Cass. Sez. III n. 27074 del 4 luglio 2008 (Ud 20 mag 2008)
Pres. Onorato Est. Petti Ric. Nicolì
Rifiuti. Veicoli fuori uso

In tema di veicoli "fuori uso", nell\'ipotesi di scomposizione, la normativa sui rifiuti pericolosi è applicabile solo alle parti effettivamente pericolose. Il decreto legislativo 24.6.2003, n. 209, con cui è stata introdotta in Italia una nuova normativa concernente il recupero e il riciclaggio di materiali provenienti da veicoli a fine vita, non contiene norme più favorevoli e, all\'art. 3, considera il veicolo "fuori uso" un rifiuto sia nel caso in cui il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l\'obbligo di disfarsi sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della consegna ad un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono ancorché giacente in area privata.
IN FATTO
Con sentenza dell’il luglio del 2007, la corte d’appello di Lecce , in parziale riforma di quella resa dal tribunale di Brindisi il 26 ottobre del 2006 , riduceva a mesi quattro di arresto ed ad euro 2000 di ammenda la pena che era stata inflitta a Nicolì Cosimo, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui all’articolo 51 comma 1 lettere a) e b) del decreto Ronchi, per avere illecitamente smaltito rifiuti speciali, anche pericolosi, costituiti da carcasse di autovetture, pneumatici, materiale ferroso, depositandoli permanentemente su un terreno di proprietà della moglie. Fatto accertato il 25 marzo del 2003. Confermava la condanna al risarcimento del danno nei confronti della provincia di Brindisi che si era costituita parte civile.
Il giorno dopo la pronuncia del dispositivo della sentenza, la corte d’appello, in diversa composizione, rilevato che nel dispositivo si era omessa la condanna del prevenuto alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, ne disponeva la correzione.
Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:
l)La violazione degli artt 130, 547 e 525 c.p.p. per avere la corte d’appello, peraltro in composizione diversa da quella che aveva pronunciato la sentenza, indebitamente disposto la correzione del dispositivo mediante l’inserimento della condanna dell’imputato al pagamento delle spese, giacché dalla motivazione della sentenza risultava che le spese del rapporto processuale civile in grado di appello erano state compensate; in ogni caso non si trattava di omissione emendabile con la procedura di correzione;
2)La violazione dell’articolo 51 del decreto Ronchi in relazione all’articolo 50 del medesimo decreto poiché il fatto attribuito al prevenuto integrava gli estremi dell’abbandono occasionale di rifiuti da parte del privato, punito con semplice sanzione amministrativa;
3)la violazione della norma incriminante perché all’epoca della contestazione non era ancora vigente il decreto legislativo n 309 del 2003 sul recupero ed il riciclaggio del materiale proveniente da veicoli fuori uso per cui si sarebbe dovuto ritenere configurabile il deposito temporaneo, posto che gli autoveicoli non erano fuori uso perché di essi si erano esibiti i documenti di circolazione mentre l’altro materiale proveniva dall’ attività artigianale svolta dall’imputato.

IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile per la tardività dell’impugnazione contenente la censura. Invero, trattandosi d’impugnazione di un’ordinanza pronunciata fuori del dibattimento, non era applicabile la regola di cui all’articolo 586 primo comma c.p.p., che consente l’impugnazione dell’ordinanza soltanto mediante l’impugnazione della sentenza, ma quella di cui all’articolo 585 lettera a) in forza della quale il provvedimento avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di gg. 15 dalla notificazione. Nella fattispecie il provvedimento correttivo risulta notificato il 2 agosto del 2007, per cui, tenuto conto della sospensione per il periodo feriale, avrebbe dovuto essere impugnato entro il 30 settembre del 2007. Invece è stato impugnato unitamente alla sentenza il 30 ottobre del 2007. Il provvedimento in esame non può considerarsi abnorme e pertanto impugnabile in ogni tempo indipendentemente dall’osservanza dei termini, secondo l’orientamento espresso da questa corte con la decisione del 25 febbraio del 2003, Sicali, in contrasto peraltro con quanto affermato dalla Sezioni unite con la sentenza del 9 luglio 1997, Quarantelli. Invero, benché la questione dell’emendabilità con la procedura di cui all’articolo 130 dell’omessa pronuncia in merito alla statuizione sulle spese sostenute dalla parte civile abbia dato luogo a contrasti giurisprudenziali, in parte risolti da un recente intervento delle Sezioni unite relativamente alla sentenza di patteggiamento, l’atto non può considerarsi atipico.
Gli altri due motivi, che vanno esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, sono inammissibili per la loro manifesta infondatezza.
Anzitutto va rilevato che non si è trattato di abbandono occasionale da parte di un privato , ma di sistematica raccolta di rifiuti , prodotti anche da terzi, costituiti da carcasse di autovetture, materiale ferroso e pezzi di ricambio che il prevenuto, il quale svolgeva l’attività di meccanico, abitualmente depositava in un terreno di proprietà della moglie.
Tale sistematica raccolta non può essere inquadrata nell’istituto del deposito temporaneo di cui all’articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi (ora art 183 lettera m) del decreto legislativo n 152 del 2006), sia perché, come emerge dalla sentenza di primo grado, quei rifiuti non erano destinati ad essere smaltiti per mezzo dell’Ecoimpresa ossia per mezzo della società alla quale l’imputato conferiva i rifiuti da lui prodotti, sia perché si trattava di rifiuti provenienti anche da terzi, sia infine perché non erano raggruppati nel luogo di produzione.
Il materiale in questione costituiva un rifiuto a norma degli artt 6 e 46 del decreto Ronchi anche prima del decreto legislativo n 209 del 2003 .Invero, a norma dell’art. 46 del D.Lgs. n. 22/1997, il proprietario di un veicolo a motore che intendeva procedere alla demolizione dello stesso doveva consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione.
Tali centri di raccolta potevano “ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore” e dovevano comunque essere autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 dello stesso D.Lgs.n. 22/1997. I veicoli “fuori uso” assumevano il carattere di rifiuti fin dal momento in cui venivano dimessi dal proprietario, che se ne disfaceva proprio attraverso la consegna al demolitore. Inoltre a seguito della decisione 119 del 2001 CE i veicoli fuori uso hanno assunto la qualifica di rifiuti pericolosi.
In proposito va precisato che la decisione anzidetta considera il veicolo fuori uso come veicolo pericoloso nell’ipotesi in cui lo stesso non sia privato delle varie parti pericolose che lo compongono. Nell’ipotesi di scomposizione, la normativa sui rifiuti pericolosi è applicabile solo alle parti effettivamente pericolose. Il decreto legislativo 24.6.2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), con cui è stata introdotta in Italia una nuova normativa concernente il recupero e il riciclaggio di materiali provenienti da veicoli a fine vita, non contiene norme più favorevoli e, all’art. 3, considera il veicolo “fuori uso” un rifiuto sia nel caso in cui il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della consegna ad un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono ancorché giacente in area privata.
Nella vicenda in esame, premesso che la natura pericolosa del rifiuto o di sue componenti non risulta contestata, si rileva che il prevenuto ha gestito sostanzialmente un centro di raccolta e di rottamazione, senza alcuna autorizzazione, e tale attività rientrava e rientra senza alcun dubbio nell’ambito del recupero e dello smaltimento effettuati senza la relativa autorizzazione (cfr Cass., Sez. 6.7.1999, n. 1999, Archidiacono ed altro; nonché Cass. 25.1.1999, n. 902, Convertini: 21.10.1998, n. 10952, Boccanera e 24.7.1998, n. 8572, Pontone).
L’inammissibilità del ricorso impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa corte con la sentenza n 32 del 2000, De Luca.
Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in € 1000,00 , in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.186 del 2000.