Consiglio di Stato Sez. VII n. 10029 del 12 dicembre 2024
Urbanistica.Caratteristiche della pergotenda
Perché possa parlarsi di “pergotenda” è necessario che l’opera, per le sue caratteristiche strutturali e per i materiali utilizzati, non solamente non determini la stabile realizzazione di nuovi volumi/superfici utili, ma deve anche trattarsi di una struttura leggera, non stabilmente infissa al suolo, sostanzialmente idonea a supportare una “tenda”, anche in materiale plastico, ma a condizione che: - l’opera principale sia costituita, appunto, dalla “tenda” quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno; - la struttura rappresenti un mero elemento accessorio rispetto alla tenda, necessario al sostegno e all’estensione della stessa; - gli elementi di copertura e di chiusura (la “tenda”) siano non soltanto facilmente amovibili, ma anche completamente retraibili, in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di elementi di fissità, stabilità e permanenza tali da creare uno spazio chiuso, stabilmente configurato che possa alterare la sagoma ed il prospetto dell’edificio “principale”. Si deve trattare, in altre parole, di un elemento di arredo che migliora la fruibilità di uno spazio esterno senza avere le caratteristiche per trasformarlo in spazio abitabile. Infatti la “pergotenda” è sostanzialmente un manufatto destinato a riparare dal sole o dagli agenti atmosferici, collocato all’esterno di un edificio caratterizzato da una struttura fissa che sorregge una tenda, che ne costituisce l’elemento caratterizzante principale: come si intuisce dal nome, che nato dalla fusione del termine “pergola/pergolato” con il termine “tenda”, si tratta un manufatto che svolge le funzioni di copertura proprie del pergolato, non già per mezzo di vegetazione o di listoni ombreggianti, ma, come già precisato, con una tenda, che può avere anche carattere retrattile (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 12/12/2024
N. 10029/2024REG.PROV.COLL.
N. 05173/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5173 del 2021, proposto da
Vigliotti Vincenzo in proprio e in qualità di amministratore unico della Società Onair Italia Network S.r.l., rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Leone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pomigliano D'Arco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso Erra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Mabiro' S.r.l.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Manolo Iengo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Condominio Castaldo, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 02367/2021, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pomigliano D'Arco e di Mabiro' S.r.l.S.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 dicembre 2024 il Cons. Roberta Ravasio, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams";
Udito per le parti l’avvocato Alfonso Erra e dato atto che le altre parti costituite hanno depositata istanza per il passaggio della causa in decisione senza discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il sig. Vincenzo Vigliotti é proprietario di un locale commerciale sito nel Comune di Pomigliano d’Arco, alla Piazza Giovanni Leone.
2. Nello spazio pubblico antistante la Mabirò s.r.l., esercente l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, installava nel febbraio 2020 una struttura destinata al posizionamento di tavolini e sedie a servizio della clientela.
3. Esercitato l’accesso agli atti l’appellante apprendeva che la Maribò aveva ottenuto l’autorizzazione permanente alla occupazione di suolo pubblico n. 6 del 23 gennaio 2020, ed aveva presentato una CILA il 19 febbraio successivo.
4. Con istanza del 14 maggio 2020 l’odierno appellante chiedeva al Comune di Pomigliano d'Arco di verificare la regolarità urbanistica della menzionata struttura, contestualmente diffidando l’Amministrazione a prendere gli opportuni provvedimenti per salvaguardare la legittimità urbanistica e la repressione degli abusi edilizi.
4. L’istanza rimaneva priva di riscontro, e il sig. Vigliotti si determinava quindi ad impugnare, con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sia l’autorizzazione n. 6/2020 sia il silenzio sulla istanza del 14 maggio 2020.
5. Con successivi motivi aggiunti il ricorrente impugnava anche la relazione del Comune di Pomigliano d’Arco prot. n. 321/UT del 29 luglio 2020, inerente alla situazione contenziosa, con la quale l’Amministrazione dava riscontro formale alla istanza del 14 maggio 2020, unitamente al presupposto verbale di sopralluogo n. 25/PME del 21 maggio 2020.
6. Con sentenza n. 2367 del 13 aprile 2021 il T.a.r. respingeva sia il ricorso principale che i motivi aggiunti.
7. Avverso la suddetta sentenza il sig. Vigliotti ha proposto appello, articolato in tre motivi di doglianza.
8. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Pomigliano d’Arco e la controinteressata Mabirò s.r.l., insistendo per la reiezione del gravame.
9. La causa è stata chiamata all’ udienza straordinaria del 4 dicembre 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
10. L’appello è affidato ai seguenti motivi:
(i) erroneità della sentenza nella parte in cui afferma non fosse necessario il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione della struttura di cui di discute, e inapplicabili alla stessa le norme sulle distanze: a sostegno della doglianza l’appellante richiama precedenti giurisprudenziali dai quali si evincerebbe che opere di caratteristiche analoghe, in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, nonché idonee ad alterare lo stato dei luoghi, sarebbero escluse dall’ambito dell’attività di edilizia libera.
(ii) erroneità della sentenza nella parte in cui afferma che la normativa in tema di distanze si applica unicamente agli edifici e non ai gazebo o, comunque, alle strutture simili a quella per cui è causa: osserva l’appellante che anche il regolamento COSAP del Comune ammette la possibilità di derogare alle distanze prescritte dal d.m. n. 1444/1968 solo “per i manufatti di modesta mole di arredo urbano o di servizio ai trasporti, chioschi, gazebo, cabine telefoniche, opere artistiche, ecc.”, tra i quali non può includersi la struttura per cui è causa; l’appellante sostiene, inoltre, che l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra “pareti finestrate” di edifici antistanti, detterebbe un principio generale ed inderogabile, teso alla fissazione di un minimo standard igenico-sanitario, ben applicabile anche alla parete vetrata di un gazebo; ribadisce, infine, la censura di primo grado secondo cui il provvedimento autorizzatorio impugnato sarebbe stato rilasciato in violazione degli artt. 45-47 del regolamento comunale COSAP, che vietano l’occupazione degli spazi adiacenti altri esercizi commerciali, nonché per mancanza della necessaria autorizzazione sismica.
(iii) erroneità della sentenza nella parte in cui, rigettando la domanda volta a censurare il silenzio inadempimento del Comune di Pomigliano d’Arco, ha condannato alle spese di causa il sig. Vigliotti: l'odierno appellante sottolinea che, in mancanza di comunicazioni, non poteva sapere che l’Amministrazione aveva dato corso alla istanza del 14 maggio 2020 eseguendo un sopralluogo il 21 maggio 2020: del resto, la relazione finale, del 29 luglio 2020, non gli è mai stata comunicata ed è stata conosciuta dall’appellante solo a seguito del deposito della stessa nel fascicolo di causa in data 29 luglio 2020, da parte dell’amministrazione resistente.
11. Le censure possono essere esaminate congiuntamente, e sono fondate.
12. Ai fini della comprensione di quanto si dirà è però necessario premettere una descrizione della struttura per cui è causa, per come emergente dalla istanza presentata dalla Maribò s.r.l., dall’autorizzazione n. 6/2020 e dal verbale di sopralluogo del 21 maggio 2020.
12.1. Nella relazione asseverata allegata alla CILA si legge che la struttura, definita “pergotenda” – ma indicata invece come “gazebo” negli elaborati grafici -, è composta da una pedana della superficie di 60 mq, finalizzata a neutralizzare la naturale pendenza della piazza Giovanni Leone, non infissa al suolo pubblico e priva di fondamenta: detta pedana, di altezza variabile da 15 cm a 30 cm, è sormontata da una struttura commercialmente nota come “CUBO”, integrata da tubolari in alluminio con sezione di circa 120 mm x 120 mm, “opportunamente ancorati alla pedana in ferro e/o al suolo”: in pratica si tratta di una serie di travi verticali e orizzontali e verticali, destinati a sorreggere, sui lati, dei pannelli di plexigrass di altezza non superiore a 150 cm, oltre a un telo retrattile in PVC con funzione di copertura, ed un portone di ingresso; l’altezza complessiva risulta di circa mt. 2,80.
12.2. Tanto premesso in punto di fatto, il Collegio ritiene che la struttura in argomento non può qualificarsi quale opere di edilizia libera, in particolare sub specie di “gazebo” o “pergotenda”.
12.3. E’ necessario rammentare che le suddette tipologie di opere edilizie sono indicate, nel Glossario Edilizia Libera di cui al Decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 2 marzo 2018, tra le opere di cui all’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001: ciò significa che le opere quali tende, tende a pergola, pergotende, coperture leggere di arredo, possono considerarsi opere di edilizia libera non in qualsiasi situazione, ma se ed in quanto afferenti ad “aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”: nel caso di specie la struttura insiste direttamente su una piazza pubblica, che – in quanto tale – non può considerarsi né “area ludica” – come potrebbe essere, invece, un parco – né un’area “pertinenziale” all’esercizio commerciale della Maribò s.r.l., dovendosi escludere a priori che un’area appartenente al demanio pubblico possa svolgere una azione “servente” rispetto ad un edificio privato. Tali considerazioni già evidenziano che la realizzazione di un “gazebo” o di una “pergotenda” su un’area di viabilità pubblica non può ritenersi di edilizia libera, a meno che non si tratti di opere serventi rispetto ad un esercizio pubblico (ad esempio: un locale ristorante di proprietà comunale dato in concessione), e sempre che non si tratti di una pubblica via, che non può equipararsi ad uno spazio “ludico” (in argomento si veda anche Cons. Stato, II, n. 1489 del 13 febbraio 2023, par. 15.3 e 15.4)
12.4. Va inoltre ricordato che in giurisprudenza è ormai consolidato l’orientamento secondo cui perché possa parlarsi di “pergotenda” “è necessario che l’opera, per le sue caratteristiche strutturali e per i materiali utilizzati, non solamente non determini la stabile realizzazione di nuovi volumi/superfici utili, ma deve anche trattarsi di una struttura leggera, non stabilmente infissa al suolo, sostanzialmente idonea a supportare una “tenda”, anche in materiale plastico, ma a condizione che: - l’opera principale sia costituita, appunto, dalla “tenda” quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno; - la struttura rappresenti un mero elemento accessorio rispetto alla tenda, necessario al sostegno e all’estensione della stessa; - gli elementi di copertura e di chiusura (la “tenda”) siano non soltanto facilmente amovibili, ma anche completamente retraibili, in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di elementi di fissità, stabilità e permanenza tali da creare uno spazio chiuso, stabilmente configurato che possa alterare la sagoma ed il prospetto dell’edificio “principale” (ex multis, fra le più recenti, Cons. Stato, Sez. II, n. 2053 del 15 marzo 2024). Si deve trattare, in altre parole, di un elemento di arredo che migliora la fruibilità di uno spazio esterno senza avere le caratteristiche per trasformarlo in spazio abitabile.” (Cons. Stato, VI, n. 8349 del 18 ottobre 2024). Infatti “La “pergotenda” è sostanzialmente un manufatto destinato a riparare dal sole o dagli agenti atmosferici, collocato all’esterno di un edificio caratterizzato da una struttura fissa che sorregge una tenda, che ne costituisce l’elemento caratterizzante principale: come si intuisce dal nome, che nato dalla fusione del termine “pergola/pergolato” con il termine “tenda”, si tratta un manufatto che svolge le funzioni di copertura proprie del pergolato, non già per mezzo di vegetazione o di listoni ombreggianti, ma, come già precisato, con una tenda, che può avere anche carattere retrattile.”.
12.5. Ad avviso del Collegio la struttura realizzata dalla Maribò non risponde alle caratteristiche che la giurisprudenza indica come proprie delle “pergotende”: essa definisce, infatti, un ingombro ben determinato e significativo – in sostanza un cubo della superficie di 60 mq. per circa 2,80 di altezza - ed anche un volume, tenuto conto della tompagnatura realizzata ai lati con pannelli di plexigrass e con il portone di accesso a doppia anta, e della copertura; inoltre, proprio nella relazione asseverata che accompagna la CILA si specifica che i tubolari di alluminio sono “opportunamente ancorati alla pedana in ferro e/o al suolo”, non escludendosi quindi un ancoraggio diretto al suolo pubblico; la relazione tecnica dell’ing. Andolfo, pure allegata alla CILA, riferisce, a pag. 2, che la sola pedana risulta avere un peso proprio di 10 kg/mq (e quindi di 600 kg, complessivamente), oltre a 15 kg/mq per il rivestimento in legno del pavimento (900 Kg complessivamente): a tali carichi va aggiunto quello della tenda ( 0,85 Kg,/ml), quello del profilo frangitratta (0,954 Kg/ml), delle travi di scorrimento (2,80 Kg/ml) e del piantone (1,80 Kg/ml). Si tratta, insomma, di una struttura che, ancorché non ancorata al suolo, ha comunque un peso assai significativo, in particolare la pedana, verosimilmente voluto per dare stabilità alla struttura di alluminio soprastante, che ad essa è stata necessariamente ancorata, ragione per cui risulta arduo considerarla quale struttura “leggera” o destinata ad essere rimossa dopo un breve periodo di tempo.
12.6. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che la struttura in argomento non potesse essere trattata quale opera di edilizia libera, soggetta solo a una CILA, ma avrebbe dovuto essere considerata quale nuova costruzione, necessariamente soggetta a permesso di costruire.
12.7. Quanto al fatto che alla struttura in argomento dovesse applicarsi la distanza di 10 mt. prevista dal d.m. 1444/1968, coglie nel segno la censura che secondo cui la ratio della previsione di cui all’art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444/68 è quella di assicurare luminosità, salubrità e igiene, ragione per cui essa è considerata inderogabile e prevalente sulle contrastanti previsioni di regolamenti locali successivi (ex multis: Cass. Civ. II, n. 624 del 15 gennaio 2024: “In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444 del 1968, essendo stato emanato sulla base dell'art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942 (cd. legge urbanistica), aggiunto dall'art. 17 della l. n. 765 del 1967, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica.”) e può essere derogata solo in presenza di apposito piano particolareggiato ( ex multis: Cass. Civ. II, n. 236 del 4 gennaio 2024) . Né una deroga all’obbligo di rispettare la distanza di dieci metri, prevista dal citato art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444/68, potrebbe discendere dalla natura pubblica del suolo occupato e dal fatto che l’edificio in cui l’appellante ha il proprio esercizio confini con la via pubblica: infatti la deroga alla distanza tra le costruzioni che confinano con piazze e pubbliche vie, prevista dall'art. 879, comma 2, c.c., si riferisce solo a quella disciplinata dall'art. 873 c.c., essendo fatto salvo dalla disposizione l'obbligo di rispettare la disciplina in materia di distanze prevista dalle leggi e dai regolamenti, tra cui rientra quella di cui all'art. 9, comma 2, d.m. lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5264 del 14 dicembre 2016). L’obbligo di rispettare tale distanza sussiste, pertanto, anche per una costruzione che, come quella in esame, pur non essendo realizzata in muratura e non essendo completamente chiusa, è comunque idonea a comprimere, seppure solo parzialmente, la luminosità, la salubrità e l’igiene tra edifici.
12.8. Inconferente è il richiamo che nella appellata sentenza si fa al Regolamento COSAP di Pomigliano d’Arco, laddove si legge che “il regolamento edilizio comunale, all’art. 2.34.10 dell’allegato D, prevede che possano derogare alle distanze prescritte dal d.m. n. 1444/1968, richiamato nello stesso regolamento al precedente art. 2.34.6, i manufatti di modesta mole di arredo urbano o di servizio ai trasporti, chioschi, gazebo, cabine telefoniche, opere artistiche, ecc.”: tale affermazione, come ben rilevato dall’appellante, non considera che l’art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 41-quinquies, commi 6, 8, 9, della l. n. 1150 del
1942, in ragione del quale la giurisprudenza consolidata attribuisce all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 efficacia di norma primaria, tale da essere automaticamente applicabile in sostituzione delle diverse norme contenute in regolamenti o strumenti urbanistici comunali. (Cons. Stato, Sez. V, 11 settembre 2019, n. 6136; Cass. civ., II, 29 maggio 2006, n. 12741). Inoltre, si tratta di norma che, per la sua genesi e per la sua funzione igienico-sanitaria, costituisce un principio assoluto e inderogabile (Cass. civ., II, 26 luglio 2002, n. 11013), che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (Corte Cost., sentenza n. 232 del 2005), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni, in quanto derivante da una fonte normativa statale sovraordinata.
12.9. Nel caso di specie tra la struttura realizzata dalla Maribò s..r.l. e il locale commerciale di proprietà dell’appellante intercorre una distanza ben inferiore ai dieci metri imposti dall’art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444/68.
12.10. Fondata risulta anche la censura relativa alla violazione del Regolamento COSAP del Comune di Pomigliano d’Arco, che agli artt. 45 e 47 vieta la occupazione di suolo “degli spazi adiacenti gli altri esercizi commerciali”. Questa norma deve essere interpretata tenendo presente, non solo il fatto che essa tutela il c.d. diritto di affaccio sulla via pubblica degli esercizi commerciali, ma anche il fatto che tale diritto deve essere assicurato nello stesso modo a tutti gli esercizi commerciali, essendo strumentale anche alla tutela della concorrenza, che potrebbe risultare distorta ove un esercizio fosse messo in grado di fruire di uno spazio pubblico maggiore di quello riservato ad altri. E’ proprio per tale ragione che il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’occupazione di uno spazio pubblico antistante a un esercizio commerciale, da parte di altro esercente, può essere consentita solo con il consenso espresso del titolare del primo, da considerarsi “non già come atto di rinuncia all’utilizzo commerciale dell’area antistante il locale, bensì come espressa dichiarazione che l’utilizzo di quell’area da parte di terzi non incide sul pieno godimento e sulla piena utilizzabilità, anche commerciale, dei propri locali” (Cons. di Stato, V, sent. n. 3402/2013). Tale consenso, nella fattispecie, non è stato espresso dall’appellante.
13. Le suesposte considerazioni danno ragione della fondatezza dei motivi d’appello e delle corrispondenti censure di primo grado, respinte con la appellata sentenza, risultando da sole sufficienti a determinare l’annullamento della autorizzazione alla occupazione di suolo pubblico rilasciata alla maribò s.r.l.
14. Merita di essere accolta anche la censura afferente la condanna delle spese del giudizio relativamente alla domanda sul silenzio. Essa non andava respinta, ma doveva, piuttosto, essere dichiarata improcedibile a seguito della produzione in giudizio, da parte dell’Amministrazione, della relazione del 29 luglio 2020; non risultando, poi, che il Comune abbia mai riscontrato l’istanza del 14 maggio 2020 del sig. Vigliotti, comunicandogli personalmente l’esito del sopralluogo del 21 maggio 2020, la domanda in questione non può ritenersi essere stata proposta avventatamente.
15. In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, l’appellata sentenza va totalmente riformata.
16. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie; per l’effetto, in totale riforma della appellata sentenza così provvede:
- dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio mantenuto dal Comune di Pomigliano d’Arco sulla istanza presentata dall’appellante il 14 maggio 2020;
- accoglie il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, e per l’effetto annulla l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico n. 6/2020, rilasciata dal predetto Comune alla Maribò s.r.l.;
- condanna le parti resistenti costituite in giudizio al pagamento, in favore di parte appellante, alle spese del doppio grado, che si liquidano in €. 6.000,00 (seimila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
Roberto Michele Palmieri, Consigliere