Pres.Chieffi Est. Corradini Ric. Raggio ed altri
(Annulla ai soli effetti civili, App. Torino, 1 Marzo 2006)
REATI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO - CONTRAVVENZIONI - CONCERNENTI LE MANIFESTAZIONI SEDIZIOSE E PERICOLOSE - Fattispecie contravvenzionale del disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone - Illecito amministrativo per esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso - Concorso formale - Ammissibilità - Ragioni.
L'esercizio di un mestiere rumoroso in violazione dei limiti stabiliti dalla legge speciale può integrare, oltre che l'illecito amministrativo previsto dalla cd. legge quadro sull'inquinamento acustico, anche la fattispecie contravvenzionale del disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, potendosi accertare in concreto che dall'esercizio del mestiere rumoroso sia derivato, non solo il mero superamento dei limiti di emissioni sonore, ma anche la lesione o la messa in pericolo della quiete pubblica, riferita alla media sensibilità delle persone nell'ambito del quale dette emissioni si verificano.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza
pubblica
Dott. CHIEFFI Severo - Presidente - del 06/12/2006
Dott.
BARDOVAGNI Paolo - Consigliere - SENTENZA
Dott. VANCHERI Angelo - Consigliere
- N. 1435
Dott. GRANERO Francantonio - Consigliere - REGISTRO
GENERALE
Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere - N. 027629/2006
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1)
RAGGIO FRANCESCA N. IL 29/11/1949;
contro
2) VIVIANO GIAN FRANCO N. IL
24/02/1941;
avverso SENTENZA del 01/03/2006 CORTE APPELLO di TORINO;
visti
gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione
fatta dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA;
Udito il Procuratore Generale
in persona del Dott. D'AMBROSIO Vito, che ha concluso per la rimessione degli
atti al giudice civile;
Udito, l'avv. Capelletto Renzo, per Raggio Francesca,
parte civile, che ha concluso per l'annullamento della sentenza con rimessione
degli atti al giudice civile per la quantificazione del danno;
Udito il
difensore avv. Zaccone Cesare nell'interesse di Viviano Gian Franco, che ha
chiesto il rigetto del ricorso della parte civile; in subordine la rimessione
alla Sezioni Unite Penali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data
1.3.2006 la Corte di Appello di Torino ha assolto perché il fatto non
costituisce reato Viviano Gianfranco, nella sua qualità di direttore tecnico e
legale rappresentante dello stabilimento "Roquette Italia S.p.a." con sede di
Cassano Spinola, dal reato di cui all'art. 659 c.p. "perché, omettendo di
adottare ogni misura idonea a ridurre le emissioni sonore derivanti
dall'attività produttiva e dagli impianti in dotazione della suddetta società, e
quindi abusando nell'impiego di strumenti ritenuti sorgenti di rumore, provocava
emissioni sonore ampiamente superiori a quelle consentite, disturbando in tal
modo le occupazioni ed il riposo delle persone, accertato in Cassano Spinola
fino al 9 marzo 2001", previa qualificazione del fatto come illecito
amministrativo ai sensi della L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2. In primo
grado, con sentenza 7.5.2004 del Tribunale di Tortora, il Viviano era stato
ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 659 c.p., comma 1, e condannato
alla pena di due mesi di arresto, sospesa condizionalmente, nonché al
risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile Storace Tiberio in
Euro 40.000,00 e delle parti civili Carega Angela e Raggio Francesca in Euro
20.000,00 per ciascuna ed alla eliminazione delle conseguenze pericolose del
reato. Le parti civili, che avevano denunciato il fatto, abitavano nei pressi
dello stabilimento dove avevano costruito le loro case previe regolari
concessioni edilizie. Il Tribunale aveva ritenuto che fosse configurabile la
fattispecie di cui all'art. 659 c.p., comma 1, con disturbo di una potenziale
pluralità di persone poiché da un lato la attività della Roquette Italia non era
fra quelle necessariamente rumorose e da altro lato l'abuso indicato dall'art.
659 c.p., comma 1 poteva derivare da qualsiasi fonte sonora, mentre la entrata
in vigore della Legge Quadro dell'inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n. 447
non aveva inciso sulla figura criminosa prevista dal comma 1 della norma citata.
In fatto ha poi rilevato che le emissioni rumorose dello stabilimento di Cassano
Spinola, oltre a superare il limite di tollerabilità, erano state caratterizzate
da costanza e diffusività di fondo, tanto da determinare concretamente il
disturbo della pubblica tranquillità locale.
La Corte territoriale ha invece
ritenuto che fosse ravvisabile la ipotesi di cui all'art. 659 c.p., comma 2
stante la presenza di una attività industriale necessariamente e tipicamente
rumorosa, nonostante gli investimenti massicci della proprietà per eliminare o
quanto meno attenuare le conseguenze rumorose delle lavorazioni in atto e che in
tale ambito il fatto integrasse soltanto l'illecito amministrativo di cui alla
L. n. 447, art. 10, comma 2, poiché la rilevanza penale dell'art. 659 c.p.,
comma 2 restava limitata alle violazioni di prescrizioni diverse da quelle
concernenti i limiti delle emissioni o immissioni sonore.
Ha proposto ricorso
per cassazione la parte civile Raggio Francesca chiedendo l'annullamento della
sentenza impugnata e lamentando con due separati motivi: erronea applicazione
dell'art. 659 c.p., comma 2, poiché il fatto contestato integrava l'art. 659
c.p., comma 1 alla stregua della specifica contestazione contenuta nel capo di
imputazione e della interpretazione della norma offerta dalla giurisprudenza
consolidata della Corte di Cassazione; erronea applicazione della L. n. 447 del
1995, art. 10, comma 2, il quale non aveva depenalizzato la fattispecie prevista
dall'art. 659 c.p., comma 2 in presenza della concreta idoneità della condotta a
mettere in pericolo il bene della pubblica tranquillità, tutelato sia dal comma
1 che dal comma 2 della norma citata, arrecando disturbo al riposo e alle
occupazioni di una pluralità indeterminata di persone. Con memoria in data
16.11.2006 la difesa dell'imputato ha chiesto la rimessione del ricorso alle
Sezioni Unite Penali di questa Corte con riguardo ai "confini" dell'art. 659
c.p., fra il comma 1 ed il comma 2 ed all'ambito della depenalizzazione del
suddetto reato. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto la
rimessione degli atti al giudice civile. Anche il difensore della parte civile
Raggio Francesca ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con la
rimessione degli atti al giudice civile per la quantificazione del danno. La
difesa dell'imputato ha invece concluso per il rigetto del ricorso della parte
civile ed in via subordinata per la rimessione alle Sezioni Unite Penale della
questione prospettata con la memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il
ricorso contro la sentenza di proscioglimento proposto dalla sola parte civile
trova, nella specie, la sua fonte e la sua disciplina nell'art. 576 c.p.p., che,
per quanto qui interessa, non è stato toccato dalla modifiche apportate dalla L.
20 febbraio 2006, n. 46 in materia di inappellabilità della sentenze di
proscioglimento, e riconosce il diritto alla parte civile ad una decisione
incondizionata sul merito della propria domanda e, nel contempo, conferisce al
giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed
alle restituzioni, pur in mancanza di una statuizione sul punto nel precedente
grado del giudizio. Si tratta di una eccezione fatta dal legislatore al
principio per cui il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in
quanto contestualmente pervenga ad una dichiarazione di responsabilità penale,
poiché consente che, per effetto della sola impugnazione della parte civile, si
possa rimuovere l'accertamento dei fatti posti a base della decisione
assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per
illecito civile e così ottenere una diversa pronuncia che rimuova quella
pregiudizievole per i suoi interessi civili.
La normativa processuale penale
vigente ha cioè scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di
responsabilità, civile e penale, nel senso che la impugnazione proposta ai soli
effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente
in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice penale
dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente
dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità
dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale,
statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'impugnazione, ritenendolo
ascrivibile al soggetto prosciolto (v. Cass. Sez. Un. n. 25083 del 2006, Negri).
Ne consegue che la parte civile, nonostante la modifica dell'art. 576 c.p.p. ad
opera della L. n. 46 del 2006 nella parte in cui in precedenza collegava il suo
potere di impugnativa al mezzo previsto per il Pubblico Ministero, conserva
tuttora il potere di impugnare contro la sentenza di proscioglimento, mentre il
giudice della impugnazione ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della
devoluzione, i poteri che avrebbe dovuto esercitare il giudice che ha
prosciolto, per cui, se si convince che tale giudice ha sbagliato nell'assolvere
l'imputato, ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e
(come indirettamente conferma il disposto di cui all'art. 622 c.p.p.)
condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l'accertamento
incidentale equivale virtualmente - ora per allora - alla condanna di cui
all'art. 538 c.p.p., comma 1, che non venne pronunciata per errore. Ciò posto in
punto di ammissibilità del ricorso della parte civile, va rilevato, sempre in
via preliminare, che non si ritiene di rimettere alle Sezioni Unite di questa
Corte la questione prospettata dal ricorrente con riguardo ai "confini" fra le
ipotesi criminose previste dall'art. 659 c.p., comma 1 e comma 2 ed all'ambito
di depenalizzazione della ipotesi di cui al comma 2 per effetto della L. n. 477
del 1995, art. 10, comma 2.
Per quanto riguarda l'oggetto dell'attuale
ricorso, anche con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, è
infatti in discussione soltanto la possibilità che il reato di cui all'art. 659
c.p., comma 1 possa coesistere e concorrere con la violazione amministrativa
prevista dalla c.d. legge quadro sull'inquinamento acustico per violazione dei
limiti fissati dalla legge speciale per l'esercizio di attività rumorose. Ma
sotto tale profilo la giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte è
nel senso, ampiamente condivisibile, che le due norme inserite nel citato art.
659 c.p., comma 1 e comma 2 perseguono finalità diverse, mirando la prima a
sanzionare gli effetti negativi della rumorosità in funzione della tutela della
tranquillità pubblica, mentre l'altra, essendo diretta unicamente a stabilire i
limiti di intensità delle sorgenti sonore provenienti fisiologicamente da
attività rumorose, oltre i quali deve ritenersi sussistente l'inquinamento
acustico, prende in considerazione soltanto il dato oggettivo del superamento di
una certa soglia di rumorosità, rimanendo impregiudicato, in caso di superamento
di tali limiti, l'accertamento se, nel caso concreto, anche per l'uso smodato di
certi strumenti o per l'esercizio dell'attività rumorosa in orari diversi da
quelli consentiti, sia stato arrecato o meno anche un effettivo disturbo alle
occupazioni e al riposo delle persone (v. per tutte, Cass. sez. 1^, n. 32468 del
2004; Cass. sez. 1^, n. 43202 del 2002; Cass. sez. 1^, n. 3123 del
26.4.2000).
Il legislatore ha inteso, invero, da un lato regolare in maniera
rigida e rigorosa l'esercizio di alcune professioni, ancorché suscettibili di
disturbare in certa misura la tranquillità pubblica, in vista di interessi
superiori come quelli stabiliti dall'economia nazionale, entro limiti
strettamente necessari a garantire tali interessi; e, dall'altro, mantenere
intatta la punibilità in sede penale di condotte che non rispettino tali limiti,
considerati ex lege invalicabili ai fini della salvaguardia del diritto al
riposo e alla tranquillità della comunità sociale. Per cui, una volta accertato
il superamento di tali limiti, sarà possibile procedere alla verifica in ordine
alla eventuale contestuale sussistenza, in presenza dei presupposti previsti
dalla legge, della condotta integrante la ipotesi di cui all'art. 659 c.p.,
comma 1 essendo configurabile un concorso fra le condotte descritte nei due
commi della predetta disposizione codicistica (v. Cass. sez. 1^, n. 319 del
2000; Cass. sez. 1^, n. 382 del 1999; Cass. n. 23072 del 2005). Non sussistendo
in sostanza un contrasto apprezzabile in ordine allo specifico problema che
viene in discussione, non pare che ricorrano i presupposti per la rimessione
alle Sezioni Unite.
Passando quindi ad esaminare il ricorso della parte
civile, va rilevato che lo stesso è fondato.
La Corte territoriale ha
ritenuto che, trattandosi dell'esercizio di una attività industriale rumorosa ex
se, il superamento, nella specie accertato positivamente, dei limiti di
emissione sonore previsti dalla normativa speciale possa integrare soltanto la
violazione amministrativa di cui alla L. n. 447 del 1995, art. 10, però proprio
la sentenza di questa Corte n. 530 del 2004, Rv. 230890, citata dalla sentenza
impugnata, riconosce la immutata rilevanza penale della condotta prevista
dall'art. 659 c.p., comma 2, pur se circoscritta alla violazione di prescrizioni
diverse da quelle concernenti i limiti di emissioni o immissioni sonore e
comunque non esclude la coesistenza delle ipotesi previste dalla norma citata,
comma 1 e comma 2, posto che, in particolare, non vi è alcuna interferenza tra
la disciplina della L. n. 447 del 1995 e quella contenuta nell'art. 659 c.p.,
comma 1, poiché la prima stabilisce limiti di generale applicazione,
strumentalmente verificabili, correlati all'intensità assoluta e differenziale,
frequenza e tempi dell'emissione o dell'immissione in aree tipologicamente
predeterminate; la seconda, invece, ha riferimento alla media sensibilità della
persone nell'ambito in cui si verificano in concreto le immissione rumorose (v.
Cass. sez. 1^, n. 30, settembre 1998, Messina).
In particolare è stato
precisato che la normativa sull'inquinamento acustico di cui alla L. n. 447 del
1995 non ha abrogato la norma di cui all'art. 659 c.p., comma 1, in quanto la
legge speciale ha inteso fissare un limite di rumorosità, al fine di tutelare la
salute della collettività, la cui inosservanza integra la violazione
amministrativa sanzionata dalla stessa legge, senza che con ciò automaticamente
venga integrata la ipotesi prevista dal codice penale, per la cui sussistenza
occorre che, nel concreto, l'uso di strumenti rumorosi sia tale da recare un
effettivo disturbo al riposo ed alle occupazioni delle persone, alla luce di
tutte le circostanze della specifica e concreta situazione (v. Cass. sez. 1^, 23
aprile 1998, Carrozzo; Cass. sez. 1^, n. 38295 del 2004).
Orbene, in
applicazione di tali principi, condivisi da questo Collegio, appare evidente che
la qualificazione del reato contestato, operata dalla Corte territoriale, come
esercizio di un mestiere rumoroso in violazione dei limiti stabiliti dalla legge
speciale, per farne discendere che si sarebbe trattato di una mera violazione
amministrativa, sotto il profilo che non potrebbe mai sussistere la ipotesi
contravvenzionale di cui all'art. 659, comma 1 in presenza di una attività
rumorosa, non appare corretta e si pone in contrasto con un indirizzo
giurisprudenziale quasi unanime per cui anche dall'esercizio di un mestiere
rumoroso può derivare una lesione o messa in pericolo della quiete pubblica,
tutelata dal comma 1 della disposizione più volte citata e riferita alla media
sensibilità delle persone nell'ambito in cui si verificano in concreto le
immissioni sonore.
Si tratta di un errore di diritto che impone
l'annullamento della sentenza impugnata, spettando al giudice del rinvio la
verifica del superamento dei limiti della normale tollerabilità e della idoneità
delle emissione sonore ad arrecare disturbo alle occupazioni ed al riposo delle
persone, tenendo conto in particolare, oltre che della intensità dei rumori,
degli orari in cui essi si sono verificati e più in generale dell'offesa o meno
del bene tutelato della quiete pubblica.
Il rinvio, a norma dell'art. 622
c.p.p., deve essere disposto al giudice civile competente per valore in grado di
appello e cioè alla Corte di Appello di Torino in sede civile che giudicherà
sull'accertamento della responsabilità per l'illecito penale ai soli fini della
domanda risarcitoria proposta dalla parte civile. Sulle spese del presente
giudizio provvederà, se del caso, il giudice civile in sede di
rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di
Appello di Torino in sede civile per nuovo giudizio ai soli effetti civili. Così
deciso in Roma, il 6 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio
2007