Cass.Sez. III n. 37498 del 17 ottobre 2011 (CC 13 lug. 2011)
Pres.De Maio Est.Fiale Ric.Capasso e altro
Urbanistica.Demolizione
In tema di reati edilizi, la revoca dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo non richiede che lo stesso sia già stato posto in esecuzione.
FATTO E DIRITTO
C.A. e A.C. sono stati condannati - con sentenza del 13.7.2005 del Tribunale di Nola, divenuta irrevocabile il 9.3.2007 - per reati edilizi.
Con la stessa sentenza è stata ordinata, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, u.c., la demolizione delle opere abusive, realizzate nel comune di (OMISSIS).
Nella fase esecutiva, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ha chiesto al giudice dell'esecuzione la revoca dell'ordine di demolizione, prospettando che si era verificata l'acquisizione gratuita dell'immobile abusivo al patrimonio del Comune (con atto del 10.10.2008) e che il Consiglio comunale di Acerra, con deliberazione del 3.2.2010, aveva dichiarato il prevalente interesse pubblico a disporre la destinazione dell'immobile acquisito al patrimonio dell'ente "a fini sociali, con particolare riferimento alle problematiche sociali ed educative".
La Corte di appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, all'esito del procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 666 c.p.p., commi 3 e 4, - con ordinanza del 29.11.2010 - ha revocato l'ordine demolitorio, rilevando che la costruzione abusiva ed il terreno in cui sorge sono diventati di proprietà del Comune, a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 3, e che la legittima destinazione a prevalenti interessi pubblici dell'immobile acquisito si pone come ostativa all'esecuzione della demolizione disposta con la sentenza di condanna.
Avverso tale ordinanza gli interessati hanno proposto ricorso per cassazione, ex art. 666 c.p.p., comma 2, ed hanno contestato la legittimità dell'esercizio del potere di revoca in ipotesi in cui il P.M. non abbia ancora emesso l'ingiunzione a demolire, lamentando altresì che la delibera del Consiglio comunale (che ha dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici) non sarebbe sufficientemente dettagliata nell'individuazione dei beni costituenti oggetto della stessa.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato e formulato con estrema genericità quanto all'individuazione delle norme di legge che si assumono violate.
Premesso che, per la revoca dell'ordine di demolizione, non è necessario che esso sia stato già posto in esecuzione, va rilevato che l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 3, non è generalmente incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale; infatti, nella prima parte del comma 5 dello stesso articolo, si stabilisce che l'opera acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita con ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, a spese del responsabile dell'abuso.
Si ha, invece, incompatibilità se, con deliberazione del Consiglio comunale, a norma della seconda parte dello stesso comma 5, si sia statuito di non dovere demolire l'opera acquisita, per l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento della stessa (vedi Cass., Sez. 3: 19.6.2008, a 25117, Di Corrado; 31.1.2008, n. 4962, P.G. in proc. Mancini e altri; 23.1.2007, n. 1904, Turianelli; 29.11.2005, n. 43294, Gambino ed altro; 13.10.2005, n. 37120, Morelli; 20.5.2004, n. 23647, Moscato ed altro, 30.9.2003, n. 37120, Bommarito ed altro; 20.1.2003, n. 2406, Gugliandolo; 7.11.2002, n. 37222, Clemente; 17.12.2001, Musumeci ed altra; 29.12.2000, n. 3489, P.M. in proc. Mosca).
Nella fattispecie in esame, il Consiglio comunale di Acerra ha escluso la necessità di procedere alla demolizione dell'immobile abusivo in oggetto (adeguatamente individuato e descritto) ed ha ravvisato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento, previo accertamento di una situazione di inesistente contrasto con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali.
Avverso tale deliberazione - che, secondo quanto è stato portato a conoscenza del Collegio, non presenta alcun evidente profilo di illegittimità - gli interessati potranno fare valere le ragioni di dissenso nella sede giurisdizionale competente.
Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale, deve rilevarsi che non sussistono elementi per ritenere che "le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", sicchè, a norma dell'art. 616 c.p.p., a detta declaratoria segue, per ciascun ricorrente, l'onere del pagamento delle spese processuali e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata nella misura di Euro 1.000,00 in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2011.