TAR Toscana Sez. II n. 1367 del 1 settembre 2011
Rifiuti. Bonifica per fasi
L’art. 11 del d.m. n. 471/99 si riferisce alla possibilità di articolazione “per fasi” in virtù della particolare complessità per la natura degli interventi (ovvero per estensione dell’area) mentre l’Allegato 4, II, 9 a tale d.m. richiede una dettagliata motivazione del progetto preliminare dal punto di vista tecnico, di sicurezza ambientale e di tutela della salute pubblica della richiesta di modifica progettuale in tal senso.
N. 01367/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01415/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1415 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Associazione Forum Ambientalista Movimento Rosso-Verde, in persona del legale rappresentante p.t., Alberto Rustici, Giovanna Renzetti, Ivo Codini, Iosetta Bernardini Bragia Fratti, Sandro Galeotti, Giovanni Salvadori, Valentini Carlo S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., Manola Gentilini, Orlando Ceccarelli, Noris Guidoni, Domenico Lenzi, Claudio Del Dottore, Paola Nardini, Carla Pettorali, Daniele Bernardini, Sandra Pianigiani, Alfio Santucci, Vera Pruneti, Adriano Neri, Luca Fedeli, Otello Biagioni, Piero Tintori, Laura Benelli, Antonio Pavani, Federazione Provinciale Coltivatori Diretti-Coldiretti, in persona del legale rappresentante p.t., Renzo Fedi, Comitato per il No all'Inceneritore di Scarlino, in persona del legale rappresentante p.t., tutti rappresentati e difesi dall'avv. Franco Zuccaro, con domicilio eletto presso l’avv. Lucia Aglietti in Firenze, via Gino Capponi, 30;
contro
Comune di Scarlino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. prof. Renzo Grassi, con domicilio eletto presso l’avv. Luca Capecchi in Firenze, via Bonifacio Lupi, 20;
nei confronti di
Scarlino Energia S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Le Pera, con domicilio eletto presso l’avv. Umberto Galasso in Firenze, via Lamarmora, 53;
Scarlino Holding S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
per l'annullamento,
1) quanto al ricorso:
della determinazione del Dirigente dell’Ufficio Ambiente e Lavori Pubblici del Comune di Scarlino n.842 del 24 giugno 2008, affisso all'albo Pretorio per 8 giorni consecutivi dal 25 giugno 2008, avente ad oggetto il progetto preliminare di bonifica del sito GR 9000 01 quota parte di proprietà Scarlino Energia, approvazione del verbale della conferenza dei servizi del 15 maggio 2008, approvazione del progetto con prescrizioni, che approva il verbale della conferenza dei servizi del 15 maggio 2008, e che assume come proprie le decisioni della Conferenza dei Servizi medesima, e di ogni altro atto, anche non conosciuto dai ricorrenti, presupposto, connesso e conseguente, in particolare, il verbale della conferenza dei servizi del 15 maggio 2008;
2) quanto ai motivi aggiunti:
della determinazione del Dirigente dell’Ufficio Ambiente e Lavori Pubblici del Comune di Scarlino n.1442 del 4 novembre 2008, ricevuta e conosciuta dai ricorrenti dopo il 6 novembre 2008, avente ad oggetto approvazione con prescrizioni del progetto definitivo di bonifica del sito GR 9000 01, prima fase, quota parte di proprietà Scarlino Energia, approvazione del verbale della conferenza dei servizi dei giorni 12 agosto 2008 e 14 ottobre 2008, che approva il verbale della conferenza dei servizi del 12 agosto 2008 e del 14 ottobre 2008 e di ogni altro atto, anche non conosciuto dai ricorrenti, presupposto, connesso e conseguente, in particolare, il verbale della conferenza dei servizi del 12 agosto e del 14 ottobre 2008, allegati alla determinazione come parte integrante e sostanziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Scarlino e della Scarlino Energia S.r.l., con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 31 marzo 2011 il Primo Referendario Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 14 agosto 2008 e depositato il successivo 19 agosto, i ricorrenti indicati in epigrafe chiedevano l’annullamento del provvedimento, pure in epigrafe indicato, con il quale il competente Dirigente del Comune di Scarlino approvava, con prescrizioni, il progetto preliminare di bonifica del sito di proprietà della Scarlino Energia srl in relazione alle relative conclusioni cui era pervenuta la conferenza di servizi del 15 maggio 2008.
In particolare, i ricorrenti, evidenziando la propria legittimazione attiva e il proprio interesse ad agire anche se oggetto del gravame era un progetto di bonifica, lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“Primo motivo. Violazione ed errata applicazione dell’articolo 10 e 11 D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 e del punto II dell’Allegato 4° al D.M. medesimo. Eccesso di potere per carenza di motivazione sul punto.
Secondo motivo. Incompetenza dell’Ufficio ad emettere il provvedimento.
Terzo motivo. Insistenza per carenza dei requisiti minimi dettati dalla norma perché un provvedimento amministrativo possa considerarsi emesso”.
Il progetto preliminare di bonifica, pur indicando nelle premesse di voler rispettare l’articolazione per fasi di cui all’art. 11 cit., nell’ulteriore illustrazione dell’intervento non prevedeva uno sviluppo unitario né considerava che solo la p.a. può valutare la necessità o opportunità di un progetto definitivo per fasi, considerando che la seconda parte dell’intervento era rimandata al 2020, data di dismissione dell’impianto ivi presente, senza indicare la particolare complessità del progetto in relazione alla natura degli interventi o all’estensione dell’area interessata, dato che la semplice presenza dell’impianto in questione – che comunque non poteva essere presente su quel sito - di per sé non era sufficiente per fondare tale articolazione.
Poiché l’area interessata era particolarmente contenuta e l’intervento iniziale prevedeva la semplice asportazione di terra, ai ricorrenti non sembrava di particolare complessità tale “natura” dell’iniziativa da adottare, culminante invece – secondo il generico cronoprogramma proposto e approvato - solo dopo dodici anni.
La complessità della natura dell’intervento, che consentiva di procedere “per fasi”, secondo una corretta interpretazione del testo normativo di riferimento, poteva individuarsi solo in presenza di adozione di tecnologie innovative o di realizzazione per singole aree ma il provvedimento impugnato non motivava sull’eventuale sussistenza di tali presupposti.
Pur riconducendo tale determinazione alla decisione della conferenza di servizi del 15 maggio 2008, i ricorrenti individuavano comunque l’assenza di motivazione sul punto e, di conseguenza, l’apodittica e automatica approvazione da parte del dirigente comunale il quale, dal canto suo, non poteva esprimere pareri che invece dovevano essere rilasciati dall’organo decisorio competente, quale, appunto, la conferenza di servizi.
La scelta specifica di articolare l’intervento “per fasi”, quindi, nel caso di specie non era riconducibile, come invece prescritto dalla norma, alla p.a. (attraverso la conferenza di servizi) ma allo stesso proponente, di cui la conferenza aveva recepito acriticamente tale impostazione.
“Quarto motivo. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di legge e per carente istruttoria”
L’approvazione del verbale della conferenza di servizi risentiva delle omissioni sopra evidenziate con i precedenti motivi, ai sensi dell’art. 10, comma 5, d.m. 471/99.
“Quinto motivo. Violazione e mancata applicazione dell’articolo 13 comma 5 lettera a) della legge regionale Toscana 18 maggio 1998 n. 25. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto e di legge, carenza di motivazione, carenza di istruttoria”.
Rimarcando che la determinazione impugnata era priva di autonoma motivazione, dovendo ricondursene ogni contenuto alla conferenza di servizi, i ricorrenti evidenziavano che l’impianto presente sull’area, lungi dall’essere una mera centrale elettrica, era un inceneritore o coinceneritore di rifiuti - che, sembrava ai ricorrenti, dal 2005 inceneriva soltanto biomasse ma era stato già oggetto di istanza di autorizzazione a bruciare rifiuti per la quale era pendente procedura di v.i.a. – il quale non doveva esistere su quel sito, essendo il piano regionale delle bonifiche, che individuava il sito, entrato in vigore il 1 marzo 2000. La conferenza di servizi, quindi, doveva prendere in considerazione tale incompatibilità e motivare sul punto, dato che il vincolo all’autorizzazione dell’area impediva la destinazione d’uso futura di detto inceneritore nel sito da bonificare.
“Sesto motivo. Violazione e mancata applicazione dell’articolo 6 della Dir. 21 maggio 1992 n. 92/43/CEE, detta “Habitat” e dell’articolo 5 d.p.r. 8 settembre 1997 n. 357 e successive modificazioni. Eccesso di potere per mancanza di motivazione ed istruttoria sul punto”.
Richiamando il contenuto di un esposto-denuncia presentato alla Procura della Repubblica di Grosseto, in cui si evidenziava la situazione di inquinamento delle falde dell’area del padule di Scarlino, i ricorrenti ricordavano che l’area da bonificare era a stretto contatto con la zona umida SIC in questione, ma di ciò non vi era traccia nella motivazione del provvedimento impugnato né nella relativa istruttoria. Il principio di “precauzione” operante a livello comunitario imponeva, invece, di effettuare la valutazione di incidenza necessaria.
“Settimo motivo. Violazione ed errata applicazione dell’articolo 11 d.m. 25 ottobre 1999 n. 471 e del punto 23 del capitolo ‘Relazione tecnica descrittiva’ del Capo II Allegato 4° al DM citato. Eccesso di potere per carente istruttoria.”.
Non risultava rispettata la norma che imponeva di indicare il termine di presentazione del progetto di bonifica della fase successiva, limitandosi il progetto in questione ad un generico richiamo al 2020.
“Ottavo motivo. Violazione e mancata applicazione dell’articolo 10 comma 5° D.M. 25 ottobre 1999 n. 471. Eccesso di potere per assenza di motivazione e di istruttoria sul punto.”.
Non risultava eseguita l’operazione di perimetrazione definitiva dell’area influenzata dalla fonte inquinante, limitandosi il soggetto proponente a dichiararsi disponibile a compiere studi con gli altri soggetti interessati, ma senza chiarire quali ulteriori operazioni di bonifica si sarebbero compiute.
“Nono motivo. Eccesso di potere per carente motivazione e contraddittorietà. Illogicità manifesta”.
La stessa p.a., in precedenza, aveva espresso parere negativo al progetto, soprattutto in ordine all’individuazione della sorgente primaria e secondaria di inquinamento da arsenico ed all’assenza di bonifica sotterranea. Nulla di nuovo risultava però dalla nuova fase istruttoria, se non la generica individuazione di anomalie naturali del terreno, in area vasta, relative ad alcuni parametri, tra cui quello dell’arsenico, eppure la conferenza di servizi, invece di esprimere nuovo parere negativo, aveva approvato il progetto, sia pure con prescrizioni.
“Decimo motivo. Eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto. Carenza istruttoria e di motivazione”
Le prescrizioni non potevano essere usate per modificare parti di progetto non accettabili in base alla valutazione preventiva e preliminare propria della fase istruttoria; nel caso di specie era stata invece seguita questa scorretta prassi amministrativa, che svuota completamente il senso dell’autorizzazione.
“Undicesimo motivo. Eccesso di potere per carenza istruttoria e mancanza di motivazione”
La tesi dell’arsenico naturale nel sito non appariva condivisibile in assenza di specifica prova, prova invece da tempo presente in ordine alla provenienza da attività umana nell’intera zona collegata anche ad attività di discarica non controllata di rifiuti interrati, pericolosi e non, speciali e speciali tossico nocivi, come dalle relative conclusioni cui erano pervenuti esperti del settore.
Né era possibile per i ricorrenti procedere alla bonifica della sola area dell’impianto e ottenere l’autorizzazione in questione senza avere adempiuto alle prescrizioni dettate nel 2008, durante la precedente fase istruttoria, e senza indicare una tempistica definita delle fasi di intervento.
Si costituivano in giudizio il Comune di Scarlino e la Scarlino Energia srl, chiedendo, con memoria di mera forma, la reiezione del ricorso.
Con atto recante motivi aggiunti, ritualmente notificato e depositato, i ricorrenti chiedevano poi l’annullamento della determina dirigenziale comunale n. 1442 del 4 novembre 2008, recante approvazione con prescrizioni del progetto definitivo di bonifica, prima fase, e relativa approvazione della verbalizzazione della conferenza di servizi del 12 agosto-14 ottobre 2008.
Ribadendo il riscontro, ancora nell’agosto del 2008, di un’alta concentrazione di arsenico nella piana del Casone di Scarlino, non da individuarsi da fonte naturale considerate le lavorazioni industriali effettuate in zona, i ricorrenti ribadivano di nuovo la propria legittimazione e il proprio interesse ad agire, lamentando, ulteriormente, quanto segue.
“Primo motivo. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto per l’emissione del provvedimento impugnato. Carente istruttoria. Illegittimità derivata”.
I ricorrenti ricordavano che tutti i motivi del ricorso introduttivo potevano ritenersi riproponibili anche avverso il nuovo provvedimento.
“Secondo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 d.m. 25 ottobre 1999 n. 471, in particolare del 3° comma di detto articolo”.
I ricorrenti ribadivano quanto già dedotto nel ricorso introduttivo in ordine alla mancata indicazione nel progetto di bonifica del termine di presentazione della successiva fase di intervento, dato che l’unico riferimento temporale riscontrabile era quello, generico, di conclusione prevista nel 2020, senza alcun cronoprogramma.
“Terzo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 d.m. 25 ottobre 1999 n. 471, commi 5, 7 lettera b), 9. Eccesso di potere per carenza dei presupposti di legge. Illegittimità derivata.”
Non era stata indicata alcuna perimetrazione definitiva nel progetto preliminare e così pure, adesso, nel progetto definitivo, che limitava l’intervento al terreno di proprietà della Scarlino Energia srl, rinviando al compimento dello studio “di area vasta” la restante iniziativa di bonifica, quando invece il riscontrato inquinamento si rifletteva non solo su detto terreno ma su tutta l’area industriale, fino al mare e all’abitato di Follonica, di cui l’analisi di rischio non aveva tenuto conto, anche in relazione, come detto, ai tempi di esecuzione.
“Quarto motivo. Violazione e mancata applicazione dell’articolo 5 comma 1, 10 D.M. 471/1999 sotto altro profilo, e del punto II (anche II4 – Progetto preliminare) dell’Allegato quarto al D.M. medesimo. Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed assenza di motivazione sul punto. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti” .
I valori di concentrazione residui da raggiungere per lo specifico sito, a garanzia della tutela della salute e dell’ambiente relativi, non tenevano conto del c.d. “panettone”, inteso quale ammasso di rifiuti contenente enormi quantità di arsenico, posto sul sito e riguardante, nei suoi effetti, quasi tutta la piana di Scarlino e l’ambiente marino adiacente, come già valutate da analisi dell’ARPAT.
L’analisi di rischio condotta e posta alla base del progetto approvato non teneva conto dell’uso residenziale e ricreativo riconducibile all’abitato di Follonica ed all’ambiente marino, pur invece direttamente esposti all’inquinamento suddetto.
Il progetto in questione non considerava invece tali “bersagli” e si limitava ad una valutazione soltanto probabilistica di contrarre malattie cancerogene conseguenti, con relativa mancata considerazione del rischio sanitario effettivo, senza che la p.a. aggiungesse alcuna considerazione critica su tale conclusione, anzi ritenuta accettabile in ordine alla concentrazione residua alla sorgente, stimata in 280 mg/kg.
“Quinto motivo. Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 4 Punto III del DM 471/1999, 3° comma Punto 3. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto.”
Il progetto definitivo, pur richiamando l’isolamento dei rifiuti stoccati dalla matrici ambientali e il contenimento della migrazione dell’inquinamento quali criteri di verifica dell’efficacia dell’intervento, in realtà non li prevedeva in concreto secondo le specifiche prescrizioni imposte, definite dalla Scarlino Energia srl come tecnicamente impossibili da realizzare e non ripetute nell’atto di approvazione definitivo, che non faceva alcun cenno neanche alla possibilità di contenimento fisico delle aree soggette a bonifica.
“Sesto motivo. Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 4 Punto III, comma 3° Punto 3 del DM 471/1999 sotto altro profilo. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto”
L’isolamento dei rifiuti stoccati dalla matrici ambientali non poteva essere effettuato per la matrice ambientale sottoposta alla incerta fase 2 ed era evidente che necessitava a tale scopo il previo abbattimento dell’impianto di incenerimento esistente sul terreno.
“Settimo motivo. Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 4 Punto III, comma 3 Punto 4 del D.M. 471/1999. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto”.
Il controllo della migrazione delle sostanze inquinanti e la protezione dei bersagli individuati doveva considerare un indagine sull’area integrale della piana di Scarlino, indagine nel caso di specie non prevista.
“Ottavo motivo. Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 3, comma 3, lettere g) e p) del D.M. 471/1999, recante criteri generali per la messa in sicurezza permanente. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto” Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 4 Punto III, comma 3 Punto 4 del D.M. 471/1999. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto. Violazione e mancata applicazione dell’Allegato 4 Punto III, comma 3 Punto 4 del D.M. 471/1999. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto”.
Il mancato adempimento alla prescrizione n. 1 comportava che non risultava salvaguardata la matrice ambientale presente nel sito e nell’area interessata dagli effetti dell’inquinamento per evitare ogni aggiuntivo degrado dell’ambiente e del paesaggio., come attestato dal valore molto alto di concentrazione residua considerato invece accettabile.
“Nono motivo, Violazione e mancata applicazione del Punto II numero 9 (progettazione per fasi) dell’Allegato 4 del DM 471/1999. Eccesso di potere per carente istruttoria e motivazione sul punto”.
Non era chiarito che la, pur incerta temporalmente, progettazione per fasi prevedeva una successione temporale ravvicinata e la dilatazione dei tempi favoriva così la continuazione del funzionamento dell’impianto di incenerimento, che i ricorrenti ritenevano non dovesse nemmeno esistere su quel sito.
Le parti costituite depositavano memorie - i ricorrenti e la Scarlino Energia srl anche di replica - per l’udienza pubblica del 31 marzo 2011.
In particolare, il Comune di Scarlino, richiamando in fatto la successione della procedura di bonifica, contestava preliminarmente l’interesse ad agire dei ricorrenti, qualificato come generale e astratto nonchè legato ad eventi incerti e futuri, considerata anche l’avvenuta bonifica (attestata dalla relativa certificazione provinciale, conclusiva della procedura unitaria di bonifica e non impugnata) e l’indimostrata assenza di danni conseguenti per i singoli ricorrenti (da azionare eventualmente avanti ad altro Giudice competente). Il Comune, poi, contestava anche la proponibilità di un ricorso collettivo in tale fattispecie e la legittimazione attiva dei ricorrenti persone fisiche, mancando la prova dell’effettivo pregiudizio sofferto e non essendo sufficiente a tale scopo la mera “vicinitas”, nonchè quella dell’Associazione ricorrente (di cui rilevava l’assenza di prova dell’avvenuta individuazione con decreto ministeriale ex art. 13 l.n. 349/86) e del Comitato per il No all’Inceneritore, mera articolazione territoriale, in relazione al miglioramento ambientale avvenuto con la bonifica in questione. Nel merito, il Comune rilevava anche l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti.
Anche la Scarlino Energia srl proponeva eccezioni preliminari, quali: 1) difetto di procura del ricorso e dei motivi aggiunti, perché la sottoscrizione dei ricorrenti era priva di oggetto e su foglio in bianco; 2) inammissibilità per omessa impugnazione della determinazione provinciale di certificazione della bonifica; 3) difetto dei ricorrenti persone fisiche, per carenza di dimostrazione del loro interesse giuridico, personale e concreto; 4) difetto di legittimazione del Comitato ricorrente, privo dei requisiti di “continuità dell’azione”, riscontrato come necessario a tale scopo anche da sentenza di questo Tribunale. Nel merito, anche la controinteressata evidenziava le sue ragioni a sostegno dell’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti.
Con la memoria di replica, i ricorrenti contestavano il fondamento delle eccezioni proposte e insistevano per l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti mentre la controinteressata rilevava l’inconferenza della censura fondata sulla ritenuta violazione dell’art. 13, comma 5, l.r. Toscana n. 25/98.
Alla pubblica udienza del 31 marzo 2011 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, in ordine alle eccezioni preliminari sollevate dalle parti intimate e richiamate in narrativa, osserva quanto segue.
Per quel che riguarda la legittimazione attiva dell’Associazione Forum Ambientalista Movimento Rosso-Verde, si rileva che la medesima è stata già recentemente riconosciuta da questa stessa Sezione, laddove è stato precisato che per tale specifica Associazione la legittimazione deriva ex art. 13 l.n. 349/1986 e la medesima è quindi riconosciuta “ex lege”, senza necessità di dimostrare ulteriormente alcun danno specifico da loro subito dal concreto intervento contestato o di depositare in ogni giudizio, a pena di inammissibilità, la prova dell’avvenuta individuazione con decreto ministeriale (TAR Toscana, Sez. II, 5.2.10, n. 195;, TAR Piemonte, Sez. I, 25.9.09, n. 2292), fermo restando che risulta depositata in questo giudizio, da parte di tale Associazione, copia del decreto del Ministro dell’Ambiente di riconoscimento ex art. 13 cit., del 31 maggio 2007.
Premesso ciò, il Collegio invece condivide le altre eccezioni sollevate relativamente ai ricorrenti, quali persone fisiche, nonchè alla Federazione Provinciale Coltivatori Diretti-Coldiretti e al Comitato per il No all’inceneritore di Scarlino.
In relazione ai primi, si evidenzia che questa Sezione ha anche recentemente precisato che il mero requisito della “vicinitas” non legittima, da solo, alla proposizione del ricorso (TAR Toscana, Sez. II, 21.1.11, n. 121), soprattutto se – come nel caso di specie – è chiesto l’annullamento di provvedimenti di bonifica, tesi a migliorare la qualità del recettore, e non la costruzione e esercizio di impianti ritenuti nocivi, ammettendo gli stessi ricorrenti che l’impianto della Scarlino Energia srl è ivi esistente da tempo. Nel caso di specie non risulta dimostrato in concreto quale diretto nocumento dai provvedimenti impugnati deriverebbe ai singoli ricorrenti in ragione della loro collocazione/residenza sul territorio, tenuto conto che l’annullamento richiesto (si noti, non “in parte qua”, in relazione a specifici profili, ma degli integrali provvedimenti impugnati con il ricorso e i motivi aggiunti) lascerebbe il sito comunque privo di bonifica. Né vale il richiamo operato dai ricorrenti stessi alla situazione di aggravamento dell’inquinamento che deriverebbe da una bonifica errata, dato che tale precisazione appare generica e meramente eventuale, laddove riferita a trivellazioni per monitoraggi (non meglio individuate) o al “vulnus” all’interesse economico e imprenditoriale derivante dalla’impossibilità di vendita degli stessi, anche questa meramente eventuale e non dimostrata.
In relazione alla Coldiretti ed al Comitato ricorrente, il Collegio rileva, poi, che anche in questo caso non essendo l’impugnativa orientata avverso atti autorizzativi di costruzione e gestione di impianti industriali sul territorio, non risulta dimostrata in concretezza e attualità la lesione che i medesimi subirebbero dall’approvazione del progetto di bonifica, dato che, dal tenore delle doglianze, non si contesta tanto l’efficacia della bonifica sul terreno della controinteressata – ferma restando la contestazione sulla localizzazione e permanenza dell’impianto definito di incenerimento che, però, per quanto sarà evidenziato in prosieguo esula dal presente contenzioso – quanto l’estensione della bonifica stessa che, ad opinione dei ricorrenti, dovrebbe essere estesa a tutta la piana di Scarlino.
La legittimazione attiva dell’Associazione ricorrente, per quanto illustrato in precedenza, non esime comunque il Collegio dall’esaminare nel merito il ricorso ed i motivi aggiunti.
In relazione a ciò, il Collegio ritiene di poter prescindere dalle ulteriori eccezioni sollevate dalle parti intimate, attesa l’infondatezza degli stessi, per quanto sarà evidenziato in prosieguo.
Per quanto dedotto con i primi tre motivi del ricorso introduttivo, il Collegio rileva quanto segue, in ordine alle censure relative alla pretesa incompetenza del Dirigente e alla carenza di autonoma motivazione del provvedimento impugnato (di approvazione delle conclusioni della conferenza di servizi).
Come già più volte precisato da questo Tribunale, è necessario, in argomento, distinguere tra l’ipotesi in cui la determinazione conclusiva recepisca integralmente le risultanze della conferenza di servizi e l’ipotesi in cui, invece, ne disattenda in tutto o in parte il contenuto. Ritiene il Collegio – anche sulla scorta della più recente dottrina interrogatasi sulla questione – che solo in questa seconda ipotesi, proprio perché l’Amministrazione procedente disattende gli esiti della conferenza di servizi ed in particolare le posizioni prevalenti emerse in quella sede, la determinazione conclusiva risulterà assoggettata allo specifico obbligo di motivazione previsto dall’art. 14-ter, comma 6-bis, l.n. 241/90: obbligo che, ovviamente, non potrà essere soddisfatto con motivazione “per relationem”, attraverso il mero richiamo al verbale della conferenza, visto che se ne disattendono i contenuti. Qualora, invece, la determinazione conclusiva aderisca ai contenuti della conferenza, approvandoli e considerandoli come definitivi, non è necessaria una motivazione più articolata ed autonoma rispetto alle argomentazioni contenute nella conferenza stessa.
Pertanto, ritiene il Collegio, l’obbligo di motivazione potrà ben essere soddisfatto in tal caso “per relationem”, mediante il semplice richiamo al verbale della conferenza di servizi, con il corollario per cui, comunque, l’atto lesivo rimane la determinazione dirigenziale conclusiva, giacché detta determinazione è, in ogni caso, il solo atto con cui l’Amministrazione procedente prende posizione sui risultati della conferenza, approvandoli o discostandosene, e quindi manifesta la sua volontà al riguardo (TAR Toscana, Sez. II, 22.12.10, n. 6796).
Facendo applicazione delle conclusioni ora richiamate al caso di specie, se ne deduce l’infondatezza della doglianza di difetto di motivazione del provvedimento impugnato, giacché questo, avendo approvato e recepito le risultanze della conferenza di servizi decisoria, correttamente si è limitato a richiamarne il verbale, condividendone evidentemente il contenuto integrale.
In relazione, invece, alla contestata articolazione “per fasi” dell’intervento di bonifica, il Collegio osserva che l’art. 11 del d.m. n. 471/99 si riferisce alla possibilità di articolazione “per fasi” in virtù della particolare complessità per la natura degli interventi (ovvero per estensione dell’area) mentre l’Allegato 4, II, 9 a tale d.m. richiede una dettagliata motivazione del progetto preliminare dal punto di vista tecnico, di sicurezza ambientale e di tutela della salute pubblica della richiesta di modifica progettuale in tal senso.
Ebbene, nel caso di specie, si rileva che la società proponente aveva descritto la tecnica di bonifica per l’intero sito, precisando che la presenza di strutture impiantistiche – la cui allocazione e autorizzabilità nel tempo non possono essere oggetto del presente contenzioso, in cui è richiesto soltanto l’annullamento dei provvedimenti di approvazione di progetto di bonifica – nonché la consistenza dei materiali rilevati “in loco” (ceneri e sterili di pirite entro anche 3 metri di profondità) facevano ritenere che la procedura “per fasi” fosse la migliore. In particolare, era descritto nel progetto poi approvato che un intervento di asportazione selettiva nelle sole aree attualmente libere e di scavo nelle zone di eventuale riconversione impiantistica risultava il migliore in raffronto ad alternative di diversa impostazione e che una “…progettazione per fasi, che comprende un primo intervento di rimozione dei materiali oggetto di bonifica nelle aree caratterizzate dall’assenza di strutture impiantistiche e di reti tecnologiche a servizio dell’intero stabilimento…” garantiva un adeguato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente anche in considerazione della dismissione degli impianti prevista nel 2020. La seconda fase era pure descritta, quale consistente nella rimozione dei riporti costituiti da ceneri e sterili di pirite presenti al di sotto delle strutture impiantistiche e delle aree con reti tecnologiche, con demolizione di quest’ultime, mentre il medesimo progetto precisava, a proposito dell’individuazione della presenza di “…un’anomalia naturale oltre che di tipo antropico relativamente all’analita arsenico nei campioni di suolo e sottosuolo…” che il metodo prescelto prevedeva la rimozione della sorgente primaria di contaminazione individuata nelle ceneri e sterili di pirite sulle aree libere, con contemporanea valutazione in merito alla eventualità che le restanti al di sotto delle stesse potessero provocare un rischio in termini di tutela della salute umana e dell’ambiente, anche perché – specificava il medesimo progetto – un intervento di bonifica totale fino al raggiungimento del VCLA stabilito per la specifica destinazione d’uso del sito relativamente all’analita arsenico avrebbe comportato la rimozione di enormi quantitativi di materiale e terreno, senza avere la certezza del raggiungimento degli obiettivi proposti.
In ordine alla difficoltà di procedere ad un’unica fase, il progetto – come approvato – indicava chiaramente che le solette in cemento della struttura impiantistica e la presenza delle reti tecnologiche rendevano estremamente difficoltoso rimuovere subito tutti i materiali di riporto, caratterizzati, anche sul sito dell’impianto, da presenza di ceneri e sterili di pirite.
Quanto evidenziato appare sufficiente al Collegio per considerare non condivisibile quanto contenuto nei primi tre motivi di ricorso – come ripresi in seguito – in ordine alla ritenuta assenza di presupposti e motivazione per procedere “per fasi”, attesa la “natura dell’intervento” consistente nella eliminazione di un complesso impianto e di reti tecnologiche collegate, di fatto operanti – non potendo dare rilevanza, nella presente sede né in sede di bonifica alla apodittica affermazione dei ricorrenti per la quale l’impianto “…non doveva trovarsi lì per legge” - dato che non risulta da alcun testo normativo che la complessità della “natura” in questione debba necessariamente coincidere solo con l’adozione di “tecnologie innovative”, come anche ritenuto dai ricorrenti.
Si ricorda, infatti, che l’art. 10, comma 11, d.m. n. 471/99 salvaguardia la compatibilità delle operazioni di bonifica con la prosecuzione dell’attività produttive in esercizio, fatto salvo l’obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, che la proponente ha illustrato provvedendo alla prima rimozione dei riporti inquinati dalle aree libere.
Nella presente sede di legittimità, quindi, non si rilevano vizi di illogicità manifesta e contraddittorietà o erroneità in fatto nel provvedimento impugnato, dato che, ai sensi della normativa applicabile sopra richiamata, il progetto preliminare ha indicato le operazioni di bonifica per l’intero sito ed ha richiesto la progettazione per (due) fasi, progettazione ritenuta approvabile dalla p.a. anche sulla medesima area, per quanto emerso in sede istruttoria in conferenza di servizi, con motivazione “per relationem” riconducibile alla p.a. procedente nel senso sopra rappresentato.
Né si rileva che sia assente alcuna forma di motivazione in proposito, dato che la medesima conferenza di servizi del 15 maggio 2008 riconosce che il progetto preliminare seguiva tale impostazione in virtù delle difficoltà tecniche prospettate e ne autorizzava lo svolgimento richiesto.
Quanto sopra illustrato in ordine al rapporto tra conferenza di servizi e provvedimento finale di adozione chiarisce che la prima è stata correttamente “sentita” nel corso della fase istruttoria ed ha valutato le caratteristiche del progetto, esprimendo parere favorevole, acquisito e fatto proprio “per relationem” dall’amministrazione procedente. Ne consegue, quindi, l’infondatezza anche del quarto motivo di ricorso, che lamenta un non meglio specificato mancato coinvolgimento della conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 10, comma 5, d.m. cit.
Il Collegio rileva, poi, l’infondatezza del quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 13, comma 5, lett. a), l.r. Toscana n. 25/98, il quale prevede che “L'inserimento di un'area nel piano regionale di gestione dei rifiuti ai sensi dell'articolo 9, comma 2 ai fini della bonifica o messa in sicurezza, determina:
a) un vincolo all'utilizzazione dell'area che impedisce ogni destinazione d'uso futura fino all'avvenuta bonifica;
b) l'obbligo di eseguire l'intervento di bonifica o messa in sicurezza sulla base di specifici progetti redatti a cura del soggetto a cui compete l'intervento.”.
La controinteressata ha evidenziato, però, senza che i ricorrenti fornissero prova contraria, che l’area in esame non risulta inserita nel piano regionale di bonifica bensì in quello provinciale.
A ciò si aggiunga che la norma deve trovare coordinamento con la normativa nazionale di settore, quale il già richiamato art. 10, comma 5, d.m. n. 471/99 e gli artt. 240-242 d.lgs. n. 152/06, la quale consente che sia dia luogo ad attività di bonifica pur in presenza di attività produttive in dette aree. Una corretta interpretazione della norma richiamata dai ricorrenti, quindi, non impedisce la bonifica o l’esercizio (limitato) dell’impianto preesistente secondo i limiti indicati dalla norma stessa, che troveranno sede adeguata – non valutabile nel presente giudizio – nelle relative procedure di v.i.a. e/o a.i.a., pendenti al momento di adozione del provvedimento impugnato con il ricorso.
Inoltre, la lettura dell’art. 13, comma 6, lett. a), cit. induce a ritenere che non ogni trasformazione edilizia sia inibita per l’inserimento dell’area nel Piano ivi richiamato ma – rilevando la norma su attività di bonifica – solo che non possono essere realizzati ulteriori interventi sulle aree sottoposte a preliminari interventi di bonifica fino alla certificazione relativa rilasciata dalla Provincia competente (certificazione, tra l’altro, rilasciata in corso di causa).
Non può quindi condividersi l’assunto di parte ricorrente, secondo cui l’”inceneritore” di rifiuti che esiste sul sito oggetto di bonifica, per il disposto della norma di cui al motivo non aveva e non ha ancora oggi ogni possibilità di esistere in tal posto, sia perché, come detto, la precedente localizzazione dell’impianto esula dal presente contenzioso sia perché, comunque, la norma consente interventi di utilizzo dell’area dopo la certificazione di avvenuta bonifica, anche ai sensi del richiamato art. 20, comma 11, l.r. Toscana n. 25/98, e non impedisce ogni destinazione futura dell’impianto nel sito da bonificare, secondo quanto disposto direttamente dal legislatore, senza così che fosse necessaria una specifica motivazione sul punto, invece invocata da parte ricorrente.
Infondato è anche il sesto motivo di ricorso, relativo alla sussistenza a stretto contatto del sito da bonificare di una zona umida SIC e alla conseguente mancata valutazione di incidenza, ritenuta necessaria.
Il Collegio, sul punto, evidenzia che la conclusione giurisprudenziale richiamata anche dai ricorrenti, fa riferimento alla norma di legge, secondo la quale è necessaria un’incidenza “significativa” dell’intervento sul SIC.
Nel caso di specie non risulta evidenziata quale incidenza significativa sul SIC in questione possa avere l’intervento di bonifica (si ricorda, non di costruzione e esercizio di un impianto sottoposto a eventuale v.i.a. e a.i.a.) attinente al contenzioso in esame, dato che comunque, per ammissione degli stessi ricorrenti, la zona umida non è compresa nell’area da bonificare e le interpretazioni di Enti terzi richiamate dai medesimi ricorrenti riguardano fattispecie differenti da quella di bonifica da inquinamento in esame. Appare evidente al Collegio che la mancata considerazione della norma sulla valutazione di incidenza deriva dalla mancata significativa incidenza dell’intervento stesso sulla zona umida, non rappresentata neanche dai ricorrenti i quali, genericamente, si limitano a riferirsi alla possibilità di “dubbio” che in qualche modo l’intervento possa nuocere sull’ambiente.
Infondato e improcedibile si palesa anche il settimo motivo in cui i ricorrenti lamentano la mancata indicazione del termine di presentazione del progetto di bonifica della fase successiva.
In realtà, concordando con le difese della controinteressata, il Collegio rileva che l’art. 11, comma 3, del d.m. n. 471/99 nonché l’Allegato 4, Capo II, a tale d.m. non specificano che debba essere esplicitamente precisato, nel progetto preliminare, il termine di presentazione della fase successiva, riservandosi più logicamente tale incombente al progetto definitivo.
Ad ogni modo, pur riscontrando che dal contenuto del progetto preliminare si evidenziava la data del 2020, la determinazione dirigenziale comunale n. 97 del 15 febbraio 2011 – non impugnata dai ricorrenti - ha fissato il termine di presentazione del progetto definitivo di bonifica della seconda fase al 30 giugno 2020, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti alla specifica censura.
Infondato è pure l’ottavo motivo, con il quale si contesta la mancata perimetrazione definitiva dell’area inquinata, che per i ricorrenti dovrebbe estendersi oltre quella di proprietà della Scarlino Energia srl.
In merito all’estensione dell’intervento, il Collegio rileva che il Comune di Scarlino, mediante il deposito in giudizio dell’attestazione dirigenziale dell’11 febbraio 2011, ha chiarito – come d’altronde riportato nell’intestazione del provvedimento impugnato e nella relazione peritale del 26 gennaio 2011 pure depositata in atti - che il Piano Provinciale di Bonifica delle aree della Provincia di Grosseto è stato approvato con deliberazione di Giunta Provinciale n. 17 del 30 marzo 2006 e prevede interventi di bonifica in tutto il territorio provinciale, tra cui quelli riguardanti il Comune di Scarlino, tutti conclusi o in corso di attuazione e descritti, nell’individuazione del relativo sito e nel responsabile della bonifica – compreso quello del c.d. “panettone” di cui si dirà in seguito – in tale attestazione dirigenziale. Inoltre, risulta, in ordine alla responsabilità della Scarlino Energia srl, che il necessario piano di caratterizzazione e indagini integrative sia stato approvato con due deliberazioni di Giunta municipale, del 2003 e del 2005, e che il medesimo Comune, individuando le singole responsabilità, con determinazione dirigenziale n. 548 del 2007 ha imposto alla Syndial spa e alla Scarlino Energia srl, ciascuna per l’area di rispettiva proprietà, di dare luogo a progetto preliminare di bonifica.
Sulla base di tali specifici provvedimenti relativi a singoli interventi di bonifica per le singole responsabilità – tutti non impugnati dai ricorrenti – non si vede per quale ragione debba addossarsi alla sola Scarlino Energia srl l’onere di bonificare tutta la piana di Scarlino, anche perché, come riportato nella richiamata attestazione dirigenziale dell’11 febbraio 2001, non smentita in fatto dai ricorrenti, “…sono in corso di attuazione le attività finalizzate alla progettazione unitaria della bonifica della falda nella piana di Scarlino, così come previsto nella convenzione siglata il 10/11/2010 tra il Comune di Scarlino e le aziende Nuova Solmine S.p.A., Tioxide Europe S.r.l. e Scarlino Energia S.r.l., secondo quanto disposto nell’Accordo Procedimentale e di Programma per la messa in sicurezza mineraria e la bonifica ambientale dei siti minerari e dei siti contaminati delle Colline Metallifere della Piana di Scarlino e del Comune di Manciano (GR), stipulato il 20/03/2009, tra Regione Toscana, le province di Grosseto e Siena, ARPAT, Syndial Attività Diversificate S.p.A., ENI Gas & Power S.p.A. e le Amministrazioni Comunali territorialmente interessate”.
Alla luce di quanto evidenziato, quindi, e nell’ottica dell’interesse processuale dell’Associazione ricorrente, non risulta per quale ragione l’amministrazione avrebbe dovuto addossare alla Scarlino Energia srl l’onere di perimetrale ulteriori aree per la bonifica di tutta lì’area inquinata, atteso che comunque la progettazione unitaria della bonifica della falda nella piana di Scarlino è in corso e l’Associazione ricorrente, sempre attenta nella sua funzione statutaria di tutela ambientale, avrà senz’altro modo di verificare la legittimità delle relative operazioni e dei provvedimenti adottandi.
Parimenti infondato è il nono motivo con cui i ricorrenti lamentano il mancato superamento delle osservazioni di cui al precedente parere negativo al progetto, relativo alla sorgente secondaria di arsenico ed alla bonifica delle acque sotterranee.
Il Collegio osserva che, in realtà, il precedente progetto preliminare, non approvato dalla conferenza di servizi del 8-21 febbraio 2008, evidenziava criticità nei seguenti punti: a) mancata considerazione della sorgente secondaria di inquinamento da arsenico su suolo, maggiore dei valori di concentrazione limite accettabili, e mancata considerazione quali traccianti di contaminazione per le acque di Ferro, Manganese e Solfati; b) analisi di rischio non effettuata con modalità diretta ex d.m. n. 471/99; c) mancata definizione obiettivi di bonifica per rimozione materiale in riferimento alla CSR; d) assenza sistema bonifica acque sotterranee; e) stima dei costi non affidabile, f) non condivisibile individuazione del sito di ubicazione della messa di sicurezza permanente del rifiuto.
Dalla lettura del verbale della conferenza di servizi del 15 maggio 2008, cui risulta aver partecipato anche un rappresentante delle “Forum Ambientalista” che aveva illustrato fino al momento di uscita in maniera approfondita la propria posizione, così come i rappresentanti dell’Azienda interessata, si legge che le criticità riscontrate sono considerate superabili in base alle specifiche prescrizioni e “integrazioni” adottate, illustrate in sei dettagliati punti.
In ordine al valore delle prescrizioni derivanti da conferenza di servizi, il Collegio concorda con la giurisprudenza che ha evidenziato come sia legittimo il giudizio positivo (nel caso di specie di compatibilità ambientale di un'opera pubblica), derivante da una conferenza di servizi, condizionato all'ottemperanza di molteplici prescrizioni e condizioni, in quanto una valutazione condizionata costituisce un giudizio allo stato degli atti integrato dall'indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio al principio di economicità dell'azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento (TAR Em-Rom, Bo, Sez. I, 30.11.09, n. 2527; sulla legittimità delle prescrizioni integrative: Tar Campania, Sa, Sez. I, 19.12.06, n. 2234; TAR Lazio, Sez. I, 31.5.04, n. 5118 e TAR Molise, 28.8.03, n. 659).
Nel caso di specie, quindi, l’amministrazione – nell’ambito della discrezionalità tecnica riconosciutale in argomento (Cons. Stato, Sez. VI, 9.2.11, n. 871 e Sez. IV, 3.12.10, n. 8504) – ha ritenuto che in tale occasione il progetto preliminare superasse i formali rilievi precedenti e, sotto il profilo sostanziale, potesse essere approvato con specifiche prescrizioni.
Né è indicato dai ricorrenti ove tali specifiche prescrizioni non possano essere considerate idonee alla tutela dell’ambiente e alla corretta bonifica del sito in relazione al loro specifico contenuto.
Infondato, per quanto ora illustrato, è pure il decimo motivo, con cui i ricorrenti lamentano che non sarebbe consentito dettare prescrizioni tese a superare parti del progetto che non risultano accettabili.
Infatti, il Collegio ha appena richiamato la giurisprudenza per la quale in linea generale è legittimo il giudizio positivo derivante da una conferenza di servizi, condizionato all'ottemperanza di molteplici prescrizioni e condizioni, in quanto una valutazione condizionata costituisce, in tale modulo procedimentale, un giudizio allo stato degli atti integrato dall'indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio al principio di economicità dell'azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento.
Se, poi, in concreto emergano in fase istruttoria criticità sostanziali e insormontabili in seguito a specifica attività, dovranno essere le parti interessate a rappresentare come le singole prescrizioni non siano idonee a superare un giudizio globalmente negativo ma ciò, nel caso di specie, non accade. A ciò si aggiunga che quello approvato è comunque un progetto preliminare di bonifica, che può ben essere contraddistinto da integrazioni e prescrizioni, ex art. 10, comma 5, d.m. n. 471/99, le quali – si ricorda – riguardano: a) presentazione di un elaborato grafico con riporto in dettaglio delle zone oggetto di bonifica della seconda fase; b) verifica in contraddittorio con l’ARPAT dell’Analisi di Rischio relativamente al parametro arsenico; c) progetto di risanamento delle acque sotterranee, anche con confinamento idraulico, purchè con raggiungimento delle concentrazioni previste; d) motivazione sul quantitativo di rifiuti da abbancare, in relazione alle due fasi dell’intervento; e) predisposizione di un piano di monitoraggio per il cumulo di messa in sicurezza e per l’efficienza delle barriere di isolamento; f) adeguata fideiussione; g) termine di sessanta giorni per presentare il progetto definitivo.
Infondato, infine, si palesa anche l’undicesimo motivo del ricorso introduttivo, relativo alla valutazione della matrice arsenico.
In merito il Collegio osserva, in relazione all’inquinamento del c.d. “panettone”, che il Comune di Scarlino, senza elementi oggettivi contrari forniti dai ricorrenti, ha attestato il relativo procedimento di bonifica GR66 è in atto ma che risulta sospeso “…in quanto il d.lgs. n. 152/06 individua la cenere di pirite come sottoprodotto e ne consente l’utilizzazione nei cementifici in sostituzione degli ossidi di ferro e che sono in corso monitoraggi riguardanti la tenuta del setto bentonitico che cintura il sito”.
Come si vede, la definizione e gli effetti delle ceneri di pirite sono ancora, al 2008, sotto esame e non possono considerarsi definitive le conclusioni di precedenti studi, anche peritali penali, risalenti a periodo precedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 e tesi a qualificare tale materiale come rifiuto.
A ciò si aggiunga che non risulta ignorato il contributo antropico per la matrice arsenico, dato che è stato in precedenza richiamato che la Scarlino Energia srl aveva rilevato nello studio per il progetto preliminare “un’anomalia di tipo antropico” relativamente all’analita arsenico nei campioni di suolo e sottosuolo…” e che il metodo prescelto prevedeva la rimozione della sorgente primaria di contaminazione individuata nelle ceneri e sterili di pirite sulle aree libere, con contemporanea valutazione in merito alla eventualità che le restanti al di sotto delle stesse potessero provocare un rischio in termini di tutela della salute umana e dell’ambiente, anche perché – specificava il medesimo progetto – un intervento di bonifica totale fino al raggiungimento del VCLA stabilito per la specifica destinazione d’uso del sito relativamente all’analita arsenico avrebbe comportato la rimozione di enormi quantitativi di materiale e terreno, senza avere la certezza del raggiungimento degli obiettivi proposti.
Il progetto preliminare, quindi, prevedeva comunque la sola bonifica dell’area di proprietà in relazione al subentro “pro quota” e ai relativi precedenti provvedimenti di riconoscimento delle responsabilità, contemplava la rimozione dal suolo contaminato da arsenico, di qualunque provenienza, esaminava l’intercettazione completa della falda, con ciò completando quanto invece in precedenza non condiviso nella conferenza di servizi del febbraio 2008.
Tale impostazione è stata evidentemente ritenuta congrua dalla conferenza di servizi del maggio 2008 che, infatti, ha comunque imposto una verifica dell’Analisi di Rischio in contraddittorio con l’ARPAT, al fine di rivedere gli obiettivi di bonifica proposti per il parametro arsenico, pari a 500 mg/kg e ritenuto troppo alto, nonché un progetto di risanamento della matrice acqua sotterranea, con ciò evidenziando la considerazione delle criticità richiamate dai ricorrenti in tale motivo e proponendo specifiche soluzioni, alla luce della normativa vigente.
Per quanto finora dedotto, perciò, il ricorso introduttivo deve essere rigettato.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi per i motivi aggiunti.
Il primo di questi, infatti, richiama l’illegittimità derivata dai vizi evidenziati con il ricorso introduttivo ma l’infondatezza degli undici motivi ora illustrata comporta l’infondatezza anche di tale motivo.
Sul termine di presentazione della seconda fase del progetto di bonifica mancante si è già detto in relazione ad analoga doglianza del ricorso introduttivo, con conseguente infondatezza e comunque improcedibilità del secondo motivo aggiunto, attesa l’individuazione di tale termine con determinazione n. 97 del 15 febbraio 2011, non impugnata.
Infondato è il terzo motivo aggiunto. La necessità di perimetrazione del sito, infatti, ai sensi della norma richiamata dai ricorrenti, non si riferisce alla necessaria perimetrazione di tutto il sito inquinato di una zona ma alla perimetrazione del sito oggetto dello specifico procedimento bonifica, secondo le responsabilità precedentemente acclarate e non più contestate.
L’analisi di rischio non poteva riguardare nella presente fase tutta la piana di Scarlino, sino al mare, come affermato dai ricorrenti, in assenza di specifica prova che il relativo inquinamento fosse riconducibile, tutto, ad attività industriali derivanti dalla sola Scarlino Energia srl, tenuto conto che – come sopra riportato – il Comune stava comunque dando luogo a procedure per bonificare l’intera piana, mediante apposito Accordo di Programma.
Di conseguenza, appare logica la conclusione che considera l’AdR limitata ai soli recettori della bonifica della prima fase, di cui il progetto definitivo costituisce coronamento, tra l’altro nel rispetto del contraddittorio con l’ARPAT imposto dalla conferenza di servizi del 15 maggio 2008 e con approvazione della stessa in ordine alle modalità di successiva indagine analitica, come da relative prescrizioni della conferenza di servizi del 14 ottobre 2008.
Per quel che riguarda, poi, la lamentata assenza dell’indicazione dei tempi di esecuzione, si rileva che, in realtà, il provvedimento impugnato di approvazione del progetto definito della prima fase di bonifica stabilisce sia il termine di inizio dei lavori (sessanta giorni, ex punto 5, lett. a) della parte dispositiva) sia quello di conclusione (195 giorni dall’inizio, ex punto 5, lett. b), di tale parte dispositiva).
Infondato è anche il quarto motivo aggiunto, che lamenta l’erronea modalità di esecuzione dell’analisi di rischio che prendeva in considerazione solo il recettore “industriale” e solo sotto un profilo “probabilistico” di contrarre malattie cancerogene.
In relazione alla fonte di inquinamento derivante dal c.d. “panettone”, il collegio rimanda a quanto detto in precedenza in ordine alla prova della riconducibilità ed al limite della bonifica approvata.
Per quel che riguarda i recettori considerati, invece, si rileva che l’analisi di rischio è concretamente prevista, ex d,m. n. 471/99, proprio per le situazioni in cui i valori di riferimento previsti in senso generale dalla legge non possono trovare raggiungimento in virtù della particolare conformazione dell’intervento di bonifica nonostante l’utilizzo delle BAT di settore (migliori tecnologie disponibili).
Nel caso concreto, quindi, ferma restando la legittimità della limitazione dell’analisi al sito della contro interessata, l’indagine risulta effettuata illustrando che gli effetti di una sostanza cancerogena non possono essere limitati a valori-soglia in quanto, talora, anche una dose infinitesimale potrebbe dare luogo ad effetti nocivi. In relazione al metodo adoperato, quindi, è stato ritenuto congruo un valore di 500 mg/kg, poi ulteriormente ridotto a 280 mg/kg in seguito all’utilizzo di un nuovo metodo statistico in accordo con le Linee Guida dell’ARPAT, come attestato nel verbale della conferenza di servizi del 14 ottobre 2008 in cui si riconosce che la procedura di bonifica è stata esaminata tenendo conto dell’analisi di rischio proposta dalla ditta e validata dall’ARPAT.
Infondato è anche il quinto motivo aggiunto, ove si lamenta la mancata adozione di misure di isolamento fisico dell’area soggetta a bonifica.
Il Collegio osserva che il progetto approvato prevede comunque sistemi di impermeabilizzazione superficiale, anche al fine di evitare fenomeni di “lisciviazione”, unitamente ad un efficace barrieramento idraulico.
Né i ricorrenti specificano per quale ragione, nel caso concreto e alla luce del singolo sito da bonificare, non possa prescindersi dall’isolamento fisico delle aree soggette a bonifica da quelle per cui non si provvede subito in tal senso in considerazione della soluzione tecnica proposta e dell’attività di bonifica dell’intera piana di Scarlino attualmente in atto.
Infondato è, poi, il sesto motivo aggiunto, in ordine alle modalità di applicazione del criterio del’isolamento dei rifiuti stoccati dalla matrici ambientali in relazione al sito su cui insiste l’impianto della Scarlino Energia srl, dato che ogni considerazione sull’allocazione dell’impianto, come detto, non può trovare ingresso nella presente sede e dato che il provvedimento impugnato prevede comunque “a monte”, alle prescrizioni 5 e 6, un’attività di monitoraggio del rilievo del piano altimetrico dell’area di abbancamento dei materiali oggetto di bonifica nell’area MISP con evidenza delle volumetrie movimentate e sospensione dei lavori qualora quest’ultime siano quelle dichiarate nel progetto definitivo della fase 1.
Analoga conclusione di infondatezza deve individuarsi per il settimo motivo aggiunto, in relazione all’efficacia del metodo di controllo della migrazione delle sostanze inquinanti, che nuovamente i ricorrenti ritengono necessariamente legato all’indagine di area vasta su tutta la piana di Scarlino.
Sul punto il Collegio rileva – secondo quanto evidenziato anche dalla Scarlino Energia nelle sue difese – che nel piano dei controlli del progetto definitivo come approvato è comunque previsto un monitoraggio degli effetti indotti sull’ambiente circostante della realizzazione del sistema di messa in sicurezza permanente dei materiali oggetto di bonifica mediante la verifica dello stato qualitativo della acque sotterranee perimetrali all’area di abbancamento , con lo scopo di collegare i dati a quelli dei monitoraggi “post operam”.
Tale attività sotto il profilo di legittimità valutabile nella presente sede, appare idonea e congrua in relazione alla specifica bonifica approvata in relazione a quanto in capo alla società controinteressata, per quanto più volte evidenziato in precedenza.
Infondato è pure l’ottavo motivo aggiunto per quanto dedotto in relazione al quarto e quinto motivo aggiunto (come d’altronde richiamato dagli stessi ricorrenti) ed alla relativa esposizione si rimanda.
Infondato, infine, è l’ultimo motivo aggiunto, ove si contesta nuovamente la mancata indicazione della tempistica dei lavori e la presenza dell’impianto sul sito.
Il Collegio, in merito, non può che richiamare quanto dedotto in precedenza, ricordando che la determinazione dirigenziale n. 97 del 15 febbraio 2011, non impugnata, contiene l’indicazione del termine in questione e che gli altri termini richiesti dalla legge sono contenuti nel dispositivo del provvedimento impugnato.
Per quel che riguarda, poi, l’allocazione e l’esercizio dell’impianto, si ribadisce la sua estraneità al presente contenzioso, per cui anche la successiva documentazione depositata in giudizio, relativa all’a.i.a. di tale impianto di combustione-incenerimento non può trovare ingresso nella presente sede e ogni eventuale contestazione sul rilascio di tale autorizzazione prima dell’avvenuta certificazione della bonifica deve essere rappresentata in altra separata sede.
Per quanto dedotto, quindi, anche i motivi aggiunti devono essere rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso ed i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Condanna in solido i ricorrenti a corrispondere al Comune di Scarlino ed alla Scarlino Energia s.r.l., nella misura del 50% ciascuno, le spese di lite, che liquida in totale in euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 31 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Ivo Correale, Primo Referendario, Estensore
Pietro De Berardinis, Primo Referendario
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/09/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)