Cass. Sez. III n. 52149 del 20 novembre 2018 (Cc 27 giu 2018)
Pres. Cavallo Est. Scarcella Ric. Parlati
Urbanistica.Costruzione in zona agricola e sanatoria

In tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria



RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 13.02.2018, il tribunale del riesame di Lecce rigettava l’istanza di riesame proposta dalla Parlati avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/tribunale di Lecce in data 9.01.2018, avente ad oggetto un fabbricato sito in loc. Malespina di Alliste, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, di proprietà dell’indagata, in quanto ritenuto sussistente il fumus dei reati di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, d. lgs. n. 42 del 2004, nonché il relativo periculum in mora sotto il profilo del concreto pericolo di aggravamento o protrazione degli stessi, con particolare riferimento all’aggravio del carico urbanistico in zona paesaggisticamente tutelata.

2. Contro la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. pen., prospettando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 44, lett. c), TU edilizia.
Premette la ricorrente che per la realizzazione delle opere sequestrate, la stessa si era rivolta ad un proprio tecnico di fiducia, che ebbe a curare la redazione di un progetto, di presentarlo all’amministrazione e di verificarne l’approvazione; l’UTC aveva quindi rilasciato il p.d.c. nella convinzione che lo stesso fosse del tutto legittimo, in quanto rispettoso degli strumenti urbanistici vigenti; era quindi arduo immaginare che la ricorrente fosse cosciente di realizzare un’opera abusiva ovvero che la stessa avesse colpevolmente ignorato di star consumando un abuso edilizio; i giudici del riesame avrebbero affrontato la questione dell’elemento psicologico con motivazione illogica, insufficiente e per taluni versi meramente apparente; richiamando quanto esposto alle pagg. 13 e 14 dell’ordinanza, si duole la ricorrente per aver il tribunale sostenuto che l’illegittimità del progetto presentato sarebbe talmente evidente e macroscopica da poter essere rilevata anche in base alla semplice lettura della rubrica del progetto presentato; in sostanza, erra il tribunale nel pretendere in capo alla ricorrente la conoscenza di dati tecnici e giuridici che giammai la stessa avrebbe potuto avere; diversamente, risultano in atti due diversi pareri, espressi, per l’amministrazione, da un avvocato amministrativista di specchiata professionalità e, per la ricorrente, da un professore universitario esperto della materia amministrativa, che sarebbero giunti a conclusi diametralmente opposte a quelle cui è giunto il tribunale; il progetto della ricorrente venne valutato dall’UTC e soggetto ad autorizzazione paesaggistica n. 37 del 21.03.2014, con conclusione favorevole dell’iter amministrativo; non poteva quindi dubitare né sospettare che la procedura seguita fosse illegittima, non avendone le qualità soggettive; sarebbe quindi possibile fare applicazione di quella giurisprudenza che ritiene che anche in fase cautelare il giudice possa rilevare il difetto dell’elemento soggettivo del rato, purché emerga “ictu oculi”.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 30, TU edilizia.
Si sostiene che l’ordinanza sarebbe affetta da un duplice motivo di nullità; anzitutto, quanto all’elemento psicologico del reato, non essendo ipotizzabile la sussistenza della colpa in relazione all’illecito lottizzatorio non emergendo che la ricorrente avesse avuto consapevolezza né dubbi o sospetti di violare la legge con i suoi comportamenti, tutti tesi ad ottenere provvedimenti autorizzatori nel pieno rispetto della legalità; il tribunale, in ogni caso, non avrebbe motivato sul punto, esponendo quindi l’ordinanza al vizio di omessa motivazione; in secondo luogo, l’ordinanza sarebbe nulla per insussistenza del rato di lottizzazione abusiva, in quanto l’intervento edilizio era assentito e non era di tal consistenza da incidere in modo rilevante sull’assetto urbanistico della zona; il lotto su cui la stessa era intervenuta era pari al doppio di quello richiesto, pari a 21.000 mq., e l’immobile realizzato copriva la superficie di 118,42 mq., avendo quindi inciso mediante copertura per lo 0,6% sul lotto interessato; l’attività contestata, inoltre, non venne fatta oggetto di frazionamenti ma di accorpamenti, non essendovi quindi né lottizzazione negoziale né, tantomeno, materiale, in quanto tutta la zona era ampiamente urbanizzata e non vi erano né vi sono previste ulteriori opere di urbanizzazione, primaria o secondaria; sul punto, la motivazione del tribunale sviluppata alla pag. 15 dell’ordinanza sarebbe censurabile, essendo infatti dagli atti evidente la superfluità di qualsivoglia opera di urbanizzazione; i giudici avrebbero ritenuto, senza alcun supporto probatorio o indiziario, indispensabili ulteriori opere in realtà non previste né realizzate per quelle costruzioni; sul punto, si sostiene in ricorso, la ricorrente avrebbe provato mediante l’allegazione delle aerofotogrammetrie e le ortografie, oltre che con c.t.p. giurata, non solo che tutti gli immobili erano stati completati ed erano ultimati, ma anche che a quelli si accedeva mediante una strada asfaltata preesistente, da anni dotata di illuminazione pubblica; il tribunale avrebbe ignorato quanto sopra, affermando il contrario di quanto dedotto, non rispondendo al vero che la realizzazione delle opere avrebbe imposto nuove opere di urbanizzazione primaria, essendo tali opere già stata realizzate dall’amministrazione prima dell’approvazione del progetto pilota.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione alla sussistenza del periculum in mora.
Quanto al paventato aggravio del carico urbanistico, oltre a ribadire che il lotto su cui la stessa era intervenuta era pari al doppio di quello richiesto, pari a 21.000 mq. (e l’immobile realizzato copriva la superficie di 118,42 mq., avendo quindi inciso mediante copertura per lo 0,6% sul lotto interessato) e che i lavori erano ultimati sin dal 5.03.2015, aggiunge la ricorrente che non solo non è prevista la realizzazione di ulteriori opere, ma anche che l’immobile è abitato per la sola stagione estiva dalla ricorrente e dal coniuge per circa due settimane l’anno; la produzione di rifiuti è inferiore a quella ipotizzabile al momento della realizzazione dell’opera, la costruzione è servita da pozzo nero e l’immobile è provvisto di cisterna interrata, senza quindi che sia ipotizzabile un aggravio del carico urbanistico; ancora, tutto il terreno è coltivato ad uliveto e la ricorrente lo ha accudito nel tempo, coltivandolo, preservando la destinazione urbanistica della zona, ed alimentandone la vocazione agricola; inoltre all’immobile si accede da una via pubblica preesistente, senza che sia prevista la realizzazione di ulteriori accessi; le argomentazioni del tribunale impiegate alla pag. 18 per confutare le doglianze difensive sarebbe insufficienti o apparenti, costituendo una mera affermazione quella secondo cui le opere determinano un sensibile aggravio del carico urbanistico, non essendo poi logicamente praticabile quanto sostenuto dal tribunale secondo cui se venissero assentite altre opere la zona sarebbe interamente urbanizzata, ciò perché gli uffici comunali ben si guarderebbero, tenuto conto di quanto accaduto, dal rilasciare ulteriori autorizzazioni amministrative; quanto all’affermazione che l’immobile sarebbe abitato da due sole persone, il tribunale non avrebbe smentito tale circostanza, così comprovando che sulla zona non ricadrebbero conseguenze di un’altra e frequente densità abitative e, infine, quanto alla confisca essa non inciderebbe sul fumus, dovendo l’illecito lottizzatorio essere accertato dal giudice di merito; occorre quindi una motivazione più dettagliata in ordine alla sequestrabilità di un immobile già ultimato che insiste su area paesaggisticamente vincolata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Premesso che sulla vicenda in esame questa Corte si è già pronunciata in una vicenda sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto di esame da parte di questa Collegio, pervenendo alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto (Sez. 3, sentenza n. 12172 del 2017, ric. Mariano, non massimata), osserva il Collegio come i motivi sono tutti da ritenersi generici e meramente reiterativi delle doglianze già sollevate e correttamente decise dal tribunale del riesame.
Gli stessi pertanto si presentano generici per aspecificità in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella ordinanza impugnata che confuta in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi le identiche doglianze difensive (doglianze che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

5. Le stesse doglianze inoltre sono da ritenersi in parte manifestamente infondate, ed in parte proposte per motivi non consentiti dalla legge.
Ciò vale, in particolare, per tutti i profili di censura, sviluppati in tutti e tre i motivi di ricorso, con cui la ricorrente si duole per l’asserita insufficienza o illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, dimenticando, tuttavia, che nei giudizi davanti a questa Corte di legittimità, a norma dell’art. 325, c.p.p., è consentita l’impugnazione delle ordinanza che decidono in materia cautelare reale per i soli motivi attinenti alla violazione di legge; ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (per tutte, v.: Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).
Ciò non può certamente ravvisarsi nel caso di specie, dovendosi rilevare la assoluta congruità e completezza argomentativa dell’ordinanza impugnata che in ben 19 pagine affronta ex professo tutte le singole censure difensive, confutandole con argomentazioni che, lungi dal poter essere tacciate di “apparenza”, si distinguono per il non comune grado di approfondimento, anche giuridico delle singole questioni trattate. Appare, dunque, evidente come la ricorrente, sotto l’apparente censura di vizi di violazione di legge o di motivazione “apparente”, in realtà tenta di chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella, operata dai giudici territoriali, da egli non condivisa; ciò che si risolve, dunque, nella manifestazione del dissenso di quest’ultimo, più che nella prospettazione di un reale vizio motivazionale, peraltro non consentito in questa sede ex art. 325, c.p.p.

6. Il ricorso, peraltro, si espone al giudizio di inammissibilità anche per quanto concerne le dedotte censure di violazione di legge attinenti, anzitutto, alla questione della mancanza dell’elemento psicologico dei reati oggetto di contestazione, oggetto del primo motivo.
Ed infatti, l’ordinanza affronta puntualmente la censura alle pagg. 13/14 dell’ordinanza, non soltanto mostrando di ben conoscere la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente nel ricorso relativa alla possibilità per il giudice di poter rilevare la mancanza dell’elemento psicologico del reato anche in fase cautelare purchè ciò appaia “ictu oculi”, ma soprattutto escludendo che tale giurisprudenza possa trovare applicazione al caso in esame.
Né ha pregio la censura difensiva che attinge l’ordinanza impugnata in ordine alla risposta fornita sul punto dai giudici del riesame, laddove affermano che l’illegittimità del progetto presentato risulta talmente evidente e macroscopica da poter essere rilevata anche in base alla semplice lettura della rubrica del progetto presentato. Ed infatti, in disparte la già rilevata incensurabilità del vizio motivazionale in questa sede, i giudici del riesame evidenziano i singoli, molteplici e palesi punti di attrito tra il progetto presentato a le previsioni urbanistiche di zona, sottolineano come la cronologia degli accadimenti induce a ritenere l’0esistenza di un disegno a carattere speculativo totalmente eccentrico rispetto alla qualificazione di zona, realizzato con il pretesto della presenza su detta area di antichi manufatti in pietra a secco; ricordano come la ricorrente aveva acquistato i terreni su cui era stata eseguita l’attività edilizia nell’anno 2012, pochissimi mesi prima della presentazione, in data 1.02.2013, dell’istanza volta ad ottenere il p.d.c., ciò dimostrando la evidente volontà della ricorrente di procedere all’acquisto dei terreni al solo e unico scopo di realizzarvi una dimora turistica, senza alcun nesso con lo svolgimento di attività agricola e con i fini cui è deputata la zona E2 del PRG del comune di Alliste; gli stessi giudici poi ricordano come il terreno in questione, sito nell’amena località Malespina del comune di Alliste, disti appena 1000 mt. dal mare, risultando pertanto particolarmente appetibile per la realizzazione abusiva di immobile da destinare a locazione turistica. A ciò, infine, va aggiunto un dato che emerge in maniera chiara ed incontestata dagli atti, rappresentato dalla mancanza in capo alla ricorrente della qualifica soggettiva cui l’art. 16.7, co. 2, delle NTA del PRG, in relazione alla zona E2, subordina l’edificabilità, stabilendo che la stessa è consentita esclusivamente ai soggetti di cui alla L.R. n. 6/79, ossia agli imprenditori agricoli, ai coltivatori diretti e ai braccianti agricoli, la cui qualità dev0’essere attestata, sempre in virtù di quanto statuito dall’art. 9, L.R. Puglia n. 6/79 “a mezzo  di certificazione rilasciata dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, ovvero a mezzo di atto di notorietà in conformità delle vigenti disposizioni di legge”.
E tale qualifica soggettiva è indubbio difetti in capo alla ricorrente, né alla domanda di p.d.c. avanzata all’ufficio tecnico del comune di Alliste in data 1.02.2013, risulta essere allegata alcuna documentazione da cui risulti in possesso in capo alla ricorrente delle indicate qualifiche soggettive, con la conseguenza che l’istanza, come evidenzia correttamente il tribunale del riesame (v. pag. 9 dell’ordinanza), avrebbe dovuto essere respinta per assoluto difetto di legittimazione. La mancanza di tale qualifica soggettiva, del resto, era circostanza ben nota alla ricorrente che, peraltro, non potrebbe nemmeno difendersi sostenendo di essersi fidata dei propri tecnici che avevano seguito la pratica edilizia, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di elemento psicologico del reato, l'ignoranza da parte dell'agente sulla normativa di settore e sull'illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa, se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione (tra le tante: Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016 - dep. 23/08/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 268000), dunque non certo confidando sul proprio tecnico privato.

7. E’ quindi evidente che, nel caso in esame, l’ordinanza impugnata ha mostrato di fare buongoverno del principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga "ictu oculi" (da ultimo, v.: Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016 - dep. 03/05/2016, Iommi e altro, Rv. 266896).
Devono quindi essere dichiarate inammissibili le censure relative alla sussistenza del vizio di violazione di legge quanto alla presunta mancanza dell’elemento psicologico di entrambi i reati ipotizzati.
8. Quanto, poi, alle censure, svolte nel secondo motivo, afferenti la pretesa insussistenza dell’illecito lottizzatorio, ancora una volta le doglianze della ricorrente attingono l’ordinanza impugnata sotto il profilo della coerenza argomentativa, ritenendo asseritamente evidente la superfluità di qualsivoglia opera di urbanizzazione.
Con riferimento all’illecito lottizzatorio, i giudici del riesame, segnatamente alle pagg. 14/16 dell’ordinanza impugnata, spiegano in maniera ineccepibile le ragioni per le quali il fumus del reato di cui all’art. 44, lett. c), TU edilizia deve considerarsi sussistente, proprio confutando l’identica doglianza mossa dall’indagata, che viene per così dire replicata in sede di ricorso per cassazione; si legge infatti nell’ordinanza come i molteplici interventi edilizi assentiti (tra cui quello della Parlati), in palese violazione del PRG del Comune di Alliste, in zona E2, abbiano determinato l’urbanizzazione di una zona agricola sottoposta a vincolo paesaggistico, non rispondendo al vero che l’area su cui sorge l’intervento sia già urbanizzata e densamente edificata, come sostenuto dalla difesa; in particolare, i giudici del riesame richiamano a relazione paesaggistica, presentata unitamente alla domanda di p.d.c. e al relativo rilievo ortografico (documenti, quindi, valutati, a dispetto di quanto sostenuto in ricorso), che dimostra come l’area in questione, pur trovandosi a breve distanza dalla fascia costiera, questa sì urbanizzata, risulti ancora ampiamente incontaminata, peraltro caratterizzata dalla presenza di numerosissimi antichi caseddhi da tutelare. Si legge, peraltro, come è facile comprendere cosa potrebbe accadere se, come sta avvenendo, per ognuno di essi (sarebbero circa 2000 gli antichi manufatti presenti sull’area in questione), si consentisse l’edificazione ex novo di una villetta con piscina, come nel caso di specie, da adibire a dimora turistica, in quanto si assisterebbe al totale snaturamento della pianificazione urbanistica di zona.Inoltre, si aggiunge, sebbene sia previsto l’approvvigionamento idrico con autonome cisterne interrate e lo smaltimento dei liquami mediante l’utilizzo di fosse biologiche, le nuove costruzioni così realizzate non possono non imporre la necessità di ulteriori opere di urbanizzazione primaria (strade, rete elettrica, pubblica illuminazione, ecc.), trattandosi di zona finora agricola.

9. Ancora una volta, dunque, a fronte di dati oggettivi difficilmente confutabili, la ricorrente oppone doglianze che pretenderebbero di trascinare questa Corte di legittimità sul terreno del fatto, sostituendo la propria valutazione a quella, corretta operata dai giudici, del riesame, anche sotto il profilo giuridico, operazione inibita in questa sede. Ed infatti, questa stessa Sezione ha già affermato che in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 - dep. 17/02/2017, Innamorati e altri, Rv. 269159); anche il secondo motivo di ricorso è quindi privo di pregio.

10. Resta, infine, da valutare la censura attinente al periculum in mora, che presta il fianco anch’essa al giudizio di inammissibilità.
Ed infatti, sul punto, i giudici del riesame dedicano ben tre pagine (da pag. 16 a pag. 18) dell’ordinanza impugnata evidenziando come tale periculum sia ravvisabile nel concreto pericolo di aggravamento o protrazione del reato, sotto il profilo del maggior aggravio del carico urbanistico. Dopo aver richiamato puntualmente la giurisprudenza progressivamente formatasi sul punto, il tribunale per evidenziare detto pericolo richiama quanto già esposto a proposito della valutazione di sussistenza del reato lottizzatorio, ricordando cosa potrebbe accadere se, come sta avvenendo, per ognuno dei manufatti (sarebbero circa 2000 gli antichi manufatti presenti sull’area in questione), si consentisse l’edificazione ex novo di una villetta con piscina, come nel caso di specie, da adibire a dimora turistica, in quanto si assisterebbe al totale snaturamento della pianificazione urbanistica di zona. Si aggiunge, sebbene sia previsto l’approvvigionamento idrico con autonome cisterne interrate e lo smaltimento dei liquami mediante l’utilizzo di fosse biologiche, le nuove costruzioni così realizzate non possono non imporre la necessità di ulteriori opere di urbanizzazione primaria (strade, rete elettrica, pubblica illuminazione, ecc.), trattandosi di zona finora agricola. Inoltre i giudici del riesame confutano l’argomento difensivo secondo cui il manufatto sarebbe abitato per pochissimi giorni all’anno dai componenti del nucleo familiare, osservando come tale assunto si scontra con la stessa rubrica del progetto presentato, che prevede la realizzazione di una dimora turistica, suscettibile evidentemente di essere locata a terzi e, anzi, ontologicamente diretta a tale scopo.

11. La motivazione dei giudici del riesame, sul punto, mostra di essere in linea la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del "periculum in mora " non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (tra le tante: Sez. 3, n. 2001 del 24/11/2017 - dep. 18/01/2018, P.M. in proc. Dessi e altri, Rv. 272071), essendo evidente dal complesso motivazione dell’ordinanza impugnata il rilevante impatto paesaggistico che l’intervento edilizio ha sull’area in questione in quanto si assiste al totale snaturamento della pianificazione urbanistica di zona ed al definitivo stravolgimento della sua vocazione agricola-ambientale in turistica-residenziale, ciò a sostegno della sussistenza del periculum anche per il reato lottizzatorio;

12. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 27 giugno 2018