Cons. Stato Sez.IV n.2170 del 16 aprile 2012
Urbanistica. Ampliamento, ristrutturazione o riconversione di un impianto industriale
Il d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 esprime un favor verso la realizzazione, la ristrutturazione ovvero l'ampliamento degli impianti industriali ed a tale scopo delinea un procedimento semplificato - che si risolve in un procedimento che, attraverso la conferenza di servizi indetta dal responsabile del procedimento, porta alla formazione di una proposta di variante sulla quale il Consiglio comunale si pronuncia "definitivamente" - per giungere, con una variante urbanistica adottata nell'ambito della conferenza di servizi, alla rapida realizzazione di tali iniziative, anche quando esse siano in contrasto con gli strumenti urbanistici in vigore, purché il relativo progetto sia conforme alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato
N. 02170/2012REG.PROV.COLL.
N. 04801/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4801 del 2011, proposto da:
Provincia di Monza e Brianza, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Manzi, Maria Alessandra Bazzani, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri N. 5;
contro
Comune di Usmate Velate, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Boifava, con domicilio eletto presso Claudio De Portu in Roma, via G. Mercalli N. 13;
nei confronti di
Fintechno Tic Re Srl, in persona del legale rappresentante in caricarappresentato e difeso dall'avv. Guido Alberto Inzaghi, con domicilio eletto presso Guido Alberto Inzaghi in Roma, via dei Due Macelli, 66; Regione Lombardia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della LOMBARDIA – Sede di MILANO- SEZIONE II n. 00600/2011, resa tra le parti, concernente APPROVAZIONE IN VARIANTE A PGT DI PROGETTO DI INTERVENTO PRODUTTIVO.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Usmate Velate e di Fintechno Tic Re Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, Enzo Giacometti in sostituzione di Maurizio Boifava e Fabio Elefante in sostituzione di Guido Alberto Inzaghi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dall’odierna appellante Provincia di Monza-Brianza l’annullamento degli atti di approvazione di un progetto in variante al PGT del Comune di Usmate Velate, presentato dalla società odierna controinteressata ed appellata Fintechno Tic Re Srl ( che aveva seguito la procedura di cui all’art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447) e degli atti consequenziali e connessi, tra i quali del verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi presso il Comune di Usmate Velate il 15 giugno 2010, il provvedimento finale contenente il permesso di costruire, rilasciato in data 11 agosto 2010, la delibera di Consiglio Comunale n. 24 del 25 settembre 2009 (atto di indirizzo relativo al progetto in variante della soc. Fintechno), il provvedimento dell'Autorità competente per la VAS del 18 marzo 2010 prot. 4532.
L’odierna appellante aveva prospettato varie doglianze relative ai vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili sintomatici.
Il primo giudice ha partitamente esaminato le dedotte censure ed ha respinto il ricorso.
In particolare, secondo il Tribunale amministrativo, doveva rimarcarsi in punto di fatto la circostanza che ai lavori della Conferenza di servizi convocata ai sensi del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447, sebbene invitata, la Provincia di Monza Brianza non aveva inviato alcun proprio rappresentante ed il parere contrario da essa adottato in pari data era pervenuto il 15 giugno 2010 alle ore 17.50 (mentre i lavori della Conferenza erano stati dichiarati chiusi alle ore 10.00 dello stesso giorno).
Ciò premesso, non poteva essere accolta la opzione ermeneutica dalla appellante propugnata relativamente al disposto di cui all’art 14 ter della legge 8 agosto 1990 n. 241.
Secondo la tesi della Provincia, infatti, alla data di adozione del provvedimento conclusivo della conferenza di servizi e del provvedimento di approvazione del progetto, essendo vigente il testo originario dell’art 49 comma 2 lett. e) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con la legge 30 luglio 2010 n. 122, con una modificazione che, ad avviso della odierna appellante aveva natura sostanziale e quindi era irretroattiva) il parere paesaggistico-territoriale, al pari della VIA, VAS e AIA, doveva essere acquisito espressamente.
Non poteva quindi essere applicato il sistema del silenzio-assenso in caso di assenza del rappresentante dell’amministrazione competente.
Il primo giudice ha disatteso la detta interpretazione ermeneutica e, stante l’assenza in sede di conferenza di servizi dei rappresentanti dell'Amministrazione Provinciale e la tardività della trasmissione del parere, ha affermato che la Conferenza di Servizi aveva correttamente ritenuto acquisito detto parere mediante il silenzio (così disattendendo le prime due connesse censure del mezzo introduttivo).
Il Tribunale amministrativo ha quindi esaminato il terzo motivo di censura (laddove si lamentava la violazione dell’art 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447, come integrato dall’art 97 comma 3 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 in quanto era stata omessa verifica di compatibilità con le norme prevalenti del PTCP - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - e del PTR - Piano Territoriale Regionale -) e l’ha respinto, sulla base di una circostanza di fatto.
Seppure rispondeva al vero la tesi secondo cui l’area dove avrebbe dovuto insorgere il manufatto ricadeva all’interno della Rete Ecologica Regionale (in particolare in un corridoio ecologico, in cui vi sarebbe stato il divieto di nuove trasformazioni) ed anche a volere ritenere che la Rete Ecologica avesse carattere prevalente ai sensi dell’art 20 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 (e quindi secondo l’odierna appellante non avrebbe potuto farsi luogo a variante mediante il procedimento SUAP - Sportello Unico Attività Produttive -), rilevava in senso contrario la circostanza che l’area individuata dalla Rete Ecologica Regionale era interessata in modo invasivo dalla Pedemontana e l’intervento realizzando interessava in minima parte le aree incluse nella suddetta Rete regionale ed era esterna rispetto a quella indicata dalla Provincia.
Per altro verso, non vi erano norme prevalenti del PTCP e del PTR, che potessero impedire la variante urbanistica: infatti era stata introdotta dal Piano regionale una Rete Ecologica, che non implicava alcuna diretta limitazione di inedificabilità e, contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia, la RER (Rete ecologica regionale) non aveva carattere prevalente sulle norme del PGT, ai sensi del richiamato art. 20 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12.
Quanto alla supposta violazione del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 (motivi 4 e 5 del mezzo di primo grado), il Tribunale ne ha escluso la sussistenza in quanto, per un verso, l’appellata amministrazione comunale aveva documentato l’assenza di aree alternative idonee per l’insediamento industriale in esame e, per altro verso, la scelta di adottare una variante per l’insediamento industriale costituiva apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità.
Quanto infine ai dedotti vizi del procedimento di Vas (sesto e settimo motivo del mezzo di primo grado, laddove si era sostenuto che, in evidente difetto di istruttoria e motivazione, ivi ci si era limitati a confermare decisioni già adottate senza affrontare gli aspetti valutativi richiesti dall’art 4 comma 3 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 e non tenendo conto della circostanza che nel provvedimento di esclusione erano state rilevate alcune condizioni di ammissibilità dell’intervento, che non erano state prese in considerazione in sede di Conferenza di servizi), il primo giudice ne ha escluso la fondatezz, evidenziando che le prescrizioni poste nel provvedimento di esclusione prot. 4531 dell’ 8 marzo 2010 erano prevalentemente rivolte alla società, perché attenevano alla fase di realizzazione e quindi non dovevano essere oggetto di un esame né di un approfondimento da parte della conferenza di servizi.
Per altro verso, si è rimarcato da parte del primo giudice che il provvedimento di esclusione della VAS era l’atto conclusivo di un procedimento tecnico, effettuato da un organo con una specifica competenza in materia ambientale, chiamato a verificare se la variante attinente alla realizzazione del nuovo insediamento dovesse essere sottoposta al procedimento VAS.
L’esame svolto in sede di procedimento VAS si era concretato in una attività, non solo diversa, ma anche indipendente rispetta a quella svolta da parte del Consiglio Comunale, che si era invece limitato ad approvare un atto di indirizzo.
Il ricorso è stato pertanto respinto.
L’amministrazione odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
All’adunanza camerale del 6 dicembre 2012 fissata per la delibazione dell’incidente cautelare proposto dall’appellata società controinteressata (la quale lamentava che la pendenza dell’appello e la conseguente situazione di incertezza sulla praticabilità dell’intervento edilizio che ne discendeva le impediva o comunque limitava l’accesso al credito bancario indispensabile per realizzare il progetto) la controversia è stata rinviata al merito.
Alla pubblica udienza del 20 marzo 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello è parzialmente fondato e va parzialmente accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma dell’impugnata decisione ed accoglimento parziale del ricorso di primo grado.
1.1. Devono essere in via preliminare risolte alcune questioni di natura procedurale (ma anche sostanziale) che assumono un rilievo logicamente pregiudiziale rispetto alla delibazione delle censure di merito.
1.1.1. Rileva in proposito il Collegio che non è fondata la eccezione (che in ordine logico deve essere esaminata per prima) proposta dall’appellata società Fintechno e volta ad ipotizzare la tardività dell’appello proposto dalla Provincia: all’evidenza, infatti, il termine “breve” di impugnazione della sentenza notificata decorre dal momento in cui la notifica ebbe a perfezionarsi nei confronti dell’appellante principale (e quindi quest’ultima ebbe cognizione della stessa) e non già dal momento in cui l’appellata spedì per notifica la predetta decisione.
Posto che non è stato contestato che la Provincia ricevette materialmente il plico speditole per posta in data 23 marzo 2011, il dies a quo deve essere computato da tale data, dal che discende la tempestività della proposizione del mezzo.
1.2. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del gravame proposto dalla Provincia per carenza di interesse e di legittimazione.
Nel rammentare che la Provincia manifestò comunque il proprio orientamento contrario alla realizzazione del progetto (e nell’evidenziare che la problematica della eventuale – o meno - qualificazione dell’assenza di questa ai lavori quale forma di assenso integra al più questione di merito), rimarca il Collegio il condivisibile – troncante- orientamento giurisprudenziale secondo il quale dalla previsione della partecipazione di un ente ad un procedimento amministrativo si deve evincere la sua legittimazione ad impugnare il provvedimento conclusivo ritenuto lesivo. Non invece il contrario (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 217; sez. IV, 3 dicembre 1992, n. 1001 Consiglio di stato, sez. IV, 06 ottobre 2001, n. 5296).
Posto che è incontestabile che la Provincia venne invitata ai lavori della conferenza di servizi convocata, pare al Collegio indubitabile la legitimatio ad causam della stessa ed il proprio interesse ad avversarne le determinazioni.
E l’interesse della Provincia non può essere escluso – lo si anticipa - anche con riferimento al secondo motivo dell’appello, (incentrato sul difetto di istruttoria in relazione all’art. 97 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12), perché il secondo comma del citato articolo demanda a tale Ente territoriale un vaglio di “compatibilità del progetto con il proprio piano territoriale di coordinamento”, di guisa che non può affermarsi che la stessa non fosse legittimata ad avanzare censure concernenti il rapporto di coordinamento del proprio piano con quelli sovraordinati, e perché, con specifico riferimento alla insistenza del progetto all’interno di un corridoio primario della RER e della Rete ecologica provinciale, nell’art. 3 ter della legge regionale n.86/1983 è espressamente stabilito che “le province controllano, in sede di verifica di compatibilità dei piani di governo del territorio (PGT) e delle loro varianti, l’applicazione dei criteri di cui al comma 2 e, tenendo conto della strategicità degli elementi della RER nello specifico contesto in esame, possono introdurre prescrizioni vincolanti.”.
Del pari non appaiono accoglibili le eccezioni di sopravvenuta carenza di interesse: si rammenta in proposito la circostanza che la odierna appellante aveva sollevato (tra l’altro) il vizio di difetto di ponderazione con riferimento alle disposizioni di piano ed alla interferenza dell’opera con la RER e tali elementi non sono venuti meno tenuto conto della perimetrazione del PTCP pubblicata sul BURL prodotta dall’appellante.
2. Venendo all’esame del merito, la prima doglianza proposta nell’appello è volta a contrastare la interpretazione resa dal primo giudice dell’art. 14 ter comma 7della legge 8 agosto 1990 n. 241, nel testo modificato dall'articolo 49, comma 2, lettera e) del D.L. 31 maggio 2010, n. 78.
In sintesi, la Provincia appellante si duole della circostanza che la sentenza impugnata ha avallato la condotta dell’amministrazione comunale che ha equiparato la mancata partecipazione della Provincia ai lavori della Conferenza di servizi convocata in sede di procedura SUAP ad un parere favorevole.
Al contrario di quanto affermatosi in sentenza, invece, si sarebbe dovuto prendere in considerazione il parere contrario da essa espresso con separato provvedimento - seppur tardivamente pervenuto ai lavori della Conferenza convocata -.
Secondo detta tesi, infatti, il parere della Provincia - in quanto amministrazione preposta alla tutela paesaggistico-territoriale - doveva essere acquisito espressamente e non poteva essere “surrogato” dal silenzio-assenso.
La prospettazione si fonda sulla circostanza che, al momento dello svolgimento dei detti lavori della conferenza di servizi, era vigente il testo originario dell’articolo 49, comma 2, lettera e) del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, che così disponeva:
“Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, paesaggistico-territoriale il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.”
Il testo del predetto comma 7 risultante dalla legge di conversione 30 luglio 2010 n. 122, invece, è il seguente: “si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumita' , alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata”.
Secondo la appellante, la modificazione introdotta avrebbe carattere sostanziale (e sarebbe quindi irretroattiva): dovrebbe affermarsi pertanto che all’epoca della vigenza del testo del DL (e quindi al momento dell’avvio e della conclusione della conferenza di servizi) la tutela paesaggistico-territoriale (ed il parere relativo) “faceva corpo”, sotto il profilo della disciplina applicabile, con la proposizione relativa ai provvedimenti di VIA, VAS ed AIA; e quindi il relativo parere paesaggistico non sarebbe stato “dequotabile” con il silenzio-assenso, siccome invece –illegittimamente ad avviso della Provincia - avvenuto.
2.1. L’argomentazione appellatoria, seppur elegantemente formulata, non persuade il Collegio.
2.1.1. A quanto condivisibilmente rilevato dal primo giudice in punto di ratio e di assimilabilità del parere paesaggistico-territoriale a quello ambientale (di guisa che ad entrambi sarebbe stata riservata la medesima disciplina), può infatti aggiungersi che sotto il profilo della esegesi meramente letterale appare evidente che anche il testo del DL antecedente alla modifica introdotta nella legge di conversione considerava una previsione a sé stante quella concernente i provvedimenti di VIA, VAS ed AIA (questi ultimi, sì, giammai “dequotabili” mercé silenzio-assenso).
La virgola che “chiude” la proposizione relativa a dette procedure e la congiunzione tra VAS ed AIA, infatti, configura (ed è equivalente ad) una parentesi, dopo la quale il termine paesaggistico-territoriale, isolatamente considerato, non fa che riagganciarsi al precedente aggettivo “ambientale”.
Ne rimane esclusa, in particolare, sotto il profilo letterale, la riconducibilità del termine “paesaggistico-territoriale” alla locuzione “ provvedimenti in materia di” che costituisce l’incipit della proposizione relativa a VIA, VAS ed AIA, perché sotto il profilo semantico “provvedimenti in materia di..paesaggistico-territoriale” non avrebbe alcun senso compiuto.
Si può convenire con l’appellante in ordine alla infelice formulazione della disposizione contenuta nel testo originario del decreto legge citato: ma ciò sotto il profilo stilistico, non già con riguardo alla perspicuità della previsione.
E la modifica introdotta nella legge di conversione ha proprio sanato detta ineleganza lessicale, ma non ha introdotto una previsione “diversa” da quella contenuta nel DL sotto il profilo sostanziale.
La censura va quindi disattesa, e in considerazione della pacifica tardività del parere espresso dalla Provincia rispetto alla chiusura dei lavori della conferenza, va disattesa anche detta connessa doglianza .
2.1. Tutti gli ulteriori argomenti contenuti nel primo motivo di appello non incidono su tale considerazione.
Ed invero, non è pertinente il richiamo (già confutato dalla sentenza impugnata, per il vero, alle cui argomentazioni l’appellante non ha opposto alcun decisivo profilo di critica ) al termine di 60 giorni contenuto nell’art. 5 comma 2 del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 (“Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l'approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall'articolo 14, comma 3-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241”).
Posto che la disciplina applicabile ratione temporis ai fatti di causa fa riferimento alla conferenza di servizi, infatti, ogni interrogativo in ordine alla perentorietà – o meno- dei termini previsti nel detto procedimento di cui al d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 non assume carattere dirimente, al più potendosi sostenere che rientrava nelle valutazioni latamente discrezionali (e come tali sostanzialmente insindacabili) del Comune eventualmente tenere conto del detto parere negativo, sebbene tardivamente pervenuto (anche in considerazione del fatto che lo scostamento temporale tra il momento di chiusura dei lavori della conferenza e quello in cui pervenne il detto parere era veramente minimo).
Ma ciò non potrebbe certo connotare di illegittimità le successive deliberazioni comunali (delle quali, incidenter tantum, si rammenta la lata discrezionalità: “la proposta di variante dello strumento urbanistico, formulata ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 dalla conferenza dei servizi al fine di favorire e semplificare la realizzazione di una struttura commerciale in zona tipizzata come agricola, non è vincolante per il Consiglio comunale, il quale deve autonomamente valutare se aderire o meno alla stessa.”(Consiglio Stato, sez. IV, 27 giugno 2007 , n. 3772).
Ne discende che la complessiva censura (le cui ulteriori articolazioni, soffermandosi sulla natura del procedimento SUAP alla luce della disciplina vigente nella Regione, non forniscono elementi per affermare che del parere della Provincia, seppur tardivamente espresso, dovesse necessariamente tenersi conto) deve essere disattesa.
3. Neppure persuasive, ad avviso del Collegio, appaiono le argomentazioni raggruppate nella terza censura (nel cui ambito sono stati riproposti gli originari motivi n. 4 e 5 del ricorso di primo grado), laddove la Provincia ribadisce la tesi secondo cui non v’erano le condizioni ed i presupposti per l’avvio dello speciale procedimento di cui al d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 ed in ogni caso l’amministrazione avrebbe dovuto vagliare sotto il profilo dell’opportunità la possibilità di adottare la variante urbanistica.
La doglianza (come anche, per il vero, i corrispondenti motivi contenuti nel mezzo di primo grado) appare formulata in termini generici e non tiene conto – seppure in chiave critica - del convincimento del primo giudice.
Invero si rammenta che per risalente quanto condiviso convincimento della giurisprudenza in punto di potestà discrezionale che “assiste” l’ente locale allorchè questo si determina all’adozione di una variante, “i provvedimenti con i quali i comuni ripartiscono in zone il territorio in sede di pianificazione urbanistica hanno natura ampiamente discrezionale e possono pertanto incidere anche su precedenti difformi destinazioni delle zone stesse, sempre che la nuova suddivisione non sia affetta da errori di fatto o da gravi vizi di illogicità, irrazionalità o contraddittorietà. È legittima, pertanto, la variante dell'originario programma di fabbricazione con la quale si muta la classificazione di un'area, da industriale in agricola, motivata con riferimento all'appesantimento che la destinazione industriale avrebbe indotto sulla precaria viabilità esistente - nella specie il comune, avendo verificato l'esistenza di gravi inconvenienti su una strada statale nei pressi della quale era localizzata l'area in questione, aveva mutato l'originaria destinazione industriale tenuto anche conto che l'area stessa non era stata utilizzata nel corso di un decennio per ampliamenti dell'insediamento produttivo-.” (Consiglio Stato, sez. V, 10 giugno 1989 , n. 375).
Secondo avveduta giurisprudenza il procedimento disegnato in materia di SUAP non fa eccezione ai detti principi, essendosi condivisibilmente rilevato che “il d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 esprime un favor verso la realizzazione, la ristrutturazione ovvero l'ampliamento degli impianti industriali ed a tale scopo delinea un procedimento semplificato - che si risolve in un procedimento che, attraverso la conferenza di servizi indetta dal responsabile del procedimento, porta alla formazione di una proposta di variante sulla quale il Consiglio comunale si pronuncia "definitivamente" - per giungere, con una variante urbanistica adottata nell'ambito della conferenza di servizi, alla rapida realizzazione di tali iniziative, anche quando esse siano in contrasto con gli strumenti urbanistici in vigore, purché il relativo progetto sia conforme alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.”
(Consiglio Stato , sez. IV, 11 gennaio 2007 , n. 1644).
Nel caso di specie il vaglio circa l’inesistenza di aree alternative è stato svolto, e non appare carente sotto il profilo del vizio del difetto di istruzione; parimenti la deliberazione sottesa alla variante non appare connotata da profili di arbitrarietà ovvero abnormità (fatto salvo quanto si dirà esaminando il secondo motivo d’appello): non pare, conclusivamente, che ci si sia discostati dal procedimento di deliberazione ordinaria, né che l’adozione della variante sia stata percepita come “obbligatoria”, come pare adombrarsi a pag. 22 del ricorso in appello, essendosi invece il Comune conformato al principio espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui “a fronte della richiesta del privato di realizzare ovvero ampliare, ristrutturare o riconvertire un impianto industriale, l'art. 5, d.P.R. n. 447/1998 non consente di ipotizzare alcuna abdicazione del Comune alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l'approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario integra per l'organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente dalla determinazione finale assunta dalla conferenza di servizi. Al consiglio comunale compete infatti una valutazione ulteriore, necessaria a giustificare sul piano urbanistico la deroga, per il caso singolo, alle regole poste dallo strumento vigente.” (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 11 novembre 2010 , n. 7244).
Lo strumento prescelto, quindi, non poteva essere che quello di cui al sopracitato d.P.R. n. 447/1998 e non ritiene il Collegio che, sotto il generico profilo del vizio deliberativo evidenziato nel motivo di ricorso in appello le censure siano fondate.
4. Neppure la quarta ed ultima censura (ripropositiva dei motivi n. 6 e 7 del mezzo di primo grado) con la quale l’ appellante amministrazione ribadisce la illegittimità della procedura di Vas seguita appare al Collegio fondata.
Essa, al contrario, appare da un canto articolata in termini assai generici (vedi affermazione a pag. 25 del ricorso in appello laddove si sostiene, non meglio precisando il concetto, “che tale prioritario ruolo è stato svuotato di contenuto”), e sotto altro profilo, riproduttiva delle censure già disattese in precedenza tese ad affermare che del parere negativo della Provincia si dovesse tenere comunque conto e della necessità di vagliare la possibile allocazione in aree alternative.
Stabilisce in proposito l’art. 4 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12, nella parte di interesse per l’odierno procedimento, che: “Al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile ed assicurare un elevato livello di protezione dell'ambiente, la Regione e gli enti locali, nell'ambito dei procedimenti di elaborazione ed approvazione dei piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente e successivi atti attuativi, provvedono alla valutazione ambientale degli effetti derivanti dall'attuazione dei predetti piani e programmi. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, approva gli indirizzi generali per la valutazione ambientale dei piani, in considerazione della natura, della forma e del contenuto degli stessi. La Giunta regionale provvede agli ulteriori adempimenti di disciplina, anche in riferimento ai commi 3 bis, 3 ter, 3 quater, 3 quinquies e 3 sexies, in particolare definendo un sistema di indicatori di qualità che permettano la valutazione degli atti di governo del territorio in chiave di sostenibilità ambientale e assicurando in ogni caso le modalità di consultazione e monitoraggio, nonché l'utilizzazione del SIT. Sono sottoposti alla valutazione di cui al comma l il piano territoriale regionale, i piani territoriali regionali d'area e i piani territoriali di coordinamento provinciali, il documento di piano di cui all'articolo 8, nonché le varianti agli stessi. La valutazione ambientale di cui al presente articolo è effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura di approvazione.
Per i piani di cui al comma 2, la valutazione evidenzia la congruità delle scelte rispetto agli obiettivi di sostenibilità del piano e le possibili sinergie con gli altri strumenti di pianificazione e programmazione; individua le alternative assunte nella elaborazione del piano o programma, gli impatti potenziali, nonché le misure di mitigazione o di compensazione, anche agroambienlali, che devono essere recepite nel piano stesso.”.
Secondo l’appellante la richiesta ponderazione non sarebbe stata in realtà effettuata, perché la detta procedura di Valutazione strategica si sarebbe in realtà limitata a riprodurre scelte già a monte deliberate, non approfondendo i profili di valutazione ad essa propri.
Senonché – e salvo quello che si dirà di qui a poco con riguardo alle censure articolate nel secondo motivo di gravame- la procedura relativa alla sottoponibilità a Vas del progetto è stata resa da un organismo tecnico indipendente dall’amministrazione comunale appellata; non è legata all’atto di indirizzo da quest’ultima formulato; non si vede quali carenze istruttorie siano alla stessa “imputabili”, non potendo certamente essere prese in considerazione (in quanto impingenti sul merito dei predetti giudizi tecnici) valutazioni relative al convincimento del predetto organo tecnico fondate sulla interferenza con l’area dell’autostrada Pedemontana.
Anche detto mezzo, conclusivamente, merita reiezione.
5. Può infine essere esaminata la seconda censura contenuta nel ricorso in appello, mercé la quale l’appellante amministrazione provinciale ha riproposto, raggruppandole, le argomentazioni contenute nel terzo motivo del mezzo di primo grado postulante il difetto di istruttoria, in quanto non sarebbe stata svolta la verifica di compatibilità con le disposizioni prevalenti del PTCP e del PTR..
5.1. Secondo l’appellante, i richiami alla situazione di fatto posti dal primo giudice a sostegno della reiezione della censura (“l’area individuata dalla Rete Ecologica Regionale è interessata in modo invasivo dalla Pedemontana e l’intervento realizzando interessa in minima parte le aree incluse nella suddetta Rete regionale ed è esterna rispetto a quella indicata dalla Provincia.” e “non vi sono norme prevalenti del PTCP e del PTR, che potessero impedire la variante urbanistica: infatti è introdotta dal Piano regionale una Rete Ecologica, che non implica alcuna diretta limitazione di inedificabilità”) non erano sufficienti a pervenire alla reiezione della censura di difetto di istruttoria e ponderazione.
Ciò (anche) alla stregua della considerazione contenuta in un recente arresto della Sezione (n. 24/2011) laddove è stato affermato che “la tutela paesaggistico-ambientale, in quanto finalizzata alla protezione di una bellezza di insieme, non esclude, anzi spesso comporta, che essa abbia oggetto anche aree che, pur non essendo gravate da specifici vincoli apposti con espliciti provvedimenti amministrative o derivanti ex lege, contribuiscono cionondimeno alla tutela complessiva dell’interesse protetto, specialmente da uno strumento specifico quale il PTCP.”
Posto che l’intervento autorizzato ricadeva almeno per metà nella rete RER e che quest’ultima, a mente delle previsioni del PTR era considerata “infrastruttura prioritaria”, essa rientrava nel disposto di cui all’art. 20 comma 4 e 5 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 ed aveva quindi prevalenza sulle norme di PGT.
Ne discendeva la sicura violazione delle prescrizioni contenute all’art. 97 comma 3 della citata legge regionale 11 marzo 2005 n. 12.
3.1. Al fine di delibare sulla complessa censura dianzi riassunta, appare al Collegio indispensabile ricostruire il quadro fattuale prima, e di seguito normativo, ad essa sotteso.
3.2. Quanto al primo profilo, pare al Collegio che l’affermazione contenuta nella impugnata decisione, secondo cui “l’area individuata dalla Rete Ecologica Regionale è interessata in modo invasivo dalla Pedemontana e l’intervento realizzando interessa in minima parte le aree incluse nella suddetta Rete regionale ed è esterna rispetto a quella indicata dalla Provincia”, meriti rettifica.
La certificazione rilasciata dalla regione Lombardia del 28 novembre 2011 depositata in atti, infatti, dà atto della circostanza che la erigenda opera risulta “inserita in un corridoio primario della Rer” (Rete Ecologica Regionale).
La predetta nota – rimasta per il vero incontestata in punto di fatto- dà altresì atto della circostanza che la rilevanza della RER è stata riconosciuta addirittura in via legislativa con l’art. 3 della Legge regionale n. 30 novembre 1983 n. 86, del quale è utile riportare il testo : “la Rete ecologica regionale –RER- è costituita dalle aree di cui all'articolo 2 e dalle aree, con valenza ecologica, di collegamento tra le medesime che, sebbene esterne alle aree protette regionali e ai siti della Rete Natura 2000, per la loro struttura lineare e continua o il loro ruolo di collegamento ecologico, sono funzionali alla distribuzione geografica, allo scambio genetico di specie vegetali e animali e alla conservazione di popolazioni vitali ed è individuata nel piano territoriale regionale (PTR).
La Giunta regionale formula criteri per la gestione e la manutenzione della RER, in modo da garantire il mantenimento della biodiversità, anche prevedendo idonee forme di compensazione.
Le province controllano, in sede di verifica di compatibilità dei piani di governo del territorio (PGT) e delle loro varianti, l’applicazione dei criteri di cui al comma 2 e, tenendo conto della strategicità degli elementi della RER nello specifico contesto in esame, possono introdurre prescrizioni vincolanti.
La RER è definita nei piani territoriali regionali d’area, nei piani territoriali di coordinamento provinciali, nei piani di governo del territorio comunali e nei piani territoriali dei parchi.”.
Può pertanto affermarsi che il primo caposaldo della statuizione reiettiva resa dal primo giudice è stato efficacemente smentito da parte appellante e che ciò – avuto riguardo alla circostanza che il motivo di censura prospettato in primo grado si appuntava proprio sul difetto di istruttoria in relazione a tale aspetto - sarebbe sufficiente ad accogliere l’odierno appello.
Peraltro il Collegio ritiene di potere affermare che l’affermazione contenuta nell’appellata decisione circa la circostanza che l’area individuata dalla RER fosse “interessata in modo invasivo dalla Pedemontana” non apportasse, ex se considerata, utili elementi alla reiezione della censura articolata in primo grado, posto che, incontestata la persistente sussistenza della infrastruttura prioritaria denominata RER, eventuali profili di (asseritamente già avvenuta) compromissione della stessa ad opera di altre infrastrutture non legittimerebbero comunque ulteriori lesioni ai valori dalla stessa tutelati, quantomeno in carenza di adeguata istruttoria sul punto.
In ultimo, e per concludere quanto a detto versante processuale, mentre l’appellata non ha contestato la veridicità della asserzione della nota regionale 28 novembre 2011 citata, essa nella propria memoria si era limitata ad evidenziare che la nota regionale dell’1 settembre 2010 inviata soltanto alla provincia (di contenuto corrispondente a quella della quale si è finora discorso, ed attestante che l’area di intervento ricadeva in parte nel tracciato della Rer) fosse “tardiva”.
Senonché è evidente che, trattandosi di certificazione circa l’effettiva ubicazione dell’intervento, non ricorre nel caso di specie alcun vizio in ordine alla tempistica della produzione di tali documenti, che non possono essere assimilabili a “mezzi di prova” che avrebbero dovuto essere prodotti in primo grado (trattandosi di certificazioni provenienti da un soggetto terzo che riguardano un petitum già articolato innanzi al primo giudice e, in punto di fatto, erroneamente disatteso).
3.3. Neppure persuasivo peraltro, ad avviso del Collegio, appare l’iter motivazionale espresso dal primo giudice nel prosieguo della impugnata decisione con riguardo ai profili giuridici che dovevano essere valutati in relazione al progettato intervento.
3.3.1.Si rammenta in proposito che l’art. 97 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 (di cui l’appellante amministrazione provinciale sostiene l’avvenuta violazione, sub specie di difetto di istruttoria) così dispone ai primi tre commi:
” Qualora i progetti presentati allo sportello unico per le attività produttive risultino in contrasto con il PGT, si applica la disciplina dettata dall'articolo 5 del d.P.R. 447/1998, integrata dalle disposizioni di cui al presente articolo.
Alla conferenza di servizi è sempre invitata la provincia ai fini della valutazione della compatibilità del progetto con il proprio piano territoriale di coordinamento.
Non sono approvati i progetti per i quali la conferenza di servizi rilevi elementi di incompatibilità con previsioni prevalenti del PTCP o del PTR.”.
La circostanza che la citata disposizione integri – per la Regione Lombardia - le previsioni di cui agli art. 4 e 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 non appare revocabile in dubbio, né, effettivamente, su di essa v’è contestazione.
Stabilisce poi l’art. 20 della predetta legge regionale 11 marzo 2005 n. 12 (la cui rubrica è significativamente intestata “Effetti del piano territoriale regionale. Piano territoriale regionale d'area”) che:
“Il PTR costituisce quadro di riferimento per la valutazione di compatibilità degli atti di governo del territorio di comuni, province, comunità montane, enti gestori di parchi regionali, nonché di ogni altro ente dotato di competenze in materia. Contiene prescrizioni di carattere orientativo per la programmazione regionale di settore e ne definisce gli indirizzi tenendo conto dei limiti derivanti dagli atti di programmazione dell'ordinamento statale e di quello comunitario.
Le valutazioni di compatibilità rispetto al PTR, sia per gli atti della stessa Regione che per quelli degli enti locali o di altri enti, concernono l'accertamento dell'idoneità dell'atto, oggetto della valutazione o verifica, ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati nel piano, salvaguardandone i limiti di sostenibilità previsti.
Nella continuità degli obiettivi principali, il piano è suscettibile di modifiche, integrazioni, adeguamenti, anche conseguenti ad osservazioni, proposte ed istanze provenienti dagli enti locali e dagli altri enti interessati, con le modalità previste dall'articolo 21.
Le previsioni del PTR concernenti la realizzazione di prioritarie infrastrutture e di interventi di potenziamento ed adeguamento delle linee di comunicazione e del sistema della mobilità, nonché inerenti all'individuazione dei principali poli di sviluppo regionale e delle zone di preservazione e salvaguardia ambientale, espressamente qualificate quali obiettivi prioritari di interesse regionale o sovraregionale, prevalgono sulle disposizioni dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali di cui alla L.r. n. 86/1983, non costituenti parchi naturali o aree naturali protette secondo la vigente legislazione. In caso di difformità tra il PTR e la pianificazione di aree naturali protette, all'atto della presentazione del piano per l'approvazione il Consiglio regionale assume le determinazioni necessarie ad assicurare la coerenza tra detti strumenti, prevedendo le eventuali mitigazioni e compensazioni ambientali in accordo con l'ente gestore del parco.
Le previsioni di cui al comma 4 hanno, qualora ciò sia previsto dal piano, immediata prevalenza su ogni altra difforme previsione contenuta nel PTCP ovvero nel PGT. In tal caso la previsione del piano costituisce disciplina del territorio immediatamente vigente, ad ogni conseguente effetto. quale vincolo conformativo della proprietà. Detta efficacia, e il connesso vincolo, decade qualora, entro cinque anni dalla definitiva approvazione del piano, non sia approvato il progetto preliminare dell'opera o della struttura di cui trattasi, conservando la previsione efficacia di orientamento e di indirizzo fino al successivo aggiornamento del piano.
Qualora aree di significativa ampiezza territoriale siano interessate da opere, interventi o destinazioni funzionali aventi rilevanza regionale o sovraregionale, il PTR può, anche su richiesta delle province interessate, prevedere l'approvazione di un piano territoriale regionale d'area, che disciplini il governo di tali aree. Tale piano approfondisce, a scala di maggior dettaglio, gli obiettivi socio-economici ed infrastrutturali da perseguirsi, detta i criteri necessari al reperimento e alla ripartizione delle risorse finanziarie e dispone indicazioni puntuali e coordinate riguardanti il governo del territorio, anche con riferimento alle previsioni insediative, alle forme di compensazione e ripristino ambientale, ed alla disciplina degli interventi sul territorio stesso. Le disposizioni e i contenuti del piano territoriale regionale d'area hanno efficacia diretta e cogente nei confronti dei comuni e delle province compresi nel relativo ambito. Il PGT di detti comuni è assoggettato alla procedura di cui all'articolo 13, comma 8.
Il piano territoriale regionale d'area è approvato con le procedure di cui all'articolo 21, comma 6. La Giunta regionale, con apposita deliberazione, può deferire in tutto o in parte l'elaborazione del piano alla provincia o alle province territorialmente interessate, o comunque avvalersi della collaborazione di tali enti. In tal caso il piano territoriale regionale d'area, per le aree ivi comprese, ha natura ed effetti di PTCP, sostituendosi a quest'ultimo e da esso venendo recepito, previo parere favorevole del consiglio provinciale interessato. La deliberazione della Giunta regionale di adozione del piano d'area specifica i casi in cui il piano sia dotato di tale particolare efficacia.
Fino all'approvazione del PTR previsto dall'articolo 19, la giunta regionale, con apposita deliberazione, può dar corso all'approvazione di piani territoriali regionali d'area, secondo le procedure di cui all'articolo 21, comma 6. Trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 6, secondo e terzo periodo, e 7 del presente articolo, nonché le procedure di valutazione ambientale di cui all'articolo 4.”.
3.4. L’interrogativo cui deve rispondere il Collegio riposa nella sussistenza – o meno- di elementi per affermare che la RER costituisse infrastruttura prioritaria ed anche prevalente (circostanza negata dal primo giudice), rientrando così nella previsione normativa di cui al citato comma 5 dell’art. 20 della legge regionale 11 marzo 2005 n. 12.
3.4.1. Quanto al primo profilo, relativo al requisito della “prioritarietà”, della RER non pare al Collegio sussistano dubbi in quanto tale essa è riconosciuta nel documento del PTR.
Giova peraltro rimarcare che è lo stesso art. 3 ter della legge istitutiva n. 86/1983, del quale si è prima richiamato il testo, ad attribuire alla RER un contenuto “dinamico”, laddove prevede espressamente che “La RER è definita nei piani territoriali regionali d’area, nei piani territoriali di coordinamento provinciali, nei piani di governo del territorio comunali e nei piani territoriali dei parchi” .
La “consistenza” e la “prioritarietà e prevalenza”di tale infrastruttura deve quindi essere misurata in relazione al contenuto del PTR, e sotto tale ultimo profilo (si vedano gli analitici richiami contenuti a pag. 19 del ricorso in appello alle indicazioni contenute alla pag. 41 del Documento di Piano) non pare al Collegio che si possa dubitare della prioritarietà della infrastruttura in esame.
Ma anche sotto il profilo della “prevalenza” sulle previsioni del PGT (che non significa, è ovvio, assoluta inedificabilità od impedimento dirimente all’adozione di varianti che insistano sull’area, ma compiuta istruttoria su tale aspetto, verifica di compatibilità ed adozione delle eventuali misure compensative, siccome indicate nel PTR con particolare riferimento alle indicazioni contenute alla pag. 41 del Documento di Piano e che stabiliscono un generale auspicio ad evitare trasformazioni e la necessità di prevedere interventi di compensazione naturalistica - puntualmente definiti laddove la trasformazione sia collocata “entro un corridoio primario”- ) non pare al Collegio condivisibile la esclusione affermata dal primo giudice.
Ciò perché, se è vero che, a mente del comma 5 dell’art. 20 della legge regionale 11 marzo 2005 n. 12 in ultimo citata, non è sufficiente, per affermarne “la prevalenza” che ricorra l’ipotesi di una “infrastruttura prioritaria”, ma è altresì necessario che il PTR stesso stabilisca detta prevalenza (non altro senso è possibile infatti attribuire all’inciso, contenuto nel comma 5 citato “qualora ciò sia previsto dal piano”), per le già chiarite ragioni è a quest’ultimo elaborato, ed ai richiami nello stesso contenuti, che occorre fare riferimento per affermare – o meno- il requisito della “prevalenza”.
Posto che neppure l’appellata ha contestato decisamente che tale rapporto di prevalenza sia stato affermato a più riprese nelle delibere di giunta regionale n. 8515/2008, 6447/2008 e 10962/2009, ne discende che avendo il documento di Piano richiamato definendola “prioritaria” la citata infrastruttura siccome connotata ex art. 3 ter della legge regionale n. 86/1983, ne discende che il detto rapporto di prevalenza (limitativo nei termini già chiariti della inedificabilità, ed espressivo del principio della doverosa comparazione del progetto con le esigenze sottese alla RER) può essere positivamente affermato.
3.5. L’assenza di vaglio in conferenza di servizi circa tale specifico aspetto dell’intervento progettato vizia pertanto l’esito autorizzatorio e, costituendo atto presupposto, i successivi provvedimenti ampliativi. In questi termini deve essere accolto il ricorso in appello, con conseguente parziale riforma della impugnata decisione e parziale accoglimento del ricorso di primo grado.
4. La superiore statuizione implica, ovviamente, la reiezione della domanda formulata dalla appellata e volta ad ipotizzare una responsabilità a carico dell’appellante Provincia ai sensi dell’art. 96 del codice di procedura civile.
5. La complessità, novità, e particolarità delle tematiche devolute all’esame del Collegio impone di disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 4801 del 2011come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione che precede e per l’effetto, in riforma dell’appellata decisione, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati.
Spese processuali del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2012