Consiglio di Stato Sez. IV n. 1235 del 18 febbraio 2020
Rifiuti.Ordinanza di rimozione e contraddittorio
L’esigenza di assicurare un contraddittorio procedimentale rafforzato, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza nella esegesi dell’art. 192 del d. lgs. n. 152 del 2006, obbliga la amministrazione procedente a comunicare l’avvio del procedimento e a garantire una partecipazione effettiva, nel pieno esercizio dei diritti sanciti dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990, ma non le impone la preventiva contestazione della condotta e dell’elemento soggettivo, secondo il modello del procedimento disciplinare.
Pubblicato il 18/02/2020
N. 01235/2020REG.PROV.COLL.
N. 08152/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8152 del 2018, proposto da -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gabriele Maso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, vicolo Barberia n. 5;
contro
Comune di Crespano del Grappa non costituito in giudizio;
nei confronti
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Provincia di Treviso non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n.-OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2019 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Maso e l'Avvocato dello Stato Generoso Di Leo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.a.r. per il Veneto -OMISSIS- ha premesso di essere proprietario, nel Comune di Crespano del Grappa, di un appezzamento di terreno agricolo catastalmente contraddistinto al foglio 14, mappali numero 27, 343, 346, 348, 461, 462, 463, diviso da una valletta in relazione alla quale, nel 2005, aveva presentato al Comune istanza per il relativo tombinamento, esponendo altresì che, a causa di problemi di salute del legale rappresentante, per un lungo periodo di tempo non era stato possibile né eseguire i lavori di tombinamento - poi assentiti con permesso di costruire n. 42 del 05.12.2005 e autorizzazione paesaggistica prot. n. 7506 del 18.08.2005 - né controllare l’area agricola sulla quale, pertanto, ignoti avevano depositato rifiuti consistenti in inerti di origine edilizia conseguenti ad attività di demolizione.
Con il medesimo ricorso ha impugnato l’ordinanza n. 59/2009 con la quale il Sindaco del Comune di Crespano del Grappa le ha ordinato di provvedere “alla rimozione, recupero o smaltimento dei rifiuti speciali costituiti da materiale di demolizione e scarica stradale (calcestruzzo, laterizi, periti, asfalto, ferro, plastica, ecc.) misti a materiale terroso, depositati in cumuli sui terreni situati in Comune di Crespano del Grappa foglio 14 mappale n.27 per una superficie di mq 6000 e una quantità stimata in circa 5000/6000 mc” nonché “al ripristino dello stato dei luoghi”.
A sostegno del ricorso ha articolato censure di legittimità relative alla dedotta violazione del contraddittorio procedimentale e vizi relativi al contenuto dispositivo dell’ordinanza.
Il ricorso introduttivo è stato successivamente integrato mediante la proposizione di motivi aggiunti.
Con sentenza n. -OMISSIS- il T.a.r. per il Veneto ha respinto il ricorso.
La predetta sentenza è stata appellata dal -OMISSIS- con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con memoria di stile.
Alla udienza pubblica del 27 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Quanto alla dedotta violazione delle garanzie partecipative, la motivazione del T.a.r. merita di essere condivisa nella parte in cui ne ha escluso la sussistenza.
L’adozione dell’ordinanza è stata infatti pacificamente preceduta da rituale comunicazione di avvio del procedimento come da nota prot. 5577 del 05.06.2009 nella quale veniva precisato l’oggetto del procedimento e le relative contestazioni riferite al deposito di circa 5000/6000 m³ di materiale, rilevando la presenza nell’area di “materiale di scavo che da un esame a vista presenta materiali di demolizione, ferro, calcestruzzo, asfalto, plastica e rifiuti vari, configurabile comunque come rifiuto”.
All’appellante è stato, inoltre, garantito il pieno esercizio dei diritti partecipativi mediante il deposito di memorie e documenti secondo quanto prescritto dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990.
Ed infatti con memoria del 23 luglio 2009 la società evidenziava la propria estraneità al deposito dei predetti rifiuti, a suo dire abbandonati da ignoti.
Inoltre in data 1 ottobre 2009 il Comune effettuava un sopralluogo in contraddittorio, nel quale veniva svolta ispezione “a vista” dei luoghi e la appellante si riservava di trasmettere le risultanze delle indagini e dei sondaggi effettuati.
L’esponente si riserva anche la presentazione di un piano di smaltimento dei rifiuti speciali depositati da ignoti – a suo dire esistenti in limitata quantità - e di riutilizzo delle terre da scavo esistenti sull’area; tale piano veniva successivamente presentato in data 19 novembre 2009 al Comune che non lo riteneva idoneo e in data 23 novembre 2009 notificava l’ordinanza n. 59/2009 poi impugnata con il ricorso di primo grado.
L’esponente richiedeva una proroga del termine di 30 giorni assegnato per la presentazione del piano di smaltimento, che veniva concessa con provvedimento 22 dicembre 2009.
Il Comune negava infine l’approvazione del piano di smaltimento con la nota prot. n. 3414 del 31 marzo 2010, che veniva impugnata con motivi aggiunti.
Da quanto precede emerge che il contraddittorio non solo si è svolto nel rispetto delle regole procedimentali previste dalla legge n. 241 del 1990 ma è stato assicurato in modo pieno ed effettivo attraverso la ostensione di contributi istruttori da parte della ditta interessata; contributi che il Comune non ha ritenuto idonei ad escludere la responsabilità del deposito di rifiuti sul terreno di proprietà.
L’appellante deduce, in particolare, la violazione del principio per cui ogni accertamento di responsabilità, ai fini dell’adozione di ordinanza ex art. 192 D. Lgs. 152/2006, debba essere effettuato in contraddittorio e lamenta che nell’ordinanza sindacale impugnata il Comune aveva addebitato la responsabilità dell’abbandono dei rifiuti sulla base della relazione contenuta nella nota prot. n. 858 del 10.09.2009 del Corpo Forestale dello Stato, di cui peraltro era ignoto il contenuto e che, in ogni caso, era stata sottratta al contraddittorio.
La tesi da cui muove l’appellante è che la nota prot. n. 858 del 10.09.2009 del Corpo Forestale dello Stato, per essere utilizzabile quale risultanza istruttoria idonea a giustificare l’ordinanza di demolizione, avrebbe dovuto essere preventivamente sottoposta alla controparte per consentirle di contestarne il contenuto.
Tale prospettazione è tuttavia priva di base legale in quanto nessuna norma di legge impone alla amministrazione procedente di comunicare al destinatario degli effetti finali del provvedimento emanando tutte le risultanze istruttorie acquisite nel corso dell’iter procedimentale.
Né tanto meno gli impone di contestare preventivamente le risultanze di una informativa recante una notizia di reato che intende utilizzare a fini istruttori.
L’art. 10 della legge n. 241 del 1990 riconosce piuttosto alla parte una mera facoltà di depositare memorie e documenti e, nei limiti consentiti, di esercitare il diritto di accesso infraprocedimentale.
Era quindi onere della parte chiedere di poter estrarre copia o di visionare gli atti dell’istruttoria al fine di poter eventualmente controdedurre, mediante memorie scritte e documenti, sulla loro idoneità e sufficienza ai fini della adozione del provvedimento conclusivo.
L’omesso esercizio di tale facoltà supera ogni questione relativa alla natura giuridica della relazione del 10 settembre 2009 del Corpo Forestale dello Stato, che, in ogni caso, in presenza di una formale istanza di accesso procedimentale, avrebbe legittimamente consentito al Comune di opporre un diniego - come correttamente rilevato dal T.a.r. richiamando precedenti specifici in tema - trattandosi di atto relativo ad indagini penali, e segnatamente di una informativa di notizia di reato, come tale utilizzabile nei limiti consentiti dall’autorità inquirente che, nel caso di specie, non risulta ne avesse autorizzato la divulgazione.
In ogni caso la predetta relazione avrebbe comunque potuto essere acquisita dal legale rappresentante della società appellante, quale persona sottoposta ad indagini, nell’esercizio dell’attività difensiva.
Il fatto che l’interessato abbia avuto notizia del procedimento penale a proprio carico solo in occasione della notifica del decreto penale di condanna, quando ormai l’ordinanza sindacale era stata adottata, non inficia la legittimità della ordinanza impugnata, ben potendo il destinatario degli effetti del provvedimento contestare in sede giurisdizionale il documento istruttorio su cui si fonda la decisione finale, ove ritenuto inattendibile o comunque insufficiente a giustificare la determinazione conclusiva del procedimento.
Si tratta di dinamica del tutto ordinaria nel processo amministrativo che contempla l’istituto dei motivi aggiunti proprio al fine di consentire la impugnazione di atti istruttori e provvedimenti presupposti o collegati, non ostensibili nel corso della istruttoria procedimentale o comunque conosciuti solo in data successiva alla notifica del ricorso, eventualmente in esito alla costituzione dell’amministrazione, come accaduto anche nel caso di specie.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono è del tutto irrilevante la circostanza dedotta con il primo motivo di appello secondo cui il T.a.r. avrebbe confuso la data di pubblicazione del decreto penale – anteriore alla adozione dell’ordinanza – con la notifica del decreto all’interessato – successiva alla adozione dell’ordinanza di rimozione – per inferire, a garanzia del contraddittorio, la piena conoscibilità della notizia di reato ben prima della adozione dell’ordine di rimozione che su tale informativa si fonda.
Infatti, ai fini della legittimità dell’ordinanza impugnata non rileva la conoscibilità da parte dell’interessato del decreto penale di condanna e dei presupposti atti di indagine, prima della adozione del provvedimento che in tali risultanze rivenga il proprio presupposto giustificativo; ciò in quanto le regole del contraddittorio procedimentale non obbligano l’amministrazione ad una preventiva e completa ostensione delle risultanze istruttorie, essendo piuttosto rimesso alla parte la facoltà di chiederne copia, ai sensi e nei limiti precisati dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990.
Resta, in ogni caso, fermo l’obbligo dell’integrale disvelamento degli atti incombente sulla pubblica amministrazione in sede processuale: tale obbligo nel caso di specie è stato rispettato mediante deposito da parte del Comune anche della predetta relazione, unitamente a tutti gli atti del procedimento.
Da altra angolazione l’appellante, sempre con il primo motivo, lamenta che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere provata la responsabilità del deposito non autorizzato, fondandola sul decreto penale di condanna non opposto nel termine di legge.
Assume, in particolare, che il decreto penale, non essendo noto alla data di adozione del provvedimento, non potrebbe avere alcuna rilevanza al fine di fondarne la legittimità.
In secondo luogo il decreto penale, notificato in epoca successiva all’adozione del provvedimento impugnato, comunque non avrebbe efficacia di giudicato, in virtù del disposto dell’art. 460 c.p.p., a mente del quale “anche se divenuto esecutivo non ha efficacia di giudicato del giudizio civile o amministrativo”.
Tale prospettazione non è condivisa dal Collegio in quanto travisa la motivazione del T.a.r. che non ha tratto alcun vincolo al proprio convincimento dal decreto penale di condanna non opposto.
Il T.a.r. ha infatti ritenuto che l’ordine di rimozione sia stato legittimamente adottato sulla scorta di risultanze istruttorie mutuate dal procedimento penale e correttamente ritenute idonee a dimostrare la responsabilità del legale rappresentante della -OMISSIS-..
La responsabilità del deposito incontrollato è stata infatti ritenuta correttamente accertata, tra gli altri, “sulla base delle risultanze degli accertamenti compiuti nel giugno del 2009 dal Corpo Forestale dello Stato-Comando Stazione di Crespano del Grappa”.
Lo stesso decreto penale di condanna è stato menzionato nella motivazione non in relazione alla forza del giudicato ed al vincolo che ne discende – nella specie non operante ai sensi dell’art. 460 c.p.p. – bensì quale argomento di prova di cui il giudice può avvalersi nella formazione del proprio convincimento.
Al contempo, nulla osta a che l’amministrazione procedente, nell’ambito della fase istruttoria, possa acquisire elementi conoscitivi formati od acquisiti nell’ambito del processo civile (ad esempio una C.T.U.) o del processo penale (es. atti di indagine o risultanze dibattimentali) o comunque contenuti in statuizioni di organi appartenenti ad altre giurisdizioni, con particolare riferimento alle sentenze e, in generale, ai provvedimenti decisori.
Il T.a.r., pertanto, non ha violato alcuna regola di giudizio allorquando ha ritenuto corretta la decisione del Comune di potersi avvalere in sede istruttoria delle risultanze del procedimento penale e dello stesso decreto penale di condanna non opposto, per ritenere sufficientemente accertata la responsabilità del deposito non autorizzato di rifiuti.
Da altra angolazione, l’appellante lamenta la contrarietà ai principi dell’ordinamento dell’assunto, contenuto nella sentenza impugnata, per cui l’accertamento in contraddittorio non sarebbe necessario laddove il proprietario del fondo sia destinatario dell’ordinanza non in quanto tale, ma quale supposto responsabile dell’abbandono dei rifiuti.
La censura è inammissibile per difetto di interesse in quanto l’affermazione del T.a.r. è irrilevante nella economia complessiva della motivazione, una volta accertato che, per le motivazioni esposte, il contraddittorio è stato comunque assicurato in modo pieno ed effettivo, a prescindere dalla circostanza che il deposito incontrollato sia stato contestato al proprietario del fondo sic et simpliciter oppure anche in quanto responsabile della condotta.
Peraltro giova precisare che l’esigenza di assicurare un contraddittorio procedimentale rafforzato, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio nella esegesi dell’art. 192 del d. lgs. n. 152 del 2006, obbliga la amministrazione procedente a comunicare l’avvio del procedimento e a garantire una partecipazione effettiva, nel pieno esercizio dei diritti sanciti dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990, ma non le impone la preventiva contestazione della condotta e dell’elemento soggettivo, secondo il modello del procedimento disciplinare, su cui insiste invece l’appellante.
Con il secondo motivo di appello la società lamenta la erroneità della sentenza nella parte in cui è stata ritenuta accertata la responsabilità del deposito di rifiuti non autorizzati.
Il motivo è infondato.
Il T.a.r., con ampia e condivisibile motivazione, ha richiamato non solo gli atti istruttori che comprovano la responsabilità ma ha anche fatto espresso riferimento alle informazioni acquisite dal Corpo forestale dello Stato da persone direttamente informate sui fatti; in particolare ha osservato che “Il Comune, nell'ordinanza impugnata, ha correttamente richiamato sia l'informativa del Corpo Forestale dello Stato (sulla cui base il G.I.P. del Tribunale di Treviso aveva già ritenuto accertata la responsabilità dell'imputato ed aveva già pronunciato nei suoi confronti il decreto penale di condanna), sia la nota del 17 novembre 2009 di conclusione del procedimento (All. 2 del fascicolo del Comune), ove l'Amministrazione comunale aveva già fornito al ricorrente ampia, articolata ed esaustiva motivazione in ordine alla determinazione di procedere ai sensi dell'art. 192 D.lgs n. 152/2006 (si era infatti evidenziato, nella predetta nota del 17 novembre 2009, che dalla escussione dei testimoni da parte del Corpo Forestale dello Stato era emerso "come l'attività di deposito di rifiuti speciali sia stata eseguita da personale alle dirette dipendenze del -OMISSIS-con propri mezzi, protrattasi per oltre un anno, rilevando altresì che il materiale depositato proviene da un cantiere di Pove del Grappa, in un ambito interessato da viabilità di notevole traffico", inoltre si era dato atto dell'accertamento in contraddittorio avvenuto in data 1° ottobre 2009 "presso il terreno in oggetto convenendo con tutti gli intervenuti e in particolare con la ditta -OMISSIS-sulla non necessità di sondaggi in profondità, riscontrando già in superficie la presenza di rifiuti speciali proventi da demolizioni e scarifica stradale, ferro, calcestruzzo, misti a materiali inerti", ed infine si era motivato sulla non applicabilità del comma 7-bis dell'art. 186 D.lgs n. 152/2006 alla presente fattispecie).”.
L’appellante reitera al riguardo le censura sulla inidoneità del decreto penale di condanna a comprovare la responsabilità del deposito non autorizzato.
Sul punto è sufficiente richiamare le motivazioni già espresse per disattendere il primo motivo di appello.
Inoltre lamenta la erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto congrua la motivazione esibita con il provvedimento impugnato per giustificare il profilo della responsabilità.
Il motivo è infondato alla luce della puntuale motivazione resa dal T.a.r. e richiamata in premessa dove si dà conto in modo analitico e circostanziato degli elementi di prova che consentono di ritenere ampiamente giustificato l’ordine di rimozione e ciò con particolare riferimento alle sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria dalle quali è emerso “come l'attività di deposito di rifiuti speciali sia stata eseguita da personale alle dirette dipendenze del -OMISSIS-con propri mezzi, protrattasi per oltre un anno, rilevando altresì che il materiale depositato proviene da un cantiere di Pove del Grappa, in un ambito interessato da viabilità di notevole traffico”.
Il fatto che la nota del Corpo Forestale dello Stato non sia stata comunicata preventivamente all’interessata non è circostanza tale da poterne inficiare il contenuto, per le motivazioni già espresse in relazione al primo motivo di appello cui si rinvia.
Con il terzo motivo di appello è contestato il capo di sentenza che ha escluso l’esistenza di un difetto di istruttoria in relazione alla tipologia dei materiali depositati ed alla loro quantità.
L’appellante deduce, in particolare, che la descrizione dell’area, non essendo accompagnata da alcuna rappresentazione grafica, risulterebbe inidonea ad una compiuta individuazione del sedime interessato dall’ordine di smaltimento, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata.
Il motivo è infondato.
In ordine alla individuazione dell’area e alla stima dei rifiuti da rimuovere, il Collegio condivide le affermazioni del T.a.r. secondo cui “…è irrilevante la circostanza che il Comune abbia proceduto ad una mera stima del quantitativo di rifiuti da rimuovere (pari a 5000/6000 mc), avendo comunque l'ordinanza impugnata indicato con precisione i confini dell'area che la ricorrente è tenuta a liberare dai rifiuti (terreno situato in Comune di Crespano del Grappa, foglio 14, mappale n. 27, per una superficie di mq 6000).”.
Il fatto che non tutto il mappale n. 27 del Foglio 14 sia stato interessato dal deposito del materiale ma solo una porzione dell’area, la cui superficie è stata stimata in “circa mq 6000”, non elide le conclusioni cui è pervenuto il T.a.r. poiché la lettura congiunta del riferimento catastale, del dato riferito alla superficie impegnata e di quello relativo al volume stimato, rendono, quanto meno determinabile, il quantitativo dei rifiuti da rimuovere che comunque sono stati anche oggetto di specifica verifica in contraddittorio in occasione del sopralluogo del 3 giugno 2009.
Quanto infine alla presunta incertezza circa la tipologia dei materiali depositati, è la stessa appellante a riconoscere di avere accettato, in occasione del sopralluogo del 01.10.2009, di non procedere all’esecuzione di sondaggi con mezzi meccanici sicché non può ora contestare un presunto difetto di istruttoria che la stessa ha concorso a determinare, allegando che non tutto il materiale fosse costituito da rifiuti speciali, presenti solo in superficie.
Tale circostanza è stata debitamente evidenziata e valorizzata dal T.a.r. che, sul punto, ha rilevato come “tale doglianza è infondata sia in ragione del fatto che la stessa ricorrente, in sede di sopralluogo e accertamento in contraddittorio del 1° ottobre 2009 (All. 23 del fascicolo del Comune), ha accettato la non necessità di procedere all'esecuzione di sondaggi con mezzi meccanici ed alla conseguente sufficienza di "una ispezione a vista dei luoghi al fine di una verifica merceologica dei materiali presenti nell'area, riscontrando la presenza di notevole inerte di demolizione edile [...]", sia in ragione…”; il T.a.r. ha anche correttamente sottolineato la inidoneità a contestare l’accertamento del Comune sulla natura dei rifiuti, delle indagini di parte condotte tramite la -OMISSIS-in quanto finalizzate ad accertare la presenza di eventuali sostanze inquinanti, non anche la natura dei rifiuti depositati e perché – aggiunge il Collegio - condotte senza assicurare la presenza del Comune e quindi in violazione dei principi sul contraddittorio.
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve, in conclusione, essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello (r.g. n. 8152/2018), come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società appellante al pagamento in favore del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in solido tra loro, delle spese ed onorari del grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 2000,00, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società appellante ed il legale rappresentante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2019 con l'intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente FF
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore