Incendi di rifiuti. spunti per una indagine di polizia giudiziaria
di Gianfranco AMENDOLA
Premessa: il fenomeno degli incendi di rifiuti e le indagini della Commissione bicamerale di inchiesta cd. "ecomafia"
Il gravissimo fenomeno degli incendi in impianti di rifiuti è stato recentemente oggetto di indagini approfondite condotte dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati 1 , i cui risultati sono stati sintetizzati in una relazione finale, pubblicata sul sito della Commissione 2 .
Rinviando alla lettura del documento, appare opportuno, in questa sede, limitarsi ad evidenziare in primo luogo il dato numerico: più di 250 incendi in impianti di rifiuti in meno di tre anni, con un vertiginoso aumento da gennaio 2015 ad agosto 2017. Cui si aggiungono almeno altri successivi 150 incendi come documentato sul suo blog dall’on. Claudia Mannino 3 .
Ma quali sono, secondo la Commissione, le cause di un fenomeno così rilevante ed in deciso aumento? Trattasi di incendi accidentali, colposi o dolosi?
Dalle risposte delle varie Procure della Repubblica alla Commissione bicamerale, risulta che almeno un terzo di questi incendi non è stato neppure segnalato alla magistratura; ma, anche quando segnalazione vi è stata, il tutto si è generalmente concluso con l'archiviazione (quasi sempre perchè ignoti gli autori) e solo nel 13% dei casi si è esercitata l'azione penale; non tanto però per il delitto di incendio, doloso o colposo (solo 5 casi), quanto -ed è significativo- per altri reati, di tipo ambientale, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti.
Ed è altrettanto significativo ricordare che, in proposito, Roberto Pennisi, magistrato della Direzione generale Antimafia, ha dichiarato che "l'autocombustione non esiste " e che dietro questi incendi "vi sono solo interessi criminali" in quanto " si brucia per coprire altri reati".
Del resto, sempre la Commissione bicamerale ha evidenziato tra le cause del fenomeno " la possibilità, determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi “liberatori” "; richiamando la circostanza che dal 2017 la Cina ha imposto un drastico giro di vite alle importazioni di rifiuti, specie italiani, chiudendo oltre seicento aziende per avere importato rifiuti non adeguatamente trattati e vietando la importazione di una serie di rifiuti solidi destinati al riciclo in quel paese; soprattutto con riferimento ai rifiuti di imballaggio in plastica ed ai rifiuti cd. “plastica e gomma”, che prima trovavano collocazione, spesso “bonaria”, nei paesi asiatici.
Ed è ancora più significativo, a questo punto, evidenziare che molti degli impianti andati a fuoco erano di supporto alla raccolta differenziata ed erano gestiti o, comunque, in rapporti commerciali da e con soggetti già indagati o condannati per reati relativi alla violazione della normativa sui rifiuti: in particolare per il delitto di traffico illecito.
Così come spesso ricorre la circostanza che trattavasi di impianti già oggetto di incendio in precedenza o di impianti per cui erano in programma o in corso controlli da parte delle autorità competenti.
Appare, quindi, fondato il sospetto che buona parte di questi incendi servano a risolvere situazioni di illegalità divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco.
Le motivazioni più probabili sono quelle collegate alla elusione dei costi connessi con una corretta gestione dei rifiuti che sono stati accolti negli impianti a fronte di un corrispettivo, spesso molto cospicuo; tanto più se si verte in un quadro di illegalità ambientale.
E questo non riguarda solo i casi più eclatanti, quando i rifiuti derivano da un traffico clandestino. Ma anche e soprattutto il caso di chi agisce in un apparente quadro di legalità ma non può permettersi di subire controlli sulla quantità dei rifiuti ricevuti e sulla qualità della sua gestione.
Un incendio, ad esempio, può servire ad evitare controlli sul combustibile da rifiuti prodotto al di fuori delle specifiche di legge, per cui l’impresa ha, tuttavia, già percepito contributo all’ingresso del rifiuto. O ad evitare che si scopra che l’impresa ha ricevuto contributi o, comunque, compensi, per rifiuti non riciclabili o non autorizzati fatti figurare in ingresso con falsi codici.
Più in particolare, appare certamente rilevante e meritevole di approfondimento la circostanza che molti degli impianti andati a fuoco rientravano nell’ambito dell’accordo ANCI-CONAI per il riciclo ed il recupero, dietro corrispettivo pubblico, dei rifiuti urbani raccolti dai Comuni. Riciclo che, ovviamente, richiede come presupposto una buona qualità della raccolta differenziata.
Sotto questo profilo, non sempre i Comuni che si presentano come “raccoglioni” sono anche “ricicloni”. Se, infatti, come spesso avviene nel nostro paese, la raccolta differenziata è di qualità scarsa, difficilmente i rifiuti potranno essere correttamente riciclati; tanto è vero che, in questi casi, devono essere mandati in discarica o bruciati come indifferenziato, in evidente contraddizione con le finalità della raccolta differenziata.
Il che, ovviamente, diminuisce i profitti. A meno che si decida di incassare i contributi e ricorrere all’incendio liberatore che tutto cancella.
La migliore conferma, del resto viene dalla relazione della Commissione bicamerale, la quale così conclude:
" Richiamata la premessa sull’impossibilità di fornire una spiegazione complessiva del fenomeno, alcuni elementi valutativi emergono comunque dall’insieme degli eventi:
- la fragilità degli impianti, spesso non dotati di sistemi adeguati di sorveglianza e controllo;
- la rarefazione dei controlli sulla gestione che portano a situazioni di sovraccarico degli impianti e quindi di incrementato pericolo di incendio;
- la possibilità, determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi “liberatori”; ".
Ed evidenzia, quindi, che " la disomogeneità delle risposta investigativa e giudiziaria, associata a una elevata “cifra oscura”, genera una differenza significativa tra numero di eventi di incendio, eventi oggetto di indagine, indagini con esiti di accertamento di cause e responsabilità degli incendi; mentre, nell’ambito dei procedimenti penali instaurati, potrebbe risultare di particolare utilità la condivisione di protocolli investigativi, con diffusione su base nazionale delle migliori prassi e omogeneità negli accertamenti e nell’esercizio dell’azione penale ;".
In altri termini, " la natura degli impianti di cui si tratta e lo svolgimento in essi di attività pericolose, richiedono una prevenzione coordinata che abbia riguardo al rilascio delle autorizzazioni in materia ambientale, alla certificazione antincendio - e al loro rinnovo - nonché a controlli non solo documentali ma anche fisici degli impianti, numericamente adeguati ", provvedendo, quindi, ad un " necessario coordinamento informativo tra Vigili del fuoco, agenzie ambientali, polizie giudiziarie specializzate e territoriali, anche costruendo una base informativa comune, che risulti coerente nel riportare la natura dei fatti e i numeri . ".
In questo quadro, è quindi evidente che il nodo dei controlli è di fondamentale importanza anche per quanto riguarda la prevenzione di questi incendi.
Del tutto emblematico in questo senso appare essere l'incendio del 2017 nell'impianto di gestione rifiuti della soc ECO X di Pomezia, rispetto al quale le indagini della Commissione bicamerale hanno evidenziato che l’impianto aveva in deposito quantità di rifiuti triple rispetto al consentito, vi erano rifiuti che non era autorizzato a ricevere, non aveva avuto controlli sull’attività nonostante un (giustamente) preoccupato esposto degli abitanti della zona; e, soprattutto, non aveva presidi antincendio né alcun piano di emergenza come prescritto dalla legge. Anzi, era stato addirittura diffidato a mettersi in regola dai vigili del fuoco e non aveva ottemperato, senza altra conseguenza che un decreto penale di condanna a minima pena pecuniaria.
E', quindi, pienamente condivisibile l'assunto della Commissione bicamerale secondo cui "il contesto necessario è quello di una adeguata programmazione di controlli, anche con gli strumenti pianificatori riservati al Sistema nazionale di protezione ambientale ai sensi della legge n. 132 del 2016 che tenga in debito conto la complessa realtà dell’impiantistica allargando lo sguardo agli impianti apparentemente minori ma potenzialmente a rischio. Una piena e totale conoscenza dello stato degli impianti da parte delle autorità competenti al controllo potrà poi garantire l’accertamento delle conseguenze ambientali derivate dall’evento, sia a fini di tutela della salute che, in sede giudiziaria, di valutazione della ricorrenza dei delitti di inquinamento ambientale ovvero di disastro ambientale, considerato che un incendio, come tale anche giuridicamente qualificato, in un impianto di trattamento di rifiuti o in una discarica, incide significativamente su più matrici ambientali; infine, l’attenzione successiva all’evento dovrà appuntarsi sulla conformazione della bonifica e sull’eventuale omessa bonifica ".
In questo contesto, appare evidente da un lato, come vedremo, la insufficienza della norma sulla combustione illecita dei rifiuti, varata nel 2014, la quale si riferisce solo agli incendi appiccati a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata (cd. " roghi tossici") e dall'altro la necessità che i controlli presso gli impianti di gestione dei rifiuti siano preventivi e mirati a verificare il rispetto non solo delle norme direttamente tese a prevenire incendi, ma anche di quelle che possono avere una rilevanza indiretta per prevenire, contrastare e minimizzare il fenomeno ed i suoi effetti.
Non solo, quindi, le specifiche norme antincendio rientranti nella competenze dei vigili del fuoco ma anche la normativa relativa alla sicurezza sul lavoro che prevede l'obbligo per il datore di lavoro di predisporre piani e strumenti per prevenire e intervenire su incendi nei luoghi di lavoro. E, soprattutto, proprio per quanto sopra illustrato, la normativa ambientale in tema di autorizzazioni, tracciabilità e gestione dei rifiuti al fine precipuo di accertare qualità e quantità dei rifiuti stoccati, rispetto delle prescrizioni, vicende societarie e contributi richiesti o ricevuti.
In proposito, sembra opportuno evidenziare subito che, a nostro sommesso avviso, in caso di incendio di rifiuti, è sempre opportuno preservare immediatamente, con un sequestro, l'area interessata al fine di accertare elementi probatori su cause e responsabilità nonchè richiedere l'intervento di ARPA e delle autorità sanitarie, la cui efficacia dipende direttamente dalla conoscenza della quantità e qualità dei rifiuti andati a fuoco.
Intervento che appare rilevante anche al fine di identificare ulteriori ipotesi di reato connesse al verificarsi dell'incendio quali, come vedremo, i delitti di inquinamento e disastro ambientale.
Da ultimo, ma non per importanza, si segnala l'opportunità di svolgere, in ogni caso, approfondite indagini circa l’operato degli organi pubblici che dovevano controllare il rispetto della normativa di prevenzione e l'adozione di provvedimenti adeguati.
In conclusione, questo scritto si propone, seguendo le indicazioni della Commissione bicamerale, di delineare alcune possibili linee di intervento operativo per una indagine a tutto campo di polizia giudiziaria mirata a prevenire incendi di rifiuti, ovvero ad accertare eventuali responsabilità per un incendio già verificatosi. A tal fine, si provvederà a sintetizzare le normative applicabili di cui, rinviando ad altre opere per gli opportuni approfondimenti, verranno messi in rilievo solo gli aspetti più pertinenti rispetto all'oggetto.
La normativa sulle industrie insalubri
La pericolosità per ambiente e salute degli impianti che gestiscono rifiuti è nota al legislatore sin dal secolo scorso.
Il Testo Unico delle Leggi Sanitarie (RD 27 luglio 1934 n. 1265), infatti, dopo aver stabilito che le industrie insalubri devono, di regola, essere fuori del centro abitato e sottostare a particolari cautele (art. 216), ricomprende, tramite il D.M. 5 settembre 1994, nell'elenco di queste industrie sostanzialmente tutti gli impianti di gestione di rifiuti (inclusi gli autodemolitori); demandando attuazione e responsabilità di questi precetti al sindaco il quale è " titolare di un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate insalubri, ... e l’esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo…. Inoltre può estrinsecarsi con l’adozione, in via cautelare, di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità... " 4 anche con "ordini suscettibili di essere portati ad esecuzione forzata" 5 .
Trattasi, quindi, di norma ampia ed elastica che attribuisce importanti poteri-doveri, anche ai fini della prevenzione, al sindaco, a tutela della salute e dell'ambiente.
Ma purtroppo viene troppo spesso ignorata come dimostrato dalla frequente installazione di impianti di gestione di rifiuti in pieno centro abitato senza adeguata valutazione preventiva 6 .
La normativa del D. Lgs. 152/06
Come abbiamo detto, molto spesso le indagini su incendi di rifiuti hanno portato a evidenziare, come presupposti, la sussistenza di reati previsti dalla parte quarta del D. Lgs. 152/06 nonchè del delitto di traffico illecito di rifiuti oggi previsto dall'art. 452-quaterdecies c.p. (ex art. 260 D. Lgs 152/06) 7 .
Rinviando ad altre opere 8 per una disamina di questi reati, sembra sufficiente, in questa sede, ribadire che, ai fini della problematica in esame, una seria indagine, preventiva o successiva (ad un incendio) deve, in primo luogo, controllare il rispetto della normativa ambientale in tema di autorizzazioni, tracciabilità e gestione dei rifiuti soprattutto per accertare provenienza, qualità, quantità e tempo di permanenza dei rifiuti stoccati, vicende societarie e contributi richiesti o ricevuti.
Indagine che si rivela, peraltro, indispensabile, dopo un incendio, al fine di accertarne le reali responsabilità ("incendio liberatorio"?).
A tal fine, ovviamente, è rilevante l'immediato sequestro probatorio di tutta la documentazione amministrativa, e, in particolare, delle autorizzazioni, del registro di carico e scarico e dei formulari di trasporto al fine di verificare in loco la rispondenza della situazione reale a quella cartacea, anche e soprattutto con riferimento alla provenienza ed alla classificazione dei rifiuti nonchè alle prescrizioni dell'autorizzazione. E contestualmente acquisire presso l'autorità competente tutta la documentazione relativa, appunto, alle vicende dell'autorizzazione, ai controlli precedentemente effettuati (con esito e relativi, eventuali provvedimenti) ed ai contributi eventualmente percepiti.
Così come, agli stessi fini, se vi è stato incendio, è indispensabile procedere subito, come già abbiamo anticipato, al sequestro probatorio di tutta l'area relativa all'impianto andato a fuoco, chiedendo l'intervento della ASL e dell'ARPA competenti per verificare la classificazione dei rifiuti stoccati (urbani, speciali o pericolosi) rispetto a quelli oggetto della autorizzazione 9 .
Giova ricordare, a questo punto, che, all'esito di questi controlli, sarà anche possibile qualificare esattamente la natura giuridica del deposito di questi rifiuti.
Infatti, come meglio sintetizzato nello schema seguente, ai sensi del D. Lgs. 152/06, un deposito di rifiuti può essere qualificato come deposito incontrollato, deposito temporaneo, stoccaggio o discarica. Con tutti gli obblighi e divieti conseguenti.
ABBANDONO-DEPOSITO INCONTROLLATO, DISCARICA, DEPOSITO TEMPORANEO, STOCCAGGIO
DISCARICA : AREA ADIBITA A SMALTIMENTO DEI RIFIUTI MEDIANTE OPERAZIONI DI DEPOSITO SUL SUOLO O NEL SUOLO, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno (art. 2, comma 1, lett. g, D.Lgs. n. 36/2003) |
Obbligo di autorizzazione, del rispetto delle prescrizioni + obblighi particolari (art. 256) |
DEPOSITO TEMPORANEO: RAGGRUPPAMENTO DEI RIFIUTI EFFETTUATO, PRIMA DELLA RACCOLTA, NEL LUOGO IN CUI SONO PRODOTTI, se ricorrono alcune condizioni (art. 183, comma 1, lett. bb) |
- obbligo del registro di carico e scarico e divieto di miscelazione - non può mai superare il limite massimo di 1 anno, anche se normalmente è bimestrale o trimestrale - in assenza delle condizioni previste dalla legge, si può ipotizzare un deposito incontrollato-abbandono - Se supera l'anno può diventare discarica (art. 2, comma 1, lett. g, D.Lgs. n. 36/2003) |
STOCCAGGIO : DEPOSITO DI RIFIUTI IN ATTESA DI RECUPERO, TRATTAMENTO O SMALTIMENTO, qualora non ricorre la ipotesi di « deposito temporaneo » (ad esempio, perché effettuato dopo la raccolta ovvero non nel luogo di produzione): |
- Comunque, anche se autorizzato come stoccaggio, non può mai superare il limite massimo di 1 anno se la destinazione è lo smaltimento, e di 3 anni se la destinazione è il recupero o il trattamento
N.B Se si tratta di rifiuti non pericolosi destinati a recupero tramite procedura semplificata , lo stoccaggio non può avvenire per un periodo superiore ad 1 anno (art. 7, comma 2 D.M. 5 febbraio 1998), mentre, se si tratta di rifiuti pericolosi, il limite è di sei mesi e può essere esteso di ulteriori 2 mesi solo «qualora ricorrano motivate situazioni tecniche riguardanti la gestione dell'impianto, delle quali deve essere tempestiva notizia alla Provincia » (art. 4, comma 1, lett. c, D.M. 12 giugno 2002 n. 161). |
DEPOSITO INCONTROLLATO O ABBANDONO: DEPOSITO DI RIFIUTI (diverso dalla discarica) EFFETTUATO IN MODO TALE DA EVIDENZIARE IL DISINTERESSE DEL DETENTORE PER LA LORO SORTE OVVERO IN DIFFORMITA’ DI NORME SPECIFICHE |
Divieto (artt. 192, 255 e 256) |
In questo quadro, vale la pena di evidenziare che, come risulta dallo specchietto di cui sopra, ai sensi del D. Lgs 36/2003, un deposito di rifiuti superiore ad un anno (se deposito temporaneo) o, al massimo a 3 anni (se stoccaggio) viene considerato ex lege discarica abusiva, purchè l'area dove avviene il deposito sia destinata a ricettacolo permanente di rifiuti 10 .
E pertanto, in questo caso, risulta applicabile l'art. 256, comma 3, D. Lgs. 152/06 il quale, tra l'altro, prevede che "a lla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi"; dove, ovviamente, il reato di cui si parla non riguarda l'incendio ma la gestione di una discarica abusiva.
Con tutte le conseguenze in tema di sequestro preventivo (v. appresso).
La normativa antincendio
Quanto alla normativa antincendio, essa, per quanto interessa in questa sede, si basa sul D. Lgs. 8 marzo 2006, n. 139 ( Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229. ) e sul DPR 1 agosto 2011, n. 151 ( Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi... ); e ruota attorno al CPI (certificato prevenzione incendi) che " attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose, individuati, in relazione alla detenzione ed all’impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano in caso di incendio gravi pericoli per l’incolumità della vita e dei beni ed in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza... "; e viene rilasciato dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco "a conclusione di un procedimento che comprende il preventivo esame ed il parere di conformità sui progetti, finalizzati all’accertamento della rispondenza dei progetti stessi alla normativa di prevenzione incendi, e l’effettuazione di visite tecniche, finalizzate a valutare direttamente i fattori di rischio ed a verificare la rispondenza delle attività alla normativa di prevenzione incendi e l'attuazione delle prescrizioni e degli obblighi a carico dei soggetti responsabili delle attività medesime ".
A parte le sanzioni specifiche previste da questa normativa, appare importante ricordare che "q ualora l’esito del procedimento rilevi la mancanza dei requisiti previsti dalle norme tecniche di prevenzione incendi, il Comando provinciale non provvede al rilascio del certificato, dandone comunicazione all’interessato, al sindaco, al prefetto e alle altre autorità competenti ai fini dei provvedimenti da adottare nei rispettivi ambiti. Le determinazioni assunte dal Comando provinciale sono atti definitivi " (art. 16, comma 40, D.Lgs. 139/2006). Anzi, " qualora nell'esercizio dell'attività di vigilanza siano rilevate condizioni di rischio, l'inosservanza della normativa di prevenzione incendi ovvero l'inadempimento di prescrizioni e obblighi a carico dei soggetti responsabili delle attività, il Corpo nazionale adotta, attraverso i propri organi, i provvedimenti di urgenza per la messa in sicurezza delle opere e dà comunicazione dell'esito degli accertamenti effettuati ai soggetti interessati, al sindaco, al prefetto e alle altre autorità competenti, ai fini degli atti e delle determinazioni da assumere nei rispettivi ambiti di competenza " (art. 19, comma 3, D. Lgs cit.); incluso il divieto di prosecuzione dell'attività (art 4, commi 2 e 3 DPR 151/2011). Nello stesso quadro, " f erme restando le sanzioni penali previste dalle disposizioni vigenti, il prefetto può disporre la sospensione dell’attività nelle ipotesi in cui i soggetti responsabili omettano di richiedere: il rilascio ovvero il rinnovo del certificato di prevenzione incendi... " (art. 20, comma 59 D. Lgs cit.).
In conclusione, dai brevi cenni di cui sopra appare evidente il ruolo centrale dei VV.FF. per la prevenzione incendi; e pertanto, è necessario accertare, per ogni caso, se si è ottemperato alle norme di legge finalizzate a tale prevenzione, se sono state impartite prescrizioni e se si è proceduto a controllo per verificarne l'ottemperanza; nonchè i provvedimenti (oltre, ovviamente, alle sanzioni penali) adottati in caso di inadempienza a tutela della incolumità pubblica.
Tenendo conto che la moltiplicazione delle competenze (VV.FF., sindaco e prefetto) certamente non aiuta nell'accertamento di eventuali responsabilità omissive, in un paese in cui tutti si professano competenti al momento del potere ma incompetenti al momento delle responsabilità.
La normativa per la sicurezza dei lavoratori
Limitandoci anche in questo caso allo stretto indispensabile, sembra sufficiente ricordare che la normativa base è contenuta nel D. Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 (ex D. Lgs. 626/1984) sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, e, in particolare, nell'art. 46 che, per quanto interessa, giova riportare integralmente:
1. La prevenzione incendi è la funzione di preminente interesse pubblico, di esclusiva competenza statuale, diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell'ambiente.
2. Nei luoghi di lavoro soggetti al presente decreto legislativo devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori.
3. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 e dalle disposizioni concernenti la prevenzione incendi di cui al presente decreto, i Ministri dell'interno, del lavoro e della previdenza sociale, in relazione ai fattori di rischio, adottano uno o più decreti nei quali sono definiti:
a) i criteri diretti atti ad individuare:
1) misure intese ad evitare l'insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi;
2) misure precauzionali di esercizio;
3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio;
4) criteri per la gestione delle emergenze;
b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione.
4. Fino all'adozione dei decreti di cui al comma 3, continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al decreto del Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998.
Lo strumento attraverso cui attuare queste disposizioni è costituito dal DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) che il datore di lavoro deve predisporre a seguito di una valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, inclusi, ovviamente, i rischi da incendio di cui all'art. 46. Ed è, quindi, a questo documento che occorre far riferimento per valutare la ottemperanza agli obblighi di legge; e, in particolare, ai sensi del comma 4 dell'art. 46, ai criteri stabiliti in proposito dal D.M. 10 marzo 1998, di cui si ritiene opportuno riportare gli stralci più significativi (omettendo gli allegati):
D.M. 10 marzo 1998
Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro
Art. 2 - Valutazione dei rischi di incendio
1. La valutazione dei rischi di incendio e le conseguenti misure di prevenzione e protezione, costituiscono parte specifica del documento di cui all'art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 626/1994.
2. Nel documento di cui al comma 1 sono altresì riportati i nominativi dei lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e di gestione delle emergenze, o quello del datore di lavoro, nei casi di cui all'art. 10, comma 1, del decreto legislativo n. 626/1994.
3. La valutazione dei rischi di incendio può essere effettuata in conformità ai criteri di cui all'allegato I.
4. Nel documento di valutazione dei rischi il datore di lavoro valuta il livello di rischio di incendio del luogo di lavoro e, se del caso, di singole parti del luogo medesimo, classificando tale livello in una delle seguenti categorie, in conformità ai criteri di cui all'allegato I:
a) livello di rischio elevato;
b) livello di rischio medio;
c) livello di rischio basso.
Art. 3 - Misure preventive, protettive e precauzionali di esercizio
1. All'esito della valutazione dei rischi di incendio, il datore di lavoro adotta le misure finalizzate a:
a) ridurre la probabilità di insorgenza di un incendio secondo i criteri di cui all'allegato II;
b) realizzare le vie e le uscite di emergenza previste dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, di seguito denominato DPR n. 547/1955, così come modificato dall'articolo 33 del decreto legislativo n. 626/1994, per garantire l'esodo delle persone in sicurezza in caso di incendio, in conformità ai requisiti di cui all'allegato III;
c) realizzare le misure per una rapida segnalazione dell'incendio al fine di garantire l'attivazione dei sistemi di allarme e delle procedure di intervento, in conformità ai criteri di cui all'allegato IV;
d) assicurare l'estinzione di un incendio in conformità ai criteri di cui all'allegato V;
e) garantire l'efficienza dei sistemi di protezione antincendio secondo i criteri di cui all'allegato VI;
f) fornire ai lavoratori una adeguata informazione e formazione sui rischi di incendio secondo i criteri di cui all'allegato VII.
OMISSIS
Art. 4 - Controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio
1. Gli interventi di manutenzione ed i controlli sugli impianti e sulle attrezzature di protezione antincendio sono effettuati nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, delle norme di buona tecnica emanate dagli organismi di normalizzazione nazionali o europei o, in assenza di dette norme di buona tecnica, delle istruzioni fornite dal fabbricante e/o dall'installa-tore.
Art. 5 - Gestione dell'emergenza in caso di incendio
1. All'esito della valutazione dei rischi d'incendio, il datore di lavoro adotta le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio riportandole in un piano di emergenza elaborato in conformità ai criteri di cui all'allegato VIII.
2. Ad eccezione delle aziende di cui all'articolo 3, comma 2, del presente decreto, per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di 10 dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando l'adozione delle necessarie misure organizzative e ge-stionali da attuare in caso di incendio.
Art. 6 - Designazione degli addetti al servizio antincendio
1. All'esito della valutazione dei rischi d'incendio e sulla base del piano di emergenza, qualora previsto, il datore di lavoro designa uno o più lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, ai sensi dell'articolo 4, comma 5, lettera a), del decreto legislativo n. 626/1994, o se stesso nei casi previsti dall'articolo 10 del decreto suddetto.
2. I lavoratori designati devono frequentare il corso di formazione di cui al successivo articolo 7. OMISSIS
Art. 7 - Formazione degli addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell'emergenza
1. I datori di lavoro assicurano la formazione dei lavoratori addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell'emergenza secondo quanto previsto nell'allegato IX.
Appare, quindi, indispensabile acquisire sempre, e al più presto, il DVR (la cui materia è competenza dell'apposito servizio della ASL).
Il delitto di combustione illecita di rifiuti
Dopo aver sommariamente ricordato la normativa-presupposto, è ora di passare all'esame delle norme specificamente attinenti alla combustione di rifiuti.
In proposito, vale la pena di leggere integralmente l'art. 256-bis aggiunto al D. Lgs. 152/06 dall'art. 3 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6, recante " Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate " 11 .
Art. 256-bis D. Lgs. 152/06
(Combustione illecita di rifiuti)
1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata e' punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile e' tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica .
2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 12 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti.
3. La pena e' aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 e' commesso nell'ambito dell'attivita' di un'impresa o comunque di un'attivita' organizzata. Il titolare dell'impresa o il responsabile dell'attivita' comunque organizzata e' responsabile anche sotto l'autonomo profilo dell'omessa vigilanza sull'operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all'impresa o all'attivita' stessa; ai predetti titolari d'impresa o responsabili dell'attivita' si applicano altresi' le sanzioni previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 .
4. La pena e' aumentata di un terzo se il fatto di cui al comma 1 e' commesso in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
5. I mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o in impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell'articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e che non si configuri concorso di persona nella commissione del reato. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale e' commesso il reato, se di proprieta' dell'autore o del concorrente nel reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.
6. Si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) 13 ».
OMISSIS
In sostanza, quindi, si configurano tre delitti:
1) la combustione illecita di rifiuti (comma 1);
2) la combustione illecita di rifiuti pericolosi (comma 1);
3) l'abbandono, il deposito incontrollato, la raccolta, il trasporto, la spedizione o comunque la gestione senza autorizzazione di rifiuti in funzione della successiva combustione illecita (comma 2).
Trattasi di delitti pensati evidentemente con riferimento ai cd "roghi tossici" della "terra dei fuochi", tanto è vero che la combustione è illecita solo se riguarda rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata; e, quindi, non si applica ad un incendio di rifiuti regolarmente depositati o stoccati in un impianto di trattamento o di smaltimento 14 (o anche in un cassonetto). Anche se, ovviamente, le conseguenze su ambiente e salute sono le stesse.
Così come, sempre per la stessa impostazione, manca la previsione della ipotesi colposa 15 .
Tuttavia, in ogni caso, esiste la clausola di salvaguardia " Salvo che il fatto costituisca più grave reato"; e pertanto resta, comunque, applicabile (ed eventualmente prevale) il delitto di incendio, (art. 423 c.p.) che punisce con la reclusione da tre a sette anni "chiunque cagiona un incendio" anche di cosa propria (comma 2); e prevede anche l'ipotesi colposa (reclusione da uno a cinque anni, art. 449 c.p.). Trattasi, come è noto, di un delitto contro l'incolumità pubblica e pertanto la giurisprudenza richiede costantemente, per la sua integrazione, che si tratti di " un fuoco distruggitore, dalle proporzioni notevoli, che tende a diffondersi e non è facile da estinguere " 16 ; condizioni quasi sempre riscontrabili ictu oculi nell'incendio di un impianto di rifiuti; mentre, nella combustione illecita " il legislatore .. per ritenere integrato il delitto di cui all’art. 256- bis sembra accontentarsi della presa delle fiamme sui rifiuti, indipendentemente dalla propagazione del fenomeno (anche solo potenziale). Il reato, dunque, si configurerà anche nel caso di un rogo individuale, circoscritto e senza alcuna possibilità di diffusione nello spazio " 17 .
Conclusione confermata dalla suprema Corte la quale ha evidenziato che la fattispecie incriminatrice dell'art. 256-bis, comma 1, D. Lgs 152/06 " si configura come reato di pericolo concreto e di condotta (<<appicca il fuoco>>) nel quale non assume rilievo, per la sua integrazione, l'evento dannoso, reato di pericolo concreto, perchè dalla condotta di appiccare il fuoco deriva il concreto pericolo per l'ambiente e per la collettività, rappresentando una concreta applicazione del principio di precauzione " 18 .
Di notevole interesse, ai fini del presente lavoro, si appalesa il comma 5, in quanto, ricorrendone le condizioni, prevede la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti destinati alla combustione illecita nonchè dell'area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del concorrente nel reato.
Confisca obbligatoria e sequestro. Cenni
Giova, a questo punto, inserire alcuni cenni particolarmente rilevanti per le indagini con riferimento, appunto, alle ipotesi di confisca obbligatoria prevista dalla legge ed ai riflessi in tema di sequestro preventivo.
A tal fine si ricorda che, come più volte evidenziato dalla Cassazione, "quando il sequestro preventivo sia strumentale alla confisca non occorrono le esigenze cautelari ..........I presupposti per l'applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo, di cui al comma secondo dell' art. 321 c.p.p. (sequestro in vista della futura confisca ) sono costituiti, da un lato, dal fatto che, pure solo in linea astratta, sia configurabile, sulla base degli elementi già acquisiti, un reato ..., e dall'altro , dalla circostanza che le cose da sottoporre a sequestro siano suscettibili di confisca... sicchè solo nel caso in cui, ictu oculi, sia da escludersi, alla stregua delle risultanze processuali conseguite o in base alle norme giuridiche, rispettivamente, la sussistenza di una qualsiasi fattispecie criminosa oppure la confiscabilità delle cose, il sequestro si rivelerà illegittimo... " 19 .
Insomma, le esigenze cautelari su cui si fonda ogni sequestro preventivo sono presunte ex lege, qualora, come in questi casi, sia prevista confisca obbligatoria in caso di condanna o patteggiamento.
Inoltre, " le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono essere restituite in nessun caso all’interessato, anche quando siano state sequestrate dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e per finalità esclusivamente probatorie " 20 . "Il sequestro non può essere revocato , ai sensi dell'art. 324 comma 7 cod.pen, quando, per tassativo disposto legislativo (art. 240, comma 2 cod.pen. o norme speciali, come nella specie l'art. 259, comma 2 d.lgs. n. 152/2006 ) sia prevista la confisca obbligatoria ." 21 . E, infine, nello stesso quadro, " la figura del “ dissequestro temporaneo ” al di là del nome, ha lo scopo, così come l’autorizzazione al temporaneo accesso ai luoghi in sequestro sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria ed altre similari procedure, di consentire il momentaneo accesso alle cose in sequestro per le finalità di volta in volta prospettate ed oggetto di valutazione da parte di chi riceve l’istanza, al fine di impedire che un eventuale accoglimento si risolva, sostanzialmente, nel consentire la ripresa dell'attività illecita interrotta dall'apposizione del vincolo. Deve quindi escludersi che il “dissequestro temporaneo ” faccia venir meno, seppure per un periodo di tempo limitato e prestabilito, il vincolo originariamente imposto, risolvendosi, nella sostanza, nella possibilità di accedere temporaneamente al bene con modalità rigorosamente prestabilite e non derogabili ". 22
I nuovi "ecoreati". In particolare inquinamento e disastro ambientale
Come è noto, dopo 25 anni di attesa, è stata promulgata la legge 22 maggio 2015, n. 68, recante " Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente", comunemente conosciuta come la "legge sugli ecoreati", la quale introduce nel codice penale il Titolo VI-bis "Dei delitti contro l'ambiente", con 5 nuove fattispecie delittuose.
Anche per essi ci limiteremo, in questa sede, ad alcuni cenni strettamente relativi alle fattispecie che possono essere rilevanti in indagini relative a incendi di rifiuti, rinviando, per i necessari approfondimenti, ad altri lavori 23 .
Ciò premesso, appare di tutta evidenza che un incendio di rifiuti (inclusi, ovviamente, i "roghi tossici"), a meno che non sia di minime dimensioni e rigorosamente circoscritto, può provocare rilevanti conseguenze per l'ambiente e la salute a causa delle sostanze inquinanti e tossiche che sprigiona.
E pertanto, oltre all'incendio, possono essere integrati anche i delitti di inquinamento (art. 452-bis c.p.) o di disastro ambientale (art. 452-quater c.p.).
Per la parte che interessa in questa sede, il primo punisce, come fattispecie base, " con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna...." .
Il secondo , invece, prevede che " fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;
2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. "
Come si vede, il secondo delinea una fattispecie più grave del primo ma entrambi i delitti richiedono che il fatto avvenga "abusivamente". Molto si è scritto sulla opportunità dell'inserimento di questo avverbio, ma l'importante è notare subito che la Cassazione, sin dalle prime sentenze, si è premurata di ampliarne opportunamente al massimo l'ambito di operatività, precisando che la norma postula " un concetto ampio di condotta «abusiva», comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative. " 24 . E pertanto, restando alle considerazioni già svolte, anche la inosservanza delle prescrizioni in tema di ambiente, antincendi e sicurezza sul lavoro rientra in "abusivamente"; e, in presenza di nesso di causalità con uno degli eventi previsti dalle norme incriminatrici, può integrare i delitti in esame.
Così come l'intervento della suprema Corte si è rivelato prezioso per meglio delineare l'ambito delle due fattispecie.
In particolare, per il delitto di inquinamento ambientale cfr.:
Cass. pen., sez. 3, n.46170 del 3 novembre 2016 (c.c. 21 settembre 2016)
L'ambito di operatività dell'art. 452-bis cod. pen. è anche delimitato dalla ulteriore precisazione che la compromissione o il deterioramento devono essere comunque, «significativi» e «misurabili», venendo così elevato in modo considerevole il livello di lesività della condotta, escludendo i fatti di minore rilievo.
Anche in questo caso, infatti, non può prescindersi dal significato lessicale dei termini utilizzati - anch'essi non estranei al diritto ambientale, in quanto utilizzati, ad esempio, nel già citato art. 300 del d.lgs. 152\06 – considerando che il termine “significativo” denota senz'altro incisività e rilevanza, mentre “misurabile” può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile.
Cass. pen, sez. 3, n. 10515 del 3 marzo 2017 (cc 27 ott 2016)
Pur se non irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Sotto questo profilo, il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come il rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorché non irreversibile) è a loro connaturale...............
è evidente che l'endiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" - strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo
Cass. pen., sez. 3, n. 52436 del 16 novembre 2017 (cc 6 lug 2017)
Il delitto di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen., è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento che, nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare, e ai fini del sequestro preventivo (nel caso di depuratori) è sufficiente accertare il deterioramento significativo o la compromissione come altamente probabili, desunti dalla natura e dalla durata nel tempo degli scarichi abusivi
Cass. pen., sez. 3, n. 28732 del 21 giugno 2018 (Ud 27 apr 2018)
Ai fini dell’accertamento del reato di inquinamento ambientale la verifica della sussistenza dei requisiti della compromissione o del deterioramento non richiede necessariamente l’espletamento di accertamenti tecnici specifici .
Cass. pen. sez. 3, n. 50018 del 6 novembre 2018 (Ud 19 set. 2018)
Il delitto di danno previsto dall’art. 452-bis cod. pen. (al quale è tendenzialmente estranea la protezione della salute pubblica) ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006.
Cass. pen., sez. 3, n. 51475 del 14 novembre 2018 (Ud. 3 lug 2018)
L’inquinamento dell’aria, se “significativo e misurabile”, è inquadrabile nella nozione di danno ambientale di cui all'art. 300 del d. lgs. 152/2006, rientrando l'aria nel novero delle "risorse naturali".
Non appare dirimente il fatto che il comma 2 dell’art. 300, nel precisare che costituisce danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE qualsiasi deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato a una serie di elementi naturali, non contenga alcun riferimento all’aria, ma soltanto alle specie e agli habitat protetti, alle acque (interne, marine e costiere) e al terreno.
Si tratta infatti di una specificazione che non vale certo a escludere l’aria dal novero delle risorse naturali menzionate al comma 1 dell’art. 300, ma che si limita unicamente a individuare una varietà di possibili danni che non esaurisce tuttavia la casistica delle ipotesi di danno ambientale suscettibili di rientrare nell’ampia definizione normativa riferita al “deterioramento” delle “risorse naturali”, dovendosi unicamente precisare che quest’ultimo è destinato ad assumere rilievo solo ove lo stesso si riveli “significativo e misurabile”, aspetti questi che invero nel caso di specie non risultano oggetto di contestazione.
Quanto al delitto di disastro ambientale, cfr,.
Cass. pen.,sez. 3, n. 29901 del 3 luglio 2018 (cc 18 giu 2018)
Anche l’ipotesi di disastro ambientale descritta al n. 3 dell’art. 452-quater cod. pen. presuppone, come le due precedenti, che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull’ambiente in genere o su una delle sue componenti.
Nei delitti contro l’ambiente il legislatore ha inteso riferirsi alla più ampia accezione di ambiente, quella cosiddetta unitaria, non limitata da un esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell’intervento umano, ponendo in evidenza la correlazione tra l’aspetto puramente ambientale e quello culturale, considerando quindi non soltanto l’ambiente nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma anche l’ambiente inteso come risultato anche delle trasformazioni operate dall’uomo e meritevoli di tutela.
E soprattutto, quanto ai rapporti tra i due delitti cfr.:
Cass. pen., sez. 1, n. 58023 del 29 dicembre 2017 (ud. 17 mag 2017)
L'inquinamento ambientale si caratterizza per una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle matrici ambientali, degli ecosistemi o delle biodiversità.........
L'aggressione al bene giuridico e la conseguente tutela apprestata dal legislatore sono in nesso di continuità crescente nel senso che da una lesione di minore portata si passa ad una di consistenza maggiore che recupera la condotta al disastro, là dove l'alterazione assuma i caratteri dell'irreversibilità o della reversibilità, per così dire complessa, per oneri e interventi eccezionali comportamentali in funzione ripristinato ria.
Si intende, pertanto, come il rapporto che lega le due disposizioni poggi su un giudizio di valore che riserva l'intervento con il disastro ambientale ai casi di maggiore gravità, in cui la lesione risulta connotata da tratti di alterazione che producono modifiche irreversibili degli equilibri di sistema e che non permettono all'ambiente di reagire ripristinando lo status quo ante, secondo meccanismi naturali o che potrebbero indurre quel tipo di riduzione in pristino stato solo attraverso interventi etero-indotti eccezionali o di carattere particolarmente oneroso.
Per completare il quadro normativo, occorre ricordare che entrambi i delitti sono puniti anche a titolo di colpa:
Art. 452-quinquies c.p.
(Delitti colposi contro l'ambiente).
Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater e' commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.....
OMISSIS
Appare evidente, a questo punto, che un incendio di rifiuti di una certa consistenza può certamente provocare quanto meno una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dell'aria o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo (inquinamento ambientale); arrivando, nei casi più gravi a quella offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo , che integra il disastro ambientale.
Ed è altrettanto evidente che, comunque, salvo casi particolarmente eclatanti, le indagini su queste fattispecie devono necessariamente essere avallate e supportate a livello tecnico, per cui è opportuno per la p.g. avvalersi subito dell'ausilio dell'ARPA e della ASL competente, lasciando al magistrato ulteriori valutazioni ed approfondimenti anche tramite consulenti specializzati.
Gli altri "ecoreati"applicabili. Omesso controllo e omessa bonifica. Cenni
Come più volte abbiamo ripetuto, il presente lavoro vuole fornire spunti di indagine alla p.g. in relazione al fenomeno degli incendi di rifiuti.
E pertanto può accadere che, in sede di controllo, la p.g. venga ostacolata nelle sue indagini.
In proposito, vale la pena di ricordare che la legge sugli "ecoreati" prevede anche la fattispecie di "Impedimento del controllo ", tramite il nuovo art. 452-septies c.p. a norma del quale " salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l'accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni ".
Rinviando ad altre opere per approfondimenti 25 , sembra sufficiente, in questa sede, osservare che la norma incriminatrice riguarda espressamente ogni attività di controllo e vigilanza sia in campo ambientale sia in quello di sicurezza del lavoro; e pertanto riguarda proprio l'ambito di cui ci stiamo occupando. Più in particolare, l' art. 452-septies c.p. nella prima parte punisce chi impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro attraverso le condotte tipizzate di: a) diniego d'accesso; b) predisposizione di ostacoli, c) immutazione artificiosa dello stato dei luoghi. Nella seconda parte, invece, vieta, senza alcuna tipizzazione, qualsiasi condotta che, in qualsiasi modo, comprometta i risultati della predetta attività di vigilanza e controllo. Ed è appena il caso di evidenziare che trattasi anche di due diverse fasi temporali in quanto la prima (a forma vincolata) attiene al controllo, la seconda (a forma libera), invece, a quella, successiva (ma collegata), alla effettuazione del controllo, tesa ad evitare la compromissione dei risultati conseguiti.
E pertanto, opportunamente la dottrina ha osservato che " le applicazioni pratiche, avuto riguardo al tenore letterale della disposizione, paiono molteplici,perché vanno dal mero diniego di accesso ai luoghi ove deve essere effettuato il controllo, a comportamenti che rendono più difficoltoso il controllo o lo eludono, cosicché potrebbero rientrare nella fattispecie in esame condotte frequenti e ben note a chi opera nel settore della tutela penale dell'ambiente, quali, ad esempio, la predisposizione di bypass degli scarichi, il sottrarre alla vista una massiccia diluizione degli stessi, la mirata riduzione dell'attività di un impianto, l'occultamento di specifiche attività incidenti sul carico inquinante di un determinato processo produttivo e, finanche, il rifiuto della doverosa e necessaria collaborazione che determini le conseguenze descritte dalla norma in esame " 26 . Cui possiamo aggiungere, continuando l'esemplificazione con specifico riferimento all'oggetto del presente lavoro, anche l'occultamento o la distruzione di documentazione esistente presso l'azienda, il girobolla e l'informativa falsa o carente circa l'attività dell'azienda (necessaria per impostare e valutare correttamente i controlli, rischiando, altrimenti di compromettere gli esiti degli stessi).
Merita, infine, un cenno, il delitto di "Omessa bonifica" introdotto con l'art. 452-terdecies, a norma del quale "s alvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000." (comma 1); che, per quanto interessa in questa sede può certamente essere connesso alle indagini relative a combustione di rifiuti visto che l'art. 256-bis D. Lgs 152/06, già esaminato, prevede, in caso di combustione illecita, il ripristino dello stato dei luoghi.
Rinviando ad altre opere per approfondimenti 27 , appare sufficiente, in questa sede, evidenziare l'ampio ambito della fattispecie criminosa, la quale sembra avere un ruolo di "chiusura" del sistema sanzionatorio al fine di " rafforzare il complesso afflittivo del sistema e garantire effettività agli ordini di reintegro, bonifica, riparazione del danno, sparsi nella legislazione vigente, qualunque ne sia al matrice (giudiziaria, legislativa o amministrativa); e, dunque, anche se disposti per le contravvenzioni di cui al TUAMB (fatti salvi i limiti di coordinamento con l'omologa fattispecie di cui all'art. 257 TUAMB) " 28 .
Essa, quindi, riguarda non solo le ipotesi di "omessa bonifica" previste dalla nuova legge ma anche quelle già esistenti nel D. Lgs. 152/06 (ad esempio, per discarica abusiva oltre a quella, già ricordata, per combustione illecita), alcune delle quali, tuttavia, - in particolare, l'art. 257- erano già provviste di autonoma sanzione penale di tipo contravvenzionale.
Conclusioni
Una volta completata questa rapida panoramica sulla normativa applicabile, è possibile formulare e ribadire alcuni spunti per una indagine di p.g. sul fenomeno degli incendi di rifiuti.
Una prima distinzione va fatta, ovviamente a seconda che si tratti dei cd "roghi tossici" -quando il fuoco interessa ammassi di rifiuti depositati in modo incontrollato- ovvero di incendi in impianti di gestione di rifiuti.
Nel primo caso, infatti, è certamente ipotizzabile il delitto di combustione illecita (salvo ricorra quello di incendio) e la vera difficoltà consiste nella identificazione degli autori rispetto alla quale appare rilevante chiarire quale sia lo scopo dell'incendio: ad esempio, se, come spesso accade, per ricavare rame dai rifiuti combusti ovvero se per liberarsi di rifiuti oggetto di traffici illeciti. A tal fine, si può, ovviamente, ricorrere ad un sequestro probatorio dell'area e dei rifiuti combusti, ricordando altresì che, come abbiamo visto, la norma prevede, in caso di condanna o patteggiamento, la confisca obbligatoria dei mezzi di trasporto e dell'area sulla quale è stato commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del concorrente del reato; con tutte le implicazioni sopra evidenziate in tema di sequestro preventivo 29 .
Peraltro, è altamente consigliabile far installare, ove possibile, telecamere di controllo delle aree dove frequentemente si verificano questi "roghi tossici".
Ben più articolata deve essere una indagine relativa a incendi in un impianto di gestione di rifiuti, per i quali, come prima ipotesi di reato si può ricorrere all'incendio colposo e/o all'inquinamento ambientale colposo, con immediato sequestro probatorio dell'area e di tutta la documentazione.
Infatti, come abbiamo visto, in questi casi, le indagini devono riguardare non solo la dinamica dell'incendio ma anche la gestione dell'impianto con specifico riferimento alla normativa antincendio, a quella ambientale e a quella della sicurezza sul lavoro.
A tal fine è consigliabile la formazione di nuclei di indagine interforze con la partecipazione di VV.FF., Asl, e Arpa, al fine di verificare, come suggerisce la Commissione bicamerale e come già abbiamo evidenziato,
- le vicende autorizzative riguardanti i gestori degli impianti;
- le situazioni societarie, assicurative e fideiussorie degli impianti;
- la natura e misura dei materiali stoccati (se rientrino nella tipologia di rifiuti per i quali il gestore è in possesso di autorizzazione, sia con riferimento alle caratteristiche qualitative che quantitative) nonchè la loro provenienza e destinazione ed eventuali contributi percepiti o da percepire;
- il rispetto delle prescrizioni delle autorizzazioni ambientali;
- il rispetto della normativa antincendio e prevenzionistica.
Aggiungendo anche un accertamento sui controlli precedentemente effettuati e su eventuali coinvolgimenti dei gestori in altre vicende illecite relative ai rifiuti.
Tecnica di indagine che può, del resto, essere utilizzata anche e soprattutto in caso (auspicabile) di controlli preventivi.
Nella stessa direzione, peraltro, sembra muoversi l'attuale Ministro dell'Ambiente, generale Costa, il quale da un lato ha richiesto che tutti i provvedimenti relativi alla terra dei fuochi (soprattutto in tema di bonifiche) passino sotto la competenza del suo Ministero; e dall’altro che in tutta Italia i siti di stoccaggio dei rifiuti siano considerati “sensibili” e rientrino, quindi, nel piano coordinato di controllo del territorio gestito dalle Prefetture con tutte le forze dell’ordine.
Infine, in caso di incendio, è sempre necessario, come già detto, promuovere indagini tecniche per accertarne le conseguenze sull'ambiente e sulla salute; per cui sarebbe auspicabile poter avere al più presto, a cura del Ministero dell'Ambiente, un protocollo tipo ove, con la collaborazione di ISPRA e di ISS, si stabilisca, al verificarsi di un incendio di rifiuti, quali debbano essere, a livello nazionale, le rilevazioni e le misure immediate da adottare.
1 Chi scrive ha partecipato, in qualità di consulente, alle indagini ed ha collaborato alla stesura della relazione della Commissione, con particolare riferimento al caso della soc. Eco X di Pomezia.
2 CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA , Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati : Il fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, Relatori: On. Braga, Sen. Arrigoni, Sen. Puppato, On. Vignaroli , doc. XXIII, n. 35, approvato dalla Commissione nella seduta del 17 gennaio 2018.
3 Di contro, i "roghi tossici" nella "terra dei fuochi" sono nettamente diminuiti, come dimostrano i dati forniti alla Commissione bicamerale dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord con riferimento alla zona specifica delle province di Napoli e Caserta.
4 Cons. Stato, sez. 5, 15 febbraio 2001, n. 766 in Riv. giur. ambiente 2001, n. 5, pag. 627 e segg
5 Cons. Stato, sez. 5, 27 aprile 1988, n. 247
6 Sempre con riferimento alla ECO X, il sindaco di Pomezia, nel corso dell'audizione della Commissione, interrogato circa l'applicazione delle disposizioni sulle industrie insalubri, rispondeva di non aver trovato, negli incartamenti, un particolare riferimento alla normativa riguardo a questo tipo di attività.
7 Da ultimo, per un panorama aggiornato della giurisprudenza in proposito, cfr. GALANTI, I l traffico illecito di rifiuti: il punto sulla giurisprudenza di legittimità , in DPC (Diritto penale contemporaneo) 2018, n. 12
8 Ci permettiamo rinviare, anche per approfondimenti e richiami, al nostro "Il diritto penale dell'ambiente", seconda edizione, Roma 2016, pag. 141 e segg.
9 elementi che, peraltro, come abbiamo detto, sono indispensabili all'Autorità sanitaria per decidere eventuali misure per la tutela della salute e dell'ambiente nelle aree circostanti l'incendio.
10 Cfr. per tutti Cass. pen., sez. 3, 11 marzo 2009, n. 19330, Pagliara, secondo cui "i l riferimento alla durata annuale contenuto nell’articolo 2 comma 1 lettera g) del decreto legislativo n 36 del 2003 è riferito al deposito temporaneo nel senso che questo si trasforma automaticamente in discarica se l’accumulo dei rifiuti nel luogo di produzione si protrae oltre l’anno. Ai fini del concetto di discarica ciò che conta è la destinazione di un’area a ricettacolo permanente di rifiuti da parte di un determinato soggetto e non la sua durata" .
Cfr. altresì più in generale, pur se i riferimenti sono all'analoga normativa precedente del D. Lgs 22/1997, Cass. pen. , sez. 3, 30 settembre 2004, n. 1830, Savinelli: " Da tali definizioni discende che il raggruppamento di rifiuti nel luogo dove vengono prodotti, se non supera l'anno e ricorrono le altre condizioni previste dalla norma, non è soggetto ad alcuna autorizzazione, ma solo all'obbligo del registro di carico e scarico; se supera l'anno diventa discarica punibile ex art. 51 terzo comma decreto legislativo citato; se non supera l'anno ma evidenzia il mancato rispetto degli altri i limiti previsti dalla norma, diventa deposito incontrollato punibile, secondo l'orientamento di questa sezione, a norma del comma secondo dell'articolo 51 (cfr. per tutte Cass. 4957 del 2000, Rigotti). Il raggruppamento di rifiuti in attesa di recupero, trattamento o smaltimento, qualora non ricorra l'ipotesi del deposito temporaneo (perchè effettuato non nel luogo di produzione), diventa stoccaggio e quindi smaltimento, se riguarda rifiuti destinati allo smaltimento, o recupero se riguarda rifiuti destinati al recupero (art. 6 comma 1, lett. 1 D.Leg.vo n. 22 del 1997), a condizione che sia ora contenuto nei termini fissati dall'art. 2 lett. g) D.Legvo n. 36 del 2003), altrimenti diventa discarica . L'area in cui i rifiuti vengono abbandonati in maniera non occasionale o sporadica, quando assume una univoca destinazione alla definitiva ed incontrollata ricezione di rifiuti con immediato impatto ambientale, diventa discarica (Cass. Pen. Sez. 3^ 6163 del 1998) ".
11 Per un primo esame si rinvia a BATTARINO; I drammatici fuochi. Un esempio di diritto penale simbolico, in Questione Giustizia, 7 gennaio 2014, nonchè al nostro Combustione di rifiuti: un commento al DL "Terra dei fuochi" in Ambiente e sicurezza sul lavoro 2014, n. 1, pag. 60 e segg. In dottrina, per un approfondito esame critico della norma, cfr. VERGINE, Tanto tuonò....che piovve! A proposito dell’art. 3, D.L. n. 136/2013 , in Ambiente e sviluppo, 2014, n. 1, pag. 7 e segg., secondo cui "la proposizione di una nuova incriminazione scritta con precipitosa approssimazione da addetti che evidentemente non hanno fatto studi approfonditi di diritto penale, è azione priva di costrutto e ad alto tasso di autolesionismo ".
12 cioè: abbandono, deposito incontrollato, raccolta, trasporto, spedizione o comunque gestione senza autorizzazione di rifiuti
13 cioè i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali. In proposito, per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare, da ultimo, al nostro La combustione di rifiuti vegetali. Il quadro attuale della regolamentazione e delle sanzioni , in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, www. rivistadga.it , marzo 2018.
14 Dai lavori preparatori sembra di capire che tale limitazione sia dovuta alla preoccupazione del legislatore che la fattispecie potesse essere utilizzata contro i cd "termovalorizzatori" (che bruciano rifiuti). Preoccupazione, francamente, del tutto infondata visto che si tratta di impianti regolarmente autorizzati e disciplinati dalla legge. Comunque, sarebbe bastato aggiungere "abusivamente", utilizzando un avverbio tanto caro, anche a sproposito, al nostro legislatore ambientale.
15 Già l'espressione "appiccare il fuoco" esclude un fatto colposo. Trattasi, peraltro della stessa espressione usata dall'art. 424 c.p. (" Danneggiamento seguito da incendio").
16 Cfr. per tutti, da ultimo, Cass. pen., sez. 3, 7 aprile - 8 agosto 2017, n. 38983, la quale parla di " fiamme di vaste proporzioni, dalla notevole capacità distruttiva, quando esse possano facilmente progredire, rendendo difficili le operazioni di spegnimento.. ."
17 ALBERICO, Il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti, in DPC , 17 febbraio 2014, pag. 8, cui si rinvia per approfondimenti e richiami.
18 Cass. pen., sez. 3, 17 novembre 2017 (dep.), n. 52610, in www.dirittoambiente.net.
19 Cass. pen., sez. 3, 20 luglio 2017, n. 35796, in www.dirittoambiente.net, 2017
20 Cass. pen. , c.c. 20 marzo 2014, n. 28442, Guarnieri (fattispecie relativa mezzo soggetto a confisca obbligatoria, ai
sensi dell’art. 260 ter, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006)
21 Cass. pen. c.c. 6 dicembre 2016, n. 17917, in www.ambientediritto.it, 2017
22 Cass. pen. c.c. 12 giugno 2018, n. 39275, in www.ambientediritto.it, 2018
23 Ci permettiamo rinviare, anche per richiami, al nostro Il diritto penale dell'ambiente, cit. , pag. 307 e segg. In particolare per una approfondita disamina dei due delitti e per richiami, si rinvia per tutti a RAMACCI,Ambiente in genere. Il "nuovo" disastro ambientale, in www.lexambiente. it , 10 novembre 2017
24 Cass. pen., sez. 3, c.c. 21 settembre - 3 novembre 2016, n.46170
25 Si rinvia, per tutti, anche per richiami, a RUGA RIVA Il delitto di impedimento del controllo (art. 452-septies c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito in www. lexambiente.it, 3 novembre 2017, nonchè al nostroIl nuovo delitto di impedimento del controllo. Primi appunti, ivi, 18 dicembre 2015
26 RAMACCI, Prime osservazioni sull'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 , in www.lexambiente.it , 8 giugno 2015
27 Ci permettiamo rinviare, anche per richiami, al nostroIl nuovo delitto di "omessa bonifica": primi appunti, in www.lexambiente.it, 30 ottobre 2015
28 SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli "ecodelitti": una svolta "quasi" epocale per il diritto penale dell'ambiente , in DPC 2015, pag. 25
29 ovviamente, se sono stati identificati gli autori del reato