Cass. Sez. III n. 27562 del 1 luglio 2015 (Ud 22 apr 2015)
Pres. Mannino Est. Amoresano Ric. Di Giglio
Aria. Articolo 674 cod. pen. e natura permanente del reato
La contravvenzione prevista e punita dall'art.674 cod. pen., quando abbia per oggetto l'illegittima emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all'esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, assume il carattere della permanenza, non potendosi ravvisare la consumazione di definiti episodi in ogni singola emissione di durata temporale non sempre individuabile. Ne segue che, se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell'attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti di produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata con la pronuncia di detta sentenza
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza del 21/10/2014, rigettava l'appello proposto da D.G.M. avverso la sentenza di Tribunale di Campobasso, resa il 24/09/2012, con la quale il predetto, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di giorni 10 di arresto per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 674 c.p., nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Nel disattendere i motivi di appello, rilevava la Corte territoriale che, alla luce della giurisprudenza di legittimità, fosse configurabile il reato contestato.
Dalle risultanze processuali era emerso che l'imputato, nell'esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, aveva provocato l'emissione nell'atmosfera di fumi e vapori nauseabondi, al punto da determinare disagio in tutti i condomini dello stabile, che erano costretti a tenere le finestre chiuse. L'intollerabilità dei fumi e degli odori era stata constatata anche dagli agenti della Polizia Municipale, B. e S..
In ordine alla insussistenza del dedotto bis in idem ex art. 649 c.p.p., con riferimento alla sentenza n. 131/2012, la Corte si limitava a richiamare le condivisibili argomentazioni del primo giudice.
La pena, infine, era congrua ed adeguata.
2. Ricorre per cassazione D.G.M., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione dell'art. 649 c.p.p..
Il ricorrente era stato tratto a giudizio per aver provocato, nell'esercizio di un'attività di ristorazione (bar-pizzeria), emissioni di vapori e fumo, come accertato il 30 giugno ed il 3 novembre 2009.
Trattandosi di una pizzeria funzionante ininterrottamente, il reato ipotizzato era di natura permanente. Peraltro le date indicate nel capo di imputazione non corrispondevano all'effettivo tempus commissi delicti, riferendosi esse al controllo operato dagli agenti di polizia.
Tali fatti erano stati già giudicati con la sentenza della Corte di Appello del 8/3/2012, irrevocabile il 24/4/2012, per cui ci si trovava in presenza della violazione di principio del ne bis in idem.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione l'illegittima emissione di gas, vapori, fumi, connessa all'esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo si configura come reato permanente, non potendosi ravvisare la commissione di distinti reati per ogni singola emissione.
Con il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 81 e 674 c.p..
Da tutti gli accertamenti disposti dall'Arpa era emerso il buon funzionamento delle attrezzature poste in essere per la riduzione e prevenzione degli odori e dei fumi (impianto di areazione e deodorizzazione dei fumi prodotti).
L'attività di ristorazione ricade, ai sensi del D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 272, nell'elenco delle attività in deroga che non necessitano di autorizzazione.
Peraltro il D.G., uniformandosi all'attestato protocollo n. 7790 di 13/11/2006 rilasciato dalla Regione Molise, era disponibile alla installazione di una canna fumaria, con superamento di almeno un metro il colmo di tetti, ma dai condomini dello stabile era stato impedito di realizzare detto accorgimento.
Non poteva, pertanto, attribuirsi al ricorrente alcuna responsabilità in ordine al reato ascritto.
Con il terzo motivo eccepisce la intervenuta prescrizione del reato alla data del 3/11/2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2.Quanto all'eccepita violazione del principio del ne bis in idem, non c'è dubbio che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, la contravvenzione prevista e punita dall'art. 674 c.p., quando abbia per oggetto l'illegittima emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all'esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, assuma il carattere della permanenza, non potendosi ravvisare la consumazione di definiti episodi in ogni singola emissione di durata temporale non sempre individuabile. Ne segue che, se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell'attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti di produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata con la pronuncia di detta sentenza (cfr. ex multis Cass. sez. 1^ n. 9293 del 10/08/1995).
2.1. Il ricorrente omette, però, di considerare che la sentenza passata in giudicato, come rilevato dal Tribunale, alla cui motivazione rinvia la Corte territoriale (e come peraltro non risulta contestato), aveva ad oggetto fatti commessi fino all'11/12/2007 (pag. 3 sent. Trib).
Trattandosi di contestazione "chiusa", la permanenza doveva ritenersi, quindi, cessata (già prima della sentenza) alla data indicata nell'imputazione.
I fatti per cui si procede risultano accertati, invece, il 30 giugno ed il 3 novembre 2009.
Trattasi quindi di una condotta successiva che, come tale, non può essere coperta dal precedente giudicato.
3.In ordine al secondo motivo, va ricordato che per il reato di cui all'art. 674 c.p., l'evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c." (Cass. Sez. 3^ n. 34896 del 14.7.2011; e più di recente Cass. Sez. 3^ n. 37037 in tema di "immissioni olfattive"). E' comunque necessario che venga accertato, in modo rigoroso, il limite in questione.
I Giudici di merito hanno ampiamente argomentato in ordine al superamento di siffatta normale tollerabilità.
Già il Tribunale aveva accertato che l'imputato, nell'esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, avesse provocato l'emissione di fumi e vapori nauseabondi.
Che l'emissione fosse nauseabonda ed atta a molestare era stato direttamente constatato anche dagli Agenti di Polizia municipale, B. e S. (quest'ultimo, nel corso del sopralluogo veniva, addirittura, colto da un attacco di nausea) - pag. 2 sent. Trib.
La Corte territoriale nel confutare i rilievi difensivi, ha ribadito che dalle risultanze processuali emergesse, in modo inequivocabile, l'emissione nell'atmosfera di fumi e vapori nauseabondi (pag. 4 sent. app.).
3.1. Il ricorrente, anzichè censurare siffatte argomentazioni, ripropone doglianze in fatto (in ordine al buon funzionamento dell'impianto di areazione e deodorizzazione), oppure irrilevanti (quanto al mancato consenso da parte dei condomini alla installazione di una canna fumaria).
4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro 1.000,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., ed infine alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile e che si liquidano come da dispositivo.
Va solo aggiunto che l'inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare ex art. 129 c.p.p., comma 1, cause di non punibilità.
Peraltro la eccepita prescrizione non è ancora maturata, non tenendo conto il ricorrente dei periodi di sospensione della stessa, intervenuti nel corso del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende, nonchè al rimborso delle spese del grado in favore della parte civile, D.G.M., che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2015