Cass. Sez. III n. 10801 del 18 marzo 2025 (UP 20 feb 2025)
Pres. Sarno Est. Scarcella Ric. Signore
Urbanistica.Costruzioni in zona sismica

Le disposizioni ex artt. 83 e 95 d.P.R. 380 del 2001 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, anche alle opere edili con struttura in legno, a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento, con la conseguenza che tali disposizioni trovano applicazione nel caso di specie, trattandosi di una struttura lignea, non dovendo tener conto dei materiali utilizzati. 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1° febbraio 2014, il Tribunale di Foggia dichiarava Angelo Graziano Signore colpevole dell’unico reato di cui agli artt. 83/95 TU edilizia accertato in data 30 giugno 2015 (per aver realizzato un manufatto con 14 pilastri in legno con copertura in unica falda in legno, sorretta da travi ed arcarecci in legno, in difformità dalle norme tecniche sull’edilizia in zone sismiche contenute nel DM 14.01.2088, cap. 7), e, con il concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 600,00 euro di ammenda, prosciogliendolo dalle residue imputazioni perché estinti i reati per prescrizione. 

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, di seguito enunciato ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di lege con riferimento all’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, che sarebbe maturata prima della sentenza nonché il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione della sentenza. 
In sintesi, si censura la sentenza impugnata perché emessa dal tribunale allorquando l’unico reato residuo (artt. 83/95 TU edilizia) era già estinto per prescrizione. Richiamato il disposto degli artt. 95 TU edilizia e 157, cod. pen., osserva la difesa che il termine quinquennale massimo di prescrizione era già decorso alla data della pronuncia della sentenza, rilevando, peraltro, come non solo l’opera edilizia in questione non era stata realizzata in conglomerato cementizio, ma era costituita da un manufatto ligneo, bullonato tramite staffe in ferro ad una semplice base di calcestruzzo non fondazionale (come emergerebbe dalle dichiarazioni dell’imputato e di alcuni testi assunti in dibattimento, le cui deposizione, per stralcio, vengono ritrascritte alle pagg. 5/9 della sentenza), perdipiù eseguita su un’area di cui il ricorrente non sarebbe il proprietario (come emergerebbe dalle dichiarazioni dello stesso imputato e da quelle del teste D’Alonzo, riportate per stralcio alle pagg. 9/11 del ricorso), trattandosi in ogni caso di basamento in calcestruzzo già preesistente sul terreno in cui era stata posizionata l’opera abusiva (come risulterebbe dalle dichiarazioni dell’imputato e dal teste Desiro, trascritte per stralcio alle pagg. 11/14 del ricorso). Alla stregua di quanto sopra, ritiene la difesa che l’intervento edilizio in questione non rientrerebbe nella disciplina antisismica oggetto di contestazione, ma in quella edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, e, in ogni caso, pur trattandosi di reato permanente – come correttamente afferma il tribunale – il termine di prescrizione del reato contestato decorre dal momento di cessazione dell’attività edificatoria abusiva, momento consumativo da individuarsi in quello dell’ultimazione dei lavori, ossia, secondo la difesa, nel settembre dell’anno 2013 con conseguente decorrenza integrale del termine di prescrizione alla data dell’ottobre 2018 (come emergerebbe dalle dichiarazioni del teste D’Alonzo, di cui viene per stralcio ripotata la trascrizione alle pagg. 17/18 del ricorso). Al più, prosegue la difesa del ricorrente, tenuto conto che l’accertamento è stata eseguito dalla polizia giudiziaria in data 14/01/2015, si potrebbe far decorrere da tale data il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione, con conseguente maturazione del termine di prescrizione alla data del 14/01/2020, tenuto conto del fatto che, dal momento dell’accertamento, nessuna tipologia di lavori risulterebbe essere stata eseguita sul predetto manufatto, difformemente da quanto sostenuto dal tribunale nella sentenza impugnata (e come, del resto, logicamente si desume dalla circostanza che, avendo il ricorrente ricevuto la notifica dell’ordinanza di demolizione in data 29/07/2015, questi non avrebbe avuto più alcun interesse a proseguire i lavori su un’opera che sapeva essere destinata alla demolizione). 

3. In data 11 gennaio 2025 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale presso questa Corte, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. 
Secondo il PG, deve preliminarmente osservarsi che la Corte di cassazione ha in più occasioni affermato il principio secondo il quale e disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, anche alle opere edili con struttura in legno, a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell'intervento (tra le altre, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4567 del 10/10/2017 Ud., dep. 31/01/2018; rv. 273068 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9126 del 16/11/2016 Ud., dep. 24/02/2017, rv. 269303 – 01). Come correttamente stabilito nella sentenza impugnata, nella specie il reato di cui agli artt. 83 e 95 DPR ha natura permanente, con la conseguenza che il termine prescrizionale decorre dall’ultimazione dell’opera. Nel caso di specie al momento del sopralluogo risulta che l’opera non fosse completata, né è intervenuto alcun provvedimento di sequestro da parte dell’AG con evidente prosecuzione dei lavori dopo l’accertamento del reato e conseguenziale termine prescrizionale dalla sentenza. Ne discende per il PG che il ricorso è manifestamente infondato e conseguentemente deve essere dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richieste di discussione orale, è inammissibile. 

2. In via preliminare, occorre affermare che, in primo luogo, non sussiste violazione di legge come erroneamente sostenuto dalla difesa, poiché, secondo quanto affermato da questa Corte, Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017, A., Rv. 273068-01, le disposizioni ex artt. 83 e 95 d.P.R. 380 del 2001 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, anche alle opere edili con struttura in legno, a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento, con la conseguenza che tali disposizioni trovano applicazione nel caso di specie, trattandosi di una struttura lignea, non dovendo tener conto dei materiali utilizzati. 
2.1. In secondo luogo, quanto alla natura giuridica del reato previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 83/95 d.P.R. n. 380 del 2001, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il reato di cui agli artt. 83 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001 integra un reato non istantaneo bensì permanente (Sez. 7, n. 32605 del 2024, non massimata). Lo stesso art. 83 stabilisce che tutte le costruzioni, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarate sismiche, sono disciplinate da specifiche norme tecniche emanate con decreti ministeriali. Le violazioni di tali norme tecniche (ossia l’esecuzione di costruzioni in difformità dalle norme tecniche sull’edilizia in zone sismiche) hanno natura di reato permanente, a differenza dei reati relativi all’omissione della presentazione della denuncia dei lavori e dell’avviso di inizio lavori che hanno natura di reati istantanei, la cui consumazione avviene nel luogo e nel momento in cui il soggetto intraprende l’attività di edificazione, avendo omesso gli adempimenti richiesti prima dell’esecuzione delle opere. 
Trattandosi di reato permanente, la permanenza cessa quando la condotta è cessata. Pertanto, la permanenza può dirsi cessata con l’inizio dei lavori in relazione alla omissione del preventivo avviso e del contestuale deposito del progetto; mentre è cessata con l’ultimazione dei lavori quanto alla mancata ottemperanza dei criteri tecnico-costruttivi previsti per le zone sismiche (Sez. 3, n. 13352 del 03/11/1998, D., Rv. 212497-01).  
2.2. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata risulta rispondente ai criteri logico-giuridici, poiché, come affermato dal tribunale di Foggia, nel caso di specie, l’opera al momento del sopralluogo non risultava completata, né è intervenuto alcun provvedimento di sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria, con evidente prosecuzione dei lavori dopo l’accertamento del reato e conseguenziale decorrenza del termine prescrizionale dalla sentenza. Pertanto, priva di pregio è la tesi difensiva della preesistenza del basamento e della circostanza secondo cui l’imputato non abbia eseguito il basamento in calcestruzzo né che fosse proprietario dell’area su cui lo stesso è stato realizzato. 
2.3. La difesa, erroneamente, insiste per la prescrizione del reato, richiamando l’art. 157 cod. pen., il quale, al comma 2, prevede che i reati contravvenzionali – come nel caso di specie – si prescrivono in quattro anni. Secondo la difesa, il dies a quo della prescrizione va individuato nel mese di settembre 2013 e il conseguente dies a quem nel mese di ottobre 2018. Prosegue, affermando che, nel caso in cui la Corte non dovesse ritenere sufficientemente dimostrata tale data di ultimazione dell’opera, si può tener conto di un diverso momento consumativo del reato, da cui far decorrere l’inizio della prescrizione, individuato nel giorno 14/01/2015, poiché, da tale giorno, non è stata effettuata alcuna tipologia di lavori sul manufatto. Di conseguenza, sia nell’uno che nell’altro caso, tenendo conto anche di tutti gli eventi interruttivi e sospensivi del relativo procedimento, la difesa sostiene che è intervenuta la prescrizione del predetto reato. 
2.4. La tesi non ha pregio. 
Invero, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, poiché l’opera non era ultimata in quanto la stessa doveva essere chiusa perimetralmente e, conseguentemente, la permanenza non poteva considerarsi cessata, non risulta possibile individuare il dies a quo della prescrizione né dal settembre 2013 né dal 14 gennaio 2015, non risultando dunque il reato ancora prescritto. 
Sul punto, merita di essere infatti ribadito che, fermo l'onere per l'accusa di provare la data di inizio della decorrenza del termine di prescrizione, grava sull'imputato, che intenda giovarsi di tale causa estintiva, allegare gli elementi in suo possesso, dei quali sia il solo a poter disporre, idonei a fissare una data di decorrenza diversa da quella risultante dagli atti, non essendo sufficiente una sua mera affermazione difensiva a far ritenere il reato realmente estinto per prescrizione, né a determinare l'incertezza assoluta sulla data del commesso reato che rende applicabile il principio "in dubio pro reo" (Sez. 3, n. 4422 del 18/12/2024, dep. 2025, Iannuzzi, Rv. 287428 – 01). Nella specie, non solo il ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio idoneo a determinare con certezza il dies a quo ed il dies ad quem di cessazione della permanenza, ma ha, in maniera generica, prospettato a questa Corte l’alternativa tra far decorrere il termine di prescrizione dal settembre 2013 o dal 14 gennaio 2015, dunque, mostrando di non essere in grado di determinare il momento consumativo del reato. La persistenza della condotta antigiuridica e la connessa protrazione della lesione all'interesse pubblico di vigilare sulla regolarità tecnica di ogni costruzione sismica, sussistono, infatti, sino a quando l'amministrazione competente non è stata posta nella condizione di aprire il necessario procedimento amministrativo o di attivare i relativi controlli. Ne discende, pertanto, che deve ritenersi corretta l’affermazione del giudice di merito secondo cui, poiché l’opera al momento del sopralluogo non risultava completata, né era intervenuto alcun provvedimento di sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria, la cessazione della permanenza – in assenza di prova certa di ultimazione dell’opera alla data del 30 giugno 2015 – è da ritenersi siasi verificata con la pronuncia della sentenza di primo grado, ossia in data 1° febbraio 2024, con conseguente maturazione del termine di prescrizione alla data del 1° febbraio 2029. 

3. A ciò va aggiunto un ulteriore dato rilevante che conforta il giudizio di inammissibilità del ricorso. 
3.1. La difesa si è limitata a riportare nel corpo del ricorso un limitato stralcio della testimonianza ritenuta decisiva, senza adempiere all’onere di allegazione richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso che si presenta, pertanto, generico ed incompleto poiché si risolve nella deduzione di un travisamento della prova dichiarativa, senza l’allegazione della stessa. 
3.2. Occorre ribadire che, quando viene invocato un atto che contiene un elemento di prova, il principio di autosufficienza del ricorso costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all’art. 360, n. 5., cod. proc. civ., dalla giurisprudenza civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicché è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso. Tale interpretazione deve essere aggiornata dopo l’entrata in vigore dell’art. 165-bis – introdotto dal d.lgs. n. 11 del 2018 e rubricato “adempimenti connessi alla trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione”. Il secondo comma del citato articolo prevede che copia degli atti specificamente indicati da chi ha proposto l’impugnazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) del codice sia inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso e che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione. Sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria. Pertanto, si ritiene che, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen, è necessario il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso che si traduce nell’onere di puntuale indicazione da parte del ricorrente degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione delegata alla cancelleria (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, T., Rv. 276432-01).
Nel caso in esame, il principio di autosufficienza non appare rispettato poiché il difensore è venuto meno al suo onere di diligenza nel provvedere alle allegazioni ritenute necessarie. 

4. Per tali motivi, il ricorso risulta manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
  
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 20/02/2025