Cass. Sez. III n. 27258 del 14 luglio 2010 (Ud. 8 giu. 2010)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Del Freo
Urbanistica. Responsabilità direttore lavori

Il direttore dei lavori non è responsabile delle difformità della costruzione rispetto al progetto solo qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione del permesso fornendo all’autorità amministrativa contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa e rinunciando all’incarico. Trattandosi di contravvenzione per la configurabilità del reato è sufficiente la negligenza.

 

IN FATTO

La Corte d'appello di Genova, con sentenza del 22 aprile del 2009, confermava quella resa dal tribunale di Massa il 27 maggio del 2008, con cui D.F.S. e P.M. erano stati condannati alla pena ritenuta di giustiziatali responsabili del reato di cui all'art. 113 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), perchè in cooperazione tra loro, il P. come proprietario e la D.F. come direttore dei lavori, installavano un prefabbricato delle dimensioni di m. 7,20X 4,80 X 2,70 in totale difformità dal permesso di costruire.

Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nel provvedimento impugnato al P., legale rappresentante della società Montagnoso Auto, era stato rilasciato il permesso di realizzare spazi espositivi pubblicitari, costituiti da pavimentazione, da recinzione, dall'installazione di cinque gazebi dove ricoverare le auto; sennonchè il 17 ottobre del 2006 si era constatata anche l'installazione di un fabbricato munito di allacciamento elettrico e di condizionatore d'aria diviso in due locali: uno adibito a bagno e l'altro ad ufficio. Secondo i giudici del merito non si trattava di un box di cantiere o comunque di un manufatto precario, ma di ambiente destinato definitivamente ad ufficio.

Ricorrono per Cassazione i due imputati per mezzo dei rispettivi difensori con separati ricorsi.

La D.F. deduce:

la violazione della norma incriminatrice per l'inoffensività della condotta, trattandosi di un semplice box di cantiere adibito a servizio igienico per il personale e destinato ad essere rimosso alla fine dei lavori, che non erano ancora cessati perchè il permesso di costruire era stato prorogato;

manifesta illogicità della motivazione perchè si era affermata la responsabilità della predetta in maniera apodittica, in quanto non si era considerato che il direttore dei lavori, non frequentando assiduamente il cantiere, non aveva potuto rendersi conto della destinazione che il P. avrebbe dato a quel manufatto.

Il P. deduce:

la violazione della norma incriminatrice trattandosi di manufatto precario che non richiedeva il permesso di costruire come ritenuto dallo stesso Consiglio di Stato che aveva accolto l'appello del P.; d'altra parte la diversa destinazione d'uso ritenuta dalla Corte distrettuale costituisce attività libera non soggetta neppure ad autorizzazione, salvo diversa disciplina voluta dalla Regione.

IN DIRITTO

Entrambi i ricorsici limite dell'ammissibilità perchè si risolvono in sostanza in censure in fatto sulla natura del manufatto (non precaria per la Corte, precaria per i ricorrenti, sono comunque infondati.

In materia edilizia, un'opera si può considerare precaria e quindi realizzabile senza la necessità del permesso di costruire allorchè a prescindere dai materiali impiegati o dalla più o meno agevole amovibilità, sia oggettivamente destinata ad un uso precario (cfr.per tutte Cass. N. 22054 del 2009).

La valutazione della precarietà dell'opera costituisce tipica indagine di fatto rimessa al giudice del merito la cui motivazione si sottrae al sindacato di legittimità se priva di vizi logici.

Nella fattispecie il tribunale di Massa ha accertato che quel manufatto, contrariamente all'assunto dei prevenuti, non costituiva un box di cantiere destinato al ricovero degli attrezzi ed a fornire i servizi igienici agli operai durante l'espletamento dei lavori, ma era stato destinato definitivamente ad ufficio.

E' emerso infatti che in quel locale erano custoditi i raccoglitori contenenti i documenti inerenti alla vendita delle autovetture esposte sul piazzale ossia documenti che non avevano alcuna attinenza con l'attività edilizia, ma erano strettamente funzionali a quella imprenditoriale svolta in quel luogo. La riprova era costituita dal fatto che in quel locale era stato installato un condizionatore per la climatizzazione del fabbricato, circostanza questa che, come rilevato dal tribunale, si spiega solo con la destinazione del manufatto ad ufficio non essendo necessario un condizionatore per la climatizzazione di un locale destinato a ricovero degli attrezzi.

D'altra parte, come precisato dal tribunale, anche se il permesso non era ancora scaduto i lavori per la sistemazione del piazzale erano sostanzialmente cessati e già si trovavano le auto in esposizione.

Siffatta valutazione dei giudici del merito essendo priva di errori giuridici o logici si sottrae al sindacato di legittimità.

Per quanto concerne la posizione del direttore dei lavori, si osserva che in tema di reati edilizi questi è penalmente responsabile, salva l'ipotesi d'esonero prevista dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29, per l'attività edificatoria non conforme alle prescrizioni del permesso di costruire in caso d'irregolare vigilanza sull'esecuzione delle opere edilizie, in quanto il direttore dei lavori deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica. (cfr. per tutte Cass. N. 38924 del 2006).

In definitiva il direttore dei lavori non è responsabile delle difformità della costruzione rispetto al progetto solo qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione del permesso fornendo all'autorità amministrativa contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa e rinunciando all'incarico. Trattandosi di contravvenzione per la configurabilità del reato è sufficiente la negligenza.

Nel caso in esame il tribunale ha accertato che la prevenuta fino alla fine del 2007 non aveva rinunciato all'incarico e non aveva comunicato al comune la violazione commessa nell'(OMISSIS) pur essendo a conoscenza della violazione stessa perchè si recava nel cantiere almeno una volta la settimana. D'altra parte il P., come risulta dalla sentenza del tribunale, aveva dichiarato che il manufatto era stato installato con il consenso della D.F..

P.Q.M.

LA CORTE Letto l'art 616 c.p.p..
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.