Consiglio di Stato Sez. III n. 2373 del 12 marzo 2024
Rifiuti.Interdittiva antimafia e delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti

E' infondata la tesi secondo cui, ai fini del diniego d’iscrizione nella white list, occorrerebbe il concorso di entrambe le condizioni previste dall’art. 84 del Codice antimafia, ossia la condanna per un reato “spia” e, comunque, cumulativamente ad essa, anche la sussistenza di “tentativi di infiltrazione” tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa interessata. Il testo dell’art. 2, secondo periodo, del D.P.C.M. 18 aprile 2013, così come sostituito dal D.P.C.M. 24 novembre 2016 (secondo il quale “L’iscrizione nell’elenco è soggetta alle seguenti condizioni : a) l’assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del Codice antimafia; b) l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, di cui all’art. 84, comma 3, del Codice antimafia”) nulla dice circa la necessaria compresenza, ai fini del diniego di iscrizione, di entrambi i suindicati presupposti, diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente. La disposizione si limita a prevedere due condizioni negative che devono entrambe sussistere ai fini dell’iscrizione nella white list (l’assenza di misure di prevenzione impeditive e l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa), essendo evidente che la presenza anche solo di una delle due evenienze negative giustifica di per sé l’esclusione dalla lista. Ciò non implica, pertanto, che, ai fini del diniego di iscrizione, il Prefetto debba dimostrare il concorso di entrambe le condizioni impeditive. D’altra parte, a voler dare seguito a tale tesi si arriverebbe all’esito paradossale, e certamente non assentibile, per cui la sola sussistenza di una prognosi di infiltrazione di cui alla lettera b), non accompagnata anche da una condanna o da altro pregiudizio rientrante nella lettera a), consentirebbe l’iscrizione nella white list.

Pubblicato il 12/03/2024

N. 02373/2024REG.PROV.COLL.

N. 04825/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4825 del 2023, proposto dalla società -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Di Paolo, Dover Scalera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Dover Scalera in Roma, viale Liegi 35b;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 il Cons. Giovanni Pescatore e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Nel giudizio di primo grado l’odierna società appellante, dopo aver agito avverso il silenzio serbato dalla Prefettura di Roma sulla sua istanza (del 24 giugno 2021) di iscrizione alla white list provinciale per le attività di "estrazione fornitura e trasporto di terra e materiali inerti noli a freddo di macchinari e noli a caldo", ai sensi della Legge 190/2012, ha impugnato il provvedimento di diniego del 6 luglio 2022, sopraggiunto nelle more del giudizio ex artt. 31 e 117 c.p.a..

2. L’atto - gravato unitamente al parere Gruppo Ispettivo Antimafia reso all’esito delle sedute del 29 aprile 2022 e 10 giugno 2022 e alla circolare Ministero Interno n. 11001/119/20 del 26 giugno 2014 – è stato censurato:

a) sul piano procedimentale, sotto il duplice profilo della violazione del termine di 90 giorni di conclusione del procedimento e del mancato invio del preavviso di rigetto;

b) sul piano sostanziale, sotto il profilo dell’inadeguatezza del quadro indiziario del pericolo di infiltrazione, così argomentata:

i) le condanne addotte a giustificazione del provvedimento (ex art. 260 d.lgs. n. 152/2006, ora art. 452 quaterdecies del c.p., di cui alla sentenza del Tribunale di Isernia n. 207/2015 divenuta definitiva nel 2018) riguardano fatti risalenti al 2012 e soggetti - l’ex direttore tecnico e l’ex amministratore unico (-OMISSIS-, attuali soci detentori rispettivamente del 25% e del 50% delle quote della società) - oramai rimossi dai loro precedenti ruoli gestionali;

ii) l’incidenza della conduzione gestionale degli ex amministratore e direttore tecnico, oramai cessata, risulta bilanciata, oltre che dalla sostanziale polverizzazione del capitale sociale (ripartito tra cinque soci), anche dal fatto che la società ha posto in essere misure di self cleaning attraverso il rinnovo del board aziendale, l’adozione di un modello di organizzazione ai sensi del decreto legislativo 231 del 2001 e l’acquisizione di nuove certificazioni di qualità, tutte sopravvenienze delle quali la Prefettura non avrebbe tenuto adeguatamente conto.

3. Va precisato che in precedenza la società era stata destinataria di altro diniego (datato 25 settembre 2019) impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato del 22 gennaio 2020, respinto con decreto del 6 agosto 2021.

4. Con la qui impugnata sentenza n. -OMISSIS- il TAR Lazio ha respinto il ricorso avverso la reiezione di iscrizione del 2022 (dopo aver dichiarato improcedibile quello avverso il silenzio), affermando, in sintesi che:

i) il denunciato ritardo con cui l’Amministrazione si è pronunciata sull’istanza di iscrizione non determina l’illegittimità del provvedimento in quanto il termine di legge ha valore puramente ordinatorio e, comunque, nel contesto specifico la tempistica di svolgimento del procedimento trova giustificazione nel fatto che l’amministrazione ha dovuto completare l’istruttoria procedimentale mediante acquisizione presso terzi soggetti delle informazioni, di cui non disponeva, in merito alle misure di self-cleaning medio tempore adottate;

ii) la censura concernente la mancata trasmissione del preavviso di rigetto è contraddetta dal tenore della nota del 23 giugno 2022 con la quale la Prefettura di Roma ha inviato via pec la comunicazione ex art. 10 bis della legge 241/90;

iii) l’asserita genericità contenutistica di questa comunicazione è a sua volta smentita dal tenore della nota di riscontro del legale della ricorrente, ove si legge - a dimostrazione del fatto che la società aveva colto l’essenza delle ragioni fondanti la denegata iscrizione - che “Codesta Prefettura assume di aver svolto accurata attività istruttoria all’esito della quale, su due dei soci della società -OMISSIS-Srl, sarebbero emersi elementi ostativi al rilascio della certificazione antimafia”;

iv) sul piano sostanziale, i soci già condannati con sentenza definitiva dal 16 luglio 2018 per il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti in concorso ai sensi dell’art. 260 d.lgs. 152/2006 (ora art. 452-quaterdecies c.p.) - fattispecie rientrante tra quelle sintomatiche ex se del pericolo di infiltrazione - continuano a detenere il 75% delle quote societarie, il che ridimensiona grandemente la concreta incidenza dell’asserita attività di self-cleaning, essendosi questa limitata a conferire il ruolo di amministratore ad un familiare dei fratelli già condannati, per il resto preservando il controllo del 75% delle quote in capo ai due soci pregiudicati;

v) la valenza sintomatica del precedente penale è accresciuta dalle specifiche modalità di realizzazione del reato, ovvero dal coinvolgimento dell’intera struttura imprenditoriale e di soggetti ad essa esterni, e dalla gestione, protrattasi per un significativo arco temporale, di una ingente quantità di rifiuti anche pericolosi (circa 3000 tonnellate).

5. La pronuncia di primo grado è impugnata sulla base dei motivi di seguito riepilogati.

6. All’accoglimento dell’appello si sono opposti, con memoria controdeduttiva depositata il 23 gennaio 2024, l’Ufficio Territoriale del Governo di Roma e il Ministero dell’Interno. In assenza di istanza cautelare, la causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’8 febbraio 2024.

7. Preliminarmente va disposto lo stralcio della memoria difensiva della parte convenuta poiché – come puntualmente eccepito dalla parte ricorrente nel corso dell’udienza di discussione – depositata (il 23 gennaio 2024) in violazione del termine a ritroso di cui all’art. 73 c.p.a..

8. Venendo al merito, con il primo motivo di appello (rubricato “erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato la improcedibilità del ricorso avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a.”) la società appellante chiede - ai fini della soccombenza virtuale - la riforma del capo decisorio dichiarativo della improcedibilità del ricorso sul silenzio, nel passaggio in cui il TAR ha stimato l’irrilevanza del ritardo procedimentale ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento: questa affermazione, a detta della parte appellante, risulterebbe contraddittoria rispetto ad altri pronunciamenti del medesimo TAR nei quali si legge che la “pendenza dei procedimenti penali” e la “complessità dell’istruttoria non sono argomenti idonei” per ritenere l’amministrazione sottratta “all’obbligo di pronunciarsi con provvedimento espresso nel termine previsto” (TAR Roma Sez. I ter n. 05376/2022).

8.1. Il motivo è infondato.

Esso non scalfisce la correttezza delle statuizioni impugnate con le quali il giudice di primo grado, con argomenti ineccepibili, si è limitato a evidenziare che la violazione del termine procedimentale non riverbera effetti sulla legittimità dell’atto e che i tempi dilatati del procedimento sono dipesi, nel caso di specie, dalla necessità di acquisizione dei necessari elementi istruttori.

8.2. Quest’ultimo argomento rende d’altra parte non decisive le affermazioni di principio traslate da altri giudizi e riportate come precedenti difformi, senza che ne sia dimostrata la sovrapponibilità al caso qui in esame.

8.3. E’ sufficiente aggiungere che il TAR non ha affatto affermato un regime di esenzione dall’obbligo di provvedere ma ha motivatamente giustificato il ritardo accumulatosi nella definizione del procedimento (avviato con istanza del 24 giugno 2021 e definito con provvedimento del 6 luglio 2022) con argomenti riferiti alla concreta dinamica della specifica fattispecie.

8.4. Quanto alla condanna alle spese, essa è stata attratta ad una complessiva e unitaria valutazione che ha tenuto conto della soccombenza “sostanziale” - evidentemente estesa alla totalità dei motivi dedotti - il che rende anche questa parte della decisione coerente con il concreto svolgimento e con gli esiti conclusivi del giudizio.

9. Con il secondo motivo di appello, relativo alla “mancata comunicazione del preavviso di rigetto”, la ricorrente sostiene essere stata del tutto omessa da parte del giudice di primo grado la considerazione della grave violazione del diritto ad una reale e concreta partecipazione al procedimento amministrativo, violazione palesatasi negli stessi prodromi della vicenda, nata dal diniego della Prefettura di Isernia del 25 settembre 2019 (mai anticipato da un preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241), impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato del 22 gennaio 2020 e per il quale lo stesso Ministero, con nota n. -OMISSIS-– anche questa mai comunicata all’impresa – aveva chiesto una rivalutazione del parere negativo reso dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario.

9.1. Il motivo di appello non merita di essere accolto.

Le deduzioni censorie, infatti, risultano in buona parte asimmetriche rispetto ai contenuti e all’oggetto del giudizio, i quali attengono - attraverso il filtro della pronuncia di primo grado - ad una materia del contendere alla quale è del tutto estranea la vicenda pregressa risalente al 2021, richiamata dalla parte appellante a riprova della persistente violazione delle sue prerogative partecipative.

9.2. Il nucleo argomentativo della motivazione con la quale il TAR ha invece respinto la doglianza rimanda a considerazioni concernenti il procedimento sfociato nel provvedimento del 6 luglio 2022 - l’unico attratto al fuoco del giudizio - non efficacemente investite da deduzioni critiche.

9.3. Che i motivi ostativi comunicati con nota del 23 giugno 2022 mettessero a fuoco il punto cruciale del contendere (ovvero i motivi ostativi riferiti ai due soci - ex amministratore e direttore tecnico) è d’altra parte circostanza indirettamente confermata sia dal contenuto della nota di riscontro inviata dal legale della società e anch’essa datata 23 giugno 2023; sia dal fatto che la medesima ragione ostativa era stata posta a base del precedente diniego (25 settembre 2019) ed era quindi già conosciuta, né poteva essere equivocata nel suo contenuto in quanto – sui cinque soci della -OMISSIS-– gli unici due gravati da pregiudizi ostativi (certamente noti, poiché risalenti al 2015) erano l’ex amministratore unico e l’ex direttore tecnico.

10. Il terzo e il quarto motivo di appello investono invece il merito della valutazione prefettizia, censurata per profili (violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 52 della legge 190/2012 dell’art. 2 comma 2 lett. b) del dpcm 18 aprile 2012) sui quali il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi.

10.1. Partendo dal presupposto che il diniego di iscrizione alla white list equivale ad una informativa antimafia, e non ad una comunicazione antimafia interdittiva – la ricorrente assume che ai fini della sua emissione devono ricorrere due presupposti, ovvero una causa di decadenza sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del d.lgs. 159 del 2011 e la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.

Tuttavia, mentre la prima delle due condizioni nel caso di specie pacificamente sussiste - poiché la condanna di -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 260 del dlgs 152/2006 li colloca in una situazione equiparata ai soggetti sottoposti ad una misura di prevenzione, ai sensi del comma 8 del richiamato art. 67 – il secondo dei due requisiti farebbe difetto, in quanto sarebbe del tutto mancata da parte della Prefettura una valutazione in concreto della effettiva permeabilità dell’impresa al pericolo infiltrativo.

10.2. D’altra parte, osserva l’appellante, nessun automatismo valutativo consente di desumere il tentativo di infiltrazione ex se dalla condanna dei due soci, facendone derivare un’insuperabile presunzione valida sine die e sottratta all’obbligo del riesame periodico, tale per cui tutti i condannati per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen. sarebbero ipso facto a rischio di collusione con ambienti della criminalità organizzata.

10.3. Viene quindi censurato come errato il passaggio motivazionale nel quale si legge che la condanna dei soci controllanti la società ricorrente per il reato di cui all’art. 260 n.152/2006, (ora art. 452 quaterdecies del c.p.), ai sensi dell’art. 67, comma 8, d.lgs. 159/2011 “istituisce una praesumptio iuris tantum di pericolo infiltrativo (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168), al pari di tutti i delitti-spia previsti dall'art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011”) (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2/7/2021 n. 5043) e che “il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2855 del 2 maggio 2019 e Cons. Stato, sez. III, 28/6/2022 n. 5375)”.

A detta della parte appellante, trincerandosi dietro queste erronee affermazioni di principio, la Prefettura di Roma si sarebbe arrestata ad un giudizio astratto di permeabilità, desunto dalla fattispecie sintomatica solo estrinsecamente considerata, senza valutare l’esatta portata del rischio in concreto quale si desume dalle caratteristiche intrinseche della fattispecie e dagli altri elementi di contorno eventualmente idonei a corroborarne la forza indiziaria.

10.4. Inoltre, le risultanze istruttorie sarebbero state riportate in modo non corretto o incompleto, in quanto:

-i soci -OMISSIS- (non fratelli, come impropriamente riportato in sentenza) non sono gli autori materiali della condotta oggetto di condanna, ma sono stati chiamati a rispondere nella loro qualità di amministratori della -OMISSIS-(“alla luce del ruolo dagli stessi ricoperti nella -OMISSIS-srl”);

-rispetto ad un generico capo di imputazione riferito ad “ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi” la sentenza del Tribunale di Isernia accerta che i rifiuti giacenti sull’area erano per la maggior parte “non pericolosi”, come comprovano le analisi all’epoca effettuate sui rifiuti dal -OMISSIS- che riferiscono di “rifiuti misti da costruzione e demolizione abbandonati”, ovvero di “rifiuti speciali non pericolosi”;

-a carico dei due soci non sono emersi altri elementi controindicanti (quali misure cautelari e preventive, rapporti di parentela con soggetti legati ad ambienti mafiosi, irregolarità o manomissioni contabili, contatti o rapporti di frequentazione con personaggi legati in alcun modo a consorterie mafiose, vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa) idonei a consolidarne il profilo di pericolosità sociale.

11. I motivi sin qui riportati non possono essere condivisi.

Innanzitutto, il Collegio ritiene infondata la tesi sostenuta dalla società ricorrente secondo cui, ai fini del diniego d’iscrizione nella white list, occorrerebbe il concorso di entrambe le condizioni previste dall’art. 84 del Codice antimafia, ossia la condanna per un reato “spia” e, comunque, cumulativamente ad essa, anche la sussistenza di “tentativi di infiltrazione” tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa interessata.

11.1. Il testo dell’art. 2, secondo periodo, del D.P.C.M. 18 aprile 2013, così come sostituito dal D.P.C.M. 24 novembre 2016 (secondo il quale “L’iscrizione nell’elenco è soggetta alle seguenti condizioni : a) l’assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del Codice antimafia; b) l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, di cui all’art. 84, comma 3, del Codice antimafia”) nulla dice circa la necessaria compresenza, ai fini del diniego di iscrizione, di entrambi i suindicati presupposti, diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente.

11.2. La disposizione si limita a prevedere due condizioni negative che devono entrambe sussistere ai fini dell’iscrizione nella white list (l’assenza di misure di prevenzione impeditive e l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa), essendo evidente che la presenza anche solo di una delle due evenienze negative giustifica di per sé l’esclusione dalla lista.

Ciò non implica, pertanto, che, ai fini del diniego di iscrizione, il Prefetto debba dimostrare il concorso di entrambe le condizioni impeditive.

11.3. D’altra parte, a voler dare seguito alla tesi avanzata dalla parte ricorrente si arriverebbe all’esito paradossale, e certamente non assentibile, per cui la sola sussistenza di una prognosi di infiltrazione di cui alla lettera b), non accompagnata anche da una condanna o da altro pregiudizio rientrante nella lettera a), consentirebbe l’iscrizione nella white list.

11.4. La piena legittimità del provvedimento interdittivo impugnato poggia quindi sul dato testuale dell’art. 67, comma 8, del Codice antimafia, articolo richiamato nella parte motiva del diniego adottato dalla Prefettura di Roma in data 6 luglio 2022, il quale testualmente prevede, al comma 8, che “Le disposizioni dei commi 1,2, 4 (con riguardo agli effetti delle misure di prevenzione) si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonché per i reati di cui all’articolo 640, secondo comma, n.1 del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all’articolo 640-bis del codice penale”: tra i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale rientra, come già rappresentato, anche il delitto di cui all’art. 452 -quaterdecies (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) del codice penale.

11.5. La tesi qui esposta si allinea alle medesime considerazioni e conclusioni espresse nel parere di questo stesso Consiglio n. -OMISSIS- reso su ricorso straordinario proposto dalla medesima parte qui appellante, che si conclude con l’affermazione per cui “il diniego di iscrizione oggetto di impugnazione costituisce un atto vincolato adeguatamente fondato sulla sola rilevazione dell’intervenuta condanna per il reato p. e p. dall’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (oggi art. 452-quaterdecies del codice penale), e che il contenuto dispositivo di tale atto non avrebbe potuto essere diverso da quello effettivamente adottato”.

11.6. Dalle premesse sin qui esposte consegue che la condanna definitiva per il reato di traffico illecito dei rifiuti, subita dall’allora amministratore unico e dal socio al 25% della medesima società, ha rappresentato una idonea causa automaticamente ostativa all’iscrizione della società nel suindicato elenco, sicché deve ritenersi infondato il motivo di carenza di prova della sussistenza del presupposto dei tentativi di infiltrazione mafiosa volta al condizionamento dell’attività d’impresa.

12. Quanto esposto risolve la totalità dei rilievi veicolati nei motivi terzo e quarto, a margine dei quali è qui unicamente il caso di osservare il carattere del tutto implausibile della tesi secondo la quale le condotte illecite sanzionate dal giudice penale sarebbero state commesse senza il concorso consapevole dell’amministratore e del direttore tecnico: si tratta infatti di argomentazione ampiamente contraddetta dagli elementi descrittivi della vicenda riportati nella pronuncia di condanna, i quali danno conto dell’entità, della reiterazione e dell’abitualità delle operazioni illecite di interramento - avvenute attraverso la coperta di simulati interventi di recupero e false rappresentazioni documentali (nei documenti di trasporto e nei formulari); del pieno coinvolgimento di tutta la struttura di uomini e mezzi dell’impresa, oltre che di soggetti esterni in concorso con i primi, nonché del fatto che i terreni nei quali venivano effettuati gli interramenti erano di proprietà dell’amministratore e del direttore tecnico.

13. Il quinto motivo di appello si appunta sulla mancata considerazione delle misure di self cleaning e degli elementi sopravvenuti alla sentenza di condanna del Tribunale di Isernia del 2015, divenuta definitiva nel 2018, tra i quali la riabilitazione del socio -OMISSIS-(in data 13 marzo 2023), la rimozione sin dal 2019 di --OMISSIS-dal ruolo di amministratore unico – seguita dalla sua fuoriuscita dalla compagine sociale – e il rinnovo degli organi sociali dell’impresa (con nomina di un amministratore incensurato, sebbene parente del sunnominato -OMISSIS-).

13.1. Ferma la decisiva e assorbente rilevanza di quanto esposto al paragrafo precedente, anche questi ultimi rilievi non possono essere condivisi.

13.2. L’attuale e ristretta composizione societaria (riconducibile in via del tutto maggioritaria ai due soci storici, detentori del 75% delle quote, e per il resto ad altri tre soci - -OMISSIS- attuale amministratore e rappresentante legale - due dei quali in relazione parentale con i primi) rende evidente la permanenza della posizione di controllo dei due soci pregiudicati, a dispetto dei dichiarati - ma del tutto estrinseci - interventi di restiling dell’assetto societario.

13.3. D’altra parte, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Sezione, “alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con il passato” (Cons. Stato, sez. III, n. 3945 del 2020 e n. 6707 del 2018), dovendosene in tal senso considerare l’effettiva idoneità a recidere ogni collegamento, contiguità o cointeressenza con ambienti controindicati e potenziali vettori del rischio infiltrativo (Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2020 n.2854).

13.4. Sempre a riprova della permanenza dell’impresa in un ambito di controllo strettamente familiare, sebbene dietro la schermatura di operazioni di ristrutturazione sociale, rileva considerare che, secondo quanto emerso dagli elementi informativi acquisiti dalle competenti Forze dell’Ordine ai fini dell’istruttoria espletata dalla Prefettura di Roma, a seguito del provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura di Isernia, “in data 27 febbraio 2020 veniva costituita da-OMISSIS-(che in data 11.12.2019 subentrava nella carica di amministratore unico a -OMISSIS-, con sede legale ad Isernia, -OMISSIS-, coincidente con l’indirizzo della sede legale della -OMISSIS- Oltre al rilevante dato che in data 05.08.2020 la -OMISSIS- cedeva, con effetto immediato alla neo costituita -OMISSIS-“il ramo d’azienda riferito al recupero di rifiuti non pericolosi costituiti da inerti (end of waste) per rilevati e sottofondi stradali, pavimentazioni, sito nel comune di Isernia, alla -OMISSIS- ….( omissis)…(…)”.

13.5. Quanto al sopravvenuto provvedimento di riabilitazione (del 13 marzo 2023), è sufficiente osservare che esso è posteriore al diniego del 6 luglio 2022, il che (in disparte ogni altra considerazione sulla sua incidenza sulla causa ostativa di cui all’art. 2, secondo periodo, lettera a), del d.P.C.M. 18 aprile 2013) lo rende certamente del tutto ininfluente ai fini della valutazione di legittimità dell’atto qui scrutinato, essendo questa valutazione necessariamente rapportata ai soli dati confluiti nell’istruttoria propedeutica alla sua emanazione.

14. Stante la mancata formulazione da parte appellata di deduzioni difensive (una volta stralciate quelle tardive di cui alla memoria depositata il 23 gennaio 2024), si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Michele Corradino, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere

Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore

Giovanni Tulumello, Consigliere

Angelo Roberto Cerroni, Consigliere