Cass. Sez. III n. 36413 del 7 ottobre 2011 (Ud. 16 giu. 2011)
Pres. Ferrua  Est. Fiale Ric. PM in proc. Cante
Urbanistica. Lottizzazione e ruolo del notaio

Pure essendo il notaio tenuto, quale professionista, ad una prestazione di mezzi e comportamento e non di risultato  l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia garantita la serietà e certezza dell'atto da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti.

RITENUTO IN FATTO

Il GIP del Tribunale di Napoli, con sentenza del 9.6.2010, dichiarava non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., nei confronti di C.P. in ordine ai reati, commessi in (OMISSIS) e con condotta perdurante, di concorso: in lottizzazione abusiva (artt. 10 e 81 cpv. cod. pen. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), in abuso in atti di ufficio (artt. 110, 81 cpv. e 323 cod. pen.) ed in truffa in danno del Comune di Melito (artt. 110 e 81 cpv.

c.p. e art. 640 c.p., comma 2).

Il proscioglimento veniva pronunciato "perchè il fimo non costituisce reato" ed il G.I.P. riteneva insussistenti le condizioni per formulare una prognosi di evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale di prova raccolto.

La vicenda si inserisce in un più ampio procedimento penale relativo alla ritenuta illegittimità delle opere di edificazione realizzate dalla s.r.l. "Iniziative Immobiliari" in una vasta area del Comune di Melito nella quale era stata richiesta la concessione edilizia per costruire un complesso artigianale commerciale costituito da sette fabbricati.

L'area interessata dall'edificazione era estesa complessivamente mq.

31.291, con destinazione di zona "D1" (zona produttiva industrie esistenti) per mq. 17.250 ed "E3" (fascia di rispetto del cimitero, per il quale era già stato redatto progetto di ampliamento) per la restante parte.

La concessione edilizia era stata rilasciata il 3.7.2002, nonostante si trattasse - secondo la prospettazione accusatoria - di una vera e propria lottizzazione abusiva effettuata in assenza del piano particolareggiato di attuazione richiesto dallo strumento urbanistico generale vigente. Ciascuno degli edifici autorizzati doveva svilupparsi, inoltre, per tre piani fuori terra e ciò si poneva in contrasto con le previsioni del PRG, che consentivano la costruzione di edifici di due soli piani.

Il titolo abilitativo edilizio era stato concesso dopo che la Giunta comunale aveva accolto la richiesta con cui la società aveva manifestato l'intendimento di assumersi l'obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione primaria, a scomputo del contributo di costruzione da versare al Comune.

Per stipulare la convenzione relativa all'assunzione diretta delle opere urbanizzative era stato officiato il notaio C. (avente studio nel limitrofo Comune di Sant'Antimo), il quale era stato anche assessore ai lavori pubblici del vicino Comune di Giugliano nonchè consigliere comunale.

L'atto era stato stipulato il 21 maggio 2002 e successivamente modificato con ulteriore atto del 18 giugno 2002, con il quale erano stati differiti i termini di adempimento per la cessione delle aree e la realizzazione delle opere di urbanizzazione: ciò - sempre nella prospettiva accusatoria - in contrasto sia con le prescrizioni della L. n. 10 del 1977 in materia di determinazione degli oneri concessori sia con quanto stabilito dalla Commissione edilizia con determinazione del 3 maggio 2002.

Il GIP, ritenendo l'ipotesi accusatoria fondata su elementi che avevano resistito al vaglio dell'udienza preliminare, disponeva il rinvio a giudizio di altri soggetti coinvolti nella vicenda dianzi sommariamente compendiata (in precedenza diverso G.I.P. aveva già disposto il rinvio a giudizio di alcuni membri della Giunta comunale).

Quanto alla posizione del notaio C., invece, rilevava che "già sul piano oggettivo possono sollevarsi notevoli dubbi sulla sussistenza di un contributo effettivo dell'imputato ai fatti contestatigli".

Premesso che la contestazione riguardava il solo atto (di differimento del termine di adempimento) stipulato il 18 giugno 2002, evidenziava che "già la prima convenzione (quella del 21.5.2002 n.dr.) prevedeva un termine di 24 mesi per la realizzazione delle opere e che taluni arresti della giurisprudenza amministrativa, sia pure limitatamente al profilo relativo al pagamento degli oneri (cfr.

Cons. Stato, sez. 5, 24 maggio 1996, n. 590) hanno affermato la legittimità di un differimento, salvo la necessità di rispettare il solo limite, espressamente stabilito dalla L. n. 10 del 1977, art. 11, dei sessanta giorni dall'ultimazione dei lavori. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16, comma 2, del resto, nulla prevede al riguardo, operando soltanto un rinvio alle modalità stabilite dal Comune.

Potrebbe sostenersi agevolmente, più in generate, che il Comune, titolare del potere di provvedere in merito allo scomputo totale o parziale delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione, possa consentire un differimento temporale dell'adempimento come richiesto dal privato titolare dei fondi interessati".

In punto di fatto, del resto, era impossibile che la realizzazione delle opere urbanizzative (da eseguirsi secondo le specifiche modalità approvate dal Comune) potesse avvenire contestualmente al rilascio del titolo abilitativo riferito alla costruzione anche di dette opere. Quanto poi all'assunto contrasto con il deliberato 3 maggio 2002 della Commissione edilizia, il GIP. argomentava che detto organo esprime solo pareri non vincolanti e che esso, comunque, nella seduta in oggetto, aveva formulato "parere favorevole per quanto di competenza". All'udienza preliminare era stato prodotto, inoltre, un parere favorevole espresso dall'Avvocatura del Comune.

Considerava quindi il G.I.P. che - anche qualora si voglia riconoscere un contributo causale del C. in merito all'evolversi della lottizzazione abusiva, che è fattispecie di reato ad evento progressivo - deve ritenersi insufficiente, quanto al profilo soggettivo, la prova della consapevolezza e della volontà del notaio di contribuire alla realizzazione del reato medesimo.

Nè emergeva dagli atti alcun comportamento negligente riflettente efficacia sulla legittimità dell'edificazione.

La sentenza di proscioglimento concludeva, infine, nel senso che la questione della partecipazione del notaio C. alla vicenda lottizzatoria "non è tale da poter essere suscettiva di sviluppi in occasione dell'eventuale approfondimento dibattimentale".

Avverso la sentenza del GIP ha proposto ricorso per cassazione 0 Procuratore della Repubblica premo il Tribunale di Napoli, il quale lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione.

Il P.M. ricorrente ha evidenziato, in premessa, che "la lottizzazione abusiva in esame è stata il frutto di un lungo e ben congegnato meccanismo che ha visto la collaborazione di imprenditori e pubblici funzionari"; essa anzi "è stata resa possibile solo e proprio grazie all'intervento dei pubblici funzionali e di coloro che erano deputati ad effettuare il controllo anche di legittimità degli atti endoprocedimentali".

Quanto alla mancata individuazione degli elementi di illiceità della condotta contesta al notaio C., il ricorrente ha rilevato che:

a) Già dalla tipologia delle convenzioni stipulate emergeva ad evidenza l'assenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria nella zona interessata dall'intervento insediativo per cui stava per essere rilasciata la concessione edilizia (alla quale le convenzioni stesse si annettevano), sicchè doveva risultare ad evidenza (per di più a persona esercente la funzione notarile, che aveva già svolto funzioni di amministratore comunale nel settore dei lavori pubblici) la necessità di preventiva lottizzazione in assenza di altro strumento urbanistico attuativo.

b) Ai sensi della L. n. 10 del 1977, art. 7, una convenzione del tipo di quella rogata si sarebbe potuta stipulare solo per immobili da destinarsi all'edilizia abitativa e non per quelli a destinazione artigianale o industriale, per i quali la disciplina del contributo concessorio è posta dall'art. 10 della stessa legge, che non prevede alcuna convenzione.

c) Lo stesso art. 7 della L. n. 10 del 1977 si riferisce, comunque, alla possibilità di differimento del solo pagamento degli oneri, mentre tale possibilità non contempla per la cessione delle aree e la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione.

d) Il parere favorevole dell'Avvocatura comunale, prodotto all'udienza preliminare, si poneva in contrasto con altro parere acquisito agli atti, di opposto contenuto, redatto dall'Avvocato Cimadomo su incarico dell'Amministrazione comunale.

e) Il C., in violazione di un proprio dovere di diligenza, aveva omesso di controllare il contenuto delle delibere di Giunta poste a fondamento della concessione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del P.M deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni illustrate di seguito.

1. L'art. 425 c.p.p., comma 3, dopo le modifiche ad esso apportate dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, prevede che il giudice per l'udienza preliminare pronunci sentenza di non luogo a procedere - oltre che nei casi nei quali esista già la prova indiscussa dell'innocenza dell'imputato o appaia evidente l'inconferenza degli elementi di accusa - "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio": in tutti quei casi nei quali, cioè, pure in presenza di prove che in dibattimento potrebbero ragionevolmente condurre all'assoluzione dell'imputato, rilevi la insussistenza di una prevedibile possibilità che il dibattimento, in seguito all'acquisizione di nuove prove o ad una differente valutazione degli elementi di prova già acquisiti, possa invece condurre ad una diversa soluzione.

Il giudizio prognostico sugli sviluppi dibattimentali affidato al giudice per l'udienza preliminare - cui gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422-bis c.p.p. consentono di attribuire maggiore concretezza - si traduce pur sempre in una sentenza meramente processuale e non di merito che, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 479 del 1999, accerta la necessità o meno del passaggio alla fase dibattimentale, secondo l'orientamento espresso anche a Sezioni Unite (Sez. Un., 30 ottobre 2002, n. 39915, Vottari) da questa Corte (Cass.: sez. 4, 1 febbraio 2011, n. 12042;

sez. 5, 14 dicembre 2009, n. 599/10, P.M. in proc. Huscher; sez. 4, 3 luglio 2008, n. 35178, P.M in proc. Brunetti; sez. 2, 18 marzo 2008, n. 14034, D'Abramo; sez. 4, 31 gennaio 2008, n. 13163, Caseorie; sez. 4, 8 novembre 2007, n. 47169, Castellano; sez. 4, 19 aprile 2007, n. 26410, Giganti; sez. 6, 6 aprile 2000, n. 1662, Pacifico).

In sostanza, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza a 39915/2002, "la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato del novellato art. 425 c.p.p., comma 3, è sempre e comunque diretta a determinare, all'esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell'accusa in giudizio e, con essa, l'effettiva, potenziale, utilità èè dibattimento in ordine alla regiudicanda".

Questi principi sono stati affermati anche dalla Corte Costituzionale che - dopo l'entrata in vigore sia della L. n. 479 del 1999 sia della L. n. 387 del 2000 in tema di indagini difensive - ha sottolineato come la decisione in esito all'udienza preliminare, pure avendo sempre più acquisito caratteristiche di merito, non ha però perduto la connotazione prognostica che in precedenza la caratterizzava (si vedano, al riguardo, le ordinanze n. 224 del 6 luglio 2001 e n. 335 del 12 luglio 2002 e, più di recente, l'ordinanza n. 90 del 9 marzo 2004, che ha ribadito la natura processuale dell'udienza preliminare).

Ancora le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza 29 maggio 2008, n. 25695, D'Eramo), hanno ribadito che "la fondamentale regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere, nonostante l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte cognitivo del giudice, resta tuttavia qualificata da una delibazione, di tipo prognostico, di sostenibilità dell'accusa in giudizio, con riferimento al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all'effettiva utilità della fase dibattimentale, priva quindi di effetti irrevocabili sul merito della controversia circa l'accertamento della colpevolezza o dell'innocenza dell'imputato, essendo essa revocabile nei casi e alle condizioni stabilite dagli artt. 434 e segg. c.p.p.".

2. Anche il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere può avere per oggetto solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutare gli elementi acquisiti (dal pubblico ministero e attraverso l'eventuale attività di integrazione probatoria) e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella loro valutazione d'insieme, restando inibita in questa sede ogni valutazione che condurrebbe ad un giudizio di merito (Cass., sez. 5, 13 febbraio 2008, n. 14253, Piras).

3. Nel caso di specie il percorso argomentativo adottato nella sentenza impugnata per giungere ad affermare la lacunosità delle risultanze probatorie circa l'esistenza, in capo all'imputato, dell'elemento soggettivo dei reati contestati, non si presta a rilievi.

Va evidenziato, al riguardo, che - pure essendo il notaio tenuto, quale professionista, ad una prestazione di mezzi e comportamento e non di risultato - l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perchè sia garantita la serietà e certezza dell'atto da rogarsi in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti.

Nella vicenda in esame al notaio Carne è stato contestato di essere intervenuto nella formazione di atti relativi alla lottizzazione edilizia abusiva, sotto l'unico profilo di avere illegittimamente consentito la posticipazione dei termini di adempimento della realizzazione delle opere di urbanizzazione e della cessione delle relative aree al Comune.

In relazione a tale contestazione ed alle specifiche doglianze svolte nel ricorso del P.M avverso la pronuncia di proscioglimento, deve rilevarsi che:

a) L'imputato non risulta essere stato negligente nell'acquisire conoscenza delle determinazioni assunte dalla Giunta Comunale: egli, anzi, aveva allegato già all'atto convenzionale da lui stipulato il 21 maggio 2002 la deliberazione (n. 64 del precedente 13 maggio) con cui la Giunta aveva autorizzato l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri concessori ed approvato l'annesso schema di convenzione.

b) Tale esecuzione diretta (attualmente prevista e consentita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 16, comma 2, senza alcuna distinzione tra costruzioni destinate alla residenza oppure ad attività industriali o artigianali) era già consentita in via generale (quindi anche per le costruzioni non residenziali) dalla L. n. 10 del 1997, art. 11. Del tutto improprio, pertanto, è il riferimento del P.M. ricorrente alle previsioni della L. n. 10 del 1997, art. 7, che disciplinava il diverso caso dell'edilizia abitativa convenzionata (connessa all'impegno, assunto dal concessionario, di applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi di una particolare convenzione).

c) Il differimento del termine per la realizzazione delle opere urbanizzative e la consegna delle aree all'Amministrazione comunale non si pone in contrasto con alcuna previsione normativa.

Appare opportuno ricordare, al riguardo, che la concessione edilizia e la convenzione sono due atti distinti, anche se la convenzione trova il suo presupposto logico nel provvedimento concessorio.

Pertanto, anche nel caso di risoluzione della convenzione per inadempimento, il titolo abilitativo edilizio resterà valido ed efficace ed il costruttore sarà soltanto obbligato a corrispondere per intero il contributo.

d) Non è stato indicato alcun elemento da cui possa dedursi che l'imputato fosse a conoscenza del parere contrario redatto dall'Avvocato Cimadomo su incarico dell'Amministrazione comunale.

Resta il fatto che indubbiamente, dalla stessa tipologia delle convenzioni stipulate il 21 maggio ed il 18 giugno 2002, emergeva ad evidenza l'assenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria nella zona interessata dall'intervento per il quale stava per essere rilasciata la concessione edilizia, dal momento che quelle convenzioni riguardavano proprio la realizzazione delle opere urbanizzative primarie mancanti.

Quell'intervento, però, si ricollegava alla deliberazione del Consiglio comunale n. 35 del 27.7.2000, asseritamente rivolta ad individuare nel territorio cittadino, in una situazione di abusivismo edilizio assai diffuso e di conseguente carenza di strutture urbanizzative, aree di completamento, pure nelle zone "D1", da assoggettare anche ad edificazione diretta, previa verifica dei singoli lotti omogenei e stipulazione di apposita convenzione.

Trattasi di una delibera che, per la non-specificità della sua formulazione, ben potrebbe essere stata proprio preordinata ad ingenerare equivoci interpretativi per favorire ulteriori attività edilizie speculative. Al notaio però - pur dovendo essere richiesto l'uso di un grado di diligenza idoneo ad evitare la immissione in circolazione immobili che, per la tipologia di abuso cui sono affetti, seno incommerciabili - non possono essere richieste indagini tecniche particolarmente penetranti estranee alle sue cognizioni professionali.

Nè elementi inequivoci di responsabilità possono trarsi dall'esistenza di una zona di rispetto cimiteriale (espressamente indicata nell'atto notarile), non risultando che l'insediamento edilizio in corso di approvazione fosse localizzato proprio all'interno della zona di rispetto e dovendosi considerare altresì che le aree interessate dal vincolo cimiteriale ben possono essere computate nella determinazione della superficie e della volumetria edificabile.

Il contrasto, infine, tra il numero dei piani fuori terra autorizzato e quello (minore) consentito dalle previsioni del PRG si sarebbe reso evidente soltanto dopo il rilascio della concessione edilizia, intervenuta in epoca successiva alla stipulazione notarile delle due convenzioni.

Nella situazione come sopra delineata razionalmente il G.I.P. non ha ravvisato la violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, tenuto conto dell'inesistenza di ulteriori specifici elementi di accusa idonei a fare dedurre che l'imputato abbia determinato, istigato o rafforzato il proposito criminoso del costruttore abusivo, oppure si sia adoperato attivamente (in concorso con funzionali e/o amministratori comunali) per l'organizzazione e le modalità di svolgimento delle condotte illecite.

A fronte, poi, della valutazione di inutilità del dibattimento per l'effettuato giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio, il PM. non ha evidenziato, nel ricorso, alcuna cagione di potenzialità espansiva dei dati di prova disponibili, con conseguente possibilità di successo dell'accusa nella fase dibattimentale.

Da ciò discende, la conclusione, la declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del PM.