T.a.r. veneto sent. 3592 del 30 ottobre 2006
Rifiuti. Recupero energetico
Ricorso n. 264/2005
Sent. n. 3591/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con
l’intervento dei magistrati:
Rita De Piero
Presidente f.f. e relatore
Angelo Gabbricci Consigliere
Riccardo Savoia
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 264/2005 proposto dal Comune di Cologna Veneta, in
persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Fausto Scappini e Antonio Sartori, con elezione di domicilio presso lo
studio del secondo in Venezia Mestre, calle del Sale n. 33;
contro
la Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, non
costituita in giudizio;
e nei confronti
di Ecoidea s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
costituita in giudizio col patrocinio degli avv. Francesco Crimaldi e
Sergio Camerino, con domicilio eletto presso il secondo in Venezia, S.
Bartolomeo n. 5278;
con l’intervento ad adjuvandum di Legambiente Onlus, Sezione
Veneto, e del “Comitato contro il Cogeneratore”, in
persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi
dagli avv. Enrico Varali e Beatrice Rigotti, con domicilio presso la
Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del
R.D. 26.6.24 n. 1054;
per l'annullamento
del provvedimento n. 6866 del 19.11.2004, con cui la Provincia di
Verona ha attribuito alla controinteressata Ecoidea s.r.l. il numero
189 del “Registro Provinciale delle Imprese che effettuano
attività di recupero di rifiuti non pericolosi”;
nonché della comunicazione di inizio attività
presentata dalla ditta stessa in data 13.7.2004;.
Visto il ricorso, notificato il 24 gennaio 2005 e depositato presso la
segreteria il 4 febbraio 2005 con i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione della controinteressata Ecoidea s.r.l.,
con i relativi allegati;
visti gli atti di intervento ad adjuvandum di Legambiente Onlus e del
“Comitato contro il generatore”;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, alla pubblica udienza dell’8 giugno 2006 (relatore il
Presidente f.f. De Piero), l’avv. Scappini, per il Comune
ricorrente; l’avv. Mercanti in sostituzione di
Camerino per la controinteressata e l’avv. Rigotti per gli
intervenienti;
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. - Il Comune di Cologna Veneta rappresenta che, con gli atti n. 23
del 7.23.2000 e, in particolare, n. 122 del 17.11.2000, il Ministero
delle Attività Produttive ha autorizzato la
controinteressata Ecoidea s.r.l. (di seguito: Ecoidea) ad installare ad
esercitare, presso lo stabilimento Agroidea, sito nel
territorio comunale, una seconda linea per la produzione di energia
elettrica ottenuta dal recupero energetico dei rifiuti. In
forza dei menzionati provvedimenti autorizzatori, Ecoidea il 22.3.2000
chiedeva il rilascio di una concessione edilizia per un manufatto atto
a contenere l’impianto, che il Comune assentiva con
provvedimento n. 55/2000, con la prescrizione, tra l’altro,
che il materiale utilizzato come combustibile fosse
“obbligatoriamente: carta, cartone, pallets in legno, come
indicato nella relazione tecnica del 27.3.2000 con n. 3838 di
prot.”; in data 3.4.2001, il Comune rilasciava inoltre la
concessione edilizia in variante n. 237/2000, per la realizzazione di
un adiacente capannone destinato allo stoccaggio del CDR (combustibile
da rifiuto, utilizzato per la produzione di energia). In data 15.3.2001
la ditta ribadiva al Comune che nel CDR “non verrà
utilizzata plastica, né altri tipi di gomme sintetiche,
né pneumatici fuori uso” (tali dichiarazioni - in
merito ai componenti del CDR - sarebbero peraltro risultate - secondo
la prospettazione del Comune - in contrasto sia con quanto dichiarato
dalla ditta in sede di successiva comunicazione di inizio
attività, sia con le analisi compiute sul materiale stesso -
cfr. rapporto del 23.9.2004 - che hanno dimostrato come il rifiuto
utilizzato quale combustibile fosse in realtà composto al
39,5% di plastica e al 10,6% da materiali vari).
L’impianto veniva comunque realizzato, collaudato e messo in
esercizio.
Con sentenza del 22.10.2004, il Tribunale di Verona dichiarava la
falsità di alcuni documenti e, in specie, della nota
30.5.2000 - con cui il Comune aveva asseritamente
espresso parere favorevole all’impianto - e del conseguente
D.M. 122/2000 di autorizzazione (in parte qua).
In conseguenza di quanto disposto dal Giudice penale, il Comune di
Cologna Veneta impugnava innanzi al Tar, con ric. n. 3614/2004, detta
autorizzazione. La causa si concludeva con la sentenza della sez. III
n. 2170/2005, che dichiarava il ricorso inammissibile.
1.1. - Oggetto del presente giudizio sono la dichiarazione di inizio
attività inviata da Ecoidea alla Provincia,
nonchè l’atto da quest’ultima emesso in
data 19.11.2004, con cui la controinteressata è stata
iscritta nel Registro Provinciale delle imprese che effettuano
attività di recupero di rifiuti non pericolosi, con il n.
189.
Questi i motivi:
1) violazione degli artt. 2 e 4 della Dir. del Consiglio CE 85/337;
dell’art. 1 del D.P.R. 12.4.96 e dell’art. 3 della
L.r. 1099. Omessa attivazione della procedura di valutazione di impatto
ambientale.
Il progetto di cui trattasi, per poter essere realizzato avrebbe
dovuto, a tenore delle richiamate disposizioni, essere sottoposto alla
procedura di valutazione di impatto ambientale, il che, invece, non
è avvenuto.
Il Comune esamina in dettaglio le norme invocate precisando, in
particolare, che la VIA - secondo la legge regionale n. 10/99 -
è necessaria per tutti gli impianti di smaltimento di
rifiuti urbani (con capacità superiore a 10 t/giorno)
mediante operazioni di incenerimento e per gli impianti di smaltimento
di rifiuti speciali non pericolosi, parimenti effettuato mediante
incenerimento, nonché di recupero di rifiuti non pericolosi,
mediante le operazioni di cui all’all. C lett. R1 del D.Lg.
22/97, con capacità superiore a 100 t/giorno, con esclusione
di quelli sottoposti a procedura semplificata a tenore degli artt 31 e
33 del D.Lg. stesso. Poichè il CDR è esso stesso
rifiuto speciale, il suo trattamento è soggetto
alla normativa sui rifiuti prima ancora che a quella sul recupero di
energia, come stabilito dall’art. 7 del D.Lg. 22/97.
Se tuttavia si volesse ritenere che la finalità del recupero
di energia consenta di disattendere le norme nazionali sul trattamento
dei rifiuti, si deve osservare che l’obbligo di VIA deriva
direttamente dalle disposizioni comunitarie, che comunque prevalgono su
quelle nazionali eventualmente difformi. Il legislatore nazionale,
infatti, pretende di esonerare dalla VIA gli impianti di recupero di
rifiuti non pericolosi utilizzati come combustibile - indipendentemente
dalla capacità dell’impianto - sol
perchè sottoposti a procedure semplificate.
La norma in questione, inoltre, ha condotto la Corte di Giustizia a
censurare l’Italia per essere venuta meno agli obblighi
derivanti dagli artt. 10 e 11 della Dir. CE 75/442, non
essendo possibile escludere dalla VIA intere categorie di progetti
rientranti nell’all.II.
2) Violazione degli artt. 6 e 8 della Dir. del Consiglio CE 85/337 e
dell’art. 12 della Dir CE 2000/76. Carenza di istruttoria e
motivazione.
Gli articoli in questione prevedono che gli stati membri approntino le
misure necessarie affinché le autorità
interessate ai progetti in materia ambientale possano esprimere
“il loro parere sulla domanda di autorizzazione”.
L’art. 33, che regola la procedura semplificata (e,
attraverso il richiamo di cui alla L.r. 10/99, esclude la VIA) non
prevede alcun tipo di partecipazione.
3) Violazione dell’art. 1, comma 6, del D.P.R. 12.4.96 e
dell’art. 7 della L.r. 10/99. Omessa previsione della
procedura di verifica.
L’art. 1, comma 6, del D.P.R. 12.4.96 prevede che,
per i progetti che non ricadono in aree naturali protette, è
l’autorità competente a verificare “se
le caratteristiche del progetto richiedono lo svolgimento della
procedura di valutazione di impatto ambientale”. E non
esonera affatto dalla verifica i progetti “per i quali
è prevista la procedura semplificata”.
4) Violazione degli artt. 10 e 11 n. 1, della Dir. del Consiglio CEE n.
74/442, e successive modifiche.
L’attività di Ecoidea è stata
intrapresa con procedura semplificata, ma ciò, secondo la
direttiva indicata, non è possibile.
La direttiva prevede la possibilità di dispensare
dall’autorizzazione ordinaria “gli stabilimenti o
le imprese che recuperano rifiuti” ma solo dopo che le
autorità competenti hanno adottato - per ciascun tipo di
attività - norme generali che fissano i tipi e le
quantità di rifiuti e le condizioni alle quali
l’attività stessa può essere esentata
da autorizzazione. Il D.Lg. non rispetta le condizioni poste dalla
direttiva, tanto che la Corte di Giustizia ha ritenuto lo stato
italiano inadempiente.
5) Violazione degli artt. 22, 27, 28, 31 e 33 del D.Lg. 22/97.
Necessità dell’autorizzazione.
Secondo la giurisprudenza, anche l’attività di
recupero energetico dai rifiuti rientra nella disciplina dei rifiuti
stessi e non può essere attivata con procedura
semplificata, in assenza di programmazione provinciale e regionale
(C.S., sez. VI, n. 5411/2001).
5.2) violazione degli artt. 31 e 33 del D.Lg. 22/97.
L’art. 31, comma 8, originariamente prevedeva che le
procedure semplificate non si applicavano alle attività di
recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione - lett. c) -
“dell’impiego di combustibile da
rifiuto”. Tale lett. c) è stata soppressa
dall’art. 7, comma 11, del D.L. 28.12.2001 n. 452 (convertito
in L. 27.2.2002 n. 16). Quindi, consistendo il recupero da CDR
sostanzialmente in un incenerimento dei rifiuti stessi (comprendenti
anche plastiche in quantità non prefissata, quindi altamente
inquinante) se ne deve dedurre che esso - non essendo più
ammessa la procedura semplificata - è sottoposto alle regole
generali di cui agli artt. 27 e 28 .
5.3) Violazione degli artt. 27 e 28 del D.Lg. 22/97
Poiché il CDR è classificabile quale rifiuto, il
suo utilizzo finalizzato al recupero di energia non può
essere sottratto alla disciplina dei rifiuti speciali e quindi alla
necessità di autorizzazione ordinaria.
6) Violazione dell’art. 44 della L.r. 11/2001 e
dell’art. 4 della L.r. 2/2000. Incompetenza.
La comunicazione di inizio attività sostituisce
l’autorizzazione all’esercizio per la quale, a
tenore delle disposizioni indicate, è competente la Regione
e non la Provincia.
7) Violazione degli artt. 27 e 28 del D.Lg. 22/97 e delle prescrizioni
contenute nelle concessioni edilizie. Falsità del
presupposto e carenza di istruttoria.
La sottoposizione della fattispecie a procedura semplificata non
esonerava la Ditta dal rispettare i limiti e le prescrizioni contenute
nelle concessioni edilizie, che avevano consentito al Comune di
valutare positivamente la compatibilità
dell’intervento con la destinazione di zona. In particolare,
si era stabilito che “il capannone è in funzione
ed in collegamento con l’impianto di cogenerazione che a sua
volta non può funzionare privo dello stabilimento
Agroidea…L’energia prodotta dovrà
servire in maniera prevalente il vicino stabilimento per il
funzionamento dello stesso, senza ricorrere all’uso di
energia elettrica ENEL” e che “il
materiale utilizzato come CDR per la combustione
dell’impianto di co-generazione sia obbligatoriamente: carta,
cartone, pellets in legno, come indicato nella relazione tecnica del
27.3.2000 con n. 3838 di prot.”.
La Provincia doveva esaminare i suddetti profili ed esercitare dapprima
il proprio potere di controllo e successivamente quello inibitorio.
Se lo avesse fatto, avrebbe potuto rilevare che l’energia
prodotta servirà solo in parte allo stabilimento Agroidea,
mentre una parte sarà venduta a terzi, e che la composizione
del CDR indicata nella comunicazione era ben diversa da
quella imposta dal Comune con la clausola citata, e anche da
quella accertata con l’analisi del 23.9.2004 che aveva
indicato la presenza del 39.5% di plastiche e del 10% di
materiali vari.
8) Illegittimità derivata dalla falsità e
nullità del provvedimento n. 122/2000 e del parere comunale
del 30.5.2000. Carenza di motivazione.
9) Violazione dell’art. 54 della L.r. n. 33/85 e
dell’art. 8 del D.M. 5.2.98
I laboratori privati che eseguono analisi fisiche, chimiche e
biologiche delle emissioni, degli scarichi dei rifiuti e dei residui
riutilizzabili, devono essere accreditati secondo le norme UNI-EN
45.000.
Il referto analitico n. 7693 del 23.9.2004 prodotto da
Ecoidea riporta una dicitura che pare contrastare con tale
regola.
10) Violazione dell’art. 174 del Trattato CEE e del principio
di precauzione. Carenza di motivazione.
Tale principio andava sicuramente applicato nel caso di specie, dato
che l’impianto è destinato ad inserirsi
in un territorio ad elevato rischio ambientale.
2. - La Provincia, pur ritualmente intimata, non si è
costituita in giudizio.
E’ invece presente in giudizio la controinteressata Ecoidea,
che puntualmente controdeduce nel merito del ricorso di cui chiede la
reiezione.
In limine, ne eccepisce la parziale irricevibilità (o
inammissibilità per acquiescenza), non avendo il Comune
opposto tempestivamente alcune comunicazioni provinciali dal contenuto
delle quali risultava evidente che l’autorizzazione di cui si
controverte sarebbe stata rilasciata con procedura semplificata, e
comunque l’irricevibilità di tutte le doglianze
rivolte contro i provvedimenti di approvazione del progetto.
3. - Si sono costituiti in giudizio, con atto di intervento ad
adjuvandum, Legambiente Onlus, sezione Veneto, ed il
“Comitato per il Cogeneratore”, che sostengono le
ragioni del Comune e chiedono anch’essi
l’annullamento degli atti da questo impugnati.
4. - Innanzi tutto va verificata la legittimazione
all’intervento di Legambiente Onlus - Sezione Veneto e del
“Comitato per il Cogeneratore”.
L’intervento del Comitato Regionale Veneto di Legambiente
è inammissibile, in quanto non è stato proposto
da Legambiente nella sua connotazione di “associazione di
protezione ambientale a carattere nazionale individuata con decreto del
Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità
programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo
statuto, nonchè della continuità dell'azione e
della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per
l'ambiente” (art. 13, comma 1, L. 8 luglio 1986 n. 349
così come modificato dall'art. 17 della L. 23 marzo 2001 n.
93), ma come Comitato Regionale Veneto dell’Associazione
medesima, rappresentato in quanto tale dal Presidente del Comitato
stesso e non già dal Presidente nazionale. Sul punto la
giurisprudenza, anche recentemente, ha ribadito che la speciale
legittimazione delle associazioni di protezione ambientale a ricorrere
innanzi alla giurisdizione amministrativa riconosciuta
dall’art. 18 della L. 349 del 1986 riguarda in via esclusiva
l’associazione ambientalistica nazionale formalmente
riconosciuta, e non già le sue articolazioni territoriali,
con la conseguenza che queste ultime non possono reputarsi munite di
autonoma legittimazione processuale, neppure per
l’impugnazione di atti amministrativi ad efficacia
territorialmente limitata (cfr., da ultimo: C.S., sez. V, n 2151/06,
nonché Tar Veneto n. 3170/04). Lo stesso ovviamente vale
anche per l’intervento in giudizio (Tar Lombardia - Brescia
n. 1177/02).
Per quanto concerne, invece, il “Comitato per il
Cogeneratore” va precisato che, secondo consolidata
giurisprudenza, gli interessi diffusi di cui sono portatori i Comitati,
o altre analoghe figure, possono avere ingresso nel processo
amministrativo - con autonoma impugnativa - solo se i soggetti che li
rappresentano hanno una duratura e non occasionale presenza nel
territorio e vi sia uno stabile criterio di collegamento; nella
specie lo stesso interveniente precisa che il Comitato
è stato costituito ad hoc per opporsi alla realizzazione
dell’opera di cui trattasi, e benché
ciò non lo legittimi a proporre autonomo ricorso,
è però sufficiente, sempre a tenore di
consolidata giurisprudenza (da ultimo: Cons. di Stato n. 2534/05 e Tar
Toscana n. 341/06), a legittimarlo all’intervento ad
adjuvandum del ricorso principale proposto da altri.
L’intervento in giudizio del “Comitato per il
Cogeneratore” è pertanto ammissibile.
5. - Vanno, ora, delibate le eccezioni di
irricevibilità ed inammissibilità sollevate dalla
controinteressata.
Per maggior chiarezza, merita delineare esattamente l’oggetto
del presente ricorso (l’ultimo di un abbondante contenzioso
che ha visto protagonisti il Comune di Cologna Veneta e la
controinteressata Ecoidea): il Comune impugna in questa sede il
provvedimento provinciale n. 6866 del 19.11.2004, con il quale Ecoidea
è stata iscritta, a conclusione della procedura semplificata
di cui agli artt. 31 e sg. del D.Lg. 22/97, nel Registro Provinciale
delle Imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti
non pericolosi, nonché la comunicazione di inizio
attività da quest’ultima presentata,
affinché ne venga accertata la carenza di presupposti per
l’esercizio dell’attività stessa, con
dichiarazione di illegittimità anche del comportamento della
Provincia che non avrebbe dovuto consentire l’iscrizione,
bensì esercitare i propri poteri inibitori.
Va da sé, quindi, che ciò che viene qui
contestata è solo la possibilità di svolgere
concretamente l’attività, non certo il progetto
dell’impianto, che è cosa tutt’affatto
diversa, la cui autorizzazione compete ad altre autorità ed
è intervenuto in tempi precedenti.
Ciò è tanto vero che il già un
precedente ricorso, proposto dal Comune nel 2004, avverso
l’approvazione del progetto, è stato dichiarato
irricevibile con sentenza della III Sezione n. 2170/2005.
5.1. - Tutti i motivi di ricorso che riguardano espressamente il
progetto (che si lamenta, sostanzialmente, non essere stato sottoposto
a VIA) sono quindi palesemente tardivi e irricevibili. Si tratta dei
motivi rubricati sub n. 1, 2 e 3.
6. - I restanti motivi sono tutti infondati e ciò dispensa
il Collegio dall’esaminare gli ulteriori profili di
(parziale) inammissibilità del ricorso.
La disamina va quindi iniziata dal quarto, con cui si lamenta
l’illegittimità dell’iscrizione nel
Registro (che vale autorizzazione all’esercizio
dell’attività) per l’asserita
contrarietà del D.Lg. 22/97 alle Direttive comunitarie.
Il ricorrente Comune ritiene infatti che la decisione della Corte di
Giustizia delle Comunità n. C103 del 7.10.2004 -
con cui la stessa ha dichiarato che la previsione di
procedura semplificata, di cui agli artt. 30 e sg. Del D.Lg. 22/97, in
assenza di alcuni dei requisiti previsti dalla direttiva (e, in specie
la previa determinazione di norme generali che fissino i tipi e
quantità di rifiuti, le condizioni
dell’autorizzazione, e se i metodi di smaltimento e di
recupero rispettano le condizioni previste dall’art. 4)
costituisce inadempimento dello stato italiano agli obblighi derivanti
dal Trattato - sia idonea a riflettersi in modo diretto su atti emessi
dalla Provincia.
Così non è; infatti l’unico obbligo
derivante da tale tipologia di sentenze in capo allo Stato membro
è quello di porre in essere il corretto
adeguamento alla Direttiva; obbligo che, se ulteriormente disatteso,
potrà, al più, portare ad un ulteriore
procedimento contenzioso finalizzato alla condanna dello Stato al
pagamento di una sanzione pecuniaria. Il cittadino (o, in questo caso,
il Comune) non ritrae da tale sentenza alcuna pretesa tutelabile
(tranne che un titolo per il risarcimento dell’eventuale
danno patito, nella fattispecie peraltro neppure adombrato). E
ciò anche in ragione del fatto (come correttamente rileva la
controinteressata), che ciò che la Corte di giustizia ha
contestato non è una violazione del precetto comunitario,
bensì una mera mancata esplicitazione dei limiti
entro cui l’eccezione alla regola (consentita) può
essere esercitata. In altre parole, anche la disciplina comunitaria
prevede l’autorizzazione ordinaria e quella semplificata (che
in Italia si consolida per silentium), ma non ne ha regolamentato tutti
i casi e limiti, rimessi dalla Direttiva stessa allo Stato membro. Non
vi è, quindi, alcuna norma comunitaria di tipo sopraordinato
che sia possibile, nella specie, applicare direttamente.
6.1. - Anche il quinto motivo va respinto.
Il Comune si duole dell’utilizzo, nel caso, della procedura
semplificata di cui agli artt. 31 e sg., a suo dire non corretta per un
triplice ordine di ragioni:
a - mancanza della programmazione regionale;
b - sopravvenuta abrogazione della lett. c) dell’art. 33,
comma 8 del D.Lg. 22/97;
c - contrarietà della stessa alle norme generali in tema di
ambiente.
Richiama, in proposito, la sentenza del C.S., sez. VI, n.
5411/2001. Fa poi presente, che l’art. 33 (nella sua
originaria formulazione) stabiliva che le disposizioni semplificate non
si applicano all’attività di recupero dei rifiuti
urbani, ad eccezione, (lett. c) “dell’impiego di
combustibile da rifiuto, nel rispetto delle specifiche norme tecniche
adottate ai sensi del comma 1, che stabiliscono, in particolare, la
composizione merceologica e le caratteristiche qualitative…
ai sensi della lett. p) dell’art. 6”. Peraltro,
tale lett. c) risulta abrogata dall’art. 7, comma
11, del L. 179/02, il che può comportare - secondo la
prospettazione del ricorrente - due diverse conseguenze: o che
l’uso del combustibile da rifiuto è, ora,
totalmente libero; ovvero, al contrario, che non
può essere sottoposto a procedura semplificata. Non
potendosi ammettere che il recupero del C.D.R. (consistente, in
sostanza, nell’incenerimento di rifiuti) sia totalmente
libero, si deve optare per la seconda ipotesi, come conferma anche
l’art. 31, comma 6, secondo cui l’autorizzazione di
operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi
dell’articolo medesimo, sono sottoposte ad autorizzazione
ordinaria.
Da ultimo osserva che non appare ragionevole che
l’uso del C.D.R. sia sottratto alla disciplina dei rifiuti
speciali.
6.1.1. - Quanto al primo aspetto, va rilevato che la programmazione
regionale è intervenuta. Infatti, con delibera del Consiglio
regionale n. 59 del 22.11.2004 (in B.U.R. n. 6 del 18.1.2005)
è stato approvato il Piano Regionale per la Gestione dei
Rifiuti Urbani che, all’elaborato D, denominato
“Organizzazione del sistema di recupero energetico dei
rifiuti urbani e stima degli oneri finanziari” (che, tra
l’altro, tiene distinti gli inceneritori, intesi come
impianti di smaltimento con recupero energetico di cui alle voci D10 e
D11 dell’all. B al D.Lg. n. 22/97, dagli impianti di
recupero, ritenendo tali “esclusivamente gli
impianti che utilizzano come combustibile il C.D.R. e gli
altri rifiuti individuati all’all. 2, suballegato 1 al D.M.
5.2.98”) a pg. 118, richiama espressamente l’
“impianto della Società Ecoidea di Cologna
Veneta”, menzionato anche a pg. 277 tra le “schede
degli impianti di recupero e smaltimento pubblici e dei principali
privati”. E’ ben vero che l’atto di cui
si controverte è - sia pure di poco - precedente
all’approvazione del Piano (ma successivo alla sua adozione,
intervenuta con le deliberazioni della G.R. n. 89 del
14.9.2001 e n. 62 del 7.5.2004), tuttavia (anche ammessa la
necessità di previa programmazione regionale), la
circostanza che il piano sia stato adottato nel 2001 - con integrazione
nel maggio 2004 - ed effettivamente approvato contemplando anche
l’impianto in questione, vale, quanto meno, a sanare ex
post ogni eventuale irregolarità temporale.
Va peraltro precisato che il C.S., con la sentenza della Sez.
VI, n. 6657/02, in un caso simile ha stabilito che
l’installazione di una centrale di produzione di energia
elettrica, ancorché derivante da utilizzo di rifiuti,
è “realtà aziendale e giuridica diversa
da una discarica e/o da un inceneritore e/o da un impianto di
trattamento, stoccaggio temporaneo o definitivo dei rifiuti (tale da
dovere esser inserito nel piano regionale di organizzazione dei servizi
di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n.
915/1982) “, con ciò prevedendone la possibile
realizzazione anche al di fuori del piano regionale.
6.1.2. - Vale inoltre la pena di ricordare come, dopo la decisione del
Consiglio di Stato richiamata dal Comune, la qualificazione del C.D.R.
sia mutata da rifiuto urbano a rifiuto speciale (art. 7, comma 3, lett.
l bis del D.Lg. 22/97, come definitivamente modificato dalla L. 16/02),
con la conseguenza che anche l’art. 33, comma 8, ne
è rimasto conseguentemente modificato. Esso prescrive
(prescriveva in allora, essendo, oggi, l’intera normativa
stata abrogata dal D.Lg. 3.4.06 n. 152) che le disposizioni
semplificate non si applicano alle attività di recupero dei
rifiuti urbani, tranne le eccezioni ivi previste. Peraltro, non essendo
più il C.D.R. rifiuto urbano, ne consegue che
all’impiego dello stesso le disposizioni,
viceversa, si applicano.
L’avvalersi della procedura semplificata per gli
impianti di produzione di energia con utilizzo di C.D.R.,
inoltre, è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza. Si
veda, in proposito: Tar Veneto n. 248/2001 e C.S., sez. V. n.
5333/04.
6.2. - Infondato è anche il sesto motivo, con cui si
eccepisce l’incompetenza della Provincia - a tenore degli
artt. 44 della L..r. 11/01, 4, comma 1, lett, f) n. 2,
nonché 6, comma 1, lett. c) della L.r. 3/20000 - in materia
di autorizzazione all’attività di recupero di
rifiuti non pericolosi quale, appunto, il C.D.R..
Infatti, dal combinato disposto di tali disposizioni (peraltro di non
agevole lettura e coordinamento) si desume che alla Regione spetta - in
sostanza - l’approvazione dei progetti degli impianti, mentre
la Provincia ne autorizza l’esercizio; e, a tenore
dell’art. 33, la Provincia è certamente competente
ad autorizzare (in via semplificata) le operazioni di recupero dei
rifiuti, la prima della quali, come specifica l’all. C,
è “l’utilizzazione … come
combustibile, o come altro mezzo per produrre energia”.
Non diversamente, inoltre, si esprime
l’art. 31 della L.r. 3/2000.
6.3. - Il settimo motivo va, esso pure, respinto.
Con tale doglianza il Comune afferma
l’illegittimità dell’atto opposto in
quanto la Provincia non avrebbe previamente verificato il rispetto da
parte della ricorrente delle prescrizioni e dei limiti imposti in sede
di rilascio del titolo edilizio relativo al capannone che contiene
l’impianto. Dette prescrizioni riguardavano il rapporto tra
l’impianto ed il preesistente stabilimento Agroidea, al
servizio del quale esso doveva essere destinato, nonché la
tipologia di rifiuto da utilizzare per produrre energia.
In realtà, nella procedura semplificata di cui agli artt.
31/33 del D.Lg. 22/97, la Provincia deve compiere solo le verifiche e
valutazioni ivi indicate, alla stregua della documentazione che gli
interessati presentano. Tra queste non sono ricomprese quelle di
carattere urbanistico (che, all’evidenza, sono funzionalmente
demandate al Comune stesso).
Quanto alla tipologia di rifiuti da cui deriva il C.D.R. utilizzato
nell’impianto (dei quali, secondo il Comune, la Provincia
avrebbe dovuto rilevare la diversa composizione dichiarata dalla Ditta
in sede di istanza per il rilascio del titolo edilizio e nella
procedura semplificata), va osservato innanzi tutto che le
materie che compongono il C.D.R. erano, in allora, puntualmente
individuate dal D.M. 5.2.98, al punto 14.1.2 dell’all. 1,
suball. 2 (ora modificato dal D.M. 5.4.2006 n. 186), specie
per quanto concerne la percentuale di presenza di plastiche. Inoltre,
non corrisponde al vero quanto affermato dal ricorrente, secondo cui
Ecoidea avrebbe maliziosamente taciuto alcuni di tali
componenti, inducendo il Comune a credere che avrebbe utilizzato
solamente “carta, cartone e pallets di legno”,
laddove, ad una successiva verifica, si è accertato che il
C.D.R. conteneva anche il 39,5% di plastica (peraltro ammessa dal D.M.
fino alla percentuale del 50%) e da un altro 10% di materiali
vari. In realtà, la Ditta, come si evince dalla
relazione dimessa a corredo dell’istanza di titolo edilizio,
ha sempre richiamato la norma del D.M. citata indicando quali
componenti “carta, cartone, pallets ecc.”e lo
stesso Comune, nel redigere la prescrizione, ha fatto
riferimento al contenuto di tale relazione
Di tutto ciò, tuttavia, la Provincia - in sede di procedura
semplificata - non doveva affatto occuparsi (come più volte
ribadito anche da questo Tribunale. Cfr. Tar Veneto, sez. III, n.
505/03).
6.4. - Anche il motivo sub 8), con cui il Comune lamenta
l’illegittimità derivata dalla
falsità (accertata in sede penale) del D.M. n.
122/2000 intervenuto nella fase di approvazione del progetto di
ampliamento dell’impianto, nonchè di un proprio
parere, va respinto.
Infatti, quando la Provincia ha provveduto, l’atto
approvativo era vigente e produttivo di effetti (non essendo stato
rimosso dal competente Ministero, né potendosi ritenere
inefficace o automaticamente caducato in conseguenza della sentenza
penale, anche in considerazione del fatto che il favorevole parere
comunale - di cui era stata dichiarata la falsità
– risultava essere meramente confermativo di altro
già espresso dal Comune nel medesimo procedimento in data
10.23.2000, cosicché gli asseriti effetti
“caducatori” del provvedimento ministeriale a causa
della falsità (ideologica) del documento non sono affatto
certi, come ha precisato anche la sentenza della Sezione n. 2170/05), e
di ciò solo tale Ente doveva tener conto.
6.5. - Il nono motivo (espresso peraltro in forma inammissibilmente
dubitativa) è infondato in fatto, come ha
dimostrato Agroidea, dimettendo il documento n. 12,
relativo al certificato di accreditamento SINAL del laboratorio
Consulenze Ambientali s.p.a., che ha eseguito le analisi
necessarie nell’ambito della procedura semplificata.
6.6. - Anche il decimo motivo, con cui si lamenta la violazione dl
principio comunitario di precauzione, va respinto.
E’ stato infatti osservato (ed il Collegio aderisce a questa
prospettazione) come tale principio “integri un criterio
orientativo solo generale e di larga massima (e per giunta ancora in
via di definizione e consolidamento), capace di ispirare in qualche
modo le attività normative ed amministrative
dell’Unione europea e degli Stati membri ma, almeno allo
stato, non suscettibile di tradursi, per difetto di concretezza, in un
preciso comando giuridico”; inoltre occorre considerare che,
se non si può escludere che l’introduzione nel
nostro ordinamento del principio di precauzione possa determinare
qualche riforma delle varie disciplina, tuttavia,
“finché ciò non avvenga, sembra chiaro
che è alle regole positive vigenti che deve farsi
riferimento”. Ciò non comporta quindi che la
realizzazione di un’opera (o la gestione di
un’attività) debbano essere senz’altro
privi di impatto sull’ambiente circostante, ma impone, se
mai, la formulazione di un giudizio comparativo che tenga
conto della necessità di salvaguardare i valori
ambientali, contemperandoli con l’interesse pubblico sotteso
(che, nel caso di specie, è espresso nel favor del
legislatore verso il recupero del rifiuto, in specie per la produzione
di energia), e con il diritto di intrapresa economica, specie quando
non risulti provata (ma, come nel caso di specie, solo
ipotizzata) un’effettiva lesione del bene ambiente
(cfr., sul principio, ex multis: TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04. Cfr.,
anche: C.S., sez. VI, n. 1462/05 e Corte Costituzionale n. 116/06).
In definitiva, il ricorso va respinto in quanto infondato in tutti i
suoi motivi.
7. - Le spese seguono la soccombenza, pertanto il Comune di Cologna
Veneta viene condannato a rifondere alla controinteressata costituita,
a titolo di spese ed onorari, la totale somma di € 10.000,00
(diecimila/00) al netto di IVA e c.p.a.. Spese compensate nei confronti
degli intervenienti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Condanna il Comune di Cologna Veneta al pagamento, in favore della
controinteressata Agroidea, delle spese e competenze di causa che
liquida complessivamente in € 10.000,00
(diecimila/00) oltre ad IVA e c.p.a.. Spese compensate nei confronti
degli intervenienti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Venezia,
l’8 giugno 2006.
Il Presidente f.f.-Estensore
Il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione
Rifiuti. Recupero energetico
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- Categoria principale: Rifiuti
- Categoria: Giurisprudenza Amministrativa TAR
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