Cass. Sez. III n. 4139 del 29 gennaio 2018 (Ud 13 dic 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci Imputato: Zizi
Urbanistica.Ampliamenti e pertinenze
L'ampliamento di un fabbricato preesistente non può essere considerato pertinenza, diventando parte dell'edificio di cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 5/12/2016 ha riformato, eliminando la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e riduzione in pristino nei confronti di due imputati, la decisione con la quale, in data 15/12/2014, il Tribunale di Brindisi aveva affermato la responsabilità penale di Giovanni ZIZZI, Giuseppe CONVERTINI e Quirico TAGLIENTE per i reati di cui agli artt. 181 d.lgs. 42\2004 e 44, lett. c) d.P.R. 380\01, perché il primo quale proprietario committente, il secondo quale progettista e direttore dei lavori, il terzo quale assuntore dei lavori, effettuavano senza valido titolo (avendo presentato unicamente una d.i.a.), in area sottoposta a vincolo paesaggistico, l’ampliamento di un immobile preesistente consistito nella realizzazione di un vano tecnico e di un bagno a solaio piano, un muro in tufo e pietra con trave in cls e sedute in tufo (in Cisternino, accertato il 16/5/2013).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che la zona oggetto di intervento non sarebbe soggetta a vincolo paesaggistico, come dimostrato dalla delimitazione dell’area vincolata ad opera del d.m. 23/1/1970, che non ricomprende quella ove insistono le opere realizzate e non risultando operante, nella fattispecie, il Piano Territoriale Tematico del paesaggio (PUTT).
3. Con un secondo motivo di ricorso osservano che, anche sulla base delle risultanze istruttorie, le opere realizzate avrebbero natura pertinenziale e, come tali, non necessitavano del permesso di costruire. Aggiungono che la d.i.a. che riguardava detti interventi sarebbe stata legittimamente presentata quale unico titolo necessario, configurandosi, nella fattispecie, una manutenzione straordinaria.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla posizione di Quirico TAGLIENTE, la cui responsabilità sarebbe stata ricavata esclusivamente dalla sottoscrizione dell’accettazione di incarico e dal deposito del DURC della sua impresa.
5. Con un quarto motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
6. Con un quinto motivo di ricorso evidenziano che, avuto riguardo alla prescrizione del reato, comunque maturata dopo la decisione impugnata, i giudici del gravame non avrebbero applicato il principio del favor rei.
7. Insistono pertanto per l’accoglimento dei ricorsi e per il conseguente annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
2. Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che sulla efficacia del Piano Territoriale Tematico del paesaggio (PUTT) ai fini della disciplina paesaggistica, come peraltro ricordato nella sentenza impugnata, questa Corte si è già pronunciata.
In particolare, si è recentemente ribadito che il PUTT della Regione Puglia configura un intervento di pianificazione a carattere generale (e non un intervento speciale, limitato alle sole aree vincolate), che legittimamente estende la propria efficacia a tutto il territorio regionale, anziché limitarsi soltanto ai beni ed alle aree elencate nel d.P.R. n. 616 del 1977, art. 82, comma 5 (come successivamente modificato) ovvero alle aree già sottoposte ad uno specifico vincolo paesistico, secondo le procedure originariamente previste dalla l. n.1497 del 1939. Il d.lgs. n. 42 del 2004, inoltre, non ha innovativamente affermato ma ha ribadito (tenuto conto della delega alle Regioni conferita dal d.P.R. n. 616 del 1977, art. 82) il principio secondo il quale l'individuazione dei beni paesaggistici spetta sia alle Regioni, mediante appositi atti amministrativi, leggi regionali o compilazione dei piani urbanistici territoriali, sia al Ministero dei beni culturali ed ambientali, mediante decreto ministeriale (così, in motivazione, Sez. 3, n. 5435 del 25/10/2016 (dep. 2017), Rizzello, Rv. 269773. Conf. Sez. 3, n. 41078 del 20/9/2007, Simone e altri, Rv. 238098).
3. Ne consegue che del tutto correttamente la Corte territoriale ha considerato non dirimente la questione relativa alla inclusione o meno dell’area interessata dai lavori nella zona individuata dal d.m. 22/1/1970 come soggetta a vincolo paesaggistico.
I giudici dell’appello hanno in particolare rilevato che, nella fattispecie, gli interventi erano stati eseguiti su un “trullo” ricadente in zona A3 - “aree di interesse per la salvaguardia paesistica ed ambientale” del PRG vigente e ricadente in ambito territoriale esteso di valore rilevante “B” ai sensi del PUTT/P, annessa alla componente morfologica “dolina” e “zona trulli” rientrante nell’area nota come Valle d’Itria e soggetta a quanto stabilito dalle N.T.A. del PUTT, art. 5.01.
Il PUTT, nella valutazione del vincolo fa riferimento, secondo quanto riferito dalla Corte territoriale, alla “zona trulli” facente parte dell’area nota come “Valle d’Itria” ed il trullo, per le sue intrinseche caratteristiche, rientra senz’altro tra i beni paesaggistici di cui agli artt. 134 e 136 d.lgs. 42\2004
4. Ulteriore circostanza di rilevo, inoltre, è data dal fatto, opportunamente indicato dai giudici dell’appello, che la sussistenza del vincolo era ben nota agli imputati, i quali nella relazione di asseveramento allegata alla d.i.a. dichiaravano che la natura delle opere da eseguire, non alterando lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio, non richiedeva il preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
5. Quanto al secondo motivo di ricorso, i giudici del merito hanno accertato in fatto che gli interventi eseguiti avevano comportato un ampliamento del preesistente edificio, con predisposizione di un muro con aperture e sporgenze tali da far ragionevolmente prevedere la successiva collocazione di un pergolato.
La natura e consistenza delle opere realizzate, che la Corte di appello evidenzia essere dimostrata dalla documentazione fotografica e dalle dichiarazioni di un testimone qualificato, dando atto anche del fatto che il primo giudice aveva chiarito che le stesse avevano comportato un aumento di volumetria e superfici, nonché modifiche di sagoma e prospetti, ne esclude radicalmente la natura pertinenziale.
6. Invero si è avuto modo di affermare, ripetutamente, che l'ampliamento di un fabbricato preesistente non può essere considerato pertinenza, diventando parte dell'edificio di cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo (Sez. 3, n. 20349 del 16/3/2010, Catania, Rv. 247108; Sez. 3, n. 28504 del 29/5/2007, Rossi, Rv. 237138; Sez. 3, n. 33657 del 12/7/2006, Rossi, Rv. 235382 ed altre prec. conf.).
Tale principio, condiviso dal Collegio, deve pertanto essere qui ribadito.
7. La semplice descrizione delle opere eseguite come accertata nel giudizio di merito evidenzia la correttezza della qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia effettuata dal primo giudice e confermata dalla Corte territoriale.
L’articolo 10, comma primo, lettera c) d.P.R. 380\01 indica come soggetti a permesso di costruire gli “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché' gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Tali interventi sono così descritti dall’articolo 3, comma primo, lettera d) del medesimo d.P.R. “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente:”.
Come è agevole rilevare dal dato letterale della disposizione, tra gli elementi caratterizzanti la ristrutturazione edilizia figurano, tra l’altro, le modifiche volumetriche e gli altri interventi che la Corte territoriale ha ritenuto dimostrati.
8. Il terzo motivo di ricorso, riguardante la posizione del TAGLIENTE, è in gran parte articolato in fatto.
In ogni caso, i giudici del merito hanno del tutto correttamente rilevato la responsabilità dell’imputato sulla base della documentazione dallo stesso sottoscritta, dalla quale emerge la piena consapevolezza della natura e consistenza dell’intervento da realizzare.
La sentenza impugnata correttamente richiama la giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito come sull’esecutore dei lavori edilizi incomba l’obbligo di una preventiva verifica dell’esistenza del titolo abilitativo, la violazione del quale comporta responsabilità, a titolo di dolo, nel reato urbanistico in caso di inizio delle opere nonostante l'accertamento negativo e a titolo di colpa nell'ipotesi di omesso accertamento (Sez. 3, n. 16802 del 8/4/2015, Carafa e altro, Rv. 263474; Sez. 3, n. 860 del 25/11/2004 (dep. 2005), Cima, Rv. 230663), ricordando anche, con riferimento al reato paesaggistico, che lo stesso non disciplina una ipotesi di "reato proprio" e non ha quindi come destinatari soltanto i proprietari del bene vincolato ed i soggetti a questi equiparati ovvero i committenti di "lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici", ma sanziona chiunque trasgredisca le disposizioni poste a tutela dei vincoli (Sez. 3, n. 40434 del 13/7/2006, Gambino, Rv. 236270).
9. Quanto al trattamento sanzionatorio, di cui tratta il quarto motivo di ricorso, va ricordato che il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall'articolo 133 cod. pen.
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito, che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, Nuciforo, Rv. 230278). Non è inoltre richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha adeguatamente ritenuto l’entità della pena giustificata dalla entità delle opere realizzate che hanno modificato la sagoma di un antico trullo.
10. Per ciò che riguarda, infine, la prescrizione del reato, di cui al quinto motivo di ricorso, va ricordato che il principio del "favor rei", per cui, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all'imputato, va applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 (dep. 2008), Cilia, Rv. 238850, citata anche in ricorso).
Ciò posto, deve rilevarsi, alla luce di tale condivisibile principio, che dalla mera constatazione dell'avvenuta ultimazione delle opere abusive all'atto dell'accertamento non può meccanicamente scaturire una situazione di incertezza sulla data del commesso reato.
Si è infatti a tale proposito affermato che in tema di reati edilizi, l'incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione che consente l'applicazione del principio del favor rei non ammette alcun automatismo e deve risultare da dati obiettivi. Il giudice è comunque tenuto all'indicazione delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche sulla base di deduzioni logiche, ad una più puntuale collocazione temporale dell'intervento abusivo (Sez. 3, n. 7065 del 7/2/2012, Croce, non massimata).
Tale principio deve pertanto essere qui ribadito.
11. Ciò posto, si osserva che la Corte territoriale, considerando che le opere risultavano ultimate alla data di accertamento, ha del tutto coerentemente affermato che, in ogni caso, i lavori non potevano che avere avuto inizio dopo il trentesimo giorno dalla data di presentazione della d.i.a. (12/12/2011), il che rende del tutto plausibile che l’ultimazione degli stessi sia avvenuta in data prossima a quella dell’accertamento (16/5/2013), senza, dunque, alcuna incertezza tale da giustificare una diversa decorrenza del termine quinquennale, peraltro allo stato non ancora spirato.
12. I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
Così deciso in data 13/12/2017