Cass. Sez. III n. 16715 del 22 aprile 2024 (CC 12 mar 2024)
Pres. Aceto Est. Noviello Ric. Carrato
Urbanistica.Potere-dovere di sindacato sugli atti e sulle decisioni amministrative attribuito al giudice penale

Il potere-dovere di sindacato sugli atti e sulle decisioni amministrative attribuito al giudice penale si estende anche alle decisioni della giurisdizione amministrativa, giacché anche di queste il giudice, nell’esercizio di dette attribuzioni, deve accertare la portata, onde verificarne la incompatibilità o meno con l’esecuzione della demolizione, che non può rimanere preclusa dalla adozione di decisioni fondate su ragioni formali o di rito, ma solo dall’accertamento definitivo di situazioni che siano incompatibili con l’esecuzione della demolizione delle opere abusive, o dall’adozione di validi ed efficaci atti amministrativi con essa incompatibili. Al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale, qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa 

 

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Salerno adita quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di Carrato Nicola, per la revoca dell’ingiunzione a demolire emessa dalla Procura Generale il 6.6.2023, e relativa a 27 unità abitative ritenute abusive con sentenza della Corte di appello di Salerno del 10 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 13.1.2023, rigettava la istanza.

    2. Avverso la predetta ordinanza Carrato Nicola, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo cinque motivi di impugnazione. 

    3. Deduce, con il primo, i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per omessa motivazione rispetto ai rilievi difensivi proposti in ordine alla incidenza del giudicato amministrativo, intervenuto nel caso concreto rispetto ad un ordine di demolizione delle predette unità abitative, adottato dall’autorità comunale nel quadro di una prospettata inconfigurabilità delle predette opere quali interventi privi di permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, rispetto all’ordine di demolizione impartito in sede penale, con particolare riguardo alla prevalenza dello stesso giudicato, con cui era stata annullata l’ordinanza demolitoria comunale,  su tale ultima decisione. 

    4. Con il secondo rappresenta vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per omessa motivazione circa i rilievi difensivi per cui, a fronte di un annullamento dell’ordine di demolizione comunale intervenuto per omessa motivazione dello stesso, tale statuizione del giudice amministrativo si sarebbe riflettuta sul provvedimento amministrativo sia in termini di violazione di legge “in procedendo” che di violazione di legge “in iudicando” per cui, in altri termini, il giudicato amministrativo si sarebbe formato sulla base di una violazione di legge consistita nel travisamento dei presupposti legali per l’adozione del provvedimento annullato, con la conseguenza per cui si contesta l’assunto dei giudici della Corte di appello secondo il quale la statuizione del Tar non avrebbe avuto riguardo al merito della questione, circa l’abusività delle opere, così da non risultare incompatibile con l’ordine di demolizione disposto in sede penale. 

    5. Con il terzo motivo, deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. contestando l’assunta necessità, secondo i giudici penali, della adozione di un provvedimento in sanatoria pur a fronte della intervenuta decisione del Tar, evidenziando al riguardo l’omessa motivazione rispetto alla eccepita insussistenza di un obbligo di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, e alla evidenziata sufficienza del giudicato amministrativo. 

    6. Con il quarto motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.,  evidenziando come il giudizio penale sul carattere stabile delle opere e necessitante il permesso e nulla osta paesaggistico soccomberebbe a fronte degli accertamenti tecnici svoltisi in sede di giurisdizione amministrativa, così dovendosi pervenire alla esclusione, della soggezione delle opere in questione, all’obbligo del previo conseguimento di ulteriori titoli abilitativi. 

  


CONSIDERATO IN DIRITTO 

    1. I motivi di ricorso sono omogenei, nella misura in cui valorizzano la rilevanza della decisione amministrativa rispetto all’ordine di demolizione assunto in sede penale. Preliminarmente, non emerge, anche in assenza di puntuali allegazioni in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, l’intervenuta formazione del giudicato in ordine alla rappresentata decisione del Tar, quale ineludibile presupposto, necessariamente anteriore altresì, rispetto alla decisione penale,  per la prospettazione della questione secondo l’impostazione difensiva. Peraltro, la Corte di appello ha esaminato la sentenza del giudice amministrativo e l’ha correttamente ritenuta inidonea a supportare l’invocata decisione di revoca, sul dirimente rilievo per cui la decisione del Tar “(…) non rileva (e, infatti, non la dichiara) una violazione di legge, ma si limita all’annullamento del provvedimento del Responsabile dell’U.T.C. per vizi di istruttoria e motivazione (cfr. sent.cit. penultima pag.) (…)”. Né le argomentazioni sviluppate in ricorso, per vero poco perspicue, sono idonee a convertire il contenuto di una decisione incentrato su profili formali, quali la carenza di istruttoria e di motivazione, nella sostanza di una decisione di merito, in particolare involgente gli aspetti di abusività delle opere in questione. Né è dato conoscere come sia possibile che una decisione su aspetti formali possa convertirsi in tal senso. 
Deve quindi ribadirsi che il potere-dovere di sindacato sugli atti e sulle decisioni amministrative attribuito al giudice penale, nella specie dell’esecuzione, “…si estende anche alle decisioni della giurisdizione amministrativa, giacché anche di queste il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio di dette attribuzioni, deve accertare la portata, onde verificarne la incompatibilità o meno con l’esecuzione della demolizione, che non può rimanere preclusa dalla adozione di decisioni fondate su ragioni formali o di rito, ma solo dall’accertamento definitivo di situazioni che siano incompatibili con l’esecuzione della demolizione delle opere abusive, o, come ricordato, dall’adozione di validi ed efficaci atti amministrativi con essa incompatibili (…)” (cfr. Sez. 3 Sent. n. 15257 del 16/3/2023, dep. 12/4/2023). 
Neppure va trascurato il principio per cui, al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale, qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 1, n. 11596 del 11/01/2011 Ud.  (dep. 23/03/2011 ) Rv. 249871 – 01). Circostanza, quest’ultima, che pure pare emergere dalla ordinanza impugnata, con la quale si è evidenziata l’intervenuta accurata analisi, in sede penale, con le sentenze di merito anche esse passate in giudicato, della situazione di fatto, mediante documenti e testimonianze, e accertamenti tecnici del 2017, rispetto alla quale lo stesso ricorrente non ha evidenziato che essa sia stata esaminata negli identici termini concreti dal giudice amministrativo, limitandosi solo ad affermare, apoditticamente, la superiore validità dell’accertamento tecnico svoltosi in sede amministrativa sulle medesime circostanze, nonostante l’anteriorità delle verifiche tecniche rilevanti in sede penale, in ragione di un persistente sequestro. E per vero, l’intervento tecnico svolto in sede amministrativa si sarebbe svolto nel 2018- 2019 rispetto ad accertamenti valutati in sede penale del 2017 e nel quadro di una vicenda in cui l’unico dissequestro, secondo lo stesso ricorrente, sarebbe avvenuto per consentire la demolizione delle opere solo a seguito della prima sentenza di merito del 2022 e, dunque, solo successivamente all’accesso del tecnico, funzionale alla decisione amministrativa: così che lo stesso accertamento tecnico sembrerebbe svoltosi  “nonostante” il sequestro, e quindi senza che tale misura possa di per sé certificare, come invece sostenuto dalla difesa, la sicura mancata immutazione di luoghi prima del predetto accesso funzionale alla decisione amministrativa.  
E’ espressione di una completa analisi della vicenda, anche il rilievo del giudice circa la assenza di atti amministrativi incompatibili rispetto alla acclarata e confermata situazione di abusività, con particolare riferimento a un eventualmente sopraggiunto provvedimento di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, sebbene, giova in questo caso rammentarlo, trattandosi di area sottoposta a vincolo paesaggistico, come pare trasparire dagli atti a disposizione di questa Corte, non sarebbe stato a rigore rilevante neppure un tale provvedimento sopravvenuto, posto che in area vincolata non è possibile configurare una tale sanatoria, che attiene solo a zone prive di rilevanza paesaggistica. E invero, si evidenzia che con riferimento alla circostanza della sussistenza di area vincolata paesaggisticamente, come anche di recente affermato dalla Suprema Corte, essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge - ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, relativi agli "abusi minori" - tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è correlata al rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 D.P.R. 380/01; e l'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino (in motivazione Sez. 3, n. 5750 del 02/02/2023 Cc.  (dep. 10/02/2023 ) Rv. 284314 – 01; Cass. Sez. III n. 544 del 11 gennaio 2023; Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020 - dep. 07/01/2021, Rv. 281131 - 01).

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato  senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, peraltro plurime e innanzitutto consistenti nella già avvenuta revoca del sequestro al momento delle impugnazioni proposte innanzi al tribunale e in questa sede, e nella assenza di procura speciale, dati assolutamente noti al ricorrente, si dispone che lo stesso versi la somma, determinata in via equitativa, di euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 12.03.2024.