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La bonifica dei siti contaminati nel D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in materia ambientale
di Alberto AMOROSO
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1. Dai valori tabellari all’analisi di rischio
Nella parte quarta del nuovo D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 recante “norme in materia ambientale” ([1]), entrato in vigore il 29 aprile 2006 dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri in espletamento della delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione ambientale conferita dalla Legge n. 308/2004, è stata ridefinita la normativa in materia di bonifica dei siti contaminati.
La novità più rilevante è senz’altro rappresentata dall’ introduzione dell’analisi di rischio sanitario, che permette di stimare con precisione il rischio associato allo stato di contaminazione di un determinato sito e di definire obiettivi di bonifica sito specifici, in grado di ridurre entro limiti accettabili i rischi per la salute umana.
Purtroppo con l’analisi di rischio sanitario non viene valutato il rischio ecologico, ossia il rischio subito dagli ecosistemi naturali terrestri ed acquatici a causa dell’esposizione ad una determinata contaminazione. Ciò impedisce di considerare gli standards individuati con l’analisi di rischio sanitaria sufficientemente cautelativi rispetto ai rischi per l’ambiente naturale.
È bene, peraltro, ricordare che lo strumento dell’analisi di rischio non rappresenta una novità assolta, in quanto già l’art. 5, comma 1 del D.M. n. 471/1999 aveva previsto la possibilità di ricorrere in via residuale all’analisi di rischio ai fini della redazione del progetto definitivo di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza ([2]).
L’operatività del nuovo strumento presuppone il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), definiti dall’art. 240, comma 1, lett. b come “i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5 alla parte quarta del presente decreto”, che coincidono con gli attuali valori di concentrazione limite di accettabilità previsti nell’Allegato 1 del D. M. n. 471/1999.
Alla successiva lettera b dell’art. 240, comma 1, viene aggiunto che nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali di inquinamento che abbiano determinato il superamento di uno o più valori CSC, i livelli di inquinamento, pur se superiori ai limiti anzidetti, si devono considerare come “valori di fondo” ([3]) e dunque non determinano obbligo di bonifica. In tal caso il valore CSC potrà dirsi superato soltanto se la concentrazione della sostanza inquinante risulta superiore alla somma del valore di fondo presente nel sito e del valore CSC previsto in allegato per la sostanza in ipotesi.
Sembra francamente azzardato applicare il beneficio del valore di fondo indifferentemente a tutti i siti ubicati in aree interessate da fenomeni di inquinamento di origine umana, senza curarsi di escludere quei siti dove vengono svolte le medesime attività antropiche da cui si genera l’inquinamento che si propaga per tutta l’area circostante. Si assisterebbe, altrimenti, al paradosso di innalzare i limiti di concentrazione (CSC) a soglie potenzialmente ben più larghe di quelle stabilite dagli allegati del decreto, proprio a favore di quei siti localizzati in aree interessate dalle forme di inquinamento più gravi e pervasive.
Un volta accertato il superamento dei valori soglia di CSC, predefiniti nell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del nuovo decreto, con la successiva analisi di rischio si dovrà pervenire all’individuazione dei veri e propri valori di accettabilità dell’inquinamento del sito ovvero delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), il cui superamento richiede l’attivazione degli interventi di bonifica. Tali valori di concentrazione sito specifici, sono definiti dall’art. 240, comma 1, lett. c come “ i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell’allegato I alla parte quarta del presente decreto e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito”.
Per i siti di ridotte dimensioni quali, ad esempio, la rete di distribuzione carburanti oppure per eventi accidentali che interessino aree circoscritte, anche nell’ambito di siti industriali, di superficie non superiore a 1000 metri quadri, l’allegato 4 al Titolo V della Parte quarta prescrive delle procedure semplificate di bonifica. Soltanto in quest’ultima ipotesi, qualora venga riscontrato un inquinamento con superamento dei valori CSC, il responsabile può scegliere tra due opzioni di bonifica riportando i valori di contaminazione del sito ai livelli di soglia di contaminazione CSC, senza effettuare l’analisi di rischio, oppure riportando i valori di contaminazione del sito ai livelli di soglia di rischio CSR effettuando l’analisi di rischio.
2. La nuova procedura di bonifica
L’introduzione dell’analisi di rischio rappresenta, certo, la novità più vistosa della nuova disciplina, ma non si può ignorare tutta una serie di rilevanti cambiamenti.
La normativa in corso di emanazione introduce una sostanziale revisione della soglia di tutela apprestata dall’ l’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 che come è noto, assoggetta all’obbligo di bonifica chiunque, anche in maniera accidentale, cagioni il superamento ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione ambientale dei suoli, delle acque superficiali e sotterranee in relazione alla particolare destinazione d’uso dei siti.
Il primo comma dell’art. 242, del decreto stabilisce, invece, che al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito ([4]), il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera entro ventiquattro ore le necessarie misure di prevenzione ([5]) e ne da immediata comunicazione ai sensi e secondo le modalità previste dall’art. 304, relativo all’azione di prevenzione del danno ambientale. Pertanto, i destinatari della comunicazione saranno il Comune, la Provincia e la Regione territorialmente competenti nonché il Prefetto della Provincia il quale nelle ventiquattro ore successive dovrà informare dell’accaduto il Ministro dell’Ambiente.
La mancanza di un esplicito riferimento a forme di contaminazione “accidentale” dovrebbe implicare il passaggio dal sistema di responsabilità oggettiva previsto dall’art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997 ad un sistema di imputazione di responsabilità fondato sull’accertamento della colpevolezza. Nella pratica, potrebbe risultare estremamente difficoltoso provare la colpevolezza del singolo inquinatore soprattutto quando si deve stabilire se nello svolgimento di una determinata attività di gestione di un processo produttivo che ha cagionato l’inquinamento sia stata commessa una negligenza o un’imprudenza.
Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, bisogna rilevare l’abbandono della nozione di “superamento ovvero pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione ambientale” sostituita da quella di“evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito”, al comma 1 dell’art. 242. Considerando la definizione di “sito potenzialmente contaminato” contenuta nell’at. 240, comma 1, lett. d ([6]), sarebbe stato, forse, preferibile optare per l’espressione “evento che determina una situazione di potenziale superamento dei valori di concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)”. È, infatti, palese che il verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito coincide già con la situazione di superamento di uno o più valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) rilevate nelle matrici ambientali. Ma allora, se si è gia in presenza di un evento che ha determinato il superamento dei valori CSC, non avrebbe più senso la previsione dell’ulteriore fase procedurale prevista ai successivi commi 2 e 3 dell’art. 242 in cui è stabilito che il responsabile della contaminazione debba svolgere un “indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento” volta ad accertare se siano o meno stati superati i valori soglia CSC.
La procedura appena descritta si deve applicare anche all’atto dell’individuazione di “contaminazioni storiche”, ovvero preesistenti rispetto alla entrata in vigore della normativa in esame, quando possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione. Si intende fare qui riferimento a quelle fonti di inquinamento attive che sono potenzialmente capaci di espandersi oltre le matrici ambientali originariamente interessate.
Rimanendo al comma 1 dell’art. 242, non sfugge una dimenticanza del legislatore delegato che, insieme alle misure di prevenzione, ha omesso di menzionare le misure di messa in sicurezza di emergenza ([7]) tra i possibili interventi da porre in essere nell’immediatezza per fronteggiare l’ evento di inquinamento. L’impressione che si tratti di una semplice svista viene corroborata dalla lettura dell’allegato 3 al Titolo V dove è stabilito che gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza ([8]) devono essere attuati tempestivamente a seguito di incidenti o all’individuazione di una chiara situazione di pericolo di inquinamento dell’ambiente o di rischio per la salute umana, per rimuovere o isolare le fonti di contaminazione e attuare azioni mitigative per prevenire ed eliminare pericoli immediati verso l’uomo e l'ambiente circostante.
Si noti che contrariamente a quanto avveniva nel vigore della disciplina del D.M. n. 471/1999, la messa in sicurezza di emergenza non costituisce più un adempimento di carattere generalizzato, ma viene adesso subordinata al verificarsi di una delle situazioni espressamente qualificate come condizioni di emergenza ([9]).
Al comma 2 dell’art. 242 è previsto che “il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, e ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia superato, provvede al ripristino della zona contaminata dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo”.
La stesura della norma della norma appena richiamata presenta altre incongruenze lessicali, rispetto ai modelli definitori previsti dall’art. 240. In particolare, all’espressione “zona contaminata”, utilizzata per indicare le zone in cui il livello di CSC non risulti superato, sarebbe stata preferibile l’espressione “zona non contaminata” ([10]), atteso che se non viene rilevato un superamento di CSC, non può parlarsi nemmeno di “sito contaminato”([11]). Del resto, nell’ipotesi in cui sia appurato il superamento di un valore CSC, dalla successiva analisi di rischio potrebbe comunque risultare che la quota di inquinamento presente è comunque inferiore al limite sito specifico CSR fissato in esito della stessa analisi di rischio e pertanto, nell’ ipotesi in parola, si tratterebbe sempre di sito non contaminato.
Appare eccessivamente restrittivo vincolare l’ulteriore comunicazione di avvenuta effettuazione del “ripristino ambientale”([12]), valevole come autocertificazione, al rispetto di un termine di appena 48 ore dalla comunicazione dell’evento potenzialmente in grado di contaminare il sito. Sarebbe stato meglio innalzare di qualche giorno il termine in questione, per consentire al responsabile dell’inquinamento un minimo di ponderazione nella scelta degli interventi di ripristino, che se pure applicati a fattispecie di rilievo marginale, non determinano certo una situazione urgenza tale da imporre il rispetto di un termine così esiguo.
Estremamente significativa è la parte in è stabilito che “nel caso in cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo”.
La previsione cerca di dare una soluzione al problema – tanto dibattuto in dottrina e giurisprudenza nel vigore della normativa previgente – della ripartizione della responsabilità quando venga attestata una situazione di inquinamento riconducibile alle attività esercitate sul sito da una pluralità di soggetti, sia in ordine alla tipologia di inquinante rilevato, sia in relazione al periodo a cui i vari elementi di fatto accertati consentono di ricondurre le fattispecie di inquinamento (es. area di localizzazione dell’inquinante, tipo e caratteristiche della matrice ambientale inquinata ecc…).
In un’ipotesi del genere, dovrebbe schiudersi la via ad un sistema di imputazione responsabilità basato sulla determinazione dell’effettivo contributo causale all’inquinamento apportato da ciascun soggetto che si sia succeduto nel possesso del sito. Pertanto, nel caso in cui si sono verificate distinte fattispecie di inquinamento individualmente ascrivibili, ognuno di essi dovrebbe essere chiamato a rispondere soltanto di una percentuale dei costi di bonifica in proporzione all’entità del danno derivate dall’attività svolta. Al contrario, nella diversa ipotesi in cui più soggetti si siano resi responsabili di un medesimo evento di inquinamento, permarrebbe il regime generale di solidarietà passiva.
Al successivo comma 3 è previsto che qualora l’indagine preliminare accerti il superamento dei valori CSC, anche per un solo parametro, il responsabile deve darne comunicazione al Comune ed alla Provincia competenti per territorio, descrivendo le misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza già adottate. Entro i successivi trenta giorni dovrà presentare alle perdette amministrazioni ed alla Regione il piano di caratterizzazione del sito con i requisiti previsti dall’Allegato 2 al titolo V della parte quarta del decreto.
La stessa Regione, nei trenta giorni successivi alla presentazione del piano di caratterizzazione, convoca una conferenza di servizi ed autorizza il piano in conformità alla determinazione finale della conferenza di servizi, eventualmente apportando prescrizioni integrative. Pur non essendo esplicitato quali siano gli enti invitati a partecipare alla predetta conferenza di servizi, si tratta, senza alcun dubbio, delle amministrazioni competenti a rilasciare autorizzazioni, concessioni, concerti, intese e nulla osta funzionali alla realizzazione degli interventi compresi nel piano di caratterizzazione.
Opportunamente è stato previsto che “l’autorizzazione regionale costituisce atto di assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione”, per scongiurare l’eventualità che il diniego di uno di tali atti da parte dell’amministrazione competente impedisca l’espletamento delle operazioni di caratterizzazione.
Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito viene applicata la procedura di analisi di rischio, a cui si è già fatto cenno in precedenza ed i cui criteri sono riportati nell’Allegato 1 al titolo V della parte quarta del decreto. Entro 6 mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il responsabile è tenuto a presentare i risultati dell’analisi di rischio alla Regione, la quale deve convocare una seconda conferenza di servizi in seno alla quale, entro 60 giorni, a seguito di un’istruttoria compiuta in contraddittorio col responsabile, si procede all’approvazione del documento di analisi di rischio. Anche in questo caso non viene, però, esplicitato quali siano gli enti pubblici invitati a partecipare alla conferenza.
Nel successivo passaggio normativo è stato specificato che “in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione fornisce un’adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza”.
L’accenno alla possibilità che la determinazione finale della conferenza di servizi sia raggiunta a maggioranza, non tiene conto delle recenti modifiche apportate dalla legge n. 15/2005 alla legge n. 241/1990 di disciplina generale del procedimento amministrativo. Tra queste va annoverata l’abrogazione del criterio della determinazione finale a maggioranza delle posizioni espresse ([13]) e la sua contestuale sostituzione con il criterio delle “posizioni prevalenti espresse” ex art. 14-ter, comma 6 bis ([14]). In applicazione del nuovo criterio, l’autorità procedente all’esito dei lavori della conferenza e in ogni caso trascorso il termine di novanta giorni dall’inizio dei lavori, deve adottare la determinazione conclusiva, valutate comunque le posizioni prevalenti espresse in conferenza di servizi ([15]). In pratica, se risultano prevalenti i dissensi, l’Amministrazione procedente dovrà archiviare il procedimento; se, invece, i dissensi non sono prevalenti, né qualificati, l’Amministrazione procedente potrà adottare il provvedimento conclusivo, in conformità alla determinazione finale della conferenza.
Il meccanismo decisionale previsto dall’art. 14-ter, comma 6 bis non può, comunque, operare quando in sede di conferenza dei servizi emergono dei “dissensi qualificati”, ovvero espressi da un’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, tutte materie che rivestono un preminente interesse costituzionale. In tal caso, l’amministrazione procedente dovrà rimettere la decisione finale ad un superiore livello di governo così come previsto, in via generale, dall’art. 14-quater, comma 3 della legge n. 241/1990 ([16]). L’assunzione della determinazione sostitutiva che permetterà di chiudere la fase procedimentale competerà al Consiglio dei ministri o alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Unificata, a seconda dell’ente da cui proviene il dissenso qualificato espresso durante i lavori della conferenza di servizi.
Il comma 5, art. 242 stabilisce che qualora gli esiti della procedura di analisi di rischio dimostrino che la concentrazione di contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio (CSR), la conferenza di servizi dichiara concluso il procedimento con l’approvazione dell’analisi di rischio.
Ai sensi del comma 7 dell’art. 242, se gli esiti della procedura di analisi di rischio dimostrano che la concentrazione di contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il responsabile della contaminazione deve sottoporre alla Regione, entro i sei mesi successivi all’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica ([17]) o di messa in sicurezza operativa ([18]) o permanente([19]) e ove necessario, le ulteriori misure di riparazione ([20]) e ripristino ambientale ([21]) al fine di minimizzare e ridurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.
A questo punto, la Regione convoca una terza conferenza di servizi in cui acquisisce un parere sul progetto da parte della Provincia e del Comune territorialmente competenti e successivamente, sentito anche il soggetto responsabile, approva con autorizzazione regionale il progetto operativo, con eventuali prescrizioni ed integrazioni, entro 60 giorni dal suo ricevimento ([22]).
Analogamente a quanto stabilito dall’art. 10, comma 10 del D. M. n. 471/1999 ([23]), è previsto che ai soli fini della realizzazione e dell’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione del progetto operativo e per il tempo strettamente necessario all’attuazione medesima, l’autorizzazione regionale di cui al presente comma sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente con l’ulteriore innovativa precisazione che si considerano ricompresi nell’autorizzazione la valutazione di impatto ambientale, l’autorizzazione alla gestione delle terre e rocce da scavo all’interno dell’area oggetto dell’intervento e l’autorizzazione allo scarico delle acque emunte dalle falde che si rendano eventualmente necessarie per la realizzazione degli interventi di bonifica. L'autorizzazione costituisce, altresì variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Al comma 11 viene precisato che in caso di eventi avvenuti anteriormente all’entrata in vigore della nuova normativa sulle bonifiche che si manifestano in assenza di rischio immediato per l’ambiente e per la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla Regione, alla Provincia e al Comune compenti l’esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l’entità e l’estensione con riferimento ai parametri indicati nelle CSC, ed applica la procedure previste ai commi 4 e seguenti dell’art. 242. Le modalità di avvio della fase di analisi di rischio, prevista al comma 4 dell’art. 242, andrebbero tuttavia meglio specificate ed anche in questo caso, correlate alla preventiva approvazione del piano di caratterizzazione.
La lettura del comma 13, semina ulteriori dubbi sull’operatività del procedimento relativo alle contaminazioni previste dal comma 11. Sembrerebbe, infatti che il piano di caratterizzazione ed il successivo progetto di bonifica debbano ambedue essere contestualmente approvati in conferenza di servizi, convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, le autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. Ancora una volta è stabilito che in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione fornisce un’adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza, in contrasto con l’art. 14-ter, comma 6 bis della legge n. 241/1990.
Va, invece, accolta favorevolmente la previsione di cui all’art. 243, comma 1, in base alla quale viene consentito di scaricare le acque emunte nell’ambito di interventi di bonifica della falda acquifera, nel rispetto dei limiti di emissione previsti per gli scarichi dei reflui industriali in acque superficiali disciplinati nella parte terza del presente schema di decreto ([24]).
Ai sensi dell’art. 244 dello schema di decreto, in mancanza dalla comunicazione da parte del responsabile dell’evento potenzialmente in grado di contaminare il sito, alla pubblica amministrazione è comunque data la possibilità di procedere direttamente di propria iniziativa all’accertamento di situazioni di inquinamento superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC).
In tal senso, il comma 1 dell’art. 244 stabilisce che “le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle loro funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia e al Comune competenti”.
Un importante novità è costituita dalla previsione per cui spetta alla Provincia – e non più al Comune, come attualmente previsto dall’art. 8, comma 2 del D. M. n. 471/1999 – la competenza a diffidare con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere agli adempimenti previsti a suo carico dalla nuova normativa, dopo aver svolto opportune indagini volte alla sua identificazione (art. 244, comma 2).
In base all’art. 250, se il responsabile non è individuabile o non provvede e non provvede nemmeno il proprietario del sito o altro soggetto interessato, sarà il Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, la Regione ad adottare gli interventi di cui all’art. 242.
Il comma 3 dell’art. 244 prevede che l’ordinanza emessa dalla Provincia nei confronti del responsabile deve essere notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare previsti dall’art. 253 a favore della Pubblica Amministrazione che abbia dovuto effettuare d’ufficio i predetti interventi ex art. 242, in ciò conformandosi la disposizione di cui all’ art. 8, comma 3 del D. M. n. 471/1999.
Viene stabilito che le procedure e gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale possono essere attivate su iniziativa degli interessati non responsabili ovvero, in primo luogo, del proprietario incolpevole (art. 245, comma 1). E stata, dunque, confermata la scelta operata dall’art. 9 del D. M. n. 471/1999 che già consente al proprietario incolpevole ed a qualsiasi altro soggetto che vanti un interesse qualificato sul sito (es. un usufruttuario, un creditore del proprietario che vanti un’ipoteca sul sito ecc…), di effettuare spontaneamente gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, onde liberare il sito dall’onere reale e sottrarsi agli effetti dell’applicazione del privilegio speciale immobiliare.
Rappresenta, invece, un innovazione la previsione dell’obbligo, in capo al proprietario o al gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), di darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti e di attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242. Spetterà poi alla Provincia, una volta ricevuta tale comunicazione, attivarsi per l’identificazione del soggetto responsabile (Art. 245, comma 2).
Sempre a proposito dell’art. 245, va soltanto segnalata la necessità di apportare una correzione all’attuale intitolazione “obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione” poiché, come visto in precedenza, i soggetti interessati non responsabili della contaminazione hanno soltanto la facoltà (“possono”) e non l’ “obbligo” di effettuare le procedure e gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale.
3. L’onere reale e il privilegio speciale immobiliare
L’operatività dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare sul sito è disciplinata dall’art. 253.
Per quanto riguarda l’onere reale, il comma 1 dell’art. 253 conferma che gli interventi previsti dal presente titolo, effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi dell’art. 250, costituiscono onere reale sui siti contaminati. È, poi, aggiunto che l’onere reale viene iscritto soltanto a seguito dell’approvazione del progetto i bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica, superando l’approccio interpretativo che faceva discendere il potere di iscrizione dell’onere reale sul certificato di destinazione urbanistica, da parte dalla P. A., già dal momento in cui si verifica il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori limite di contaminazione previsti dal D. M. n. 471/1999 ([25]).
Viene anche precisato che il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di un provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4).
Il comma 2 dell’art. 253 prevede che le spese sostenute per gli interventi di cui al presente titolo sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2748, comma 2 del codice civile, esercitatile anche in pregiudizio dei diritti acquisiti dai terzi sull’immobile. Scompare invece la figura del privilegio generale immobiliare a favore delle predette spese.
Peraltro, viene aggiunto che il privilegio e la ripetizione delle spese ([26]) nei confronti del proprietario del sito incolpevole possono essere esercitati solo a seguito di un provvedimento dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità (art. 253, comma 3).
4. Il sistema sanzionatorio
All’art. 257 del decreto è prevista la sanzione penale correlata all’inadempimento dell’obbligo di bonifica da parte del responsabile.
Appare fuorviante la scelta di intitolare l’articolo 257 “bonifica dei siti” poichè l’espressione in parola non allude alla condotta antigiuridica punita dalla norma, ma bensì all’attività inadempiuta dal responsabile.
Il comma 1 sottopone alla sanzione contravvenzionale dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda da euro duemilaseicento a euro ventiseimila ([27]) “chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni di rischio, se non provvede alla comunicazione di cui all’art. 242 o alla bonifica in conformità del progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti”.
Dal tenore letterale della norma non è chiaro se la comunicazione a cui si fa riferimento sia quella prevista al comma 1 dell’art. 242 decorrente al verificarsi dell’evento che sia potenzialmente in grado i contaminare il sito oppure sia quella prevista al successivo comma 3 dell’art. 242, nel caso in cui l’indagine preliminare accerti il superamento dei valori soglia di contaminazione (CSC).
È, inoltre, priva di senso la scelta di correlare l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione ad una situazione di superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), poiché nella fase procedurale in cui intervengono le due cennate comunicazioni ex art. 242 non può dirsi riscontrato il superamento dei valori di concentrazione di rischio (CSR), non essendo stata ancora effettuata l’analisi di rischio.
I successivi commi 2 e 3 ripropongono la medesima formulazione prevista dall’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22/1997.
Il comma 2 prevede che l’applicazione della pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose, mentre il comma 3 stabilisce che nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
Al comma 4 viene previsto che l’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli art. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1 dell’art. 257 e per i reati ambientali contemplati da altre leggi, qualora il medesimo evento di inquinamento integri diversi reati.
[2] L’art. 5, comma 1 del D. M. N. 471/1999 stabilisce che “qualora il progetto preliminare di cui all'articolo 10 dimostri che i valori di concentrazione limite accettabili, di cui all'articolo 3, comma 1, non possono essere raggiunti nonostante l'applicazione, secondo i principi della normativa comunitaria, delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, il Comune o, se l'intervento riguarda un'area compresa nel territorio di più comuni, la Regione, può autorizzare interventi di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza, che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria anche se i valori di concentrazione residui previsti nel sito risultano superiori a quelli stabiliti nell'Allegato 1. Tali valori di concentrazione residui sono determinati in base ad una metodologia di analisi di rischio riconosciuta a livello internazionale che assicuri il soddisfacimento dei requisiti indicati nell'Allegato 4”.
[3] Il valore di fondo consiste nel livello di concentrazione dei parametri presenti nell’area circostante al sito, derivante da fattori di origine naturale o antropica.
[4] L’art. 240, comma 1, lett. d, definisce il sito potenzialmente contaminato come “un sito nel quale uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevate nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), in attesa di espletare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario ed ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”.
[5] L’art. 240, comma 1, lett. i, definisce le misure di prevenzione come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute e per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”
[7] L’art. 240, comma 1, lett. k, definisce la messa in sicurezza di emergenza come “ ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla successiva lettera r), in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con le matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali, ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”.
[8] L’espressione “messa in sicurezza d’urgenza” adoperata negli allegati deve essere letta come sinonimo di “messa in sicurezza di emergenza”.
[9] Alla lettera r dell’art. 240, comma 1, si definiscono le condizioni di emergenza come “gli eventi al verificarsi dei quali è necessaria l’esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio:1) concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime a livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;2) presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi d’acqua superficiali o nella falda;3) contaminazione di pozzi a utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;4) pericolo di incendi ed esplosioni.”
[10] L’art. 240, comma 1, lett. f, definisce il sito non contaminato come “un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrici ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) oppure, se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) determinati a seguito dell’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica”.
[11] L’art. 240, comma 1, lett. e, definisce il sito contaminato come “un sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati con l’applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, risultino superati”.
[12] L’art. 240, comma 1, lett. o, definisce il ripristino ambientale come “gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica , costituenti completamento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla sua effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici”
[13] L’abrogato art. 14-quater comma 2 della legge n. 241/1990 stabiliva che “se una o più amministrazioni hanno espresso nell'ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest’'ultima, entro i termini perentori indicati dall'articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi. La determinazione è immediatamente esecutiva”.
[14] L’art. 14-ter comma 6 bis , della legge n. 241/1990 stabilisce che “all’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”.
[15] V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della L. n.. 241/90, (III parte), sul sito www.giustamm.it/index0/newsletter/2005/2005_4_18.htm, osserva che “mentre il criterio della maggioranza è eminentemente soggettivo, nel senso che ad ogni Amministrazione partecipante corrisponde un voto, si può ritenere che il criterio della prevalenza vada riferito al tipo e all’importanza delle attribuzioni di ciascuna Amministrazione con riferimento alle questioni in oggetto. Ne deriva che per stabilire quale sia la posizione prevalente, l’Amministrazione procedente che è responsabile di questa determinazione, dovrà avere riguardo alle singole posizioni che le diverse Amministrazioni coinvolte assumono in sede di conferenza con riferimento al potere che ciascuna di esse avrebbe di determinare l’esito, positivo o negativo, del procedimento, in base alle singole leggi di settore di cui si tratta… Come è evidente, nell’ambito della conferenza può essersi registrata una convergenza di posizioni sulle proposte dell’amministrazione procedente (e in tal caso nulla quaestio) ovvero può essersi verificato il dissenso di una o più amministrazioni coinvolte. Anche in tal caso, la conferenza può concludersi con una relazione positiva da parte dell’Amministrazione procedente la quale è tenuta a valutare la prevalenza dei consensi rispetto ai dissensi ”.
[16] L’art. 14-quater, comma 3 della legge 241/1990 stabilisce che “Se il motivato dissenso è espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni”.
[17] L’art. 240, comma 1, lett. n, definisce la bonifica come “l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stessepresenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee ad un livello, uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”.
[18] L’art. 240, comma 1, lett. l, definisce la messa in sicurezza operativa come “l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio, atti a garantire in adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o di bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate”.
[19] L’art. 240, comma 1, lett. m, definisce la messa in sicurezza permanente come “l’insieme degli interventi atti ad isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici”.
[20] L’art. 240, comma 1, lett. j, definisce le misure di riparazione come “qualsiasi azione o combinazione di azioni, tra cui misure di attenuazione o provvisoriedirette a riparare, risanare o sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati, oppure a fornire un’alternativa equivalente a tali risorse o servizi”.
[22] Nell’art. 10, comma 3 del D. M. N. 471/1999 a proposito dell’approvazione del progetto definitivo di bonifica, viene, invece stabilito che “…la Regione, approva il progetto definitivo entro novanta giorni dalla presentazione, sentita una Conferenza di servizi convocata ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche ed integrazioni, alla quale sono chiamati a partecipare gli enti locali interessati, l'ARPA competente per territorio e tutte le altre amministrazioni competenti per le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli altri atti di assenso di cui al comma 10…(omissis)”
[23] L’art. 10, comma 10 del D. M. n. 471/1999 stabilisce che “ai fini soli della realizzazione e dell'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all'attuazione del progetto definitivo, e per il tempo strettamente necessario all'attuazione medesima, l'autorizzazione di cui al comma 9 sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente. L'autorizzazione costituisce, altresì variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori qualora la realizzazione e l'esercizio dei suddetti impianti ed attrezzature rivesta carattere di pubblica utilità”
[24] Nel vigore dell’attuale normativa sulle bonifiche, è questione controversa se le acque emunte nel corso di una bonifica della falda acquifera possano essere depurate e scaricate in acque superficiali nel rispetto dei valori limite di emissione previsti dall’allegato 5 del D. Lgs. 152/1999 per i reflui industriali, oppure se debbano essere depurate e scaricate nel rispetto dei parametri maggiormente restrittivi previsti dall’allegato 1 del D. M. n. 471/1999.
[25] Per quanto riguarda il problema dell’insorgenza dell’onere reale sul sito contaminato nel vigore del D.M. n. 471/1999 si rinvia all’approfondimento di L. PRATI, Il danno da inquinamento e la disciplina delle bonifiche: l’aspetto della responsabilità civile, in La nuova responsabilità civile per danno all’ambiente, a cura di B. POZZO, 2002, pag. 155, in cui l’Autore ricollega l’insorgenza dell’onere al verificarsi del superamento o del pericolo concreto ed attuale dei valori limite di contaminazione poiché, in base all’art. 4, comma 1 del D. M. n. 471/1999, già dal momento in cui si verifica il superamento o di pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori di concentrazione limite accettabili, il sito interessato deve essere sottoposto ad interventi di messa in sicurezza d’emergenza di bonifica e ripristino ambientale.
[26] Entro i limiti del valore del fondo, cosi come previsto dal comma 4 dell’art 253, poc’anzi richiamato.
[27] Ai sensi dell’art. 257, comma 2, “si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose”.