Cass. Sez. III n. 42699 del 23 ottobre 2015 (Cc 7 lug 2015)
Pres. Fiale Est. Di Nicola Ric. Curcio
Urbanistica.Ordine di demolizione e beni costituenti fondo patrimoniale familiare
La costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi, né implica l'insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo all'inalienabilità dei beni, con la conseguenza che l'ordine di demolizione può riguardare anche i beni costituenti il fondo patrimoniale familiare di cui all'art. 167 cod. civ., sia per la natura reale dell'ordine di demolizione e sia perché i beni costituenti il detto fondo comunque appartengono al soggetto che ve li ha conferiti.
RITENUTO IN FATTO
1.Antonio Curcio ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza del 2 settembre 2014 con la quale il tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza con la quale il ricorrente chiedeva la revoca dell'ordinanza di demolizione disposta in data 25 febbraio 2008 nei confronti di Rosario Curcio e Marco Curcio a seguito di sentenza di patteggiamento in relazione al reato di abuso edilizio avente ad oggetto un capannone.
Nel pervenire a tale conclusione il giudice dell'esecuzione ha premesso che, al decesso di Marco Curcio, subentrava come erede il ricorrente, Antonio Curcio, che faceva confluire il suo 50% in un fondo patrimoniale (lo stesso faceva Rosario Curcio con il proprio 50%), a sua volta oggetto di azione revocatoria da parte della Unicredit banking S.p.A.
Con ordine emesso in data 22 giugno 2011 l'ufficio esecuzione della procura della Repubblica di Napoli ingiungeva ad Antonio Curcio la demolizione del manufatto ed avverso tale provvedimento propose opposizione il ricorrente adducendo che non era nella possibilità di demolire il capannone in considerazione della trascrizione di un atto di citazione da parte dell'Unicredit banking S.p.A.
Il tribunale ha osservato come, nel caso di specie, non risultassero acquisiti elementi idonei a dimostrare l'intervento di provvedimenti amministrativi incompatibili con il disposto ordine di demolizione o comunque la sussistenza di situazioni oggettive tali da far ipotizzare, a livello di mera probabilità, che, in un termine congruo, potessero essere emanati provvedimenti amministrativi favorevoli all'interessato. Peraltro l'esecuzione di un ordine di demolizione, secondo il tribunale, non può ritenersi inibita dalla eventuale cessione a terzi del bene oggetto dell'ordine medesimo, operando esso nei confronti di chiunque abbia la disponibilità del manufatto abusivo, con la conseguenza che sia in caso di rigetto dell'azione revocatoria e sia in caso di accoglimento della stessa, la sorte dell'immobile sarebbe, in considerazione del carattere abusivo di esso, la demolizione anche se il titolare del manufatto sarebbe, come nella specie, soggetto diverso dal responsabile dell'abuso.
2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il difensore, solleva un unico motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione su un punto decisivo per il giudizio in relazione agli atti prodotti dall'istante a sostegno del proposto incidente di esecuzione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).
Assume il ricorrente come il principio richiamato dal giudice dell'esecuzione non sia nella specie conferente rispetto a quanto rappresentato dall'istante, posto che egli aveva evidenziato l'impossibilità di eseguire la demolizione pronunciata nei confronti del suo dante causa, per il fatto che non aveva più la disponibilità piena del bene (destinato alle esigenze familiari per effetto della costituzione del fondo patrimoniale, insieme con il coniuge), ed oggetto, peraltro, di domanda revocatoria (con conseguente vincolo di intangibilità del bene); in altri termini, se il ricorrente demolisse il capannone, distruggerebbe un bene non proprio ma oggetto di un fondo patrimoniale (che costituisce un patrimonio separato), del quale egli partecipa solo al 50%, del quale sono comproprietari anche Rosario Curcio ed il proprio coniuge; bene inoltre interamente vincolato per effetto della trascrizione della domanda revocatoria, quale garanzia patrimoniale, della Unicredit corporate banking S.p.A.
Il tribunale quindi non ha motivato sulla esistenza delle cause impeditive, peraltro non contestate, essendosi limitato a riportare principi giurisprudenziali afferenti a casi diversi.
La motivazione sarebbe altresì contraddittoria nella parte in cui il giudice dell'esecuzione ha affermato che l'ordine di demolizione opera "nei confronti di chiunque abbia la disponibilità dell'immobile abusivo": la contraddittorietà emerge chiaramente rispetto alla circostanza, dimostrata nel processo, che il ricorrente non ha la disponibilità del manufatto dichiarato abusivo e oggetto dell'ordine di demolizione in quanto il bene è oggi nella disponibilità di due diversi fondi patrimoniali, nei quali è confluito il 50% della proprietà del capannone di che trattasi, costituiti, uno, da Antonio Curcio e da Rosaria Licia, per atto di notar Elda Romano; l'altro, da Rosario Curcio e da Francesca Ciarallo, per atto di notar Paola De Dominicis, oltre al vincolo derivante dalla trascrizione della domanda revocatoria da parte della Unicredit.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Questa Corte ha recentemente ribadito il principio di diritto secondo il quale, in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo (Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802) perchè l'ordine di demolizione, avendo carattere reale, ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene a prescindere dagli atti traslativi intercorsi, con la sola conseguenza che l'avente causa, se estraneo all'abuso, potrà rivalersi nei confronti del dante causa, o dei suoi eredi, a seguito dell'avvenuta demolizione.
Infatti l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (ex multis, Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403; Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175).
Ne consegue che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, legittimamente adottato, deve essere eseguito nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, ed altri Rv. 244612).
Pertanto, come ha correttamente rilevato il procuratore Generale della requisitoria scritta, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche nell'ipotesi di acquisto dell'immobile per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell'erede del condannato, stante la preminenza dell'interesse paesaggistico e urbanistico, alla cui tutela è preordinato il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell'avente causa del condannato.
Siffatti principi non sono derogati dalla circostanza che l'erede alieni il bene a terzi o, come nella specie, ne conferisca una quota in un fondo patrimoniale e l'atto sia poi anche oggetto di azione revocatoria esperita da un creditore dell'alienante, sul rilievo che, come si è detto, l'ordine di demolizione deve essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto con il bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento e può essere revocato soltanto nel caso in cui siano stati emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili.
Peraltro la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinchè con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi, nè implica l'insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo all'inalienabilità dei beni (ex multis, Cass. civ., Sez. 1, n. 15297 del 29/11/2000, Rv. 542252), con la conseguenza che l'ordine di demolizione può riguardare anche i beni costituenti il fondo patrimoniale familiare di cui all'art. 167 c.c., sia per la natura reale dell'ordine di demolizione e sia perchè i beni costituenti il detto fondo comunque appartengono al soggetto che ve li ha conferiti.
Allo stesso modo e per le medesime ragioni, non rileva che la rimanente quota del 50% del manufatto abusivo appartenga ad altro soggetto, che pure ha conferito il bene pro quota in un fondo patrimoniale, posto che l'ordine di demolizione ha colpito il cespite nella sua interezza in capo al comune dante causa e che perciò anche nei confronti del comproprietario l'ordine di demolizione deve essere eseguito.
3. Ne consegue che, sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non essendovi ragione di ritenere che il gravame sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va anche condannato al versamento della somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2015.