Cass. Sez. III n.38859 del 23 agosto 2018 (CC 4 dic 2017)
Pres. Cavallo Est. Di Nicola Ric. Lopez
Rifiuti.Trasporto e modalità di accertamento della condotta non occasionale
E’ possibile desumere la non occasionalità del trasporto di rifiuti anche dall’usura del “cassone” del mezzo, già verosimilmente utilizzato anche in altre occasioni per la medesima e illecita attività
RITENUTO IN FATTO
1. È impugnata l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il medesimo tribunale per il reato di cui all’articolo 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, perché esercitava, con un autocarro, attività di trasporto di rifiuti urbani e/o speciali non pericolosi, prodotti da terzi, consistenti in rottami ferrosi, senza la prescritta comunicazione e/o iscrizione all’Albo Nazionale delle Imprese che effettuano la gestione dei rifiuti a norma dell'art. 212 dello stesso decreto legislativo.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il difensore, articola due motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, anche in riferimento all’articolo 125 del codice di procedura penale per omessa ed apparente motivazione in ordine ad una argomentazione difensiva spesa dinanzi al Tribunale del Riesame ossia la mancanza della qualità di rifiuto delle cose trasportate ex art. 183 D.Lgs. 152 del 2006 (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale).
Sostiene che i beni complessivamente qualificati come rifiuti in sede di controllo stradale (peraltro non da personale specializzato in materia di tutela ambientale) venivano incomprensibilmente inseriti in tale categoria pur trattandosi semplicemente di mobili ed oggetti domestici usati e smontati, come un divano e/o un armadio smontato e/o una vasca che erano destinati ad essere trasportati presso un’altra abitazione.
Il tipo di accertamento svolto in sede di controllo avrebbe giustificato la attribuzione della qualifica di rifiuto sulla constatazione della mancanza di bolle di accompagnamento: ma non si vede perché un privato cittadino che trasporta dei beni tra due private dimore debba essere fornito di documenti di trasporto.
Peraltro, l'ipotesi accusatoria non è sostenuta neppure dalla verbalizzazione di un elenco di beni che consenta di verificare e valutare i beni che gli operanti hanno identificato come rifiuti; non vi è neppure una documentazione fotografica. Nulla consente di avere la certezza di cosa fosse effettivamente trasportato nel furgone sequestrato e tantomeno che si trattasse di rifiuti.
Né il tribunale cautelare, in presenza di tali eccezioni, ha espressamente motivato sul punto incorrendo nel vizio di violazione di legge denunciato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale sul rilievo della mancanza del fumus del reato di cui all'art. 256 D.Lgs. 152/2006 per omesso accertamento del requisito dell’attività di gestione ed anche in riferimento all'art. 125 cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine a tale elemento costitutivo della fattispecie (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale).
Sostiene come il Tribunale del riesame abbia omesso di considerare che il concetto codificato di “attività di gestione” (ulteriormente specificato dai termini “raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione”) debba prevedere un quid pluris rispetto alla semplice “raccolta, trasporto etc.”. Se così non fosse, la previsione normativa di una “attività dì gestione” risulterebbe una vuota formula di stile priva dì significato precettivo, laddove la formulazione della fattispecie contestata ha sempre inteso punire un tipo di condotta in qualche modo strutturata o che comunque sarebbe dovuta essere strutturata, anche in ragione della provenienza dei beni/rifiuti.
Nel caso in esame non vi sarebbe alcun elemento di fatto raccolto dalla Polizia Giudiziaria che possa anche solo far ipotizzare la sussistenza dì alcun elemento ulteriore, rispetto al mero trasporto, che consenta di individuare il quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice perché si possa ritenere integrata la fattispecie contestata.
Non essendosi il Tribunale del Riesame pronunciato su tale sollevata eccezione, avendo pedissequamente rinviato alle scarne considerazioni contenute nel decreto di sequestro ed ai pochi e lacunosi atti di indagine senza dare conto delle argomentazioni svolte dalla difesa, anche sulla base di ciò l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge denunciato.
3. Rinnovando l’istanza di annullamento dell’impugnata ordinanza per insussistenza del fumus circa la configurabilità del reato ipotizzato, sia con riferimento alla qualità di rifiuto dei beni sequestrati, sia con riferimento alla condotta di attività di gestione di rifiuti, il difensore ha depositato copia dell’annotazione di polizia giudiziaria con la quale si attesta che, in data 25 maggio 2017, a seguito di segnalazione di furto delle ruote, è stato rinvenuto il furgone di proprietà del ricorrente e già sottoposto a sequestro preventivo dal 1 aprile 2017 e successivamente rinvenuto sulla pubblica via privo dei beni che sarebbero dovuti essere invece sottoposti a sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il tribunale del riesame ha evidenziato come, dall’informativa redatta dalla P.G., in data 3 aprile 2017, gli agenti della Questura dì Roma, nel corso di un servizio di prevenzione e controllo in materia di reati ambientali, avessero, a seguito di un controllo del veicolo condotto dal ricorrente, un’attività di trasporto di rifiuti metallici senza le prescritte autorizzazioni previste dalla normativa in materia di rifiuti.
In particolare, nell’annotazione, si dava atto che erano presenti “materiale ferroso in disuso, tra cui termosifoni, forni elettrici, una caldaia da riscaldamento, stendini e altro materiale” e che l’indagato, attese le condizioni precarie del vano dell’autocarro, che presentava segni dovuti verosimilmente alla merce trasportata alla rinfusa, esercitava non occasionalmente tale attività di trasporto di rottami metallici.
Pertanto, la polizia giudiziaria richiedeva al ricorrente l’esibizione delle autorizzazioni prescritte dal d.lgs. n. 152 del 2006, in particolare l’iscrizione all’Albo Nazionale del Gestori Ambientali, che quest’ultimo dichiarava di non avere.
Di conseguenza, l’autocarro di proprietà dell’indagato veniva posto sotto a sequestro dalla P.G. e, successivamente, il PM procedente chiedeva al Gip la convalida e contestualmente l’emissione dei decreto sequestro preventivo.
Da ciò il tribunale del riesame ha ritenuto, quanto al fumus criminis, che il ricorrente raccogliesse e trasportasse rottami metallici, senza le prescritte autorizzazioni di legge, sebbene risultasse che lo stesso svolgeva attività di lavoro subordinato di tipo domestico per 25 ore settimanali, circostanza, quest’ultima, stimata non incompatibile con la contestata illecita attività di trasporto di rifiuti.
Risolto il profilo del fumus, il tribunale cautelare ha ritenuto sussistente anche l’altro presupposto normativo ossia il periculum in mora inteso in senso concreto ed attuale, desunto dalla natura delle cose trasportate e dalle circostanze del fatto, sottolineando come l’indagato, qualora nella disponibilità del veicolo, soggetto peraltro a confisca obbligatoria,potesse proseguire nell’attività illecita contestata e così reiterare il trasporto illecito di rifiuti.
3. Alla stregua di ciò, è del tutto evidente come il primo motivo di gravame sia manifestamente infondato e non consentito, avendo il Collegio cautelare motivatamente tratto il convincimento, desunto dalle cose trasportate e dall’usura del cassone del mezzo di trasporto, che il ricorrente svolgesse in maniera non occasionale l’attività non autorizzata di trasporto di rifiuti.
Sul punto, va ricordato che, in presenza di un chiaro apparato argomentativo e motivazionale con il quale è stata ampiamente giustificata l’imposizione della cautela, la doglianza del ricorrente deve ritenersi, oltre che manifestamente infondata per la correttezza logico – giuridica delle affermazioni contenute nel provvedimento impugnato, non consentita sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, perché, nei “gravami” sollevati nei confronti delle ordinanze emesse dal tribunale della libertà a seguito di riesame o appello sui provvedimenti che decidono i ricorsi in materia di cautele reali, l’articolo 325, comma 1, del codice di procedura penale espressamente ammette (a differenza dell’articolo 311, comma 1, del codice di procedura penale in materia di impugnazioni avverso le ordinanze cautelari personali) la ricorribilità per cassazione esclusivamente per “violazione di legge”, dovendo intendersi con tale locuzione gli “errores in iudicando” o quelli “in procedendo”, con esclusione, quindi, dei vizi della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), fatta eccezione per il vizio di mancanza assoluta della motivazione e cioè di quel vizio così radicale da comportare la nullità del provvedimento impugnato, vizio che ricorre quando l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento gravato sia del tutto mancante o comunque apparente perché assolutamente privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), così da rientrare nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 606, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale sotto il profilo dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale).
Ciò esclude che la Corte regolatrice possa esaminare i supposti vizi motivazionali che, impropriamente sussunti nella categoria della violazione di legge, il ricorrente ha ritenuto di sollevare con la critica svolta nei confronti del provvedimento impugnato.
Né appare rilevante, per destrutturare le conclusioni cui è giunto il giudice del riesame, il fatto che il mezzo sia stato successivamente sottratto da terzi alla custodia e ritrovato senza che vi fossero le cose trasportate, la cui natura e consistenza era stata già accertata dal personale operante.
4. E’ infondato invece il secondo motivo di ricorso.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di attività di trasporto di rifiuti, rileva la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (Sez. 3, n. 5716 del 07/01/2016, Isoardi, Rv. 265836).
Nel caso in esame, con motivazione non apparente, il tribunale cautelare ha desunto la non occasionalità del trasporto dall’usura del “cassone” del mezzo, già verosimilmente utilizzato anche in altre occasioni per la medesima e illecita attività, e ha desunto la natura di rifiuti dalla descrizione fatta dalla polizia giudiziaria delle cose trasportate, della loro eterogeneità e del loro stato di disuso.
Infatti, il carattere non occasionale della condotta di trasporto illecito di rifiuti può essere desunto anche da indici sintomatici, quali la provenienza del rifiuto, la eterogeneità, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito, l’usura di parti del mezzo di trasporto dimostrativa di una precedente ed analoga utilizzazione di trasporto illecito di rifiuti (Sez. 3, n. 36819 del 04/07/2017, Ricevuti, Rv. 270995).
Nel pervenire a tale conclusione il Collegio cautelare si è attenuto al principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’emissione del sequestro preventivo, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., ma è comunque necessario che il giudice valuti la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serietà degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari (Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945).
5. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso deve ritenersi infondato con onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/12/2017