Consiglio di Stato, Sez, V, n. 4784, del 26 settembre 2013
Rifiuti.Legittimità ordinanza del Sindaco dall’art.17 comma 2 del d.lgs. 22/97 per bonifica e ripristino ambientale
E’ legittima l’ordinanza del Sindaco con la quale è stato ordinato di provvedere, secondo quanto previsto dall’art. 17 comma 2 del D.Lgs. n. 22/97 e s.m.i., alla messa in sicurezza, alla bonifica ed al ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali derivi pericolo di inquinamento”. E’ stato affermato in giurisprudenza che la responsabilità dell'autore dell'inquinamento, in posizione differente da quella del proprietario non inquinatore, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e rispristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. Dalla natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17 comma 2, d.lg. n. 22 del 1997, in connessione con una condotta « anche accidentale », ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento. Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento e la contaminazione e/ o il suo aggravamento in coerenza con il principio comunitario « chi inquina paga », principio che risulta espressamente richiamato dall'art. 15, direttiva n. 91/156, di cui il d.lgs. del 1997 costituisce recepimento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04784/2013REG.PROV.COLL.
N. 06935/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6935 del 2008, proposto da Blotto Alessandra, già socia accomandataria e legale rappresentante della cessata Immobiliare Alessandra s.a.s., rappresentata e difesa, dagli avv.ti Alessandra Carozzo e Gabriele Pafundi del Foro di Roma e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
contro
il Comune di Cirie', rappresentato e difeso dagli avv.ti Guido F. Romanelli e Riccardo Montanaro, e con domicilio eletto presso Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria n. 5;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Piemonte – Torino, Sezione II - n. 00010/2008, resa tra le parti, concernente messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale aree inquinate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 13 novembre 2012 il Cons. Giancarlo Luttazi;
Uditi per le parti gli avvocati Pafundi e Romanelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.0 - L’appellata sentenza del T.a.r. Piemonte ha respinto il ricorso proposto dall'attuale deducente Blotto Alessandra per l'annullamento dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Cirié n. 239 in data 29 settembre 1998, con la quale è stato ordinato alla ricorrente, nonché al sig. Annibale Blotto, “di provvedere, secondo quanto previsto dall’art. 17 comma 2 del D.Lgs. n. 22/97 e s.m.i., alla messa in sicurezza, alla bonifica ed al ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali derivi pericolo di inquinamento”.
1.1 - L’appellante riferisce in fatto quanto segue.
La citata ordinanza n. 239/1998 impugnata in primo grado trae origine dalla individuazione di un inquinamento di acque sotterranee, site al di sotto di un'area a destinazione industriale nel Comune di Ciriè; inquinamento che l'ARPA - condotte le analisi e le indagini in loco - ha ritenuto, in particolare, di ricondurre per tipologia ai materiali presenti in una vasca interrata posta in un sito prima di proprietà del signor Blotto Annibale, e poi da questi ceduto alla Redglow Finance Ltd, e da questa locato, all'epoca dei fatti per cui è causa, alla Immobiliare Alessandra s.a.s. .
Quest’ultima – prosegue l’appello - pur essendo locataria del sito non ne aveva disponibilità né giuridica né materiale.
La vasca in questione, anch'essa di proprietà prima del signor Blotto e poi della Redglow Finance, era stata originariamente venduta al signor Blotto dalla Ipca (industria che occupava la vasta area confinante) in quanto interrata nel sito oggetto di compravendita (ove l'acquirente Blotto stabilì per alcuni anni una propria impresa).
Tale sito, della superficie di circa mq. 10.500, confina da tempo risalente con aree occupate da stabilimenti chimici ed industriali, ed in particolare, per un lato, con una proprietà ex Ipca (dal 1930 al 1984), ex Sico (sino al 1985), ex Interchim s.p.a. (dal 1985 al 1989), e ora di proprietà del Comune di Ciriè, ed oggetto in passato di note vicende di grave inquinamento.
Al momento della compravendita fra Ipca e il sig. Blotto, la Ipca, pur trasferendo la proprietà anche della vasca, se ne riservò l'uso esclusivo per dieci anni (dal 1980 al 1990), onde utilizzarla quale deposito per la nafta, essendo la vasca, ancorché collocata sul sito ceduto al Blotto, posta a confine con lo stabilimento Ipca ed a questo collegata mediante tubature ancora oggi visibili.
Quando poi successivamente subentrò alla Ipca (nelle more fallita) la Interchim; il diritto di utilizzo della vasca, già riservato ed esercitato dalla Ipca, passò senza soluzione di continuità alla nuova società, in forza di contratto di comodato d'uso stipulato con il signor Blotto.
Quando infine anche Interchim fallì, tutti i beni, compresa la vasca, furono inventariati nella procedura fallimentare, senza che la vasca potesse tornare nella piena disponibilità del proprietario Blotto, avendo il Curatore subordinato la restituzione alla preventiva bonifica, se necessaria.
La vasca quindi - conclude l'appellante - non le è mai appartenuta, né tantomeno è stata da essa utilizzata, essendo stata, invece, sempre e solo utilizzata dalle industrie confinanti. Sicché lo stoccaggio e l'abbandono nella vasca delle sostanze tossiche riscontrate dall'ARPA è da imputare solo ed esclusivamente a quelle industrie.
1.2 - In diritto l’appellante ripropone i motivi del ricorso in primo grado: violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990, per assenza di comunicazione di avvio del procedimento e per essere stata la destinataria dello stesso del tutto esclusa da ogni forma di partecipazione all'istruttoria; violazione dell'art. 17 dell'allora vigente d.lgs. n. 22/1997, eccesso di potere per difetto od insufficienza di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, contraddittorietà ed illogicità, nonché, ancora, per carenza dei presupposti di legge per l'adozione del provvedimento da parte del Sindaco; violazione di legge con riferimento alla legge n. 142/1990, indeterminatezza del provvedimento, sviamento di potere; vizi intrinseci correlati alle suddette violazioni di legge, difetto ed incongruenza di motivazione.
Sottolinea l’appellante che fra tutti i suddetti motivi di impugnazione assume valore centrale e dirimente la dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, vigente alla data dei fatti.
2. – Il Comune di Cirie' ha depositato controricorso in data 16 gennaio 2009.
In data 6 marzo 2012 è stata depositata dichiarazione di rinuncia al mandato, a firma dell'avv. Alessandra Carozzo del Foro di Torino e dall'avv. Gabriele Pafundi del Foro di Roma.
Entrambe le parti hanno depositato documenti e memorie.
Il Comune ha riproposto l’eccezione di inammissibilità proposta in primo grado e assorbita dal Tar: difetto d’impugnazione di un atto presupposto essenziale, la nota ARPA Piemonte 21 agosto 1998, prot. n. 10005, citata nel provvedimento impugnato in primo grado.
Nella memoria di replica depositata il 22 ottobre 2012 l'appellante, vista la memoria del Comune di Ciriè depositata il 12 ottobre 2012, ha prospettato che, re melius perpensa, nel proprio ricorso si è integrata una fattispecie di cessazione della materia del contendere o, quanto meno, una ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse.
3. – La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 13 novembre 2012.
DIRITTO
In limine.
Entrambi i difensori della appellante hanno rinunciato al mandato.
Ai sensi dell'art. 85 del Cod. proc. civ., applicabile al processo amministrativo in virtù dell'art. 39 Cod. proc. amm., il difensore può sempre rinunciare alla procura, ma la rinuncia non ha effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore.
Invero, la rinuncia al mandato alla lite del difensore del ricorrente non determina effetti interruttivi né sospensivi del processo e non impedisce il passaggio in decisione del ricorso, in quanto ai sensi del predetto art. 85 gli stessi difensori sono tenuti a svolgere la loro funzione fino alla loro sostituzione (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n.4853).
In coerenza con tale principio, l’avv. Pafundi ha proseguito il mandato sottoscrivendo le ulteriori memorie dell'appellante.
1. – L’appello è infondato nel merito, sicché si prescinde dalla eccezione di inammissibilità assorbita dal Tar e qui riproposta dall’appellato Comune.
Per altro verso non sussiste la fattispecie, prospettata dall’appellante nella memoria di replica depositata il 22 ottobre 2012, di cessazione della materia del contendere o di sopravvenuta carenza di interesse.
L'appellante prospetta quelle cause di improcedibiltà allegando le seguenti circostanze:
- gli interventi di cui all’ordinanza n. 239 del 29 settembre 1998, oggetto di impugnativa in primo grado, riguardano una vasca posta nel sottosuolo di uno dei fabbricati dell’area Blotto;
- stante l’inerzia dei soggetti obbligati, gli interventi di bonifica sono stati realizzati d’ufficio dal Comune di Ciriè (la deliberazione di Giunta n. 202 del 28 settembre 2000 ha approvato il progetto definitivo di bonifica) e finanziati dalla Regione Piemonte nell’ambito del Piano di bonifica dei siti inquinati di cui alla legge regionale n 42/2000;
- la Regione Piemonte, con determinazioni n. 221 del 5 settembre 2005 e n. 238 del 27 settembre 2005, ha preso atto della conclusione dell’intervento di bonifica nel sito;
- conseguentemente l’ordine, contenuto nel provvedimento impugnato, “di provvedere, secondo quanto previsto dall’art. 17 comma 2 del D.Lgs. 22/97 e s.m.i., alla messa in sicurezza, alla bonifica ed al ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”, nonché la prescrizione strumentale di provvedere alla presentazione del progetto di bonifica, non avrebbero più alcuna ragion d’essere.
Questi rilievi non sono fondati.
In via di principio (cfr. C.d.S., Sez. V, 5 marzo 2010, n. 1280) la declaratoria di improcedibilità di un ricorso giurisdizionale per sopravvenuta carenza di interesse può derivare o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l'effetto del provvedimento impugnato, ovvero dall'adozione, da parte dell'Amministrazione, di un provvedimento che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, in ciò distinguendosi dalla cessazione della materia del contendere, che si verifica allorquando l'Amministrazione, in pendenza del giudizio, annulli o comunque riformi in maniera satisfattoria per il ricorrente il provvedimento amministrativo contro cui è stato proposto il ricorso.
Quest’ultima evenienza va esclusa in punto di fatto.
Quanto alla improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, il Collegio rileva che la controversia da dirimere nel presente giudizio, per quanto consta agli atti, non è stata incisa ma anzi è stata implementata dalla esecuzione d’ufficio richiamata dall’appellante: la tematica del presente gravame - attinente alla legittimità o meno di onerare l’appellante della “messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali derivi pericolo di inquinamento” - attiene anche alle ulteriori conseguenze giuridico-economiche (ivi comprese quelle di addebito dell’esecuzione d’ufficio) di quell’accertamento di legittimità, conseguenze le quali, in caso di reiezione dell’appello, resterebbero a carico dell’appellante.
Proprio gli accadimenti successivi all’atto impugnato in prime cure, allegati dall’appellante per sostenere la cessata materia del contendere o la sopravvenuta carenza di interesse, mostrano il permanere dell’interesse alla decisione. Infatti, come evidenziato dall’Amministrazione appellata, dopo gli interventi di bonifica d’ufficio di cui alla citata deliberazione di giunta n. 202 del 28 settembre 2000, e dopo il relativo finanziamento della Regione Piemonte, il Comune ha provveduto, con deliberazione di Giunta 28 luglio 2007, n. 123, alla trascrizione dell’onere reale di cui all’art. 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e al recupero delle spese di bonifica; e la citata deliberazione n. 123/2007 è stata impugnata dinanzi al Tar Piemonte dal signor Blotto Annibale (già proprietario del sito: v. sopra il capo 1.1 della parte in fatto della presente sentenza) e dalla società “Millennium Project” (successore a titolo particolare in cui l’attuale appellante sig.ra Blotto Alessandra risulta avere responsabilità societaria) con il ricorso n. 104/2008 al Tar Piemonte, tuttora pendente.
L’appellante dunque, dopo l’esecuzione d’ufficio di cui alla suddetta delibera n. 202 del 28 settembre 2000, mantiene il proprio specifico interesse al presente giudizio, poiché ove questo avesse esito favorevole ad essa appellante, ne discenderebbe anche l’estraneità della Blotto alle non lievi conseguenze di quella esecuzione d’ufficio.
2.0 - Nel merito, l’appellante ripropone le censure del ricorso di primo grado, contestando le relative statuizioni del Tar. Ma nessuno degli assunti d’appello è fondato.
2.1 - Quanto al primo motivo del ricorso di primo grado, relativo alla omessa attivazione degli strumenti di partecipazione procedimentale di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, l’appello lamenta:
- che il primo Giudice si è limitato a rilevare circostanze ininfluenti: la piena conoscenza, da parte della società ricorrente, dell'esistenza di iniziative delle Autorità competenti finalizzate a porre rimedio alla situazione d'inquinamento esistente sul sito in questione, e i numerosi interventi di sopralluogo di cui era stata oggetto l’appellante, nonché la precedente ordinanza del Sindaco di Ciriè 16 maggio 1998, n. 106;
- che a poco vale l’assiomatico rilievo del Tar per cui "il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello concretamente adottato", in quanto, al contrario, ove si fossero obiettivamente considerati gli elementi portati poi in giudizio circa la vera situazione dei luoghi l'esito del procedimento amministrativo avrebbe dovuto necessariamente essere diverso da quello che è stato;
- che in proposito non è invocabile il disposto di cui all'art. 21 octies della legge n. 241/1990.
Questi rilievi sono infondati, giacché:
- la incontestata conoscenza, da parte dell'appellante, sia dell'esistenza di iniziative dell’Amministrazione volte a porre rimedio alla situazione inquinante del sito, sia dei numerosi interventi di sopralluogo col medesimo fine appare sufficiente a rendere edotto il soggetto destinatario di un procedimento in avvio; e può dunque ritenersi sostanzialmente equipollente a una comunicazione di avvio procedimentale (confr. C.d.S., Sez. VI, 30 agosto 2011, n. 4854);
- come è emerso in primo grado (e risulterà dal prosieguo della presente sentenza), è da escludere che ove l’appellante fosse stata formalmente edotta dell’avvio procedimentale essa avrebbe potuto fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell'Amministrazione procedente; e dunque il vizio procedimentale non sussiste (v. , per tutte: C.d.S., Sez. III, 20 giugno 2012, n. 3595; Sez. VI, 23 febbraio 2012, n. 1023);
- quanto alla applicabilità dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, la disposizione invero non era applicabile alla data dell’atto impugnato in prime cure (il Capo IV bis, comprendente gli artt. da 21 bis a 21 nonies, è stato aggiunto alla legge n. 241/1990 dall'art. 14 della successiva legge 11 febbraio 2005, n. 15, sopravvenuta al procedimento di cui si discute); però l’atto impugnato dinanzi al Tar era comunque un atto vincolato (ai sensi dell’art. 17, commi 2 e 3 , del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22: v. infra ), sicché – come ritenuto anche anteriormente alla citata legge n. 15/2005 - la formale comunicazione dell'avvio del relativo procedimento poteva essere legittimamente omessa (v.: C.d.S. Sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003; Sez. V, 22 maggio 2001 n. 2823; 24 novembre 1997 n. 1365).
2.2.0 - Il secondo motivo d’appello (che ribadisce il secondo motivo del ricorso di primo grado) lamenta sotto vari profili la violazione e falsa applicazione dell'art. 17 (“Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati”) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (“Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”).
2.2.1 - Vi sarebbe stato innanzi tutto un errore del primo Giudice nel ritenere imputabile all'appellante l'inquinamento portato dalla vasca in argomento.
Erroneamente il Tar avrebbe desunto un diritto di godimento dell’appellante sulla vasca da un contratto di comodato cui la Immobiliare Alessandra era estranea. E anche a voler ravvisare la sussistenza in capo all’appellante di un qualsivoglia diritto di godimento diverso dal diritto di proprietà, ciò in ogni caso non avrebbe rilievo ai fini dell'applicazione delle disposizioni da applicare nella fattispecie concreta.
Di conseguenza illegittimamente il Comune avrebbe ingiunto all’appellante la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate.
Questi rilievi sono infondati.
In effetti risulta erronea la parte dell’appellata sentenza la quale rileva che con scrittura privata datata 8 aprile 1987 la Immobiliare Alessandra s.a.s. ha conferito in comodato la vasca interrata in argomento alla Interchim s.r.l.; e risulta invece esatto il rilievo d’appello il quale espone che quella scrittura privata datata 8 aprile 1987 è invece è intercorsa non già fra Immobiliare Alessandra e Interchim, ma fra quest'ultima e Biotto Annibale.
Ma per contro, come ammesso dalla stessa deducente, essa all'epoca dei fatti era locataria del sito sul quale la vasca insiste.
Pertanto l’assunto dell’appellante secondo il quale quest’ultima non aveva la disponibilità né giuridica né materiale del sito risulta infondato.
Infatti l’appellante, in quanto locataria, aveva una disponibilità sul sito quanto meno relativamente alla potestà di “prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze”: (v. art 1587, c.c.); o anche, potendo considerarsi la vasca in questione come bene (o come parte di bene) in qualche modo produttivo, relativamente alla potestà di “curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell'interesse della produzione” ( v. art. 1615, c.c.).
2.2.2 - Nella fattispecie non trova poi diretta applicazione, a differenza di quanto ritenuto dal TAR, l’art.14 , comma 3, dell’allora vigente (e successivamente abrogato dall'art. 264 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) decreto legislativo n. 22/1997 che per la violazione del divieto di abbandono di rifiuti attribuiva espressamente la responsabilità solidale anche ai titolari di diritto personale di godimento sull'area ai quali la violazione fosse imputabile a titolo di dolo o colpa )
Va tuttavia considerato che le disposizioni dell’art.14 e dell’art.17| (ora abrogati) erano correlate sul piano sistematico recando la prima divieti generali di abbandono di rifiuti, mentre la seconda disciplinava la bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.
2.2.3 - Il problema centrale, ai fini del decidere sul secondo motivo, è quello di stabilire se la società, oltre ad essere locataria (il che non è contestato), possa essere individuata come soggetto inquinatore , presupposto per l’applicazione dell’art.17 commi 2 e 3 d.lgs.n.22/1997 (come modificato, alla data di riferimento, dall'art. 2 del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389) concernente la “Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati”.
L’art. 17 recava in proposito un’articolata disciplina, che prevedeva [oltre al procedimento, ai criteri per un successivo decreto interministeriale attuativo (comma 1), ad integrazioni alla disciplina dei censimenti di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 16 maggio 1989 (comma 1 bis), alla previsione, per gli interventi di bonifica dei siti inquinati, di una possibile apposita disposizione legislativa di finanziamento pubblico (comma 6 bis), alla previsione di un'anagrafe dei siti da bonificare (comma 12)]:
- i procedimenti da attivare e i provvedimenti da adottare in caso di superamento dei limiti di cui al citato comma 1, lettera a) ovvero di pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, anche con riferimento agli strumenti urbanistici in vigore (commi 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8);
- la disciplina normativa, con i relativi procedimenti in caso di inadempienza, o non individuazione dei responsabili, quanto agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale; con previsione, tra l’altro, di realizzazione d'ufficio, di imposizione di onere reale sulle aree inquinate, di garanzia con privilegio speciale immobiliare sulle aree e di privilegio generale mobiliare (commi 9, 10, 11 e 11 bis);
- la disciplina dei procedimenti – a iniziativa privata o d’ufficio - degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (commi 13, 13 bis, 13 ter, 14, 15, 15 bis, 15 ter).
Non si può mancare di rilevare, ancorchè al riguardo non siano stati svolti approfondimenti dalle parti, che il decreto attuativo è intervenuto soltanto con D.M. 25 ottobre 1999, n.471 e quindi successivamente agli atti in vertenza, con conseguenti lacune applicative dell’art.17, il che però non escludemedio tempore l’applicazione dei principi in esso fissati , alla stregua dei principi desumibili dagli ordinamenti di settore (ivi compreso l’art.14. in quanto compatibile con l’art.17).
E’ stato affermato in giurisprudenza che la responsabilità dell'autore dell'inquinamento, in posizione differente da quella del proprietario non inquinatore, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e rispristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. Dalla natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17 comma 2, d.lg. n. 22 del 1997, in connessione con una condotta « anche accidentale », ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento. Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento e la contaminazione e/ o il suo aggravamento in coerenza con il principio comunitario « chi inquina paga », principio che risulta espressamente richiamato dall'art. 15, direttiva n. 91/156, di cui il d.lgs. del 1997 costituisce recepimento. (Consiglio di Stato sez. II 21 febbraio 2012 n. 282; Consiglio di Stato sez. VI 15 luglio 2010, n. 4561)
Per verificare l’applicabilità dell’art.17 comma 2 nel caso di specie occorre dunque stabilire se l’appellante possa essere individuata pro tempore come autore dell’inquinamento( e/o dell’aggravamento) e se la sua condotta (anche omissiva) nella gestione aziendale possa ritenersi legata da rapporto di causalità con la contaminazione.
Circa la imputabilità dell’inquinamento ex art.17 comma 2 negata dall’appellante, la Sezione conferma quanto ha già avuto modo di rilevare nella sentenza 16 giugno 2009, n. 3885 (richiamata anche dalla resistente Amministrazione nella propria memoria del 12 ottobre 2012), resa in un giudizio che vedeva tra gli appellanti anche l’attuale deducente Alessandra Blotto e che concerneva anch’esso fatti di inquinamento verificatisi nel Comune di Ciriè e connessi alla presente vicenda: l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e la prova può essere data anche in via indiretta, potendo l’Ammistrazione avvalersi di presunzioni ex art. 2727, e 2729 c.c. , e prendere in considerazione elementi di fatto dai quali possono trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori
Nella fattispecie in esame tale prova è necessitata dal frequente avvicendarsi dei soggetti proprietari, locatori, comodatari e subaffituari del sito e/o della vasca e dalla difficoltà di individuare in via diretta il soggetto inquinatore.
Sostiene l’appellante che non è dato comprendere l'affermazione del primo Giudice per cui " ... né assume rilievo il fatto che analogo ordine non sia stato rivolto nei confronti della IPCA Spa, trattandosi di circostanza che la società ricorrente non ha neppure interesse a dedurre e che, comunque, trova giustificazione nella difficoltà di ricondurre il fatto inquinante all'epoca in cui era quest'ultima società ad esercitare il controllo sulla vasca di che trattasi”.
E sarebbe poi ulteriore elemento d’illegittimità dell'operato del Comune l'aver preso di mira l’Immobiliare Alessandra solo perché era obiettivamente difficile, a distanza di anni, trovare e perseguire i reali responsabili dell'inquinamento.
La censura ha attitudine a prospettare, nel tempo, il concorso all’inquinamento di altri soggetti, ma non esclude la responsabilità della appellante, in quanto titolare della disponibilità giuridica e materiale della vasca (a quest’ultimo proposito le contrarie affermazioni di appello non trovano riscontri utili agli atti ) e di un correlato dovere di intervento a tutela dell’ambiente; e in presenza, altresì, del nesso di causalità tra l’inquinamento del sito e/ o il suo aggravamento e la condotta (almeno) omissiva della appellante.
2.2.4. - In dettaglio e allo stato degli atti, queste le vicende che hanno contraddistinto nel tempo l’area e la vasca in vertenza:
- nel 1980 Annibale Blotto acquistava parte dello stabilimento della Ipca, poi fallita, proseguendo l’attività produttiva nel settore chimico; nel relativo contratto si specificava che la venditrice si riservava per un periodo non superiore a dieci anni, l’uso del locale sottostante all’immobile, che era dalla venditrice adibito a deposito di nafta; si specificava poi che l’acquirente, a conoscenza dell’uso al quale era adibito il locale deposito, “non potrà utilizzare detto locale per attività non conformi alle disposizioni per tali depositi”;
- l‘8 aprile 1987, nella gestione dell’immobile ex Inca e della vasca, era subentrata la Interchim (successivamente anch’essa fallita), con contratto di affitto d’azienda e impegno all’acquisto, in cui nell’oggetto negoziale, si faceva riferimeno anche al fabbricato ceduto alla ditta Blotto con riserva di diritto d’uso sulla vasca; contestualmente la ditta Annibale Blotto confermava di avere conferito la vasca alla Interchem in comodato ai sensi degli articoli 1803 e seguenti;
- il 22 luglio 1989 il curatore del fallimento Interchim comunicava al signor Blotto il venir meno del comodato;
- il 24 aprile 1992, la Blotto s,n.c. di Blotto Annibale alienava l’area in sua proprietà, comprensiva della vasca, alla Redglow Finance LTD, con sede nelle Isole Vergini Britanniche;
-l’acquirente in seguito dava in locazione l’immobile alla Società Immobiliare Alessandra;
- l’area dell’ex Interchim era assoggettata a bonifica straordinaria, essendo stata accertata la presenza in essa di una ingente quantità di rifiuti pericolosi;
- la parte in proprietà ex Blotto a sua volta, era interessata da intervento di bonifica, riguardante circa 400 fusti di rifiuti abusivamente stoccati e abbandonati; l’intervento era disposto ex art.14 legge n.22/1997, con ordinanza del Sindaco di Ciriè n.106 in data 16 maggio 1998, che era impugnata avanti al TAR Piemonte dal signor Annibale Blotto e dalla Immobiliare Alessandra; il TAR respingeva il ricorso con sentenza n.3257/2007;
- la medesima parte del complesso Brotto era infine (per quel che qui rileva) interessata ex art. 17 della legge n. 22/1997 dall’ordinanza sindacale n.239 del 1998 avente ad oggetto la vasca cui si è fatto cenno.
2.2.5 - In questo contesto in fatto e in diritto non appaiono anzitutto fondati i motivi di ricorso diretti ad evidenziare difetto di istruttoria e di motivazione.
Al riguardo si osserva che il provvedimento in vertenza si basa su un rapporto informativo di sopralluogo e risultanze analitiche, eseguito il 21 agosto 1998 dall’ARPA Piemonte relativamente al complesso industriale e in particolare alla vasca di cui trattasi e inserito nell’ambito delle indagini riguardanti l’inquinamento della falda freatica (compromissione emersa dal monitoraggio delle acque sotterranee nella bonifica ex Interchim).
In detto rapporto:
- si individuano come soggetti interessati dall’indagine la Redglow Finance Ltd, in qualità di proprietaria e l’odierna appellante quale locataria del complesso industriale posto a monte dell’area ex Interchim;
- in zona, si sottolinea nella relazione, vi erano già alcuni pozzi di controllo – e sono stati effettuati prelievi e campionamenti, con indagine che utilizzava in particolare i tre pozzi PA – PC e P3 e che era diretta ad accertare la situazione esistente nella vasca sita nella parte sud ovest dell’area in proprietà Redglow e in locazione alla Immobiliare Alessandra:
- il pozzo PA è a monte dell'intero complesso industriale Redglow - Blotto e quindi della vasca ,il pozzo PC è inserito nell’area del complesso industriale sempre a monte della vasca, il pozzo P3 è a valle della vasca nell’area ex Interchim
- si descrivono le caratteristiche della vasca. collocata sotto la pavimentazione del fabbricato in locazione alla Immobiliare e da questa subaffittato alla falegnameria La Zara, e i contenuti degli strati di liquame esistenti nella vasca medesima;
- si svolgono valutazioni sulla dubbia tenuta della vasca in calcestruzzo , tecnicamente ipotizzabile la presenza di eventuali crepe o fessure di assestamento,
- si dà atto dei risultati analitici dei campioni prelevati dai pozzi di monitoraggio PA, PC, P3, (i primi due a monte della vasca, il terzo a valle) “dal confronto dei quali è emerso che nel campione prelevato dal P3 è presente una maggiore concentrazione di solventi rispetto al PA e al PC”;
- le miscele di solventi contenute nella vasca, si afferma, sono compatibili con l’inquinamento riscontrato;
- non distante dall’insediamento industriale esiste un campo pozzi di attingimento acque potabili;
Alla luce di tali rilievi viene ritenuto in particolare indispensabile ed urgente provvedere alla messa in sicurezza della vasca (la rimozione immediata dei liquami è la soluzione tecnicamente più semplice e meno onerosa).
Nel conseguente provvedimento sindacale in vertenza:
- si richiamano gli esiti del sopralluogo ARPA e la documentazione in atti, in particolare precedenti ordinanze con le quali si imponeva agli obbligati di adottare le misure atte a impedire permanentemente la fuoriuscita del liquido contenuto nella vasca;
- in particolare si prende atto che nella vasca interrata sono stoccati rifiuti liquidi classificati come speciali pericolosi per una quantità stimata attorno ai 350 mc;
-si prescrive la presentazione al Comune di un progetto di bonifica redatto secondo i criteri contenuti nelle Linee guida per interventi di bonifica di terreni contaminati approvate con deliberazione del Consiglio regionale del Pemonte n.1005 – C.R. 4531 dell’8 marzo 1995;
- si ritiene sulla base della documentazione agli atti che la vasca è stata nella disponibilità prima della società Blotto di Blotto Annibale e successivamente dell’Immobiliare Alessandra;
- si assicura agli interessati la visione degli atti e delle determinazioni tecniche presupposti alla ordinanza n.239/1998.
L’ordinanza sindacale in vertenza è dunque sorretta da congrui approfondimenti istruttori e motivazionali con richiamo alla relazione dell’Arpa, che individua nella Immmobiliare Alessandra il soggetto con la disponibilità pro tempore dell’immobile in qualità di locataria.
2.2.6 - La Immobiliare Alessandra, in un contesto di un grave inquinamento nell’area ex Blotto, ha avuto nel tempo ( dalla data di perfezionamento del contratto di locazione a quello del sopralluogo ARPA del 21 agosto 1998) la disponibilità giuridica e materiale della vasca e non risulta avere intrapreso iniziative dirette quanto meno a contenere le compromissioni inquinanti della vasca e quindi l’aggravamento della situazione ambientale circostante.
Allo stato degli atti, appare poi attendibile che il comportamento omissivo della società abbia cagionato un aggravamento della situazione, per il decorso di un lungo periodo dalla sua manifestazione ricondotta dalla stessa appellante alle attività dell’ex Inca e dell’ex Interchim.
Si vedano in particolare i rilievi della relazione ARPA sulla presenza ipotizzabile di crepe e fessure nella vasca, correlate tra l’altro alla annotazione secondo cui per quanto risulta non è stata certificata la esecuzione di un adeguato consolidamento del suolo sottostante.
Non sembra quindi contestabile un rapporto di causalità tra il comportamento omissivo della Immobiliare Alessandra (che, pur non potendo rispondere dell’inquinamento pregresso aveva però l’obbligo di attivarsi per impedire che lo stesso aumentasse).
Non ha poi rilievo il fatto che il fabbricato, soprastante la vasca, sia stato affidato dalla appellante in subaffitto alla falegnameria La Zara , in quanto non risulta una disponibilità sulla vasca da parte di quest’ultima; per contro, come riferito nella relazione ARPA, l’accesso alla vasca si trova a pavimento in apposito locale adiacente e indipendente dalla falegnameria (locale con strutture pericolosamente inadeguate).
Queste circostanze, emergenti dall’ordinanza in vertenza e dagli atti in essa richiamati inducono a ravvisare, ex art 2729, c.c., elementi gravi, precisi e concordanti che portano ad ascrivere alla deducente una resposabilità pro tempore quanto all’inquinamento di cui trattasi.
2.3 – Da ultimo l’appellante ripropone il terzo motivo del ricorso in primo grado, nel quale si sosteneva l’illegittimità dell'ordinanza impugnata nella parte in cui essa è stata adottata dal Sindaco, quale Ufficiale del Governo in forza del potere attribuitogli dall'art. 38 dell’allora vigente legge 8 giugno 1990, n. 142 (cui è seguito l’attuale Testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), ma in difetto di una situazione di pericolo adeguatamente motivata.
Il TAR, in proposito ha affermato che l’ordinanza impugnata è espressione dello specifico potere attribuito al Sindaco in materia ambientale, dall’art.17 del d.lgs. n,22/1997, che non presuppone affatto la concreta sussistenza di una situazione di pericolo per la pubblica incolumità, bensì mira a ripristinare una situazione di inquinamento ambientale.
L’appellante nel contestare il rilievo del giudice di primo grado sostiene tra l’altro che ex art.17 citato la competenza comunale metterebbe capo non già al Sindaco, quale organo di governo dell’ente locale, ma agli organi comunali di gestione e che con l’ordinanza impugnata quindi il Comune si sarebbe illegittimamente rifatto a due distinti poteri: quello di ordinanza ex art. 17 e quello extra ordinem di cui all’art. 38.
Anche quest'ultima censura non è fondata.
Va anzitutto rilevato che nel provedimento impugnato è contenuto solo un generico riferimento alla legge n. 142/90, insufficiente a individuare nell’art. 38 della stessa la disposizione applicata.
E’ chiaro per contro che il Sindaco ha adottato l’ordinanza “secondo quanto previsto dall’art.17 comma 2 del d.lgs. 22/97 e s,m,i.” e quindi come organo del Comune.
Non è adeguatamente sviluppata nel ricorso in prime cure, con conseguenti profili di inammissibilità in parte qua dell’appello, la tesi secondo cui non sarebbe configurabile ex art.17 la competenza del Sindaco quale organo di governo comunale, dovendo tale competenza ricondursi ai dirigenti quali organi comunali di gestione.
L’appello, in conclusione, va respinto, come da motivazione.
Le spese, liquidate in € 4.000,00, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese di giudizio dell’intimato Comune di Cirie', e le liquida in € 4.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 novembre 2012.
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)