Responsabilità amministrativa per danno all'immagine dell'Ente conseguente alla realizzazione irregolare di una discarica di rifiuti solidi urbani sul territorio comunale vincolato.
Si ringraza l'Avv. M. Balletta
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
composta dai seguenti magistrati:
Pina M. A. LA CAVA CONSIGLIERE relatore
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 60860/R del registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale per il Lazio nei confronti del sig. D'OTTAVI Paolo, nato il 18 dicembre 1940 a Trevi nel Lazio e ivi domiciliato, in via Colle San Biagio, s.n.c.;
visto l'atto di citazione, depositato il 16 gennaio 2004, che risulta notificato al convenuto in data 9 marzo 2004;
uditi, nella pubblica udienza del 23 maggio 2005, con l'assistenza del Segretario, sig.ra Nicoletta Esposito, il relatore Consigliere Pina M. A. La Cava e il P.M. nella persona del Vice Procuratore Regionale Andrea Lupi, non rappresentato il convenuto;
esaminati gli atti e i documenti di causa;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
Con l'atto di citazione in epigrafe, la Procura Regionale per il Lazio, ha citato il sig. D'OTTAVI Paolo -in qualità di Sindaco pro-tempore del Comune di Trevi nel Lazio- a comparire di fronte a questa Sezione Giurisdizionale per il Lazio per ivi sentirsi condannare al pagamento a favore dell'Erario, e segnatamente del suddetto Comune, dell'importo complessivo di euro 30.000,00 a titolo responsabilità amministrativa per danno all'immagine dell'Ente conseguente alla realizzazione irregolare di una discarica di rifiuti solidi urbani sul territorio comunale vincolato.
A tal proposito, infatti, nell'atto di citazione si premette che sulla vicenda è intervenuta, in sede penale, la sentenza n. 3195/1999 del 9 novembre 1999 con la quale il Pretore di Anagni ha condannato l'attuale convenuto alla pena di mesi uno di arresto e lire 20.000.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, perché riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 1 sexies della legge n. 431 del 1985, per aver realizzato una discarica di rifiuti solidi urbani di circa mq. 1000 su territorio comunale vincolato.
Quanto più specificamente ai fatti di causa, dalla suddetta sentenza penale e dagli atti acquisiti dall'attore in sede istruttoria, emerge che il sig. D'Ottavi, all'epoca dei fatti Sindaco del Comune di Trevi nel Lazio, in data 18 luglio 1994 emanava una ordinanza contingibile e urgente, ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. n. 915/1992, con la quale incaricava l'Ufficio Tecnico Comunale ad approntare un sito idoneo per il deposito provvisorio dei R.S.U. nell'area distinta al foglio 25 particella 209 del territorio comunale, per far fronte all'esigenza di provvedere con urgenza alla salvaguardia della salute pubblica in quanto seriamente minacciata dall'accumulo indiscriminato di rifiuti sulle vie cittadine in condizioni climatiche favorevoli, trattandosi di un periodo estivo, al diffondersi di epidemie.
Nell'atto di citazione si riferisce, tra l'altro:
-che il Giudice penale ha rilevato che la condotta del sindaco in quella vicenda non era giustificata da una situazione eccezionale ed imprevedibile, in quanto il problema si era posto per la prima volta ben cinque anni prima allorché alla fine degli anni '80, era stato vietato ai comuni della provincia di scaricare i rifiuti nella discarica di Malagrotta e si era, altresì vietato il trasporto dei rifiuti fuori della Regione e che, comunque, il potere di ordinanza attribuito al Sindaco non autorizzava lo stesso a violare le inderogabili prescrizioni poste a tutela della salute e dell'ambiente, trasferendo, come nella specie, il rischio dal centro urbano ad altra località;
-che tale condotta si è protratta oltre la scadenza del termine di validità dell'ordinanza. La discarica abusiva invece di 180 giorni è stata utilizzata per oltre quattro anni (fino al luglio 1998) e, comunque, non avrebbe potuto essere realizzata, ancorché per un tempo limitatissimo, in quanto l'intero territorio di Trevi nel Lazio è sottoposto a vincolo paesaggistico in virtù di norme applicative della legge “Galasso”;
-che il sig. D'Ottavi era stato già condannato per analogo reato.
La Procura regionale, quindi, previo l'espletamento della relativa istruttoria e il preliminare invio dell'invito a dedurre di cui all'art. 5 d.l. n. 453/1993, convertito in legge n. 19/1994, nel testo di cui al d.l. n. 543/1996, convertito in legge n. 639/1996, ha ritenuto che vi fossero estremi di responsabilità per danno erariale a carico del soggetto oggi chiamato in giudizio.
Secondo l'atto di citazione, quindi, nella fattispecie l'ex Sindaco D'Ottavi ha posto in essere una condotta illecita, gravemente colposa, dalla quale è conseguita una grave lesione del prestigio dell'Amministrazione comunale, secondo l'accezione individuata dalla giurisprudenza delle SS.RR. di questa Corte, in quanto avrebbe mostrato alla collettività amministrata l'incapacità (protrattasi per molti anni) di risolvere la problematica dei rifiuti solidi urbani, creando, inoltre, nell'esercizio dei poteri autoritativi, le condizioni per realizzare un grave danno ambientale sul territorio comunale, attesa la condizione dei luoghi (sottoposti a vincolo paesaggistico ex legge n. 431 del 1985) e dei sistemi del servizio in essere (non esisteva un sistema di sifonaggio, né un sistema per assicurare il deflusso dell'acqua).
Quanto al danno erariale (la cui esistenza trattandosi di danno all'immagine è, per la P.R. attrice, in re ipsa) e, in particolare, all'entità dello stesso, l'atto di citazione -nell'evidenziare che il Comune dovrà sostenere i costi per la bonifica del luogo in cui era stata approntata la discarica (al riguardo il proprietario del terreno avrebbe richiesto un risarcimento di lire 2.950.000.000)- fa generico riferimento alle innumerevoli spese affrontate dal Comune per la promozione turistica al fine di restituire al paese un'immagine plausibile con la vocazione turistica dell'Ente, e, nel concreto, al fatto che lo stesso Comune ogni anno stanzia euro 25.000,00 circa per spese di promozione turistica. Per cui -secondo l'assunto della Procura- l'aver realizzato una discarica sul territorio di notevole interesse storico ha certamente danneggiato le potenzialità produttive del settore turistico del Comune, responsabilità da addebitare al convenuto D'Ottavi Paolo e da calcolare, quale danno all'immagine, nella misura di euro 30,000,00.
Non essendosi costituito in giudizio il convenuto, nell'odierna pubblica udienza, è intervenuto il Procuratore Regionale che ha ribadito, nel merito, le argomentazioni su cui si fonda la chiamata in giudizio, confermando la richiesta di condanna nei termini di cui all'atto di citazione.
D I R I T T O
Con l'atto di citazione all'esame la Procura Regionale ha contestato al convenuto il “danno all'immagine” e “al prestigio” del Comune di Trevi nel Lazio, quantificato nell'importo di Euro 30.000,00, richiamando la giurisprudenza delle SS.RR. di questa Corte dei Conti (sentenza n. 10/2003/QM del 23 aprile 2003) intervenuta in materia ed ha messo in evidenza le ragioni, a fondamento della pretesa, secondo cui il comportamento del Sindaco, nella vicenda che qui rileva, ha recato grave pregiudizio alla istituzione in questione.
La pretesa risarcitoria della P.R. è da condividere.
E' stato, innanzitutto, correttamente riconosciuto (dalla citata sentenza delle SS.RR. di questa Corte dianzi richiamata) che la tutela della identità personale, del buon nome della reputazione e credibilità delle pubbliche amministrazioni in sé considerate trova copertura, oltre che nella generale previsione dell'art. 2 della Carta Costituzionale relativa alla tutela delle formazioni sociali, essenzialmente nell'art. 97 della stessa Costituzione che fissa, quali principi cardine dell'agire amministrativo, i parametri di imparzialità e buon andamento (ulteriormente definiti anche come efficienza, efficacia, economicità e trasparenza dal legislatore ordinario di cui alla legge n. 241 del 1990 e a cui si ispira tutta la successiva legislazione, anche di rango inferiore). Tale ultima disposizione costituzionale stabilisce, poi, al comma 2, che nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Ne consegue, pertanto, alla luce di quanto testualmente riconosciuto, che “….ogni azione del pubblico dipendente che leda tali interessi si traduce in alterazione dell'identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell'apparire di una sua immagine negativa in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata”.
Quanto, poi, alla configurabilità nel concreto della responsabilità amministrativa del pubblico funzionario per “danno all'immagine” e “al prestigio” della P.A., è ben nota, ormai, la posizione, la impostazione concettuale e, in generale, l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, intervenuta anche in sede di Appello (cfr., in particolare, Sez. I Centrale d'Appello n. 78/2003/A e n. 340/2003/A) che, da tempo, ha avuto modo di affermare, preliminarmente, la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine a tale specifica figura di danno (SS.UU. della Corte di Cassazione n. 5668/1997 e n. 744/1999), nonché di precisare che, trattandosi di danno “ingiusto” ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica, ancorché consistente nella lesione di beni di per sé inidonei a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato, costituisce sempre, nei casi in cui ne è ammessa l'azionabilità giudiziaria, interesse direttamente protetto dall'Ordinamento, rivestito di valore economico alla stregua degli altri beni immateriali tutelati (cfr., in senso conforme, SS.RR. della C.d.C. n. 16/99/QM del 1999).
Giova aggiungere che è stato anche affermato che il danno all'immagine e al prestigio della P.A. rientra nella connotazione del “danno patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c., e, in linea di principio, non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato (fermo restando, infatti, il principio della separatezza del giudizio per responsabilità amministrativa contabile rispetto a quello penale, come rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ben potendo discendere da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale. Peraltro, anche ove non si tratti di fattispecie derivante da reati, non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.) sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio, venendo in rilievo, ai fini della responsabilità amministrativa contabile, solo i comportamenti gravemente illegittimi, ovvero gravemente illeciti, purché idonei, nella loro consistenza fenomenica, a produrre altrettanta “grave perdita del prestigio e della immagine” e “grave detrimento della personalità pubblica”.
Nella fattispecie, comunque, la chiamata in giudizio del convenuto nasce da una vicenda penale e da un comportamento dello stesso che è stato riconosciuto penalmente rilevante e sanzionato con la sentenza di condanna del 1999 citata in narrativa, nel senso che emergono con chiarezza da tale sentenza tutti gli elementi, confortati dalle risultanze degli atti, per configurare in capo all'attuale convenuto la prospettata responsabilità amministrativa per danno all'immagine del Comune di Trevi nel Lazio.
Il sig. D'Ottavi, infatti, all'epoca dei fatti era legato, per la sua qualità di Sindaco del suddetto Comune, da un chiaro rapporto di servizio e in tale veste ha adottato l'ordinanza contingibile e urgente per la individuazione del sito idoneo per il deposito provvisorio dei R.S.U., motivato dall'esigenza di provvedere con urgenza alla salvaguardia della salute pubblica. Al riguardo, come accertato in sede penale, devesi rilevare che la condotta del sindaco in quella vicenda non era giustificata da una situazione eccezionale e imprevedibile, in quanto il problema si era posto alla fine degli anni '80 per le vicende già indicate in narrativa.
Oltre alla carenza della imprevedibilità e della urgenza nella soluzione adottata, devesi aggiungere che, a connotare di illegittimità e illiceità il comportamento del sindaco nell'esercizio del proprio potere di ordinanza, si associa anche:
-la violazione della legge in materia vincolistica (si è detto come la discarica non avrebbe potuto essere realizzata in quanto l'intero territorio di Trevi nel Lazio è sottoposto a vincolo paesaggistico in virtù di norme applicative della legge “Galasso”);
-la violazione delle inderogabili prescrizioni poste a tutela della salute e dell'ambiente, con il trasferimento del rischio dal centro urbano ad altra località (è emerso, peraltro, che i rifiuti venivano abbandonati a cielo aperto con pericolo di inquinamento delle falde acquifere e che la sorgente del Ceraso si trova vicino al luogo in cui era stata realizzata la discarica provvisoria);
-l'irragionevolezza della durata della soluzione contingente adottata; la situazione, infatti, si è protratta ben oltre la scadenza del termine di validità dell'ordinanza (di 180 giorni) in quanto la discarica abusiva in realtà è stata utilizzata per oltre quattro anni (fino al luglio 1998), senza che risulti che il sindaco abbia provveduto a risolvere, non solo la precarietà della soluzione adottata, ma la stessa esigenza del servizio di smaltimento dei R.S.U..
Il sig. D'Ottavi, peraltro, quand'anche la scelta in questione fosse stata necessitata dalle esigenze contingenti individuate, avrebbe dovuto -come è stato giustamente contestato dall'attore- creare un deposito temporaneo per il solo tempo strettamente necessario per risolvere l'emergenza sanitaria, dodopiché avrebbe dovuto provvedere a risolvere in modo definitivo il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Non ultima va, poi, considerata la rilevante circostanza, parimenti evidenziata dalla P.R., che il D'Ottavi era stato già condannato per analogo reato e che tale condanna avrebbe dovuto spingere lo stesso a maggiore attenzione e cura nell'affrontare i problemi dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nel rispetto delle esigenze della popolazione e dell'ambiente.
Quanto sopra connota di sicura gravità la colpa richiesta, quale elemento soggettivo (ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 1, del decreto-legge 543/1996 convertito, con modificazioni, in legge n. 639/1996) per l'addebito della responsabilità amministrativa di cui si discute. Illegittimità, inefficienza e trascuratezza dell'azione del sindaco che mal si conciliano con la qualifica e le funzioni pubbliche ad essa legate, in quanto egli, proprio in ragione della qualità di rappresentante della collettività amministrata, era preposto alla effettiva salvaguardia e alla corretta gestione degli interessi collettivi e, segnatamente, delle risorse anche paesaggistiche, ambientali ed artistiche dell'Ente, che vedeva nella propria vocazione turistica (in ragione del patrimonio storico e artistico dei luoghi) una delle maggiori fonti di prestigio cittadino dei suoi abitanti, oltre che di destinazione dell'interesse turistico delle altre popolazioni.
Tale ultimo aspetto, passando alla individuazione del reale pregiudizio subito dall'Ente, porta ad evidenziare, a questo punto, che la giurisprudenza di questa Corte dianzi richiamata ha anche chiarito che, perché ci sia “danno all'immagine e al prestigio della P.A.”, il pregiudizio deve essere caratterizzato dal c.d. “clamor fori”, identificato innanzitutto nella risonanza e nella diffusione dell'illecito (normalmente individuato nella amplificazione che dello stesso ne hanno dato e ne danno la stampa e gli altri mezzi di informazione e di comunicazione), atteso che tale diffusione, quale normale corollario della vita di relazione, esprime certamente la rilevanza sociale che hanno i predetti comportamenti, gravemente illegittimi, ovvero gravemente illeciti, sotto il profilo della attenzione che l'opinione pubblica e i cittadini prestano all'esercizio delle pubbliche funzioni.
Ora, prescindendo dalla eventuale risonanza della stampa dell'epoca, non vi è dubbio che, nel caso di specie, la “diffusione” a tutta la cittadinanza sia stata di facile realizzazione, intanto perché l'esistenza della discarica abusiva, la mancata soluzione della vicenda e la precarietà procrastinata del servizio dei r.s.u. era certamente nota agli abitanti dei luoghi, utilizzatori finali del servizio pubblico e destinatari dei disagi e del discredito che a tale situazione erano connessi. Devesi, poi, ritenere che proprio in ragione della natura storica, artistica e di interesse ambientale dei luoghi (consacrata anche dal vigente regime vincolistico), nonché della connessa attrazione turistica e della notorietà che consegue dall'essere meta costante di visitatori esterni, si sia realizzato un sicuro discredito all'immagine del Comune e di tutta la cittadinanza.
Ciò posto, occorre, da ultimo, quantificare, il “danno al prestigio e alla immagine” dell'Ente, da porre a carico del convenuto. In proposito, nell'atto si supporta la richiesta di Euro 30.000,00 prendendo a parametro il quantum stanziato dal Comune per le spese annue di promozione turistica. Con nota del 6 novembre 2002, in atti, il Comune di Trevi ha comunicato, infatti, alla Procura regionale che ammonta a circa 25.000,00 euro lo stanziamento per le spese destinate ai festeggiamenti del Patrono e delle iniziative culturali del periodo estivo.
Al riguardo soccorre certamente la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., criterio al quale il giudice può addivenire per la liquidazione dei danni, quando manchino più precisi criteri di determinazione e vi sia l'impossibilità o la difficoltà della parte di fornire congrui e idonei elementi, ovvero occorre trasformare in termini monetari una entità che per sua natura non si presta ad una semplice operazione matematica.
Peraltro, nella fattispecie il Collegio é chiamato, attraverso il suo equo apprezzamento (ex art. 1226 c.c. citato), a fornire una valutazione della riparazione del danno, che non è e non potrebbe mai essere il preciso equivalente alla lesione dell'interesse colpito, ma che necessita configurare, non soltanto come un “corrispettivo di carattere riparatorio dell'immagine lesa”, ma che tenga anche conto di tutte le circostanze del caso particolare, atte a supportare adeguatamente il quantum individuato secondo equità.
Conclusivamente, pur tenendo fermo il paramentro di riferimento individuato dalla Procura attrice nel suddetto ammontare annuo di spese del Comune destinate alla promozione turistica, il Collegio ritiene di limitare ragionevolmente l'importo prospettato a complessive euro 15.000,00 (euro quindicimila), tale ritenendo essere stata, in proporzione, l'incidenza lesiva e il detrimento delle potenzialità produttive del settore turistico dell'Ente e, quindi, l'equa riparazione dell'immagine del Comune di Trevi nel Lazio che, in ragione di quella lesione, deve essere posta a carico del sig. D'Ottavi Paolo a titolo di responsabilità amministrativa.
In tali termini, ritenuta peraltro compresa nel suddetto importo la rivalutazione monetaria in quanto non espressamente richiesta dalla P.R., consegue l'obbligo del convenuto di risarcire l'Ente danneggiato.
Su detta somma dovranno, altresì, essere corrisposti gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza all'effettivo pagamento.
Alla soccombenza segue anche l'obbligo del pagamento delle spese di giudizio.
P. Q. M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando accoglie la domanda attorea relativamente all'addebito di responsabilità amministrativa di cui all'atto di citazione in epigrafe, e, per l'effetto, condanna il convenuto, al pagamento, in favore del Comune di Trevi nel Lazio, della somma di euro 15.000,00 (euro quindicimila), nonché alla corresponsione su detta somma degli interessi legali con decorrenza dalla data di deposito della presente sentenza all'effettivo pagamento.
Il predetto è, altresì, condannato al pagamento delle spese di giudizio che, fino all'originale della presente decisione, si liquidano in euro duecentodiciasette,16 (217,16)
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio del 23 maggio 2005.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Pina M. A LA CAVA) (Vincenzo BISOGNO)
Depositata in Segreteria il 27/03/2007
Il Direttore di segreteria
Dott.ssa Mirella FREDA