto riguardo al caso di specie, non ricorrono quei casi eccezionali o quelle particolarissime giustificazioni che, in deroga al principio di ragionevole durata del giudizio, giustificano il rinvio della causa.
Difatti, l’odierno giudizio verte sulla applicabilità della c.d. sanatoria giurisprudenziale, in relazione ad opere (in ipotesi) conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (ovvero all’adozione del provvedimento definitivo del relativo procedimento), ma difformi rispetto a quella in vigore al momento della commissione dell’abuso.
Ne deriva che i momenti temporali rilevanti ai fini della soluzione dell’odierna controversia sono quelli della realizzazione delle opere e della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01 (o, al più, dell’adozione del provvedimento conclusivo), non rilevando eventuali mutamenti sopravvenuti del quadro regolatorio di riferimento.
L’istanza di rinvio presentata dalle parti processuali, invece, riguarda “pendenti trattative di bonario componimento” e la futura redazione di un “nuovo P.R.G.” volto a conformare l’assetto del territorio comunale.
La prima circostanza, riferita alla pendenza di trattative, risulta genericamente dedotta, non risultando neppure precisato il tempo necessario per la conclusione di tali trattative e come le stesse possano influire sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, attesa anche l’indisponibilità dell’interesse pubblico alla base della sua adozione.
La seconda circostanza, riferita alla redazione del nuovo P.R.G. e alla possibilità che la sopravvenuta disciplina pianificatoria renda compatibile l’operato del ricorrente, da un lato, assume natura ipotetica (quanto meno) nel quando, non essendo chiarito il dies ad quem del procedimento di formazione del piano urbanistico, elemento già di per sé sufficiente per disattendere l’istanza di rinvio, non potendo protrarsi sine die la pendenza di un giudizio di pronta definizione; dall’altro, è inidonea ad influire sulla legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, non soltanto perché, in applicazione del principio generale del tempus regit actum, la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, con conseguente irrilevanza delle circostanze successive (nella specie, l’adozione e l’approvazione di un nuovo piano regolatore generale), insuscettibili ad incidere ex post su precedenti atti amministrativi (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 21 giugno 2021, n. 4756); ma anche in quanto, in ragione dell’oggetto dell’odierno giudizio, come osservato, non potrebbe rilevare la futura disciplina pianificatoria di cui potrà dotarsi l’Amministrazione comunale, ma soltanto quella vigente al momento della realizzazione delle opere abusive e della presentazione della domanda di sanatoria (o dell’adozione del provvedimento impugnato in prime cure).
Ne deriva che gli effetti dipendenti dall’introduzione di una nuova disciplina urbanistica comunale, pure potendo in ipotesi essere apprezzati dall’Amministrazione nell’attuazione dell’assetto di interessi sostanziale con l’odierna ricorrente - rientrando nella competenza e nella responsabilità dell’Amministrazione, alla luce del principio di inesauribilità del pubblico potere, anche il riesame di proprie determinazioni alla luce di sopravvenienze giuridiche o fattuali, al ricorrere dei presupposti dell’autotutela decisoria – non potrebbero influire sulla legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, costituente l’unico profilo suscettibile di essere esaminato nell’ambito dell’odierno giudizio.
Di conseguenza, allegando le parti a fondamento dell’istanza di rinvio circostanze inidonee ad influire sulla soluzione della presente controversia, non potrebbero ravvisarsi quelle situazioni eccezionali in presenza delle quali soltanto è ammesso un rinvio dell’udienza.
10. Ciò rilevato, è necessario provvedere alla decisione del ricorso in appello.
11. Con un unico articolato motivo di impugnazione, i sig.ri Nino Martelli e Anna Maria Polisini e la società Baskerville Worldwide Ventures Ltd hanno dedotto l’erroneità della sentenza gravata per “carenza di motivazione della sentenza in relazione al motivo 1) con cui è stato dedotto: eccesso di potere, irragionevolezza, illogicita’ sostanziale del provvedimento, ingiustizia manifesta”.
Il paragrafo (II), pure compreso nel ricorso in appello, riguarda, invece, l’istanza di sospensione cautelare della sentenza gravata, giustificata, in punto di fumus boni iuris, “per tutte le ampie ragioni appena esplicitate” (pag. 11 ricorso in appello) e, dunque, per “le lamentate violazioni di legge e l’eccesso di potere presupposto ad una simile determinazione” (pag. 12 ricorso in appello): di conseguenza, in parte qua, gli appellanti si sono limitati a rinviare alle censure svolte nell’ambito del primo paragrafo - effettivamente recante la specifica critica al capo decisorio con cui il Tar ha negato l’applicabilità della sanatoria giurisprudenziale - senza introdurre ulteriori motivi di appello suscettibili di essere esaminati nella presente sede processuale.
Avuto riguardo, dunque, alle censure svolte contro la sentenza gravata, emerge che, secondo la prospettazione attorea:
- il primo giudice avrebbe rigettato il primo motivo di ricorso limitandosi ad affermare che la disciplina giuridica non prevede l’istituto della sanatoria giurisprudenziale, senza, tuttavia, considerare l’esistenza di una cospicua giurisprudenza amministrativa che, al contrario, riconoscerebbe tale istituto e legittimerebbe la conservazione di situazioni edificatorie attualmente conformi alla disciplina urbanistica vigente;
- difatti, alla luce dei richiami giurisprudenziali riportati in appello, le disposizioni richiedenti il requisito della doppia conformità (alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente tanto al momento della realizzazione delle opere abusive, quanto a quello della presentazione dell’istanza di sanatoria) configurerebbero disposizioni contro l’inerzia amministrativa, impedendo di opporre all’istante una modifica della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda, ma non potendo disciplinare l’ipotesi inversa dello ius superveniens edilizio favorevole rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza;
- difatti, l’imposizione per un unico intervento costruttivo, attualmente conforme, di una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, andrebbe a ledere parte dello stesso interesse pubblico tutelato, in quanto per un intervento, comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con conseguente emersione di un significativo aumento dell’impatto territoriale e ambientale, in violazione del principio di proporzionalità, di ragionevolezza, di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, di conservazione dei valori giuridici ed economico-sociali;
-la negazione della sanatoria giurisprudenziale condurrebbe, inoltre, ad esiti discriminatori, permettendo all’Amministrazione, da un lato, di disporre la demolizione per contrarietà alle prescrizioni edilizie vigenti al momento dell’edificazione, dall’altro, di rilasciare il permesso di costruire; ciò in relazione ad opere identiche nella tipologia, nella struttura e nell’ubicazione;
- la necessità di accogliere l’istituto della sanatoria giurisprudenziale discenderebbe anche dall’esigenza di salvaguardare il diritto di proprietà in situazioni in cui non sussisterebbe un interesse pubblico tale da consentire la sua privazione (difettando un danno concreto e attuale ai valori del governo del territorio);
- peraltro, l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 7 L. n. 1150/1942, dovrebbe pure effettuare una ricognizione della situazione di fatto nella formazione del piano regolatore comunale, occorrendo valutare le edificazioni esistenti e la loro coerenza con le scelte di programmazione e pianificazione urbanistica alla base dell’adozione e dell’approvazione di un nuovo strumento urbanistico o di una sua variante, in tale modo potendosi pure regolarizzare manufatti in precedenza illegittimi (senza compromissione del principio di legalità, stante la riconducibilità di un tale effetto al potere di pianificazione); ciò pure alla stregua dei principi in materia di autotutela e del principio di conservazione degli atti giuridici, oltre che del raggiungimento dello scopo, dell’effetto utile e di economicità dell’azione amministrativa.
12. L’appello è infondato, il che esime il Collegio dallo statuire sull’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione opposta dall’Amministrazione comunale, non potendo la parte pubblica ricavare da una statuizione di rito (resa in accoglimento della relativa eccezione di inammissibilità) un’utilità maggiore rispetto a quella conseguibile dal rigetto, nel merito, dell’odierno appello.
13. Come precisato da questo Consiglio, "l'articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare l'accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi affatto accogliere l'istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza medesima. Tale approdo, che richiede la verifica della 'doppia conformità', deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità" (tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5948).
13.1 L'esigenza di tutela sottesa all'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, in particolare, è quella di evitare interventi repressivi, qualora l'illecito in concreto commesso sia lesivo del solo interesse pubblico (strumentale) della sottoposizione al previo controllo amministrativo dell'attività edilizia, senza alcuna violazione della disciplina sostanziale regolante l’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio.
In tali ipotesi, è ammessa la permanenza delle opere abusive, mediante la formazione postuma del titolo edilizio idoneo a sanare l’abuso (formale) precedentemente commesso.
Attraverso la sanatoria, dunque, si ripristina la legalità formale violata, rilasciando all’istante il medesimo titolo edilizio (l’art. 36 DPR n. 280 del 2001 discorre, infatti, di “permesso in sanatoria”) che lo stesso avrebbe ben potuto ab origine acquisire, alla luce della disciplina vigente al momento non solo della presentazione della domanda di sanatoria, ma anche della realizzazione delle opere.
13.2 Il Collegio ritiene, dunque, di dare seguito “all’ormai costante orientamento di questo Consiglio (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 2018, n. 1087, sez. VI 21 giugno 2017, n. 3018, sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194), per cui l’istituto della c.d. “sanatoria giurisprudenziale” deve considerarsi normativamente superato nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente ed ai principi connessi al perseguimento dell’abusiva trasformazione del territorio; il permesso in sanatoria è quindi ottenibile soltanto ex art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda; viceversa, con la invocata “sanatoria giurisprudenziale” viene in rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem che si colloca fuori d’ogni previsione normativa e, pertanto, la stessa non è ammessa nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A., alla stregua del principio di nominatività, poteri, tutti questi, che non sono surrogabili da questo giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla P.A. stessa. A questo riguardo pare poi il caso di rammentare che a favore della incompatibilità della c.d. “sanatoria giurisprudenziale” con il dettato normativo di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 militano anche argomenti interpretativi letterali e logico–sistematici, oltre che attinenti ai lavori preparatori” (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2496).
13.3 L’incompatibilità della c.d. “sanatoria giurisprudenziale” con il dettato normativo di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 discende da argomenti interpretativi letterali e logico–sistematici.
13.4 Sul piano letterale, l’art. 36 DPR n. 380/01 richiede chiaramente la conformità dell’intervento edilizio abusivo “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, con la conseguenza che l’unico illecito sanabile, come sopra osservato, è quello formale, dato dalla realizzazione di opere originariamente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile, abusive soltanto per la loro mancata sottoposizione al previo controllo amministrativo, da svolgere in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (eventualmente anche in variante di un titolo precedentemente rilasciato).
Opere, invece, difformi ab origine dal quadro regolatorio di riferimento non potrebbero essere ammesse a sanatoria, dando luogo ad un abuso sostanziale, da sanzionare attraverso l’ordine di demolizione e di riduzione in pristino ex artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, DPR n. 380/01, richiamati dallo stesso art. 36 DPR n. 380/01.
13.4 Sul piano teleologico, si osserva che, come precisato dalla Corte Costituzionale, il requisito della doppia conformità riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia, imponendo che “La conformità alla disciplina edilizia e urbanistica deve essere salvaguardata "durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità"(fra le molte, sentenza n. 68 del 2018, punto 14.2. del Considerato in diritto)” (Corte costituzionale, 28 gennaio 2022, n. 24).
Difatti, “costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica della cosiddetta "doppia conformità" di cui al menzionato art. 36 t.u. edilizia” (Corte costituzionale, 21 aprile 2021, n. 77), con la conseguenza che il requisito della doppia conformità non potrebbe essere derogato neppure dalla legislazione regionale.
Il giudice costituzionale, nel richiamare la giurisprudenza amministrativa, ha pure valorizzato “la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in modo da escludere letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell' istanza per l'accertamento di conformità (citata pronuncia del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657)” (Corte 29 maggio 2013, n. 101).
Si conferma, dunque, che il requisito della doppia conformità risulta strettamente correlato alla natura della violazione edilizia sottostante, potendo riferirsi agli abusi meramente formali, come tali afferenti ad opere sin dall’origine conformi alla disciplina edilizia e urbanistica di riferimento.
14. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello non può trovare accoglimento.
14.1 In primo luogo, devono essere disattese le censure incentrate sulla mancata disamina di indirizzi giurisprudenziali favorevoli alla sanatoria di opere conformi soltanto alla disciplina vigente al momento della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità o al momento di adozione del provvedimento definitivo del procedimento di sanatoria.
Premesso che il mancato accoglimento di un indirizzo giurisprudenziale, in ragione dell’adesione (da parte del primo giudice) ad una diversa tesi interpretativa, non costituisce, di per sé, un errore di giudizio censurabile in appello, si osserva che l’attuale giurisprudenza di questo Consiglio, pure valorizzata dalla Corte costituzionale, è ferma nel ritenere necessario, ai fini della sanatoria, il requisito della doppia conformità, non potendo sanarsi abusi sostanziali, riguardanti opere difformi dalla disciplina urbanistica ed edilizia vigenti al tempo della loro realizzazione, tali, dunque, da non potere essere originariamente assentite attraverso il rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo.
14.2 Parimenti, non risultano fondate neppure le doglianze che intendono il requisito della doppia conformità come mero rimedio all’inerzia amministrativa, al fine di impedire all’Amministrazione di opporre all’istante modifiche, ostative alla sanatoria, sopravvenute rispetto alla presentazione della domanda di accertamento di conformità, senza influire sulla possibilità di sanatoria di opere comunque conformi al momento dell’adozione del provvedimento definitivo.
Come osservato, il requisito della doppia conformità è un principio fondamentale della materia del governo del territorio, essendo la sanatoria subordinata alla sussistenza di mere violazioni formali, date dal previo mancato rilascio del titolo edilizio abilitativo.
Pertanto, stante la necessità che la conformità alla disciplina edilizia e urbanistica sia salvaguardata durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità, opere originariamente difformi dal quadro regolatorio di riferimento non potrebbero essere ammesse a sanatoria.
14.3 Non potrebbe argomentarsi diversamente sulla base dei principi di proporzionalità, di ragionevolezza, di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa.
Difatti, la sanzione demolitoria è giustificata dalla commissione di un illecito edilizio sostanziale, per la realizzazione di opere che la parte non avrebbe potuto comunque eseguire, stante l’incompatibilità con la disciplina edilizia e urbanistica esistente al momento della loro realizzazione: la demolizione non configura, dunque, una sanzione sproporzionata, essendo volta a ripristinare l’ordine giuridico sostanziale violato dall’illecito edilizio in concreto commesso, non eliso da eventuali sopravvenienze in ipotesi idonee ad autorizzare opere analoghe a quelle realizzate.
Tali modifiche, infatti, da un lato, operano soltanto per il rilascio dei futuri titoli edilizi, non producendo effetti sananti degli illeciti già commessi; dall’altro e per l’effetto, non rimuovono l’obbligo di eseguire nuovi interventi edilizi sulla base del previo rilascio di un titolo edilizio (eventualmente occorrente) conforme al quadro regolatorio vigente al momento della sua adozione; il che conferma la perdurante illiceità dell’abuso edilizio precedentemente commesso.
Il divieto di sanatoria di opere ab origine abusive risulta, inoltre, funzionale alla tutela dell’interesse pubblico a frenare l'abusivismo edilizio, evitando che taluno possa essere indotto alla commissione di un abuso sostanziale, confidando nella sua sanatoria in caso di sopravvenienze regolatorie legittimanti la realizzazione di opere analoghe a quelle illecitamente eseguite.
La repressione dell’abuso sostanziale, dunque, pure a fronte di una modifica della disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento, favorevole alla parte proprietaria o responsabile, anziché violare, attua i principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo (e dei relativi corollari), assicurando l’ordinato svolgimento dell’attività edilizia, nel rispetto della disciplina vigente (anche) al momento della sua esecuzione.
14.4 Non potrebbe neppure prospettarsi una discriminazione tra situazioni analoghe, non potendo assimilarsi la posizione di chi abbia commesso un abuso edilizio - realizzando opere che, soltanto per effetto di una disciplina sopravvenuta, siano (ex post) risultati conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento (circostanza, come osservato, inidonea ad elidere il disvalore giuridico espresso dall’abuso commesso) - e di chi abbia legittimamente avanzato un’istanza autorizzatoria, chiedendo il previo rilascio del titolo edilizio abilitante a realizzare un manufatto ab origine compatibile con le previsioni regolatorie di riferimento.
Nel primo caso, emerge un illecito sostanziale, nel secondo, il legittimo esercizio dello ius aedificandi.
A fronte di fattispecie differenziate, è certamente legittimo un diverso trattamento giuridico operato dall’Amministrazione, attraverso, da un lato, l’irrogazione della sanzione demolitoria delle opere abusive (pure ove divenute, per effetto dello ius superveniens, conformi alla disciplina urbanistica ed edilizio applicabile in materia), dall’altro, il rilascio del titolo edilizio in relazione alle opere ancora da edificare, nel rispetto della disciplina attualmente vigente.
14.5 Non potrebbe neppure profilarsi una violazione del diritto di proprietà, facendosi questione di beni illeciti, come tali immeritevoli di tutela da parte dell’ordinamento; né potrebbero valorizzarsi i poteri di autotutela amministrativa o di pianificazione territoriale, non facendosi questione di poteri suscettibili di sanare abusi sostanziali.
Come osservato, in materia di sanatoria di opere edilizie ritenute abusive devono trovare applicazione i principi di legalità dell'azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati, neppure in via giurisprudenziale, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 gennaio 2022 n. 207).
Dal principio di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione deriva la conseguenza che l’ente locale, titolare del potere di vigilanza sul corretto assetto del territorio, per effetto dell’art. 27 d.P.R. 8 giugno 2021, n. 380, può esercitarlo esclusivamente attraverso gli atti previsti e tipizzati dal legislatore.
Sicché una volta contestata la realizzazione di opere abusive, la sanatoria delle stesse può avvenire solo all’esito dei procedimenti avviati per effetto di istanze presentate ai sensi di specifiche leggi “di condono” ovvero attraverso l’istituto dell’accertamento di conformità, di cui all’art. 36 d.P.R. 380/2001 nel rispetto del requisito della doppia conformità.
14.6 Infine, non risulta pertinente il richiamo agli ulteriori principi di diritto valorizzati nel ricorso in appello, incompatibili con la ricostruzione normativa e giurisprudenziale sopra operata.
Giova, sul punto, soltanto precisare l’inconferenza dei principi dell’effetto utile, del raggiungimento dello scopo o di conservazione dei valori giuridici ed economico-sociali, inidonei a permettere la conservazione di opere illecite, che la parte, proprio in ragione dell’originaria difformità, non avrebbe potuto eseguire legittimamente ottenendo il prescritto titolo edilizio abilitativo.
I principi invocati in appello non potrebbero, in particolare, consentire all’autore dell’illecito o, comunque, a colui che disponga di beni abusivi di trarre vantaggio dalla pregressa attività illecita, conservando opere originariamente difformi rispetto al quadro disciplinatorio di riferimento.
15. La presenza di plurime pronunce della Corte costituzionale, con cui è stata riconosciuta la valenza di principio fondamentale della materia urbanistica ed edilizia del requisito della doppia conformità, esclude, inoltre, qualsivoglia dubbio sulla legittimità costituzionale della disciplina dettata dall’art. 36 DPR n. 380/01, nella parte in cui subordina la sanatoria (anche) alla conformità delle opere alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione.
Eventuali questioni di legittimità costituzionale sul punto devono, dunque, ritenersi manifestamente infondate alla luce delle precisazioni fornite dal giudice costituzionale, sopra richiamate.
16. In definitiva, l’appello deve essere rigettato, tenuto conto che, alla stregua di quanto correttamente statuito dal primo giudice, i ricorrenti non possono, ai sensi di quanto previsto dall’art. 36, D.P.R. n. 380/2001, per ormai costante orientamento giurisprudenziale, invocare in proprio favore l’istituto della cd. “sanatoria giurisprudenziale”.
La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio del grado di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese di giudizio del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere, Estensore
Marco Poppi, Consigliere