Cass. Sez. III n. 35803 del 19 settembre 2012 (Ud. 17 apr. 2012)
Pres. Squassoni Est. Fiale Ric. Armeli ed altro
Urbanistica. Nozione di manutenzione straordinaria
Per manutenzione straordinaria l'art. 3. 1° comma - lett. b), del T.U. n. 380\2001 [con definizione già fornita dall'art. 31, 1° comma - lett. b), della legge n. 457/1978] ricomprende in tale nozione le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso. La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro di ordine strutturale consistente nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione. Interventi devono essere inoltre effettuati nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania, con sentenza del 20.5.2011, in parziale riforma della sentenza 22.11.2007 del Tribunale di Caltagirone:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di A. M.G. e C.C. in ordine ai reati di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire, un fabbricato in cemento armato in unica elevazione, su una superficie di mt. 7,60 x 9,90 - acc. in (OMISSIS));
- agli artt. 64, 65, 71 e 72, cit. D.P.R.;
- agli artt. 94 e 95, cit. D.P.R.;
b) confermava le pene inflitte dal primo giudice - riconosciute circostanze attenuanti genetiche alla sola C. e unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. - di mesi uno di arresto ed Euro 14.000,00 di ammenda per l' A. e di giorni 20 di arresto ed Euro 9.000,00 di ammenda per fa C.;
c) confermava l'ordine di demolizione delle opere abusive e la concessione del beneficio della sospensione condizionale delle pene per entrambi gli imputati, subordinato, per il solo A., alla effettiva demolizione da eseguirsi entro un anno dalla formazione del giudicato;
d) concedeva alla C. l'ulteriore beneficio della non-menzione della condanna.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e della illogicità della motivazione:
- la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell'attività di edificazione abusiva alla C., In quanto "l'opera realizzata è stata commissionata interamente dal marito A.;
- la inconfigurabilità del reati, poichè sarebbero stati eseguiti lavori di mera "manutenzione straordinaria" o, comunque, opere Integranti "pertinenza" di una costruzione contigua;
- la illegittimità della mancata valutazione dell'intervenuta estinzione del reato urbanistico in seguito alla presentazione di domanda di sanatoria ai sensi della L. n. 47 del 1985, art 13;
-- la illegittimità del diniego di espletamento di una consulenza tecnica "volta a quantificare con esattezza i lavori effettuati";
- la Illegittimità del diniego all' A. di circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non-menzione della condanna;
- la incongrua subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta all' A. alla effettiva demolizione delle opere abusive;
- la prescrizione del reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.
1. In ordine atto ritenuta responsabilità della C. per l'esecuzione della costruzione abusiva, deve rilevarsi che la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sui quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sfa a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fendo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il commettente o l'esecutore dei lavori abusivi.
Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; dell'eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo durante l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa fa compartecipazione, anche morate, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa vedi Cass., Sez. HI: 27,9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 16.4.2003, n. 16756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzato; 12.1.2005, n. 2l6, Fucciofo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32656, Farzone. La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell'area interessata dal manufatto, dall'esistenza di un consapevole contributo all'integrazione dell'illecito, ma grava sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale).
Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito - con motivazione adeguata ed immune da vizi logico- giuridici - hanno ricondotto anche alla C. l'attività di edificazione illecita in oggetto sui rilievi che ella era comproprietaria del fondo su cui sono state realizzate le opere abusive, ne aveva fa disponibilità giuridica e di ratto, era interessata alla realizzazione della nuova costruzione, era presente in cantiere al momento dell'accertamento degli abusi e non ha prospettato nè dimostrato che la costruzione sia avvenuta con il suo dissenso.
2. L'attività edilizia concretamente realizzata non può ricondurre alla manutenzione straordinaria, in quanto l'art. 3, comma 1, lett. b), del cit. T.U. con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. b), ricomprende in tale nozione 7e opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonchè per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitarì e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche dette destinazioni d'uso".
la legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che f lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superaci delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione.
Interventi siffatti devono essere inoltre effettuati nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formati nella loro originaria edificazione (vedi C. Stato, Sez. 5: 25.11.1999, n. 1971 e 8.4.1991, n. 460).
Nella fattispecie in esame, invece, risulta accertato in punto di ratio che è stato posto in essere un intervento di nuova costruzione (non di rinnovazione o sostituzione di parti di un edificio preesistente) comportante la realizzazione ex novo di autonome superaci e volumetrie.
3. Correttamente la Corte territoriale ha poi escluso che l'opera abusiva in oggetto costituisca "pertinenza" rispetto ad una costruzione contigua (rimasta non specificamente individuata quanto alla consistenza ed alle caratteristiche). La nozione di pertinenza urbanistica vedi, ad esempio, Cass., Sez. 3: 16.10.2008, n. 42738, Fusco; 20.3.2006, n. 25113, Castriciano; 9.12.2004, Bufano; 27.11.1997, Spanò ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale sono comunque assoggettati a permesso di costruire ex art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.).
Il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integratone ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentante funzionale), sicchè non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un fabbricato che completi un altro edificio affinchè soddisfi ai bisogni cui è destinato.
4. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del cit. T.U. (già della L. n. 47 del 1985, art. 13): la relativa richiesta è stata presentata in data 26.10.2006 e, ai sensi del comma 3 della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, la richiesta medesima deve intendersi "rifiutata".
L'Amministrazione comunale non ha certamente perduto il potere di provvedere in merito all'Istanza, poichè questo può essere legittimamente esercitato anche una volta formatosi il silenzio- rifiuto, ma allo stato non si ravvisa la causa estintiva del reato prevista dall'art. 45, cit. T.U. nè sussiste attualmente (come non sussisteva al momento della celebrazione del giudizio di appello) alcun motivo di sospensione del procedimento.
5. Nel vigente codice di procedura penale la rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nei dibattimento già svoltosi.
L'ipotesi di rinnovazione del dibattimento prevista dall'art. 603 cod. proc. pen., comma 1 riguarda prove preesistenti o già note alla parte ed è subordinata alla condizione che il giudice di appello ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (giudizio che, se sorretto da motivazione adeguata, non è censurabile in sede di legittimità).
L'impossibilità di decidere atto stato degli atti può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano Incerti nonchè quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza.
Nella fattispecie in esame risulta incontestabile, sulla base delle testimonianze e della documentazione raccolte, l'irrilevanza assoluta del richiesto espletamento di una consulenza tecnica "volta a quantificare con esattezza i lavori effettuati".
Una consulenza siffatta, Inoltre, non può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva", essendo un mezzo di accertamento neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità dei giudice.
6. Le attenuanti genetiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e detta capacità di delinquere dell'imputato.
Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, fa concessione o il diniego delle attenuanti genetiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sta, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi.
favorevoli o sfavorevoli, dedotti dato parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'Indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito - per quanto concerne la posizione dell' A. - nel corretto esercizio dei potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge - in carenza di congrue dementi di segno positivo - ha dedotto logicamente prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputato dal plurimi precedenti penali dello stesso.
Alla stregua di tale valutazione anche il beneficio della non- menzione della condanna risulta legittimamente denegato.
7. Le Sezioni Unite -- con la sentenza 3.2.1997, n. 714, Luongo, alle cui diffuse argomentazioni, condivise da questo Collegio, si rinvia - - hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva.
Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, la visione di un giudice supplente della pubblica Amministrazione, in quanto è il territorio a costituire l'oggetto della tutela posta dalle relative norme penali: non può affermarsi, pertanto, che la legge riserva all'autorità amministrativa ogni tipo di intervento nella materia e, avendo l'ordine di demolizione la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ben può trovare applicazione l'art. 165 cod. pen..
8. I reati non erano prescritti al momento della pronuncia della sentenza impugnata.
L'accertamento risale al 30.5.2006, allorquando la costruzione era ancora in corso, e la scadenza del termine ultimo prescrizionale sarebbe maturata, pertanto, il 30.5.2011.
Va computata inoltre (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi 5 e giorni 16, in seguito a rinvii disposti su richiesta dei difensore dal 5.7 al 19.10.2007 e dal 18.3 al 20.5.2011 non per esigenze di acquisizione della prova nè a causa del riconoscimento di termini a difesa.
Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 15.11.2011.
La inammissibilità dei ricorso non consente, però, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell'atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, De Luca).
9. Tenuto conto detta sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè, per ciascun ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille/00 Euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2012