Cass. Sez. III n. 10441 del 17 marzo 2025 (CC 20 feb 2025)
Pres. Sarno Est. Scarcella Ric. PM in proc. Margesin
Urbanistica.Cambio di destinazione di locali accessori in vani ad uso residenziale

Il cambio di destinazione d’uso di locali accessori in vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico complessivo, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a) del Testo Unico Edilizia, ciò a prescindere dall’esecuzione materiale di opere

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30 ottobre 2024, il Tribunale del riesame di Verona rigettava l’appello cautelare reale proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona avverso l’ordinanza del GIP del medesimo Tribunale del 1° agosto 2024 con cui veniva richiesta l’emissione del decreto di sequestro preventivo della zona situata al piano terra-seminterrato sul fronte sud del complesso alberghiero denominato Cape of Senses, con altezza di ml. 2,8 e lunghezza di 56 ml. in loc. Le Sorte nella frazione di Albisano del Comune di Torri del Benaco, meglio descritta catastalmente in atti, ipotizzando la sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 44, lett. b), TU Edilizia e 181, comma 1-bis, D.lgs. n. 42 del 2004 nonché del correlato periculum in mora.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, articolando un unico motivo, di seguito enunciato ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.  

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 44 e 181 citati nonché il vizio di mancanza di motivazione ex art. 125, cod. proc. pen. 
In sintesi, il pubblico ministero ricorda che il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo di una parte dell'albergo a 5 stelle denominato Cape of Senses, realizzato in zona paesaggisticamente vincolata nel territorio di Torri del Benaco sul lago di Garda. Si tratta di un'area delle dimensioni di 56 ml. per 2,8 metri di altezza per complessivi 3066 m³, indicata nel progetto come vano accessorio, laddove però erano state realizzate una palestra, cabine per trattamenti e massaggi, una sala relax, una sala privata, una sala buffet e simili. Nello specifico, il Gip non aveva ritenuto sussistente il periculum in mora né alcun incremento del carico urbanistico perché il numero delle stanze di albergo era rimasto uguale, sicché non poteva ravvisarsi il tipico incremento della presenza umana da cui dipende il medesimo aggravio urbanistico. Con l'appello cautelare, il pubblico ministero aveva impugnato la decisione ed il tribunale del riesame, con l'ordinanza oggi gravata, ha rigettato l'istanza ritenendo insussistenti anche gli estremi del fumus; secondo il tribunale, la realizzazione della zona wellness era stata indicata negli elaborati progettuali quale vano accessorio non computabile nella superficie utile lorda e, come tale, era stata autorizzata dal Comune; lo stesso Comune nel corso di tre sopralluoghi non aveva rilevato alcuna difformità tra quanto costruito ed il progetto; il consulente del PM non aveva indicato difformità tra quanto realizzato ed il progetto. In altri termini, secondo il tribunale, non si era in presenza di costruzione diversa da quella che era stata approvata fin dall'inizio. Anche a ritenere che la zona wellness non fosse un vano accessorio ma un'area da computare nel calcolo della superficie utile lorda, e che dunque il titolo edilizio fosse illegittimo, secondo il tribunale poteva ravvisarsi una possibile buona fede degli indagati nel ritenere che le opere realizzate fossero vani accessori della struttura alberghiera principale. Secondo i giudici dell'appello cautelare, la variabilità dell'interpretazione di vano accessorio, specie in riferimento alla destinazione della struttura d'albergo, rendeva l'eventuale illegittimità del permesso di costruire non macroscopica. Inoltre, il rilascio del titolo edilizio e paesaggistico che approvava il progetto rafforzava l'affidamento incolpevole degli indagati circa la correttezza della classificazione della zona wellness come vano accessorio. 
Tanto premesso, il pubblico ministero ha contestato l'interpretazione in diritto fornita dal tribunale del riesame con riferimento al vano accessorio, vizio che avrebbe dato luogo anche ad una motivazione apparente sulla mancanza dell'elemento soggettivo. La buona fede è stata argomentata sulla non macroscopicità della violazione oggettiva, ma affinché fosse stato possibile ciò, sarebbe stato necessario stabilire cosa fosse giuridicamente un vano accessorio, se l'area in questione fosse o meno una zona così classificabile, e se il grado di difformità della zona wellness rispetto alla nozione stessa fosse suscettibile di ingenerare un errore scusabile. Il tribunale non avrebbe invece individuato la nozione di vano accessorio, non avrebbe spiegato se per le caratteristiche concrete la struttura wellness dovesse essere considerata un vano accessorio correttamente scomputabile oppure un'area non autorizzata. Illustrando il motivo di impugnazione, il pubblico ministero ritiene che il concetto di vano accessorio non è opinabile e la struttura in esame sotto il profilo oggettivo sarebbe del tutto estranea alla nozione stessa. Il vano accessorio non risulta essere definito dall'articolo 61 NTO del Comune né da altre norme del medesimo testo, bensì definito a livello nazionale dal D.p.c.m. 20 ottobre 2016 che contiene il regolamento edilizio tipo di cui all'articolo 4 comma 1-sexies del testo unico dell'edilizia che, al punto 15, allegato a), definisce la superficie accessoria con una illustrazione puntuale di strutture che, sebbene elencate in maniera non esaustiva, non è minimamente assimilabile all'estesa zona wellness, per di più articolata in più ambienti tra loro indipendenti. Secondo il pubblico ministero, ancora, un riferimento ai vani accessori sarebbe poi contenuto nella deliberazione della Giunta regionale della Regione Veneto n. 807 del 2014, articolo 7, in materia di classificazione di strutture ricettive nonché un ulteriore richiamo alle superfici accessorie sarebbe rinvenibile nelle deliberazioni della medesima Giunta regionale n. 1896 del 2017 e n. 669 del 2018 che contengono una elencazione del tutto eterogenea rispetto alle opere realizzate nell'area wellness, piuttosto sovrapponibile a quella del regolamento edilizio tipo. Si osserva come nel progetto approvato dal Comune l'area benessere era stata scomputata dalla superficie utile lorda non richiamando queste definizioni della legislazione nazionale e regionale bensì invocando l'esclusione dell'articolo 61 n. 7 NTO, secondo cui “non si computano nella superficie utile lorda i piani seminterrati ….quando siano adibiti a vani accessori”. In sostanza, il progetto avrebbe motivato l'esclusione in maniera tautologica perché si sarebbe voluto considerare come adibito a vano accessorio un intero piano di 56 mt. per 2,8 mt. per complessivi 3066 mc. solo perché seminterrato, mentre in realtà bisognava dimostrare che l'area era riconducibile ad uno di quei vani la cui definizione va ricercata al di fuori delle NTO. Ulteriore riferimento sarebbe poi contenuto nella delibera della Giunta regionale n. 1578 del 2018 recante la definizione dei parametri dei requisiti igienico-sanitari di alcuni locali accessori di strutture ricettive alberghiere già classificate, atto che prende in esame una serie di locali di strutture alberghiere già esistenti, tra cui le aree benessere, stabilendo deroghe ai requisiti igienico-sanitari, trattandosi peraltro di norma che si riferisce alle sole strutture preesistenti alla sua adozione. In particolare, è stata ricordata la legge della Regione Veneto n. 11 del 2013 che demanda ad un'apposita deliberazione di Giunta l'individuazione dei requisiti che gli hotel a 5 stelle, come quello in esame, devono possedere. La delibera attuativa è costituita dalla delibera n. 807 del 2014 che, all'articolo 7 dell'allegato a), individua i limiti di altezza dei vani accessori, prendendo distintamente in esame l'area wellness al punto 55-18 dell'allegato B) tra le tipologie di strutture di cui devono essere almeno presenti 5 locali ben individuati perché l'albergo possa ottenere una classificazione a 5 stelle, tipologie che dall'esame del lungo elenco risultano del tutto diverse dai vani accessori dell'allegato a). Il pubblico ministero richiama poi la giurisprudenza formatasi con riferimento alla nozione di vano accessorio, secondo cui tale nozione va ricercata negli strumenti urbanistici e nella disciplina in materia: la caratteristica tipica degli ambienti accessori e che non sono abitabili. Trattasi di una distinzione fondamentale perché il cambio di destinazione da ambiente accessorio ad abitabile integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire indipendentemente dall'esecuzione di opere, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di cui vengono richiamati a pagina 4 del ricorso gli estremi. Dopo aver illustrato alcune decisioni che hanno ritenuto sussistenti i locali accessori, osserva il pubblico ministero ricorrente che l'affermazione del tribunale per cui la nozione di vani accessori si presterebbe a diverse interpretazioni sarebbe errata in diritto, trattandosi infatti di spazi di limitate dimensioni, privi di autonomia funzionale e potenziale e posti a stretto servizio della struttura principale: nessuna delle predette caratteristiche sarebbe rinvenibile nell'area wellness. Si tratta di strutture abitabili in quanto costituite da palestra, sala fitness, relax e, dunque, ambienti presso cui si svolgono attività anche intense della vita quotidiana e che impegnano un rilevante numero di persone per un tempo apprezzabile. In quanto zone liberamente fruibili e abitabili, creano una trasformazione del territorio che genera carico urbanistico a differenza dell'autentico vano accessorio che non comporta questo effetto: come osservato nell'appello cautelare ai fini del periculum in mora, il consumo che l'area wellness porta con sé di energia, risorse idriche, manutenzione e presenza umana è del tutto diverso da quello insito nell'autentico vano accessorio. Il pubblico ministero non condivide peraltro l'affermazione secondo cui l'accessorietà potrebbe essere ampliata in rapporto alla destinazione ricettiva della struttura principale, che avrebbe quindi bisogno di tutti i vasti ambienti destinati ad accogliere gli ospiti a renderne più comoda e agevole la permanenza, ciò sul presupposto che il regolamento edilizio tipo alla voce 15 definisce la superficie accessoria quella avente carattere di servizio rispetto la destinazione d'uso della struttura principale. Ove chiaramente si ritenesse corretta la tesi seguita dal tribunale, secondo il pubblico ministero, si legittimerebbe la realizzazione senza permesso di costruire di opere che altrimenti, se eseguite in via autonoma, necessiterebbero senz'altro del titolo, e questo solo perché inserite in una struttura alberghiera. Tale risultato sarebbe in contrasto sia con la nozione di vano accessorio, sia con la tutela della funzione programmatoria della pubblica amministrazione che presiede all'ordinato governo del territorio e all'impiego razionale delle sue risorse paesaggistiche: considerando le opere realizzate come accessorie rispetto alla necessità della struttura ricettiva e dei suoi ospiti si finirebbe, in sostanza, per introdurre una nuova estesissima ipotesi di attività edilizia libera. Del resto, si osserva in ricorso, se così fosse, non si spiegherebbe perché nello stesso progetto siano stati considerati vani non accessori altri locali, come il ristorante e la piscina, del tutto similari a quelli della zona wellness, considerati invece come accessori. Anzi, a voler individuare una differenza, si osserva in ricorso, l'area wellness è quella più estesa delle altre. Da un punto di vista di qualificazione giuridica, poi, il pubblico ministero rileva come nella richiesta di sequestro la realizzazione della zona in questione sarebbe stata qualificata come una costruzione in difformità rispetto al progetto assentito, in quanto in quest'ultimo l'area era erroneamente indicata come vano accessorio. Non si tratterebbe di una difformità materiale ma di una difformità giuridica, nel senso che la struttura effettiva non corrisponde alla classificazione che le era stata data; in ogni caso, si osserva in ricorso, quand'anche si ritenesse più corretta la qualificazione giuridica data dal tribunale, ossia di costruzione in assenza di permesso di costruire, precisa il pubblico ministero come, poiché le strutture in esame non sono vani accessori ma necessitavano del titolo, invece assente, l'abuso oggettivo resterebbe comunque sussistente. 
Ulteriore profilo di censura svolge poi il pubblico ministero con riferimento all'elemento soggettivo. Applicando infatti la nozione giuridica di vano accessorio, si osserva, la divergenza rispetto alle opere realizzate sarebbe invero macroscopica, diversamente da quanto sostenuto dal tribunale. L'area infatti ha caratteristiche funzionali e dimensionali tali che l'indicazione del progetto da parte degli indagati quale vano accessorio è palesemente errata, e il pur intervenuto rilascio del titolo edilizio non sarebbe in grado di ingenerare alcun affidamento o buona fede. A tal proposito si osserva come, già nel progetto, la classificazione da parte degli indagati come vano accessorio sarebbe avvenuta in maniera tautologica ed in contrasto anche con la delibera n. 807 del 2014 della Giunta veneta, che ben distingue i vani accessori dalle altre strutture che l'albergo a 5 stelle deve possedere, delibera ben conosciuta dagli stessi indagati che stavano edificando proprio un importante complesso ricettivo di quella natura, al centro di iniziative risalenti a quasi vent'anni prima ma che finora non erano andate a buon fine in quanto l'area è fortemente tutelata e sottoposta a numerosi vincoli paesaggistici. Né rileverebbe l'assenza di rilievi del Comune, in occasione dei tre sopralluoghi successivi, che, ovviamente, osserva il PM, non potevano che confermare l'assenso già espresso al momento del rilascio del titolo, sopralluoghi peraltro solo esterni e non interni, sicché l'abuso del vano accessorio non era stato specificamente preso in considerazione. Né rileverebbe ancora la seconda consulenza del pubblico ministero che aveva attestato la conformità tecnica del progetto dell'opera rispetto agli strumenti urbanistici generali e agli altri atti di governo del territorio, non avendo invece attestato la conformità edilizia. Non sarebbe nemmeno corretto ritenere che l'affidamento poteva essere rafforzato dalla presenza del titolo paesaggistico e dal consenso delle altre autorità coinvolte nel complesso procedimento di approvazione del progetto, sia perché l'autorizzazione della Sovrintendenza si sarebbe formata per silenzio-assenso, sia perché le conferenze di servizi tenutesi nel corso dell'iter procedimentale avevano coinvolto altre pubbliche amministrazioni, che però si erano occupate di aspetti diversi da quello strettamente edilizio riservato alle attribuzioni del solo Comune. Ma soprattutto, si osserva in ricorso, concorrerebbero ad escludere la buona fede ritenuta dal tribunale, anche una serie di ulteriori abusi tutti indicati nella richiesta di sequestro preventivo (un locale sotto la piscina, totalmente non indicato negli elaborati grafici, avente la superficie di 250 mq. ed una cubatura di 1250 m³; terrazze chiuse al primo e al secondo piano; una zona portico terrazzo in corrispondenza dell'ascensore e zona magazzini sul lato nord di superficie maggiore rispetto a quella autorizzata; vani accessori non indicati nel progetto e adiacenti alla rampa di accesso delle vetture sul lato nord della dimensione di 26 mq. ed 80 m³; un terrazzo sul fronte nord di conformazione e dimensione diversa da quella autorizzata). Inoltre, si aggiunge, vi sarebbe poi la traslazione verso l'alto della struttura, che non potrebbe essere altro che dolosa, sorgendo la struttura ad un'altezza maggiore rispetto a quella prevista nel progetto, in alcuni punti anche di 2,5 mt., essendo stata colmata la differenza con la realizzazione di opere di terre armate non previste né autorizzate: secondo il PM, nell'allestimento di tali terrapieni non presenti negli elaborati grafici, si celerebbe la piena consapevolezza che si stesse realizzando una struttura in una sede non prevista, e tuttavia si sarebbe comunque proseguito nella realizzazione dell’intervento. In definitiva, il numero, la gravità, la consapevolezza e la rilevabilità anche visiva di questi ulteriori abusi contribuirebbero anch'essi a rendere apparente l’affermazione del tribunale circa la non macroscopicità dell'abuso e la conseguente buona fede degli indagati che, si ricorda, deve essere rilevata con evidenza. Piuttosto la zona wellness era di fondamentale importanza per acquisire la qualificazione di albergo a 5 stelle, ma comportava un ingente consumo della superficie utile lorda e cubatura assentibile, donde la soluzione di indicarla nel progetto quale superficie e vano accessorio. 

3. In data 11 gennaio 2025 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale presso questa Corte, che ha chiesto di annullare l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Verona. 
In particolare, osserva il PG occorre prendere atto che il Pubblico Ministero ricorrente lamenta innanzitutto violazione di legge in relazione alla sussistenza del fumus boni iuris, con riferimento alla qualificazione della superficie edificata al piano interrato dell’immobile, che non avrebbe le caratteristiche per poter essere inquadrato quale vano accessorio. Orbene, deve rilevarsi che, a differenza dei gravi indizi di colpevolezza delle misure cautelari personali, il fumus a fondamento del sequestro preventivo concerne la pertinenza del bene al reato e l'astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato dei fatti (da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18491 del 30/01/2018 Cc., dep. 27/04/2018; rv. 273069; si veda anche Cass, Sez. 6, Sentenza n. 10618 del 23/02/2010 Cc., dep. 17/03/2010, rv. 246415). Nella specie, occorre per il PG ribadire la piena correttezza e condivisibilità delle considerazioni del Pubblico Ministero in ordine alla qualificazione giuridica del vano interrato dell’hotel e sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, in relazione alle oggettive caratteristiche dell’intervento, anche alla luce del Regolamento Tipo e degli atti della Regione evidenziando, peraltro, anche la sussistenza di difformità rispetto al progetto assentito (si richiamano integralmente, sul punto, il ricorso del Pubblico Ministero, che deve intendersi ivi trascritto). Occorre, poi, evidenziare che con il provvedimento in data 1° agosto 2024 il Giudice per le Indagini Preliminari, condivideva le argomentazioni del Pubblico Ministero sul fumus boni iuris, ma ha ritenuto insussistente il periculum in mora in considerazione del fatto che l’esistenza del locale abusivo non altera il numero degli ospiti dell’hotel e, quindi, non incide sul carico urbanistico che è già stato calcolato dall’Autorità Amministrativa con riferimento al corpo principale dell’edificio. Nell’ordinanza impugnata si giunge ad escludere la sussistenza del fumus boni iuris e la sussistenza dell’elemento soggettivo, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale, in sede di appello cautelare "ex" art. 322 -"bis" c.p.p., quando il Tribunale accoglie l'impugnazione proposta dal P.M. e dispone la misura cautelare reale, ha comunque l'obbligo di valutare la sussistenza di tutti i presupposti del sequestro preventivo, a prescindere dai motivi di gravame proposti, non potendo l'effetto devolutivo essere interpretato in senso riduttivo e meccanicistico, giacché i profili sostanziali sono presupposti collegati con i motivi dedotti e vanno apprezzati non soltanto nel giudizio di riesame, ma anche in sede di appello (tra le altre, Cass., Sez. 6, Sentenza n. 35786 del 21/06/2012 Cc., dep. 18/09/2012, rv. 254392 – 01). Nell’ordinanza impugnata, peraltro, non vengono esaminate le considerazioni svolte dal PM, contenute nell’atto di appello, in ordine alla sussistenza del periculum in mora, ed in particolare in relazione agli elementi che consentono di ritenere sussistente un aggravio del carico urbanistico.

4. In data 3 febbraio 2025 è pervenuta una memoria difensiva a firma degli Avvocati Fausto Scapini, Luca Tirapelle e Paolo Mastropasqua, che, nell’interesse degli indagati, hanno chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso del PM, in particolare: a) eccependo l’inammissibilità del ricorso in quanto il motivo proposto esulerebbe dai ristretti limiti di cui all’art. 325, cod. proc. pen. (prima eccezione); b) censurando il dedotto vizio di violazione di legge riferita alla nozione giuridica di vano accessorio che andrebbe adattata alla destinazione d’uso principale dell’edificio cui accede, non potendo limitarsi la definizione di vani accessori ai soli vani residenziali, contestando anche la lettura operata dal PM della DGR Veneto n. 807 del 2014 e della DGR Veneto n. 1578 del 2018, quest’ultima chiaramente applicabile al caso di specie elencando esplicitamente le aree wellness e le palestre quali servizi accessori degli hotel, aggiungendo anche che la definizione di vani accessori non deriverebbe solo dalla normativa regionale interpretata grossolanamente dal PM ma anche dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alla nozione di “superfici utili”, richiamata alle pagg. 13/14, ribadendo che l’area di cui è stato chiesto il sequestro non era soggetta a PDC perché struttura seminterrata che la NTA, all’art. 61, consentono di non computare nella superficie utile lorda (seconda eccezione); c) dolendosi della censura circa la sussistenza dell’elemento soggettivo “doloso”, perché funzionale a far rilevare un vizio di motivazione e comunque non rispondendo al vero che i vincoli paesaggistici avrebbero impedito l’iniziativa edilizia in quanto opera non assoggettabile alla VAS come stabilito dall’autorità amministrativa con parere motivato n. 263 del 2021, censurando le ulteriori argomentazioni di natura suggestiva svolte dal PM (terza eccezione); d) infine, vengono svolte ulteriori considerazioni circa le censure del PM a sostegno della complessiva “dolosità” della condotta che sarebbe stata ricavabile anche dagli ulteriori abusi ipotizzati, di cui viene contestata la sussistenza (quarta eccezione).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è fondato. 

2. La questione posta dal pubblico ministero – necessitata dalla motivazione dei giudici dell’appello cautelare, soffermatisi sul tema del fumus delicti anziché, come sarebbe stato doveroso, su quella del periculum in mora, oggetto dell’appello cautelare proposto dal pubblico ministero, in assenza di impugnazione sul fumus da parte degli indagati - investe la possibilità di qualificare l’intervento edilizio in relazione al quale è stata proposta invano richiesta di sequestro preventivo (l’area wellness della struttura alberghiera meglio descritta in atti) come rientrante nella nozione di struttura accessoria, condicio sine qua non per l’applicabilità, sostenuta dalla difesa degli indagati, della previsione dell’art. 61 delle NTA che consente di non computare nella superficie utile lorda tale area in quanto struttura seminterrata (art. 61, n. 7). 
2.1. Le censure sviluppate rigorosamente in diritto – ed in quanto tali ammissibili ex art. 325, cod. proc. pen., difformemente da quanto sostenuto nella memoria difensiva – sono del tutto corrette e consentono di escludere che il consistente intervento edilizio, che ha interessato un'area delle dimensioni di 56 ml. per 2,8 metri di altezza per complessivi 3066 m³, indicata nel progetto come vano accessorio (concretizzatasi nella realizzazione di una palestra, cabine per trattamenti e massaggi, una sala relax, una sala privata, una sala buffet e simili), possa essere qualificata come “struttura accessoria”, in quanto tale non computabile nella SUL sol perché seminterrata. 
2.2. Correttamente il pubblico ministero richiama, quale normativa di riferimento, quella del regolamento edilizio tipo di cui al d.P.C.M. 20 ottobre 2016 che, al punto 15 dell’allegato a), definisce cosa debba intendersi per “superficie accessoria”, in particolare descritta come la “Superficie di pavimento degli spazi di un edificio aventi carattere di servizio rispetto alla destinazione d’uso della costruzione medesima, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre. La superficie accessoria può ricomprendere, per esempio: i portici e le gallerie pedonali; i ballatoi, le logge, i balconi e le terrazze; le tettoie con profondità superiore a m 1,50; le tettoie aventi profondità inferiore a m. 1,50 sono escluse dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile; le cantine poste al piano interrato, seminterrato o al primo piano fuori terra e i relativi corridoi di servizio; i sottotetti accessibili e praticabili per la sola porzione con altezza pari o superiore a m 1,80, ad esclusione dei sottotetti aventi accesso diretto da una unità immobiliare e che presentino i requisiti richiesti per i locali abitabili che costituiscono superficie utile; i vani scala interni alle unità immobiliari computati in proiezione orizzontale, a terra, una sola volta; spazi o locali destinati alla sosta e al ricovero degli autoveicoli ad esclusione delle autorimesse che costituiscono attività imprenditoriale; le parti comuni, quali i locali di servizio condominiale in genere, i depositi, gli spazi comuni di collegamento orizzontale, come ballatoi o corridoi. Gli spazi comuni di collegamento verticale e gli androni condominiali sono esclusi dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile”. 
2.3. Già dalla stessa definizione di “superficie accessoria” contenuta nel RET è evidente, pur nella sua valenza esemplificativa, che nessuna delle tipologie di strutture elencate può essere assimilata a quella, peraltro articolata e complessa, oggetto dell’intervento edilizio in questione, caratterizzata da ambienti e locali tra loro indipendenti. 
2.4. Quanto sopra, tenuto conto della specificità della normativa regionale applicabile all’intervento edilizio in questione, trova poi una sua conferma nella Delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 807 del 2014, attuativa della legge reg. Veneto n. 11 del 2013, che fissa i requisiti che gli hotel a 5 stelle, come quello in esame, devono possedere. In particolare, all'articolo 7 dell'allegato a), la predetta Delibera individua i limiti di altezza dei vani accessori, prendendo distintamente in esame l'area wellness al punto 55-18 dell'allegato B) tra le tipologie di strutture di cui devono essere almeno presenti 5 servizi ben individuati perché l'albergo possa ottenere una classificazione a 5 stelle, tipologie che dall'esame del lungo elenco risultano del tutto diverse dai vani accessori dell'allegato a). 
2.5. Dirimente, peraltro, nel senso di escludere la natura “accessoria” al complesso degli interventi edilizi realizzati nel caso di specie, è la interpretazione che la giurisprudenza ha costantemente fornito con riferimento alla natura che il “vano accessorio” deve possedere al fine di poter essere qualificato come tale e, dunque, nella progettazione difensiva, non computabile nella superficie lorda utile agli effetti edilizi. Nell’ambito di un’unità immobiliare ad uso residenziale, qual è senza alcun dubbio una struttura alberghiera, devono infatti distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi c.d. “accessori”. Trattasi in particolare – come si desume dalla lettura del richiamato RET - di autorimesse, cantine, depositi, magazzini, locali di servizio a vario titolo nonché, per gli ultimi piani, di soffitte e sottotetti. Ne deriva che la trasformazione in unità residenziali, idonee per i diversi fini propriamente abitativi, è un intervento edilizio rilevante, solo ove si consideri l’aggravio sul carico urbanistico complessivo, a tacere dei profili igienico-sanitari di abitabilità del vano. L’effetto di questi interventi è quindi di ampliare la superficie residenziale e la relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire. Per le considerazioni sopra svolte, il cambio di destinazione d’uso di locali accessori in vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico complessivo, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a) del Testo Unico Edilizia, ciò a prescindere dall’esecuzione materiale di opere (tra le tante, ad esempio, nella giurisprudenza amministrativa: TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 maggio 2018, n. 742). 
2.6. Difettano, dunque, nell’intervento edilizio di cui viene chiesto il sequestro preventivo le caratteristiche del vano accessorio, riferibile solo a spazi di limitate dimensioni, privi di autonomia funzionale e potenziale e posti a stretto servizio della struttura principale. Nessuna delle predette caratteristiche è rinvenibile nell'area wellness, posto che si tratta di strutture abitabili in quanto costituite da palestra, sala fitness e relax e, dunque, ambienti presso cui si svolgono attività anche intense della vita quotidiana e che impegnano un rilevante numero di persone per un tempo apprezzabile. Trattandosi, poi, di zone liberamente fruibili e abitabili, tali spazi creano una trasformazione del territorio che genera carico urbanistico a differenza del “vano accessorio” che non comporta questo effetto: correttamente il pubblico ministero evidenzia come il consumo che l'area wellness porta con sé di energia, risorse idriche, manutenzione e presenza umana è del tutto diverso da quello insito in un “vano accessorio”. 
2.7. Analogamente, non può ritenersi condivisibile l’affermazione del tribunale – sostenuta dalla difesa anche nella memoria depositata in limine litis - secondo cui l'accessorietà potrebbe essere ampliata in rapporto alla destinazione ricettiva della struttura principale, che avrebbe quindi bisogno di tutti i vasti ambienti destinati ad accogliere gli ospiti a renderne più comoda e agevole la permanenza, ciò sul presupposto che il regolamento edilizio tipo alla voce 15 definisce la superficie accessoria quella avente carattere di servizio rispetto la destinazione d'uso della struttura principale. Sul punto deve essere evidenziato come la destinazione ad uso residenziale del “vano accessorio” costituito dall’area wellness realizzata, incide sul carico urbanistico e, quindi, sul calcolo degli standard urbanistici che devono essere conseguentemente adeguati alla maggiore pressione antropica che si determina in conseguenza della maggiore superficie residenziale e dell’incremento dei volumi utilizzabili a fini abitativi. Non vi è dubbio, infatti, che nel caso di conversione di superficie accessoria in superficie ad uso abitativo, si determini un aumento di superficie utile, seppur in assenza di aumento di superficie calpestabile, con conseguente incremento della capacità insediativa. Inoltre, come del resto afferma anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., 5/07/2023, n. 6572), la categoria urbanistica non muta in ragione della accessorietà rispetto ad unità con destinazione abitativa prevalente, poiché il vincolo pertinenziale non modifica l’ascrivibilità a categorie edilizie che, nel caso specifico, restano non omogenee, in ragione del diverso carico urbanistico a ciascuna riferibile, con conseguente necessità del permesso di costruire per il mutamento in residenziale della destinazione d’uso del locale accessorio. Sul punto, peraltro, va ribadito quanto già affermato da questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 11303 del 04/02/2022, Turrin, Rv. 282929 – 01), secondo cui, nell'ambito di un'unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi “accessori” che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all'atto del rilascio del permesso di costruire, quali autorimesse, cantine e "locali di servizio". Ne deriva che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage, di un magazzino o di una soffitta in un locale abitabile, dato che tale intervento (senza considerare i profili igienico-sanitari di abitabilità del vano), in ogni caso si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l'originario permesso di costruire. 

3. Fondata è poi la censura del pubblico ministero circa la insussistenza della buona fede che avrebbe escluso l’elemento soggettivo (colposo, in ragione della natura delle contravvenzioni di cui è ipotizzata la violazione), tenuto conto della macroscopicità della divergenza rispetto alle opere realizzate, non essendo quindi accoglibili le deduzioni difensive di cui alla memoria depositata a sostegno della buona fede degli indagati. 
3.1. Ed invero, in disparte le considerazioni “accessorie” svolte dal pubblico ministero a corredo della prospettazione accusatoria (fondate sull’irrilevanza dei sopralluoghi eseguiti dall’autorità comunale, sulla mancata attestazione della conformità edilizia nella seconda consulenza tecnica eseguita dal PM o dall’irrilevanza dell’intervenuto rilascio del titolo abilitativo e paesaggistico, come, infine, sulla esistenza degli ulteriori abusi descritti che avrebbero rafforzato l’esclusione della buona fede), ciò che assume valenza dirimente è proprio il riferimento, oggettivo, alle caratteristiche funzionali ed alla straordinaria consistenza dimensionale dell’intervento edilizio realizzato, che consentiva di porre quantomeno in dubbio – il che è sufficiente in questa sede di sommaria delibazione cautelare della configurabilità del fumus sotto il profilo dell’elemento psicologico – la sussistenza della “buona fede” degli indagati, alla luce della definizione di superficie accessoria descritta dal più volte citato d.P.C.M. 20 ottobre 2016 che escludeva del tutto la possibilità di sussumere in tale nozione un intervento di così ampia consistenza come quello descritto, trattandosi di un'area delle dimensioni di 56 ml. per 2,8 metri di altezza per complessivi 3066 m³, indicata nel progetto come vano accessorio, laddove però erano state realizzate una palestra, cabine per trattamenti e massaggi, una sala relax, una sala privata, una sala buffet e simili: è dunque sufficiente, a tal proposito, dare atto – come del resto ha fatto il pubblico ministero – di dati di fatto che non permettono di escludere "ictu oculi" la sussistenza di tale elemento (si v., a titolo esemplificativo, Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015 – 01). 

4. Conclusivamente, ritiene dunque il Collegio che – accertata la correttezza della sussistenza del fumus delicti (su cui, come anticipato, il tribunale, in sede di appello cautelare, non avrebbe dovuto pronunciarsi, tenuto conto che l’impugnazione del pubblico ministero aveva attinto il provvedimento del Gip che aveva ritenuto insussistente solo il periculum in mora, ciò in considerazione della natura limitatamente devolutiva dell’appello cautelare e della circostanza per la quale dall’appello non è conseguito l’accoglimento dell’impugnazione del PM, unico caso nel quale il Tribunale ha comunque l'obbligo di valutare la sussistenza di tutti i presupposti del sequestro preventivo, a prescindere dai motivi di gravame proposti (da ultimo, Sez. 6, n. 35786 del 21/06/2012, Rv. 254392 – 01) su cui i giudici, in sede di rinvio, non saranno più tenuti a pronunciarsi essendosi formato il giudicato cautelare sul punto – il Tribunale del riesame sarà doverosamente chiamato a pronunciarsi, in sede di rinvio, solo sulla questione della configurabilità del periculum in mora. 
4.1. Nell’ordinanza impugnata, infatti, non sono state esaminate le considerazioni svolte dal PM, contenute nell’atto di appello cautelare, in ordine alla sussistenza del periculum in mora, ed in particolare in relazione agli elementi che consentono di ritenere sussistente un aggravio del carico urbanistico. Quanto sopra configura un chiaro errore di diritto, non trovando applicazione nel processo penale il principio della "ragione più liquida", atteso che il giudice collegiale della cautela non può esimersi dal valutare il profilo della sussistenza o meno del periculum in mora, unicamente devoluto con l'impugnazione dal pubblico ministero, esaminando, invece, d’ufficio, l’altro profilo, relativo al fumus commissi delicti, non attinto dall’impugnazione, profilo diverso - e, probabilmente, nell’ottica del giudice dell’appello cautelare, di più agevole decisione -, operando infatti nel giudizio di appello in materia di misure cautelari reali il principio devolutivo, in virtù del quale al giudice è attribuita la cognizione del procedimento nei limiti segnati dai motivi posti a sostegno dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 6, n. 15855 del 05/02/2004, Rv. 228809 - 01).

5. L’impugnata ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Verona perché si pronunci sulla configurabilità del periculum in mora. 
  
P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Verona. 
Così deciso, il 20/02/2025