LA
PROBLEMATICA DEI RIFIUTI CIMITERIALI:
di Corrado Carrubba, avvocato, ed Emanuele Quadraccia
CEAG
Legambiente ROMA
Come da tempo ci
proponevamo, sospinti da un lato dalla necessità di puntualizzare un aspetto
della gestione dei rifiuti probabilmente tra i più “dimenticati” dalla
dottrina maggioritaria (ma non per questo scevro di problematiche, anche
sottili, perlopiù di natura sistematica), dall’altro dall’urgenza di dare
una risposta concreta ai quesiti che, a più riprese e vieppiù di sovente, ci
sono stati sottoposti dagli operatori del settore (siano essi imprenditori,
piuttosto che gestori del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti), cercheremo
brevemente di, per così dire, affrontare ed esaminare le specifiche possibilità
di valorizzazione al fine del recupero dei materiali lignei provenienti da
attività di estumulazione di rifiuti cimiteriali, anche alla luce del recente
DPR 15 luglio 2003, n. 254. A tal proposito, risulta indispensabile dapprima
inquadrare l’argomento dal punto di vista normativo (ed a nostro sommesso
avviso, ancor prima, “linguistico”), per poi soffermare l’attenzione del
lettore sul merito della questione, vale a dire sulle possibili modalità di
gestione (lato sensu intesa) dei
materiali di scarto provenienti dalle aree cimiteriali, i quali godono di una
loro autonomia nell’universo disegnato dal Decreto Ronchi e che,
ciononostante, troppe volte sono stati, anche dagli studiosi più insigni,
relegati ad una mera branca o sub-species
della più rilevante, non fosse altro sotto l’aspetto economico, categoria dei
rifiuti sanitari.
§
Panorama
normativo
Ai sensi dell'art. 7, comma 2,
lett. e) ed f), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, si definiscono
rifiuti cimiteriali tutti i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni,
nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli
di cui alle lettere b) e c) del citato art. 7.
Con l’espressione
“rifiuti cimiteriali” (in seguito, brevemente, CIMIT) intendiamo dunque
riferirci tecnicamente a due distinte tipologie di materiali.
Da un lato, come
infatti enunciato nel Decreto Ronchi, possiamo intravedere in tale definizione i
materiali provenienti dalla manutenzione del verde e dalle operazioni di
spazzamento, quali carte, cartoni, fiori, ceri e quant’altro derivi
dall’ordinaria (e, talvolta, straordinaria) manutenzione dell’intera
struttura adibita a luogo di riposo per i defunti.
Da un altro, distinto, punto di
osservazione, possono definirsi CIMIT tutti quei rifiuti provenienti dalle
operazioni di esumazione e di estumulazione[1],
quali, in particolare, i resti lignei del feretro, i simboli religiosi della
cassa, le stoffe ed il cuoio, i resti non mortali di elementi biodegradabili
inseriti nel cofano previa eventuale riduzione delle dimensioni, i resti di
lamiere di zinco o di piombo e gli altri residui metallici in genere.
Mentre per la prima tipologia la
raccolta ed il conferimento al gestore del servizio avvengono con le medesime
modalità ordinariamente previste per i rifiuti urbani ed assimilati, per i
materiali derivanti da esumazioni ed estumulazioni (definiti, come ribadito,
urbani dall’art. 7 del D.Lgs 22/1997) il D.M. n. 219 del 16.06.2000, nel suo
Capo III, ne prevedeva la raccolta e la gestione in maniera separata rispetto ai
rifiuti urbani tout court[2],
alla quale categoria (rifiuti urbani e/o assimilati) essi comunque appartengono.
Attualmente, le due tipologie dei
CIMIT si trovano oggi regolamentate nel Capo III del DPR 15 luglio 2003, n. 254
(artt. 12 e 13), il quale, sostanzialmente, poco innova rispetto al precedente
D.M. 219/2000, ormai espressamente abrogato.
Dopo una puntuale definizione
anche per sottocategorie effettuata in sede di articolo 2, comma 1 lettera e)
– rifiuti costituiti da parti, componenti, accessori e residui contenuti nelle
casse - e lettera f) – rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali -,
viene ribadito, infatti, che i rifiuti provenienti da esumazioni ed
estumulazioni devono essere raccolti separatamente dagli altri rifiuti urbani
(art. 12, 1° comma). Tali materiali di risulta devono poi essere raccolti (rectius:
stoccati) e trasportati in appositi imballaggi a perdere flessibili, di colore
distinto da quello adoperato per contenere altre tipologie di rifiuti urbani
provenienti dalle aree cimiteriali e, infine, recanti apposita dicitura che
specifichi la provenienza, per così dire, “mortuaria” (articolo 12, comma 2°),
salvo la speciale norma derogatoria di cui al prosieguo.
I
rifiuti da esumazione ed estumulazione sono inoltre sottoponibili ad operazioni
di stoccaggio e/o di deposito temporaneo, qualora esse fossero necessarie al
fine di garantire una migliore operatività dell’intero sistema di raccolta e
di trasporto.
Tali CIMIT devono poi essere
avviati al recupero o allo smaltimento in impianti autorizzati ai sensi degli
articoli 27 e 28 del D.Lgs. 22/97 (cfr. artt. 12, commi 3° e 4°), ovvero a
discarica, previo inserimento nei già specificati imballaggi flessibili,
qualora trattasi di rifiuti costituiti da assi e resti lignei o, ancora, da
avanzi di indumenti ed imbottiture che non abbiano subito una preventiva
triturazione (articolo 12, comma 6°)[3].
La generalità di tali operazioni
deve avvenire dunque in una prospettiva di ottimizzazione del recupero dei
materiali utilizzati in sede di inumazione o di tumulazione, in linea con le
finalità generali del Ronchi e delle direttive europee che come è noto
privilegiano sempre e comunque il “recupero” allo “smaltimento”.
Per quel che concerne i rifiuti provenienti da altre attività cimiteriali (siano essi anche materiali lapidei e/o inerti provenienti da edilizia cimiteriale), infine, l’art. 13 del DPR 254/2003 prevede l’esclusione della necessità di autorizzazioni ai sensi del Decreto Ronchi, ai fini del riutilizzo all’interno della stessa struttura[4].
In conclusione, quindi, la normativa di riferimento è principalmente il succitato Regolamento nazionale di cui al DPR 254/03, attuativo del D.Lgs 22/97 nel cui ambito e finalità si colloca, ed è applicabile concretamente nel rispetto della normativa locale alla quale espressamente si rinvia come dettato dall’art. 12, 4° comma “in conformità ai regolamenti comunali ex art. 21, comma 2, lettera d)” dello stesso decreto legislativo.
Normativa locale che nel caso in esame è rappresentata dal Regolamento comunale di gestione dei rifiuti del Comune di Roma, nel cui nuovo testo ad oggi conosciuto[5] prevede espressamente che i rifiuti cimiteriali provenienti da esumazioni ed estumulazioni quali residui lignei, metallici stoffe cuoio e simili sono rifiuti urbani esterni (art. 5, comma 2, lettera a. 2) 5.), nella cui gestione deve essere incentivato il riciclaggio ed il recupero di materia (art. 2, comma 3) come disciplinato, in linea con la regolamentazione nazionale, dal successivo articolo 37.
§
L’effettiva
configurabilità sul territorio del recupero di materiali provenienti da attività
di esumazione ed estumulazione. L’esperienza del Comune di Roma
Alla luce della attuale situazione normativa e del silenzio pressoché totale della dottrina e della giurisprudenza più accreditate in ordine alla tematica dei CIMIT[6], riteniamo comunque che coloro i quali (imprenditori singole persone fisiche, consorzi, enti gestori pubblici e/o privati, ecc.) a vario titolo si dedichino alla gestione dei rifiuti, possano intraprendere un’attività di ricezione, messa in riserva ed avvio al recupero in impianti autorizzati in base alla normativa vigente dei materiali lignei provenienti da suddette operazioni di esumazione ed estumulazione, quali scarti di legno e di sughero, imballaggi di legno, assi e resti delle casse utilizzate per la sepoltura, ecc.
E’ infatti condizione sufficiente e necessaria a questo proposito l’iscrizione del gestore di cui sopra nel Registro delle Imprese che effettuano la comunicazione ai sensi dell’art. 33 del D.Lgs. 22/97, al fine di svolgere attività di recupero di tali rifiuti non pericolosi previsti dal D.M. 05.02.1998, tra cui figurano i rifiuti lignei urbani (ai quali si è detto i cimiteriali appartengono) di cui al codice CER 20.01.38.
Ciò è reso possibile dal dato letterale della regolamentazione speciale e dalle finalità generali della normativa sui rifiuti.
Per ciò che concerne l’esperienza, a noi più vicina, maturata nell’ambito del Comune di Roma, resta peraltro fermo il punto che le fasi preliminari al trasporto ed al conferimento agli impianti autorizzati al recupero, cioè la raccolta e la gestione prodromiche e strumentali all’avvio al medesimo riutilizzo, avvengano esclusivamente sotto la responsabilità e per tramite di AMA, soggetto gestore per il Comune stesso della raccolta dei rifiuti urbani ed assimilati, ai quali i CIMIT appartengono, nonché diretto produttore e gestore dei rifiuti cimiteriali. Ciò nondimeno potrà avvenire previa ottimizzazione anche mediante l’uso di macchinari idonei alla triturazione dei rifiuti lignei che gli impianti finali, o altri, ad ogni modo destinatari ultimi dei rifiuti di cui si tratta, rendano disponibili sotto forma di nolo o diverso negozio di fornitura precaria, restando ferma la titolarità e responsabilità di tali operazioni in capo ad AMA che le svolge nell’ambito giuridico e territoriale del luogo di produzione dei rifiuti stessi.
La fase di triturazione, inoltre, espressamente prevista dall’art, 12, comma 6 del Regolamento, ove finalizzata al recupero anziché allo smaltimento in discarica, può rendere non obbligatorio l’uso dei contenitori flessibili speciali a perdere, la cui finalità ermeneuticamente può assumersi obbligatoria appunto in caso di gestione promiscua in impianti di smaltimento finali autorizzati in via ordinaria ex. Artt. 27 e 28, dove è appunto opportuno che la peculiarità della provenienza sia resa visibile nella massa trattata, per comprensibili ragioni di delicatezza legate al rispetto sepolcrale e di precauzione di ordine igienico o di ordine pubblico.
Ove diversamente i rifiuti lignei, qualora sottoposti in loco a taglio o triturazione, perdano questa peculiarità di necessaria cautela legata alla loro individuabilità, viene meno la ragione di un imballaggio oramai inutile e contrario alla destinazione e alla facilitazione del recupero.
Tale lettura già suffragata dal dato letterale – riferimento del comma 6 ai soli rifiuti lignei classificati all’art. 2, comma 1, lettera e) n. 1 ed espressamente richiamati dall’art. 12, comma 6 insieme agli avanzi di indumenti, imbottiture e similari ma non altri, ragion per cui non può non cogliersi il regime speciale posto per essi che, diversamente, sarebbe non interpretabile positivamente quindi illogico – peraltro, non appare configgere con le finalità generali di cui all’articolo 1 del Regolamento in quanto la suddetta modalità ed interpretazione non incide sul mantenimento degli elevati livelli di tutela dell’ambiente e della salute pubblica, né di controlli efficaci, previsti.
[1] Cfr. al riguardo, nello stesso senso, la classificazione adottata dalla Provincia di Bergamo (Amministrazione Provinciale di Bergamo – Osservatorio Rifiuti – Produzione Rifiuti e raccolta Differenziata – anno 1998).
[2]
V. anche il sito Internet del Comune di Pisa (www.comune.pisa.it).
[3]
Il riferimento alle procedure ordinarie ex art. 27 e 28 è evidente che si
riferisce ai soli impianti di smaltimento, essendo nota la procedura
semplificata ex artt. 31 e 33 attuabile legittimamente per le attività di
recupero espressamente disciplinate.
[4]
A
sostegno di questo orientamento, vedasi la bella rubrica “Ambiente&Sicurezza”
(n.19/2003), sul sito Internet collegato al quotidiano Il Sole 24 Ore www.sicurweb.it/professional/news/.
[5]
Delibera
Consiliare oggi all’esame del consiglio comunale di Roma, nel testo al
settembre 2004 vistato dal segretariato generale.
[6]
In
dottrina, v. su tutti A. Muratori,
Le nuove regole per la disciplina dei rifiuti sanitari (e dei rifiuti
cimiteriali), in Ambiente, n.
10/2000, 928 ss. Si noti, comunque, come già dal titolo dell’articolo
citato sia possibile evincere una certa “marginalità” del tema dei
cimiteriali all’interno del più vasto campo di applicazione della
normativa sui rifiuti sanitari in generale.