Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 56, del 9 gennaio 2013.
Rifiuti Bonifica di siti inquinati, responsabilità del proprietario dell’area.
L’adozione di provvedimenti per disporre bonifiche di siti inquinati non può prescindere da un accurato e preventivo accertamento degli estremi dell’inquinamento e della collegata situazione di pericolo nonché da una approfondita valutazione dell’inefficacia di altre possibili misure alternative a quelle che si intende disporre. In una materia di particolare delicatezza come quella ambientale la Pubblica Amministrazione è tenuta a valutare in termini comparativi vantaggi e svantaggi delle diverse soluzioni adottabili ed a fornire prova di detta valutazione, anche in relazione al conseguente rapporto costi benefici delle soluzioni prescelte. Il d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare (artt. 242 e 244); che il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253). Ne consegue che, laddove l’Amministrazione non provi che l’inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile al proprietario dell’area, a quest’ultimo non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito. Deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché “su prove e non su mere presunzioni”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00056/2013REG.PROV.COLL.
N. 05197/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5197 del 2011, proposto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Consorzio Zona Industriale Apuana, Korfmann Cut Machinery S.r.l., Tecnofit di Panzera Gian Franco & C. S.n.c., Apuan Car S.a.s. di Ceccarelli Umberto & C., E.A.M. di Pierucci O., Chlabe S.r.l, Nuova Timi S.r.l., Tecnomar S.r.l., A. Bongiorni S.r.l., Brotini S.p.a., Gentili Costruzioni S.r.l., L.C.A. S.r.l. Unipersonale, M.P.T. S.r.l., Valdettaro Shipyard S.r.l., Elettromeccanica Renzo Frigerio & C S.n.c., Impresa Ceccotti Brunello, Universal Diamond S.r.l., F.B. Immobiliare S.r.l., Eco Dem 2000 S.r.l., L.P. Cantiere Nautico S.r.l., Food Services S.r.l., Nauticad S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Antonio Andreani con domicilio eletto presso le studio Gian Mario Grez in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18.
nei confronti di
Regione Toscana, Arpat Tosana, non costituite nella presente fase di giudizio; Montedison S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Wladimiro Troise Mangoni e Roberto Invernizzi, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, n. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE II n. 225/2011, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consorzio Zona Industriale Apuana e altri e di Montedison S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2012 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Dettori e l’avvocato D'Addario per delega dell’avvocato Andreani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. 2073 del 2007 i ricorrenti in epigrafe indicati, titolari di aziende insistenti nell’area industriale ricompresa all’interno del sito d’interesse nazionale di Massa Carrara, già appartenuto al complesso industriale Farmoplant, impugnavano davanti al Tar per la Toscana numerosi provvedimenti consistenti nei verbali recanti le determinazioni conclusive delle conferenze di servizi decisorie relative al sito di bonifica d’interesse nazionale di Massa Carrara; nei decreti direttoriali dei competenti organi ministeriali contenenti i provvedimenti finali di adozione delle determinazioni conclusive delle conferenze di servizi; nelle comunicazioni dei competenti organi ministeriali con cui detti decreti erano stati trasmessi agli enti interessati; nella comunicazione del prot. n. 15509 del 14 giugno 2007 e nella nota prot.n. 18663 del 22 settembre 2006, entrambe del Ministero dell’Ambiente della tutela e del territorio nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, pur se di estremi sconosciuti ai ricorrenti.
I provvedimenti indicati venivano impugnati in toto e nella parte in cui la conferenza dei servizi aveva stabilito di:
- chiedere ai titolari delle aree di attuare indagini puntuali di caratterizzazione sulle acque di falda e di effettuare, alla luce dei superamenti riscontrati rispetto ai valori di concentrazione limite indicati, nei 30 giorni dalla data del ricevimento del verbale, interventi di MISE della falda, consistenti nella realizzazione di una barriera di contenimento fisico in aggiunta al sistema idraulico di emungimento già prescritto lungo tutto il fronte dello stabilimento;
- invitare i medesimi a presentare, nel termine di 30 giorni dal ricevimento del verbale, il progetto di bonifica delle acque di falda basato sul contenimento fisico dell’intera area;
- attivare, in caso di loro inadempienza, i poteri sostitutivi in danno degli stessi inadempienti, costituendo il verbale stesso atto di messa in mora;
- richiedere ai titolari delle aree ricomprese nella zona interessata l’ottemperanza alle prescrizioni formulate dall’ARPAT.
2. Il ricorso era stato presentato dai proprietari di aree ricadenti nel complesso industriale dell’ex stabilimento Farmoplant, appartenuto fin dagli anni ’50 al gruppo Montedison, che a seguito di un grave incidente verificatosi nell’estate del 1988 (incendio degli impianti produttivi) aveva progressivamente proceduto alla dismissione dello stabilimento.
Nel 1991 alla Farmoplant succedeva la Cersam s.r.l. che provvedeva ad effettuare gli interventi di bonifica dell’area industriale dismessa che si concludevano nel 1995 con il rilascio della relativa certificazione che prevedeva l’attivazione di un sistema di contenimento e controllo delle acque di falda, realizzato tramite una barriera idraulica consistente in 7 pozzi di emungimento delle acque di falda.
Con la legge n. 426 del 1998 veniva istituito il sito di bonifica d’interesse nazionale di Massa Carrara e, con D.M. 21 dicembre 1999, veniva disposta la perimetrazione di tutta l’area industriale Apuana, inclusa la zona ex Farmoplant.
Tra il 2001 e il 2004 la Cersam s.r.l. provvedeva al frazionamento dell’area, previo piano di lottizzazione approvato dal Comune di Massa e, successivamente, alla sua vendita a terzi, con espressa menzione negli atti dell’avvenuta bonifica, come da certificazione rilasciata dalla Regione Toscana.
Nei singoli contratti di vendita veniva aggiunta un ulteriore garanzia e cioè la clausola che prevedeva l’obbligo per il venditore di accollarsi i costi di ulteriori bonifiche imposte dalla pubblica amministrazione qualora richieste nell’arco di tre anni dalla stipula del relativo atto di vendita.
Con l’autorizzazione prot. n. 42563/aut. n.174/3062 INT. del 28 dicembre 2004 del Dirigente del Settore Difesa Suolo e Protezione Civile della Provincia di Massa Carrara, l’acqua emunta non era più trattata prima dello scarico, venendo riversata direttamente nelle acque dell’adiacente torrente Lavello, in quanto dotata di valori compatibili con i valori delle acque di superficie.
Sin dal 2003, peraltro, era stato avviato da parte del direttore generale per la gestione dei rifiuti e bonifiche del Ministero dell’Ambiente un procedimento per la messa in sicurezza di emergenza in base a quanto disposto del D.M. n. 471 del 1999.
Nella conferenza di servizi decisoria presso il Ministero dell’Ambiente del 4 agosto 2004 veniva stabilito di affidare all’agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) l’integrazione degli studi relativi alla falda sottostante il sito precedentemente eseguiti. In una successiva conferenza di servizi veniva stabilito il termine del 30 settembre 2005 per l’elaborazione di progetti individuali per ciascun insediamento e si prevedeva, in caso d’inottemperanza, l’attivazione di poteri sostitutivi in danno dei soggetti inadempienti.
Nella conferenza di servizi del 22 dicembre 2005 si richiedeva alla società Montedison un monitoraggio delle acque di falda, a cadenza mensile per sei mesi, che rispondeva, con propria nota del 3 marzo 2006, rilevando che la pretesa doveva essere indirizzata ai titolari dell’ex area Farmoplant.
Nella conferenza di servizi del 28 aprile 2006 si stabiliva di chiedere, in attesa di deliberare in merito all’inizio dello studio di fattibilità per la messa in sicurezza di emergenza della falda, mediante intervento coordinato, ai soggetti titolari dell’area ex Farmoplant, l’adozione, entro 30 giorni decorrenti dal ricevimento del verbale, di misure di messa in sicurezza d’emergenza della falda nell’ipotesi che dalle indagini sulle acque della falda stessa precedentemente prescritte dovessero emergere valori di concentrazione superiori a quelli limite indicati nell’allegato 1 al D.M. n. 471 del 1999.
Le misure di sicurezza della falda avrebbero dovuto consistere nella realizzazione di una barriera idraulica di emungimento e successivo “trattamento lungo il fronte dello stabilimento a valle idrogeologico dell’area” e nella presentazione di un progetto di bonifica delle acque di falda basato sul confinamento fisico delle stesse.
Infine, come ricordato dal giudice di primo grado, le successive conferenze di servizi pervenivano alle conclusioni fatte proprie dai provvedimenti impugnati con i quali veniva richiesto alle società ricorrenti in primo grado l’attivazione di un intervento di messa in sicurezza d’emergenza della falda, consistente in una barriera di contenimento fisico della falda nei termini sopradetti e la presentazione di un progetto di bonifica, entro 30 giorni, delle acque di falda basato sul contenimento fisico dell’intera area.
3. Con la sentenza n. 225 del 2011 il Tar per la Toscana accoglieva il ricorso, rilevando l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione del principio del giusto procedimento e in particolare dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento nonché per la mancata partecipazione delle ricorrenti alle conferenze di servizi, pur essendo destinatarie del provvedimento finale; per violazione del principio “chi inquina paga”, non avendo l’Amministrazione correttamente individuato, ai fini dell’attribuzione dell’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza, i responsabili dei fenomeni d’inquinamento ed avendo stabilito le prescrizioni solo sulla base della semplice titolarità dell’area; per difetto di motivazione ed istruttoria, essendo mancato l’accertamento e la valutazione sia dell’inefficacia di misure meno invasive della barriera fisica sia dell’effettiva necessità del contenimento fisico, nella considerazione che la scelta effettuata dall’Amministrazione sarebbe stata legittima soltanto dopo l’analisi comparativa tra le varie alternative possibili.
4. Avverso detta sentenza il Ministero dell’Ambiente, della tutela del Territorio e del Mare ha proposto appello (ricorso n. 5197 del 2011).
5. Con la nota deposita in data 14 luglio 2012 si costituita in giudizio la società Montedison s.r.l. motivando le ragioni che escludono un suo possibile coinvolgimento nella vicenda de qua e chiedendo il rigetto dell’appello. Con nota d’udienza del 9 novembre 2012 la predetta società ha ulteriormente precisato le ragioni esposte nella nota del 14 luglio 2012 e ha ribadito la sua richiesta di respingere l’appello presentato dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare.
6. Con la memoria dell’11 ottobre 2012 si è costituito in giudizio il Consorzio zona industriale Apuana che con gli altri appellati indicati epigrafe ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto inammissibile perché tardivo ed in quanto infondato nel merito.
7. All’udienza dell’11 dicembre la causa è stata trattenuta per la decisione.
8. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di tardività della notifica e del deposito dell’appello sollevata dagli appellati
Questi ultimi sostengono che l’appello proposto dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e della Salute, avendo ad oggetto le determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi relativamente ad attività di messa in sicurezza, verte su una materia che indubbiamente deve essere qualificata come servizio pubblico.
I medesimi aggiungono che la controversia è sussumibile nel novero delle cause aventi ad oggetto l’esecuzione di opere di pubblica utilità comportando, l’autorizzazione all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, dichiarazione di pubblica utilità.
Ne deriva che all’oggetto della causa si applicano le regole di cui all’art. 119 lett. f) del d. Lgs. n. 104 del 2010 che prevedono il dimezzamento dei termini nelle controversie concernenti provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere di pubblica utilità e che l’appello deve considerarsi tardivo essendo stato notificato il 23 maggio 2011 e cioè oltre il termine di impugnazione di 3 mesi decorrente dal deposito della sentenza che è avvenuto il 4 febbraio 2011.
L’eccezione di tardività è infondata.
L’art.119, lett. f), infatti, si riferisce alle procedure di occupazione e di espropriazione di aree destinate ad opere di pubblica utilità e, conseguentemente ad un procedimento che ha un oggetto differente da quello della vertenza de qua, in cui viene in contestazione la prescrizione delle predette misure di messa in sicurezza della falda e non la legittimità degli atti conseguenti alle procedure sopraindicate.
Analogamente, non può essere condivisa la censura relativa alla tardività del deposito dell’appello, poiché per quanto precedentemente detto nella presente fattispecie non può applicarsi la norma sul dimezzamento dei termini.
9. Nel merito, con il primo motivo d’appello il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare ha censurato la sentenza del Tar per la Toscana per travisamento dei fatti, rilevando in particolare che la decisione relativa al contenimento fisico della falda era dovuta al superamento dei limiti previsti dalla tabella allegata al T.U. n. 152 del 2006. Aggiungeva che spetta all’Amministrazione in via esclusiva, nella sua ampia discrezionalità che può essere sindacata solo per illogicità o per irragionevolezza delle decisioni assunte, la competenza a valutare la validità delle tecniche di bonifica; che le ineliminabili incertezze del modello idrogeologico comporterebbero imprecisabili incertezze sull’efficacia della barriera idraulica; che la costruzione di una barriera fisica implicherebbe un impatto energetico minore di quello derivante dalla realizzazione di una barriera idraulica; che la MISE, pur essendo stata disciplinata quale intervento prioritario rispetto al più definitivo intervento di bonifica, non può comunque prescindere dalle successive scelte progettuali di bonifica; che il marginamento idraulico presenta inevitabili carenze anche in considerazione del fronte da “sbarrare”che ne riduce l’efficacia e quindi anche il carattere d’intervento d’emergenza per contenere un inquinamento massiccio da “monte” quale quello in questione; che, infine, quanto precede non si rinviene nel caso di barriere fisiche che offrono garanzia di maggiore tenuta poiché rappresentano uno sbarramento completo del materiale acquifero.
In relazione a quanto precede il Ministero appellante ha ritenuto erronea la sentenza di primo grado laddove ha affermato che l’amministrazione “aveva imposto d’integrare la barriera di emungimento esistente ricorrendo anche a sistemi di confinamento fisico in assoluta carenza istruttoria” ed ha, altresì, rilevato che la sentenza impugnata è da considerarsi non condivisibile anche nella parte in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse obbligata ad effettuare gli accertamenti tecnici in contraddittorio con le parti interessate, poiché tale onere non trova riscontro in alcuna norma della vigente legislazione di riferimento.
9.1. Il Tar per la Toscana nella sentenza impugnata ha rilevato che “ la misura della barriera fisica non risulta supportata negli atti impugnati da adeguati accertamenti tecnici o da altre spiegazioni che la indichino come l’unico ed il miglior sistema per evitare la diffusione dell’inquinamento” e che “è, dunque, mancata la necessaria istruttoria sulle possibili interazioni tra i due modelli di barriera ipotizzabili (idraulica e fisica), al fine di evitare duplicazioni di interventi, con inutile aggravio dei costi in spregio del principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.”
In altri termini ad avviso del primo giudice l’adozione di provvedimenti per disporre bonifiche di siti inquinati non può prescindere da un accurato e preventivo accertamento degli estremi dell’inquinamento e della collegata situazione di pericolo nonché da una approfondita valutazione dell’inefficacia di altre possibili misure alternative a quelle che si intende disporre.
Il Collegio ritiene tale orientamento condivisibile poiché in una materia di particolare delicatezza come quella ambientale la Pubblica Amministrazione è tenuta a valutare in termini comparativi vantaggi e svantaggi delle diverse soluzioni adottabili ed a fornire prova di detta valutazione, anche in relazione al conseguente rapporto costi benefici delle soluzioni prescelte.
Da quanto risulta in atti una valutazione di tal fatta non ha avuto luogo essendo mancato, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, un’analisi comparativa tra le diverse alternative in esame e sulla loro idoneità a far fronte alla esigenza di provvedere per far fronte alla situazione de qua.
D’altronde lo stesso Consiglio di Stato in una fattispecie analoga ha rilevato che spetta all’Amministrazione dimostrare che per una efficace messa in sicurezza la barriera idraulica non è sufficiente e che l’unica misura adeguata e proporzionata è la barriera fisica (Cons. di Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2009, 6455).
D’altro canto la mancanza di una adeguata motivazione non può ritenersi giustificata dall’ampia discrezionalità tecnica che spetterebbe in materia all’Amministrazione, poiché, come affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, la censurabilità della discrezionalità tecnica - che non può arrivare alla sostituzione del giudice all’Amministrazione - può consistere nel controllo ab externo dell’esattezza e correttezza dei parametri della scienza utilizzati (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2006, n.829 e 11 aprile 2006, n. 2001).
Analogamente non servono a colmare la lacuna evidenziata le considerazioni di carattere tecnico svolte dall’appellante ministero.
Prescindendo, infatti, dalla censura sollevata dagli appellati che vede in tali considerazioni un’integrazione postuma delle decisioni assunte dall’amministrazione non consentita dai principi che regolano la materia amministrativa, occorre rilevare che dal verbale della conferenza di servizi del 30 novembre 2007 in atti risulta che in data 28 maggio 2007 è stata sottoscritta una proposta di accordo di programma per la bonifica del sito d’interesse nazionale di Massa Carrara che prevede “interventi finalizzati al recupero ambientale ……mediante la redazione di studi atti a verificare la necessità di realizzare interventi di messa in sicurezza d’emergenza della falda acquifera e di valutarne la relativa fattibilità”
Detto studio è stato affidato alla ICRAM che da quanto risulta non contestato in atti ha individuato nella predisposizione di una MISE idraulica realizzata attraverso una revisione e ottimizzazione del sistema dei pompaggi esistente la soluzione da adottare nella fattispecie de qua.
Quanto precede conferma i rilievi formulati dal giudice di primo grado e, per quanto risulta in atti, condivisi dal Collegio relativamente alla non sufficiente istruttoria ed alla conseguente inadeguata motivazione con cui l’Amministrazione ha effettuato le scelte delle misure di messa in sicurezza della falda.
Infine, per ciò che concerne le motivazioni addotte dall’Amministrazione a giustificazione del mancato rispetto del principio del contraddittorio osserva il Collegio che il coinvolgimento dei proprietari delle aree da bonificare non può essere messo in discussione nella fattispecie de qua in considerazione del fatto che questi ultimi erano, come lo sono stati, possibili destinatari del provvedimento finale e, come tali, titolati a far valere tramite un costruttivo contraddittorio le loro documentate ragioni.
Da quanto sin qui esposto deriva l’insussistenza del vizio di travisamento dei fatti dedotto dall’appellante e, conseguentemente, l’infondatezza del I° motivo d’appello.
10. Il Ministero appellante con il secondo motivo di censura ha contestato la violazione del D.M. n. 471 del 1999, rilevando in particolare che l’onere economico posto a carico di coloro che hanno inquinato sulla base del principio “ chi inquina paga” deve trovare un contemperamento con il principio che fa divieto di superare il “labile confine oltre il quale il necessario recupero diventa inesigibile, quale ingiusta sanzione per il comportamento osservato” ed ha evidenziato nella prospettiva di un giudizio di ragionevolezza che la realizzazione di un piano di caratterizzazione avrebbe avuto un costo sicuramente sostenibile rispetto al danno che sarebbe derivato da un ritardo nell’avanzamento del procedimento finalizzato alla bonifica dell’area in questione.
10.1 Il motivo è infondato.
In fatto l’appellante lamenta che il Tar per la Toscana aveva stabilito che l’Amministrazione, prima di ricorrere all’imposizione di una misura di contenimento fisico, avrebbe dovuto effettuare un’istruttoria tecnica tramite la quale identificare tale misura come la migliore per far fronte al fenomeno dell’inquinamento, poiché, a suo avviso, detta valutazione non era necessaria in quanto il costo dell’intervento comminato era da considerarsi sostenibile in relazione alla esigenza da tutelare.
Con riferimento a quanto già detto al precedente n. 9.1. e contrariamente a quanto affermato dall’appellante, il Collegio osserva che un onere di tal fatta non può essere fatto ricadere, come peraltro pacificamente ritenuto in giurisprudenza, sul proprietario dell’area; poiché “al contrario spetta all’Amministrazione dimostrare che per un’efficace messa in sicurezza la barriera idraulica non è sufficiente e che l’unica adeguata e proporzionata (è) la barriera fisica” (Cons. di Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2009, n. 6455).
In altri termini in assenza di un’istruttoria da cui far emergere in modo chiaro le ragioni tecniche che hanno condotto alla scelta effettuata dall’Amministrazione e senza una adeguata motivazione i provvedimenti impugnati che hanno prescritto le contestate misure non avrebbero dovuto essere emanati. E ciò, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, soprattutto in considerazione del fatto che il precedente proprietario dell’area aveva posto in essere un’opera di bonifica idraulica che aveva dimostrato la sua efficacia tanto da ricevere dalla competente autorità comunale di Massa Carrara l’autorizzazione allo scarico “tal quale” delle acque emunte dalla falda direttamente nell’adiacente torrente Lavello (autorizzazione prot. n. 42563/aut. n.174/3062 INT del 28 dicembre2004 del Dirigente del settore Difesa Suolo e Protezione Civile della Provincia di Massa Carrara).
11. Con il terzo motivo il Ministero appellante lamenta la violazione dell’art. 309 del d. Lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 2051 del c.c., rilevando che il disposto normativo ha previsto anche il coinvolgimento del proprietario dell’area che, seppur incolpevole, sarebbe comunque tenuto, a fronte del ritrovamento di sostanze inquinanti, a porre in essere le misure di messa in sicurezza del sito, restando ovviamente impregiudicato il definitivo accollo delle relative spese.
Pertanto, a giudizio dell’appellante, il Consorzio sia per fatto proprio quale custode dell’area sia come soggetto concorrente solidamente responsabile è a tutti gli effetti destinatario delle misure intese a ridurre e rimuovere il danno all’ambiente.
A giudizio dell’appellante Ministero il proprio operato è risultato, peraltro, conforme al principio di precauzione che fa obbligo alle autorità competenti di adottare i provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla tutela di detti beni rispetto alla tutela di interessi economici. E ciò prescindendo dall’accertamento di un effettivo nesso di causalità fra il fatto dannoso e gli effetti pregiudizievoli che dal medesimo potrebbero derivare.
A sostegno delle argomentazioni che precedono l’appellante ricorda che anche il sistema giuridico europeo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela ambientale, tende a spostarsi dalla considerazione del danno da prevenire e cioè dal principio del “chi inquina paga” a quello della correzione del danno alla fonte.
11.1 Il motivo è infondato.
Il d.lgs. n. 152 del 2008 (Codice dell’Ambiente) stabilisce che l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare (artt. 242 e 244); che il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).
Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, laddove l’Amministrazione non provi che l’inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alle società appellate, a queste ultime non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito. (Cons. di Stato, Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376).
A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché “su prove e non su mere presunzioni” (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).
Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per fattispecie diversa,
che l’addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio “chi inquina paga” (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).
12. Con l’ultimo motivo il ministero appellante rileva che, in merito alla asserita violazione delle norme che regolano il giusto procedimento ed in particolare all’art. 7 della n. 241 del 1990, la giurisprudenza più recente si è orientata nel ritenere che a fronte di fenomeni d’inquinamento della falda può legittimamente omettersi la comunicazione di avvio del procedimento in ragione delle particolari esigenze di celerità imposte dalla situazione de qua.
A ciò deve aggiungersi che in base all’art. 21 octies della predetta legge deve escludersi che il dedotto vizio procedimentale possa essere fatto valere quando, come nel caso di specie, la natura vincolata del provvedimento impone che il suo contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato.
12.1. Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che, in aggiunta alle considerazioni relative all’indefettibilità della comunicazione di avvio del procedimento di cui al precedente n. 9.1, l’appellante nella circostanza de qua non ha fornito alcuna prova concreta delle ragioni d’urgenza che avrebbero potuto legittimare la mancata comunicazione di avvio del procedimento e ha richiamato impropriamente l’art. 21 octies, che come affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, assume un carattere recessivo in materia d’inquinamento e di smaltimento dei rifiuti (Cons. di Stato, Sez. II, par. 22 marzo 2011, n. 4673).
13. Per quanto sin qui esposto l’appello è infondato e va, pertanto, respinto.
14. I particolari profili giuridici della causa consentono la compensazione fra le parti delle spese della presente fase di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa fra le parti le spese della presente fase di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Claudio Boccia, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)